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Autore: Keiko    28/12/2011    6 recensioni
Jimmy amava le cose fuori dal tempo e dallo spazio, quelle che le persone comuni non degnano di nota. Jimmy adorava sfatare le convenzioni e buttarsi dall'altra parte della vita, restare lì a fissare gli altri seguire regole di cui – prontamente – se ne fregava, instillando il dubbio legittimo di chi aveva ragione. Jimmy ti poneva davanti alla domanda, ma non ti offriva mai la risposta. Quella, dovevi sempre trovarla da solo.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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A Sweet Revenge © [28/12/2011]
Disclaimer. Gli Avenged Sevenfold (M. Shadows, Zacky Vengeance, Jimmy "The Rev" Sullivan, Synyster Gates e Johnny Christ), Valary e Michelle DiBenedetto, Gena Pahulus sono persone realmente esistenti. I personaggi originali non sono ovviamente persone realmente esistenti, ma semplice frutto della mia immaginazione. La storia è frutto di una narrazione di PURA FANTASIA che mescola la mia visione di fan a eventi storicamente accaduti e rumors spulciati in rete, destinata al diletto e all'intrattenimento di altri fans. Non si persegue alcun intento diffamatorio o finalità lucrativa. Nessuna violazione dei diritti legalmente tutelati in merito alla musica ed alla personalità degli artisti succitati si ritiene dunque intesa.


 In Memory Of.

 
Non sono andata al funerale di Jimmy, non mi sembrava corretto nei confronti di quelli che lo conoscevano da una vita. Avrei potuto andare a pregare sulla sua tomba qualche giorno dopo, quando la terra bagnata dalla pioggia si fosse appiattita e avesse dato una parvenza di una sepoltura eseguita da mesi, ma mi sono accorta di non saper più pregare. A chi posso affidare l’anima di Jimmy quando io nemmeno posso credere che esista qualche dio disposto a salvarci, consolarci e accoglierci?
Mi sono fatta coraggio e sono uscita di casa con il mio ombrello rosso e gli stivali in gomma dello stesso colore: piove da giorni, ad Huntington Beach, e io sono rimasta chiusa nella mia camera d’albergo senza osare uscire di lì, terrorizzata da ciò che potevo trovare fuori.
Realizzare la perdita, riconoscere la morte di ciò che ami e metabolizzarla, è un processo lento che richiede forza e coraggio. Io non possiedo né l’uno né l’altro, sono solo una povera stupida che si è illusa di essere amata – anzi, sono certa di essere stata amata – nonostante il mondo mi consideri una ritardata, a cui qualche bastardo ha deciso di strappare l’unico briciolo di felicità che la vita mi avesse concesso. Quali peccati ho commesso per poter perdere Jimmy dopo soli tre mesi insieme?
Guardarmi allo specchio non mi aiuta a ritrovare la me stessa che piaceva a lui né quella tonalità delle iridi per cui si perdeva per minuti interi nel cercare di indovinarne il giusto colore.
Chi sono io, ora?
Credevo di essere qualcuno con James Owen Sullivan, credevo di poterlo essere solo perché non mi considerava diversa dagli altri, ma speciale. Jimmy aveva il dono di rendere umano un mostro; di trasformare il grigio di una giornata autunnale ovattata dalla nebbia, calda e morbida come le ultime giornate di sole di settembre; di trovare sempre la parola giusta per tirarti fuori dai guai, persino quelli che ti crei mentalmente. Jimmy era speciale e unico perché sapeva tirare fuori la parte bella di ogni cosa, anche delle persone. Era come se sapesse fare leva su quelle doti che troppo spesso dimentichiamo, mostrando al prossimo solo le qualità peggiori di cui siamo dotati: è una forma di autodifesa, quella, per evitare di mostrarti nudo davanti al resto del mondo. L’ho imparato quando le mie difese, Jimmy le ha superate una a una senza che me ne accorgessi, con la capacità di ridere di ciò che io ritenevo di dover mascherare e prendendo seriamente ciò che io consideravo superfluo da raccontare. Per Jimmy erano le cose di poca importanza a rendere le persone differenti le une dalle altre, non le grandi cose. Lui, che suonava in una rock band di fama mondiale, diceva che ciò che lo rendeva differente da qualsiasi altro batterista erano la sua adolescenza, o magari il suo terrore per i ragni. Non l’amore incondizionato che ogni rock star ha per il macabro, come il suo amico Zacky, per esempio.
