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Autore: UnnaturalLaws    27/12/2011    1 recensioni
«Si chiedeva il povero dottore, se avesse combinato un qualche misfatto o qualche opera malvagia per essersi meritato di vivere in un purgatorio di routine variabile con quell'uomo così subdolo e impertinente. Dopotutto, pensandoci, non aveva fatto torti a nessuno, né aveva commesso qualche peccato punibile con la pena di morte. Il suo, era stato solo destino. E si sa, il destino è l'amara fine a cui tutti siamo destinati. Peccato, però, che il destino di Watson fosse inesorabilmente legato a quello del suo disprezzato e amato, compianto più volte e poi in lista per i più irritanti uomini di sempre compagno Holmes.»
ATTENZIONE! QUALCHE SPOILER SU AGOS!
Genere: Comico, Demenziale, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mrs. Hudson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il dottor Watson si rifugiò in casa dopo un'estenuante giornata piena di lavoro. Aveva seguito più persone in quell'unica serata che nei due giorni di festa londinese, quando tutti i più intenditori si lasciavano prendere dall'euforia e alzavano un po' troppo il gomito. Lasciò il soprabito color beige sull'attaccapanni di mogano che tanto lo sgomentava per un motivo ben preciso e si diresse verso la vetrina dei gradi. Scelse, tra le varie opzioni, un vino che gli sembrava più adatto per farlo addormentare di sasso e fargli dimenticare quella giornata così faticosa, il cui solo pensiero riusciva a fargli dolere la testa.
Versato il liquido rosso bordeaux in un bicchiere di cristallo e dopo aver riposto con cura la bottiglia nel suo posto originario, si lasciò coccolare dal torpore della poltrona e ci mancò poco che si addormentò senza neanche bere un sorso, con la possibilità che gli scivolasse il cristallo dalle mani e svegliasse tutto il silenzioso vicinato. I muri dell'ottocento erano molto fini.
 
Buttò la testa all'indietro e sorseggiò il suo vino, chiudendo le palpebre di un poco a causa della prepotenza con cui l'acol gli entrò in circolo dopo appena il primo assaggio. Si gustò il sapore amarognolo e impregnato di alcol che giaceva sulla sua lingua e si leccò il labbro inferiore sul quale era scivolata una goccia rossa. 
Poco dopo sentì gli occhi farsi più pesanti e i muscoli, ancora tesi per la serata movimentata, sciogliersi sotto la pelle bianca, da perfetto inglese. Quando le sue palpebre si incontrarono, Watson decise che sarebbe stato opportuno appoggiare il bicchiere su una superficie stabile che non fosse la sua mano addormentata. Scivolò in basso sulla poltrona e si sistemò in modo da conciliare il suo inevitabile sonno.
 
«Oh, Watson, è tornato giusto in tempo! Non l'avevo sentita arrivare, potrebbe anche avvisare invece di piombare in casa così!», una voce ovattata, maschile, fin troppo conosciuta dal dottore provenì dal bagno del povero Watson, che ormai avrebbe dovuto abituarsi a certe situazioni con certe persone. Sospirò furiosamente, sentendo la testa pulsare dal dolore nuovamente e gli venne un insano desiderio di lanciare il bicchiere di cristallo addosso alla persona in questione. Strizzò gli occhi, però, decidendo di ignorare quell'irritante quanto inutile voce.
 
«Sa, caro Watson, è ora di cambiare lama al suo rasoio. Non può essere così attaccato alle abitudini, questa lama avrebbe potuto infiammarmi il viso», continuò imperterrita la voce per Watson estenuante, poiché la sopportava tutti i giorni. E, si chiedeva il povero dottore, se avesse combinato un qualche misfatto o qualche opera malvagia per essersi meritato di vivere in un purgatorio di routine variabile con quell'uomo così subdolo e impertinente. Dopotutto, pensandoci, non aveva fatto torti a nessuno, né aveva commesso qualche peccato punibile con la pena di morte. Il suo, era stato solo destino. E si sa, il destino è l'amara fine a cui tutti siamo destinati. Peccato, però, che il destino di Watson fosse inesorabilmente legato a quello del suo disprezzato e amato, compianto più volte e poi in lista per i più irritanti uomini di sempre compagno Holmes. 
 