Parlava spesso dei suoi amici e lo faceva con affetto e trasporto, con lo sguardo luminoso che solo una donna innamorata possiede. Se avessi dovuto paragonarlo, forse poteva somigliare a quello di un padre che parla orgoglioso delle vittorie dei propri figli. Erano una famiglia, erano una cosa che io non possedevo nemmeno per legame di sangue. Il loro era un mondo a parte, pericoloso e incantevole. Non ammetteva vie di fughe, non considerava posti aggiuntivi e, soprattutto, distruggeva tutto ciò che poteva minare un equilibrio che si era creato negli anni, basato su troppe cazzate fatte insieme e troppi segreti mai raccontati e sempre difesi.
Sono stata anch’io uno di quei segreti condivisi, o sono rimasta nascosta scivolando via dalla vita di Jimmy quando il suo cuore ha smesso di battere?
Le camere d’albergo mi danno sicurezza, mi fanno sentire a casa e protetta; profumano di Jimmy e di notti passate insieme, stretti l’uno all’altra a progettare un futuro che non avremo mai e che già allora sembrava un sogno destinato a restare tale.
Jimmy è stata una di quelle persone che non ti aspetti di trovare lungo la tua strada, una di quelle che invece ti cambiano strappandoti ogni tua convinzione e creandoti da zero: non a loro immagine e somiglianza, ma secondo l’immagine che tu non hai mai voluto mostrare agli altri.
Aveva il dono di rendermi migliore, di rendermi normale, soprattutto.
Ora, senza di lui, è come se fossi di nuovo un essere umano a metà.
D’altra parte lo ero prima del suo arrivo, è giusto che lo sia anche ora che se n’è andato per sempre.
Ho ventisei anni e ho vissuto soltanto per tre mesi. Assurdo chiamarla vita, questa.
 
 
Cecilia sedeva su una panchina del parco intenta a leggere un noioso trattato di sociologia per l'ammissione agli ultimi esami dell'università, che vertevano su una serie di tematiche che a lei non interessavano affatto. Di tutto quello che doveva imparare per intraprendere la carriera di psicologa - per aiutare quelli come lei, che non avevano nessuno che li ascoltasse - riteneva di aver già immagazzinato le nozioni necessarie, dunque le restavano solo pochi esami che non avevano nulla a che vedere con la strada che desiderava intraprendere.
Che senso ha studiare sociologia per diventare psicologi? Solo per rendersi conto di come nascono le dinamiche sociali e i fenomeni di massa?
Sollevò lo sguardo in cerca di Jesse che, poco distante, sfrecciava con il suo skate lungo la pista. Le piaceva accompagnarlo al parco a scaricare l'energia distruttiva da diavoletto della Tazmania che possedeva a casa, certa che fosse dovuto alla scarsa presenza di sua madre. Da quando suo padre se n'era andato, lasciandoli orfani per una famiglia che si era costruito all'ombra della loro, Jesse era diventato indomabile. Secondo lui la colpa era tutta della loro madre, che non era stata in grado di tenersi stretta suo marito. Spiegare a un ragazzino di undici anni che l'amore non è eterno, che le persone sbagliano e negli anni cambiano, era difficile. Sospirò, puntellandosi contro lo schienale della panchina stiracchiando le gambe dinnanzi a sé. Jesse sfrecciava veloce sul suo skate arancione ridendo con altri ragazzini della sua età. Le piaceva osservarlo giocare, sentire che – in un modo del tutto singolare – riusciva a rendere le giornate di suo fratello più sopportabili con quelle uscite al parco o anche solo a comprare un gelato al chiosco all'angolo del quartiere. Uscire le faceva respirare aria pulita, non il solito puzzo di vecchio e tacite accuse che aleggiava quando erano confinati in casa.
La colpa di quel divorzio in parte era anche sua, lo sapeva bene, perché di un figlio che è solo un peso finisci per farne volentieri a meno. Per chi fosse un peso, però, non l'aveva mai compreso. Sua madre le aveva imposto di non parlare mai, in pubblico, con il linguaggio dei segni, costringendola a leggere il movimento delle labbra altrui o a scrivere ciò che aveva da dire su un taccuino: si vergognava di avere una figlia diversa.
Quando aveva otto anni, un'infezione virale si era portata via il suo udito e, di conseguenza, anche la voce. Ci avevano messo sette anni, i suoi genitori, per decidere che di una figlia che parlava riempiendo interi quaderni non se ne facevano poi molto: così era nato Jesse, desiderato più di qualsiasi altra cosa al mondo, con la certezza che la normalità potesse tornare con un figlio sano. Di quello che poteva provare lei non si erano mai curati. I genitori fingono di non avvertire i bisogni dei propri figli nemmeno quando possono parlare: il suo silenzio costrittivo non era altro che un ottimo alibi per disinteressarsi di lei e di ciò che la riguardava. Che i suoi genitori non fossero in grado di crescere dei figli l'aveva capito con Jesse, diventato all'improvviso il pretesto su cui sfogare ogni tensione che si accumulava tra di loro. Jesse era un campo di battaglia, la sua educazione un ottimo motivo per scannarsi. Cecilia non poteva intervenire: parlava senza essere ascoltata perché a lei servivano gli occhi degli altri puntati addosso per poter essere udita e i suoi genitori erano concentrati solo su sé stessi, sulle accuse che si muovevano reciprocamente. Suo fratello era l'unica persona al mondo ad avere la capacità di farla sentire uguale a tutti gli altri, mettendola a suo agio in ogni situazione. A volte si chiedeva se non fosse lui il maggiore tra i due, ma poi lo guardava addormentarsi in auto al suo fianco mentre rientravano dalla biblioteca, o quando le chiedeva di poter dormire con lei durante i temporali: allora, si rendeva conto che era solo un ragazzino. Jesse era un bambino più grande della sua età e a Cecilia sembrava di averlo privato della sua infanzia con i propri problemi.
Estrasse la macchina fotografica dalla borsa, mettendo a fuoco il viale alberato che pullulava di bambini che muovevano i primi passi camminando come papere a causa del pannolone, le loro madri pronte a sorreggerli prima che potessero cadere a terra.
Non badò al tizio che si era seduto accanto a lei, fissando – al di là delle lenti scure degli occhiali da sole – i movimenti delle anatre che, in fila indiana, correvano lungo il viale alla ricerca di un riparo tra le piante.
“Fai la fotografa?”
Non gli prestò attenzione, fingendo di ascoltare musica  dalle cuffie spente dell'IPod di suo fratello, tornando a puntare l'obiettivo sullo skate park: in genere, se li ignorava la lasciavano perdere, per quello utilizzava quel trucco stupidissimo della musica.
“Hai un bel colore di capelli lo sai?”
Cecilia, per un puro atto di ribellione nei confronti di sua madre, si era tinta i capelli di un rosa acceso, mandandola su tutte le furie. Quando per tua madre sei invisibile, decidi di mostrati a modo tuo, di esprimerti con tutto ciò che hai a disposizione: anche il tuo corpo. Lanciò un'occhiata incuriosita al ragazzo, i capelli corvini sparati sulla testa e una giacca in pelle nera addosso. Faceva ancora caldo - l'inizio di settembre è ancora estate in California - e Cecilia si era stupita di come quel tizio non stesse morendo in un bagno di sudore. Il suo sguardo era andato oltre i tatuaggi che esibiva sul collo, soffermandosi sulle lunghe dita che si muovevano sulle note di un ritmo inesistente, colpendo il ginocchio inseguendo una melodia immaginaria.
All'improvviso il ragazzo si voltò verso di lei, sorridendole raggiante.
“Sei curiosa?”
Lei sgranò gli occhi, arrossendo, per poi stornare lo sguardo e puntarlo sulla propria macchina fotografica. Quel ragazzo non era bello ma aveva un'aura attorno a sé che la rapiva. Possedeva la bellezza pulita di un ragazzino, la forza di un uomo che aveva vissuto il dolore prima di agguantare la felicità. Lei le persone le studiava da anni e uno come lui non l'aveva mai trovato.
“Cecilia! Ehi! Posso prendere il gelato?”
Lo skate stretto sotto il braccio, Jesse correva in direzione della sorella stando attento a non inciampare e cadere. Si stava guadagnando un posto tra i ragazzi più grandi, non poteva fare la figura dello scemo proprio in quel momento.
“Mi hai visto? Sono forte vero?”
Il fiato corto, le mani serrate sulle ginocchia, si arrestò davanti alla sorella in attesa di una risposta mentre lei,  scompigliandogli i capelli, annuì sorridendo, sfilandosi le cuffie dalle orecchie.