«Prima di tutto, Holmes, mi permetta di ricordarle che questa è casa mia; lei è un ospite non invitato, perciò ritengo che l'appellativo adatto a lei sia parassita», sputò acido il dottor Watson, ricevendo un sospiro indignato dal bagno, «Pertanto non è mio dovere avvisare proprio nessuno prima di fare ritorno nella mia e ripeto solamente mia casa», concluse il primo punto, alzandosi dalla poltrona così comoda e andando in contro al suo compagno d'avventure e al suo fastidioso parassita. 
«Seconda cosa, caro Holmes. Quel rasoio è perfettamente adatto a me e non vedo la necessità di cambiarne la lama. Non è affar mio se lei ha la pelle un filo troppo delicata rispetto al normale», dettò legge, attraversando a grandi falcate il corto corridoio per arrivare in fretta all'uomo che cagionava le sue emicranie e accompagnava le sue notti insonni con futili paranoie da investigatore giallo.
«Ultima cosa, ma assolutamente non per importanza», continuò per concludere, trovandosi davanti a Holmes in boxer bianchi e il suo rasoio in mano che gli rubò, «Lei non può presentarsi a casa mia quando vuole! Le sembra il modo? Lei non ce l'ha una casa sua, Holmes?», esclamò puntandogli il rasoio in faccia.
L'investigatore guardò con diffidenza prima il rasoio, poi Watson e alzò le mani in alto in segno di resa.
 
«Watson lei ha bisogno di una tisana rilassante. Lasci che gliela prepari io», cercò di dargli una pacca amichevole sulla spalla destra, ma il dottore avvicinò ancora di più la lama con uno sguardo da psicopatico con problemi di insonnia. Holmes alzò il mento sotto il quale si trovava un rasoio affilato che avrebbe potuto causargli non pochi problemi alla sua inglese pelle delicata.
 
«Niente tisana per Watson», sussurrò. Si arrese, messo alle strette e ancora con le mani in alto, come se fosse minacciato con una pistola dal professor Moriarty. Era duro ammettere, per Holmes, che il suo compagno lo intimoriva più di qualsiasi assassino seriale quando faceva la sua faccia da psicopatico. 
 
«Mi spiega perché una sera sì e l'altra pure lei deve per forza imbucarsi a casa mia e usarla a suo piacimento per poi lasciarla in un porcilaio che toccherà a me pulire?», esclamò furiosamente il dottore esausto, puntando ancora la pericolosa lama alla gola bianca e liscia del compagno.
 
Holmes aprì le braccia di lato e alzò le spalle per giustificarsi. «Lei è una compagnia piacevole a mio avviso, Watson! Cosa c'è di male in questo?», chiese con fare ingenuo, puntando gli occhi su quella lama così scintillante e affilata.
 
«Non è che potrebbe evitare di puntarmi quella cosa addosso?», chiese ancora, indicando di poco e ritraendo subito il dito, come se bruciasse, l'oggetto in mano al dottor Watson. 
 
Quest'ultimo, in risposta, si agitò e si avvicinò ancora di più al compagno, che spalancò ancora di più gli occhi e deglutì, sentendo la punta della lama appoggiarsi sul pomo d'Adamo.
 
«A quanto pare no», si accorse l'investigatore. 
 
«Lei troverà anche la mia presenza piacevole, caro Holmes, ma io non ricambio il suo per niente gradito sentimento! E, per l'amor del cielo, tra pochi giorni mi sposo! Lei non potrà imbucarsi a casa mia e della mia futura moglie quando le sarà più comodo, lo sa?», spiegò ancora furioso il dottor Watson, facendo oscillare pericolosamente il rasoio davanti al viso intimorito di Holmes.
 
Holmes scosse la testa e sorrise, «Chi dice che sua moglie non troverà la mia presenza gratificante?». La mascella di Watson si serrò. No, non poteva sopportare che il suo compagno di lavoro - perché per il povero Watson, solo questo era, oltre che un perfetto raggiratore e un opportunista - coabitasse nella stessa casa in cui lui e la sua futura moglie avrebbero cominciato una nuova vita, una nuova realtà; dove avrebbero formato una famiglia e messo in piedi una relazione stabile. Era un boccone troppo difficile da mandare giù e non ne vedeva assolutamente la necessità, siccome Holmes aveva una casa tutta per lui. 
 