“Niente fotografia alle anatre? Secondo me lì, tutte in fila indiana, sono belle. Sembrano quegli esseri umani che inseguono gli altri, senza cercare mai la propria strada.”
Jesse strattonò la sorella per una mano, facendole un cenno in direzione del ragazzo che aveva appena parlato.
“Mia sorella non può sentirti. È sordomuta.”
Il ragazzo si voltò squadrandola per la prima volta da quando si era seduto accanto a lei. Aveva un corpo sottile e acerbo, troppe poche curve dove invece avrebbero dovuto essere poi, risalendo sino al viso, aveva notato gli occhi di un verde ferino, dalle striature dorate.
“Scusa?”
A quella domanda lei distolse lo sguardo, imbarazzata, cogliendo perfettamente la sorpresa dipinta sul suo viso.
“Hai capito benissimo. Se hai cercato di abbordarla, hai sbagliato tutto.”
“Posso sapere come si chiama?”
“Cecilia. Io sono Jesse. E tu chi sei, che fai tutte queste domande? Un tizio dei servizi sociali? Secondo me ne avresti bisogno tu, con quella faccia che ti ritrovi...”
Lo sconosciuto scoppiò a ridere, divertito dalla lingua tagliente del soldo di cacio, alzandosi gli occhiali dal viso e allungando la mano verso il ragazzino.
“James Sullivan.”
Dapprima Jesse serrò i pugni lungo i fianchi spostando lo sguardo incredulo da sua sorella al ragazzo, poi si staccò da lei avvicinandosi al batterista, puntando lo sguardo nel suo, a pochissimi centimetri dal viso.
“Cavolo, ma tu sei The Rev! Sei tu... non avevo riconosciuto i tatuaggi! Tu... tu sei il mio idolo!”
Il bambino si inginocchiò ai suoi piedi in un gesto talmente infantile di riverenza che Jimmy fu costretto a sollevarlo di peso e metterlo a sedere sulla panchina, prima che qualcuno potesse notarli.
“Davvero ci conosci?”
“Mi ha passato il vostro ultimo cd uno dei ragazzi dello skate park. Diceva che era roba tosta, per gente dura... siete forti. Ma davvero sei tu? E che ci fai qui? E perché cercavi di parlare con mia sorella? Lo sai, voglio imparare a suonare la batteria! Cecilia dice che mi accompagnerà lei alle lezioni, quest'inverno. Si sta già informando su dove si trovino le scuole private.”
“Come parlate voi due?”
“Con il linguaggio dei segni, altrimenti lei scrive su un taccuino quello che vuole dirti. È  la sorella più meravigliosa del pianeta, lo sai? Mia madre è una palla, se non fosse per Cecilia sarei già scappato da casa.”
“Quanti anni hai, scusa?”
“Undici, perché?”
“Sei troppo piccolo per aver voglia e bisogno di scappare. Lascia prima che la vita ti prenda un po' a calci nel culo.”
“Mi stai dando del moccioso per caso?”
“Be', lo sei.”
Cecilia tornò con due gelati recuperati al chiosco al quale erano soliti andare lei e Jesse. Con poche indicazioni sul menù appeso all'esterno riusciva sempre ad arrangiarsi anche da sola, anche se spesso lasciava che fosse Jesse a sentirsi l'adulto tra i due. Non aveva capito chi fosse quel tizio, sapeva solo che era uno degli idoli di Jesse, considerata la sua reazione: ma quale? Suo fratello, a soli undici anni, aveva avuto sufficienti miti personali da poter creare una cripta di nomi illustri: Mick Jagger, Jimi Hendrix, John Cena e poi l'immancabile Angus Yang e The Rev, il più recente acquisto nella lista dei “da grande voglio essere come lui”. Quest'ultimo, era pure l'individuo che per almeno dieci minuti l'aveva vista fare cose del tutto assurde per ingannare il tempo e annientare la sonnolenza che la coglieva sempre, a quell'ora del pomeriggio.
Allungò i gelati ai due, sorridendo imbarazzata.
“Grazie.”
“Grazie sorellina! Senti, Jimmy... domani torni qui al parco? Avrei un sacco di cose da chiederti.”
“Vieni qui tutti i giorni?”
“Quando non piove si. Cecilia sostiene mi faccia bene” rispose Jesse addentando un pezzo del proprio gelato al cioccolato con l’aria di chi aveva appena decretato una verità inconfutabile.
“Cosa vuoi sapere?”
“Come si diventa come te.”
Se sapessi cosa sono, io, ti farebbe schifo anche solo parlarmi, ragazzino.
Jimmy posò i gomiti sulle ginocchia iniziando a mangiare il proprio gelato per poi arrestarsi notando che Cecilia non aveva preso nulla per sé.
“Tu non ti sei comprata nulla?”
Lei scosse il capo in segno di diniego, rovistando poi con forza nella propria borsa nascondendo il viso nella chioma di capelli scarmigliati che le ricadevano davanti al viso.
“Allora vuol dire che sono in debito con te di un gelato” decretò il ragazzo sorridendo.
“Puoi pagarlo a me, lei non lo vorrà mai. Odia i latticini.”
“È uno spreco!”
Cecilia fece una smorfia disgustata per poi tornare a concentrarsi sulla propria borsa, come se riordinarne il contenuto potesse evitarle di farsi guardare da quel tizio come se fosse un alieno. Non era abituata a essere il fulcro dell’attenzione di qualcuno, un’attenzione che non era né medica né cattiva, per di più, ma stranamente sincera.
“Be' senti, noi siamo già in ritardo per la cena, nostra madre poi stressa. Ci vediamo domani, giusto?”
“Ti devo un gelato o sbaglio?”
“Che figo! Mangerò per due giorni di fila il gelato con Jimmy Sullivan! Lo sai, Cecilia, che sono l'uomo più fortunato del pianeta?”
Per attirare l'attenzione della sorella le strattonò la borsa tra le mani, costringendola a sollevare lo sguardo su di loro, su quella conversazione apparentemente muta di cui comprendeva le sillabe scandite dalle labbra dei due ragazzi. Jesse fece un saltello per rimettersi in piedi, il viso sporco di  gelato e un sorriso raggiante a dipingergli il viso. Cecilia lanciò un'occhiata a Jimmy, salutandolo con un cenno della mano per poi tenderla al fratellino. Erano una coppia strana, quei due, sembravano usciti da un fumetto: lei con i capelli rosa e lui con una zazzera ribelle da pel di carota, il viso ricoperto di efelidi e gli occhi di un verde più cupo rispetto a quello della sorella. A una prima occhiata, probabilmente, non avresti nemmeno detto fossero fratelli ma quando sorridevano, a entrambi, ai lati della bocca spuntavano due fossette da piccole pesti.
A Jimmy piaceva osservare le persone, scoprire le storie degli altri e immaginarsi una storia diversa per sé. Non che la sua vita non andasse bene: se c'era una cosa di cui non avrebbe mai potuto lamentarsi era proprio il fatto di essere tra i fortunati a vivere del proprio sogno, respirandone l'aria magica ogni giorno della sua esistenza da quando aveva raggiunto l'età per sapere cosa voleva esattamente dalla propria vita. C'erano giorni in cui, però, sentiva la necessità di mettere in discussione ogni singola cosa: la sua storia con Leana; i testi delle canzoni che stava scrivendo mettendoli a confronto con i vecchi e convincersi che ogni album era una storia a sé, ognuno differente e unico rispetto ai precedenti; Huntington Beach e il suo legame con una città che l'aveva visto diventare un uomo. Sembrava assurdo, ma l'unica cosa che non aveva mai messo al patibolo erano gli Avenged Sevenfold. I suoi amici, invece, qualche volta c'erano finiti lì sopra, con il loro fardello di difetti. Nonostante tutto, però, non li avrebbe cambiati con nessun altro al mondo. Erano la certezza della sua vita: la sua famiglia, gli Avenged Sevenfold. 
 
 
Un giorno non può cambiare radicalmente la tua vita, può però costringerti ad affrontare un mondo sconosciuto. Nella scoperta di un paradiso fatto di silenzi e privo di suoni e musica, Jimmy si era sentito fottutamente stupido. Tendenzialmente, un coglione completo. Ovviamente, fuori luogo su tutti i fronti. Trovò Cecilia seduta sulla medesima panchina del giorno prima, intenta a leggere lo stesso libro. La salutò con un esuberante “ciao” per poi ripiegare con un sorriso imbarazzato e un cenno della mano. A quel punto Cecilia alzò lo sguardo su di lui sorridendogli, mentre prendeva posto accanto a lei. Quanto poteva pesare il rumore che li circondava sul silenzio che li avvolgeva, il batterista non avrebbe saputo dirlo.