«Fuori da casa mia, Holmes», sputò acido, scandendo parola per parola. Caricò d'odio e enfasi il cognome del suo parassita che altresì era il suo compagno d'avventure e il suo migliore amico, per quanto costasse ammetterlo al chirurgo. L'investigatore aprì la bocca e alzò un sopracciglio, inclinando la testa di lato.
 
«Ha per caso det-», cercò di trovare un altro significato a ciò che gli aveva appena comandato il suo amico, ma venne bruscamente interrotto.
 
«Ho detto: fuori da casa mia, Holmes. Non lo voglio ripetere una terza volta», ordinò Watson a denti stretti. Non si era mai sentito così furioso nei confronti di Holmes, neanche quando si era scordato di organizzargli l'addio al celibato, pochi giorni prima, per poi trovarsi in mezzo a una lotta sanguinosa, ubriaco fradicio. Ma si sapeva, con Sherlock Holmes tutto era possibile. 
 
«Sa, Watson, io credo che tutto quel lavoro le faccia davvero male. Se vuole sapere la mia opinione, dovrebbe prendersi qualche giorno di vacanza per stare solo con la sua promessa sposa!», pronunciò Holmes, sfoggiando un sorriso convinto che fece vibrare d'odio il povero dottore. Come avrebbe potuto stare solo con la sua amata se quell'impertinente egocentrico di Holmes non lo lasciava neanche andare in bagno senza che lo seguisse? A quel punto non ci vide più.
Buttò via il rasoio facendolo atterrare in una bacinella e strinse Holmes dal braccio, trascinandolo ancora svestito alla porta di casa ignorando i suoi gridolini di lamento e preghiere. Aprì la porta con un gesto furioso e dopo qualche secondo l'investigatore era fuori di casa in boxer bianchi. Watson poggiò la schiena alla porta e cercò di calmare il suo respiro affannoso e irato, sperando che quella fosse l'ultima volta che avrebbe visto Sherlock Holmes in casa sua. 
Si portò le mani alle tempie, massaggiandole tranquillamente, in modo da far passare il doloroso pulsare del suo capo. 
 
«Watson, mentirei se le dicessi che fa caldo, qui fuori», commentò da dietro la porta l'investigatore in mutande, con quel suo tono scherzoso anche in situazioni in cui non era per niente consono. Watson non si scomodò a rispondere e rimase fisso sulla porta a cercare un po' di sollievo dalle sue stesse dita. 
Si scostò dalla porta ignorando le varie preghiere e promesse di cambiare che Holmes stava proponendo e si diresse verso la cucina. Mescolò un po' di zucchero e limone con un bicchiere d'acqua per far affievolire anche un minimo il suo mal di testa con cui ormai conviveva e si diresse in bagno.
Gli si presentò davanti una scena improponibile: due asciugamani bagnati erano buttati a terra con noncuranza e menefreghismo, gli stessi asciugamani che avrebbero dovuto essere piegati con cura sul mobile di pioppo davanti al water; la sua schiuma da barba era stata lasciata aperta da un precedente tentativo di radersi di Holmes ed era colata in buona parte sul lavandino; tre bottigliette di oli per la pelle erano stati usati imprudentemente e giacevano ancora senza tappo sul ciglio della vasca, in procinto di cadere. 
Watson non ci vide più: quella volta Holmes non l'avrebbe passata liscia. 
Si diresse verso la porta principale e sentì il suo compagno tutto occupato in un monologo che pareva vagamente familiare, ovvero ciò che aveva sentito più o meno una ventina di volte, sul fatto che loro due fossero grandi amici, sul fatto che Watson non potesse comportarsi in quel modo e sul fatto che senza dubbio non ci sarebbe stata un'altra volta in cui il dottore avrebbe spalleggiato il grande investigatore. 
Scosse la testa sbuffando e accostò il viso alla porta, guardando in basso. Holmes si accorse della sua presenza.
 
«Si è pentito», commentò l'investigatore con fermezza. 
 
«Non ci pensi nemmeno», rispose con altrettanta sicurezza il dottore.
 
«Lo sento dal suo tono. Lei si è pentito e ora sta pensando di farmi tornare dentro», continuò imperterrito l'uomo in mutande.
 
«Vedo che la sua percezione nel captare i pensieri altrui si è decisamente affievolita», ribattè con tono divertito ma superiore Watson.
 
«Il fatto che lei non tocchi la porta con nessuna parte del corpo sta a indicare un'inconsapevole vena di colpevolezza che a lei non traspare, ma per chi ha anni ed anni di esperienza è decisamente palpabile, se non addirittura patetica», tentò il professorone, già immaginandosi e pregustandosi l'effettiva reazione del suo compagno. Deglutisce. Abbassa la maniglia della porta. Entro. Tutto è risolto.
Ma Holmes, dopo tutti questi anni, davvero non si era ancora accorto di quanto il suo compagno era cambiato? Di quanto era diventato più perspicace?
 
«Dovrei essere offeso dal suo modo di rivolgersi a me, Holmes, colui che le è stato accanto per anni. Posso soltanto affermarle che i suoi giochetti ormai non funzionano più con me. Sa perché? Perché lei è un uomo talmente subdolo che cattura chiunque le sta intorno e costringe coloro che sono stati imprigionati a ragionare esattamente nel suo modo. E di questo posso esserle solamente grato, poiché altrimenti non potrei ribattere con il fatto che lei non sa che io effettivamente sto toccando una parte della porta con il pollice del piede destro. Quindi, Holmes, posso giungere alla conclusione che in realtà è la sua relazione dei fatti ad essere patetica», gli sputò in faccia Watson, sentendosi all'altezza, per una volta. 
 
Holmes, per la prima volta da quando Watson lo conosceva, tacque. Un sorriso soddisfatto si fece largo tra le labbra del dottore che alzò il mento come se potesse davvero vedere il suo compagno e affrontarlo per la prima volta a testa alta. 
 
«Pertanto ritengo che sia appropriato che lei questa notte dorma fuori, senza i suoi vestiti», concluse Watson prima di andarsene e lasciare l'investigatore a borbottare ad alta voce.
 
Il dottore si svestì del camice, ancora addosso da quando era tornato, e si mise una vestaglia blu per poi infilarsi sotto alle coperte, al tepore del letto. Aveva quasi compassione del suo compagno che giaceva appena fuori dal suo appartamento, ancora in boxer, senza che avesse potuto andarsene a casa, poiché sarebbe morto di freddo. Poi, la scena dello stato in cui aveva lasciato il bagno gli balenò ancora in mente e tutta la pena che provava nei suoi confronti, si tramutò ancora una volta in disappunto. Non odiava Holmes, certo che no. Anzi, ci era molto affezionato. Il problema era che il caro investigatore doveva capire quando si arrivava all'esagerazione. E lui la soglia l'aveva oltremodo sorpassata. Non era concepibile che si presentasse ogni volta a casa di Watson e ogni volta lasciasse un porcile che alla fine toccava sempre al povero dottore pulire. È vero che la casa era sua, ma come chi rompe paga, chi sporca pulisce. Soprattutto se non si è a casa propria. Soprattutto se poco tempo dopo avrebbe dovuto abitarci anche una donna. E siccome il caro Watson aveva condiviso praticamente tutto con il suo migliore amico, non voleva assolutamente che la stessa sorte toccasse anche alla moglie ignara. 
Si addormentò facilmente a causa del sonno accumulato durante la giornata e in un baleno fu già il giorno dopo.
 
 
 
Due colpi più forti bussarono alla porta e fecero destare il dottor Watson che poco prima russava ancora beatamente nel suo letto. Lui sì che aveva passato una notte da favola: al calduccio tra le sue coperte, al comodo sul suo materasso e, soprattutto, vestito. Ridacchiò per l'infelice punizione che aveva affibiato al suo compagno di lavoro e si sentì un po' bastardo. Dopotutto, anche nell''800 c'erano certi vocaboli scurrili.
 
Ad ogni modo.
 
Mentre ridacchiava e si sentiva in colpa, una voce femminile gli arrivò all'orecchio come un ricordo lontano, un modo separato e ovattato. Ma certo! Mary! Il dottore si era completamente scordato che quella mattina l'avrebbe dovuta portare fuori a colazione e a pranzo. Sì alzò di scatto e raccolse i vestiti della sera prima per vestirsi mentre percorreva la strada che arrivava alla porta principale. 
 
«John? Oh, John, per l'amor del cielo, apri questa maledetta porta!», Mary stava già cominciando a spazientirsi e il suo tono era già abbastanza acceso. Watson si schiarì la voce.
 
«Arrivo, tesoro!», balbettò, dandosi un'ultima sistemata allo specchio per poi aprire con eleganza la porta d'ebano. Quello che gli si presentò davanti, però, non era esattamente ciò che si aspettava.
Mary, vestita di tutto punto, con il suo bel vestito azzurro, stava spazientendosi per un motivo ben preciso: siccome si era dimenticato dell'incontro, non aveva pensato che la fidanzata avrebbe potuto spaventarsi nel vedere il suo compagno di lavoro, con solo i boxer addossi, addormentato sulla sua porta.
 
«John, toglimi il tuo amico dalla mia gamba!», strillò la donna, visibilmente inorridita. Infatti, il signor Holmes si era già destato e appena aveva riconosciuto Mary si era attaccato al suo reggicalze chiedendole la pietà e di farlo entrare. La donna, spaventata, aveva cominciato a sbraitare e aveva quasi buttato giù la porta. Watson si portò una mano alla fronte.
 
«Che cosa sta facendo, Holmes, posso saperlo?!», gridò fuori di sé, staccando la cozza Holmes dalla gamba della sua futura - lo era ancora? - moglie. L'investigatore si alzò con uno sguardo superiore e si pulì da rimasugli di polvere che durante la notte si erano depositati sul suo corpo. Probabilmente aveva dormito accovacciato a terra.
 
«Cosa crede che stia facendo? Sto supplicando sua moglie!», commentò l'uomo tranquillamente, come se fosse una cosa del tutto normale. Watson abbracciò la sua ragazza e lanciò un'occhiata mortale al suo amico. 
 
«Vieni, Mary, andiamo a mangiare. E lei può benissimo sopportare qualche altra ora senza i suoi vestiti!», esclamò il dottore, le cui vene del collo si erano pericolosamente gonfiate.
Holmes chiuse gli occhi, trovandosi il viso irato di Watson davanti al suo. Con un'espressione scioccata, si portò un dito alle labbra e si pulì.
 
«Non sputi, Watson», commentò, strusciando l'indice sul labbro inferiore. 
Il dottore si trattenne dal tirargli un pugno sul naso. Chiuse la porta a chiave e, dando un'ultima frecciatina a Holmes, scese le scale con la sua futura moglie, che se avesse voluto lasciarlo all'istante, non avrebbe biasimato.
 
 
 
°°°
TBC.
Ebbene sì, eccomi qui con un nuovo tema su cui scrivere! Mi chiamo Martina e di solito scrivo su altri pairing che la maggior parte delle volte sono slash. 
Ieri ho visto AGOS e mi sono innamorata follemente di Sherlock Holmes, anche se vedendo il primo non ero stata così entusiasta. 
Ma basta blaterare di me, passiamo alla fanfic.
Ecco piccole cose da puntualizzare:
- Non so di che festa londinese sto parlando: non me lo chiedete. È una cosa inventata per far quadrare un po' il senso della frase;
- Il tempo della mia fanfic, come avrete notato, non è in sincrono con quello del film, poiché quando in AGOS c'è la scena dell'addio al celibato, il giorno dopo il dottor Watson si sposa;
- Ho voluto dare a Watson il carattere da zitella con le mestruazioni a causa del lavoro stressante;
- Non è assolutamente vera l'analisi che fa Sherlock quando Watson è appoggiato alla porta, era solo un modo per inserire un po' della genialità (?) di Holmes nella storia, ma siccome io non lo sono abbastanza, dovrete accontentarvi;
 
Grazie mille anche solo per aver letto! Vi chiedo, comunque, se potete e avete voglia, di lasciarmi una rensioncina piccina picciò anche solo per capire cosa devo cambiare, anche perché sono nuova del pairing! 
Al prossimo capitolo!
SoberDH.
 
  
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