Sei venuto per Jesse? Era emozionatissimo, sai?
Il taccuino che Cecilia gli aveva porto lo colse alla sprovvista, facendolo sentire abbastanza stronzo. Investito dell'ignoranza in cui vivono le persone normali – sentendosi di base uno stronzo solo per quel pensiero, ma non gli uscivano termini migliori per definirsi in quel momento – aveva creduto che un sordomuto potesse – e volesse – parlare solo con quelli come lui. Con il linguaggio dei gesti, soprattutto, non abbozzando su un quaderno domande e risposte.
“Sono un idiota,” si lasciò sfuggire osservando la ragazza guardarlo incuriosita.
Perché?
“No, direi che sono stronzo più che idiota. Ero convinto che volessi parlare solo con il linguaggio dei gesti e che non ti importasse parlare con gli altri, con...”
Quelli come te?
“In che senso?”
Tu come lo leggi?
“Si, dicevo: è difficile, insomma. Mi hai spiazzato. Sono meschino, vero?”
È bella la vostra musica? Jesse dice che è esplosiva. Mi piacerebbe sentirla.
A una domanda seguiva un'altra domanda e troppe poche risposte. Più passavano i minuti, più Jimmy era costretto a fare i conti con una realtà che era l'opposto della propria. Si chiese, mentre osservava Cecilia scrivere rapidamente sul proprio taccuino, perché mai il mondo dovesse essere così ingiusto con alcuni esseri umani.
Perché mi fissi a quel modo?
“Eh? Ah, ti stavo fissando? No mi chiedevo... ti va di uscire a bere qualcosa insieme?”
Lo guardò sorpresa, abbozzando un sorriso imbarazzato.
Non esco mai con i ragazzi. Non credo sia il caso, Jimmy. Sai, in genere tutti si illudono di poter fare un'opera caritatevole uscendo con me e io non voglio la pietà di nessuno.
“E se chiedessi il permesso di Jesse?”
Non te lo concederà mai.
“Voglio solo conoscerti. Ho la ragazza. Questo dovrebbe renderti più tranquilla.”
Sai che un'amante muta è il sogno di ogni uomo? Niente scenate, niente pretese, niente problemi  di colpi di testa che mandano al macello un rapporto collaudato.
“Non sono quel genere di persona” e Jimmy si trovò a sorridere di quel sarcasmo che tradiva una paura che non permetteva a Cecilia di vivere come tutti gli altri. Se ci fosse stato lui, al suo posto, come si sarebbe comportato? Senza musica, senza nulla di quello che possedeva e solo la voglia di spaccare il mondo, con la frustrazione a scorrergli nel sangue come fiele?
“Ci vedremo ogni giorno sino a quando non accetterai di uscire con me. Potrai così dire di conoscermi.”
Non sei di Los  Angeles, vero?
“Huntington Beach. Ma davvero non sai niente di noi?” le aveva chiesto un po' deluso.
No, non leggo riviste di musica. Sarebbero soldi sprecati.
“Lo sai che mi fai sentire parecchio stupido?”
Dopo un po' è una sensazione che passa, Jimmy. Tranquillo.
Cosa fai nella vita?”
Sto cercando di laurearmi in psicologia.
“Figo! Quando avrò bisogno di una consulenza saprò a chi rivolgermi allora. Dovrei mandarti Zacky, in realtà. Be', a essere sinceri siamo tutti un po' sui generis come individui...” borbottò tra sé facendosi pensieroso.
Casi umani?
“Più o meno.”
Parlare a quel modo non gli pareva poi così strano, non più di tante altre cose che si era concesso nella sua esistenza. Gli sembrava di essere tornato tra i banchi di scuola, quando si passava con Matt i bigliettini per sapere quando si sarebbero incontrati per le prove, o anche solo per commentare il culo pazzesco di Stacy.
Jesse corse loro incontro, il fiato corto e l'andatura dinoccolata dettata da quel suo essere tutto pelle e ossa, proprio come sua sorella.
“Ma voi due mangiate?”
“Si, ma siamo di costituzione leggera. Cecilia dice che sono un scricciolo. Odio quando mi fa sentire una femmina. Ti sta simpatica mia sorella?”
Cecilia, quando arrivava Jesse, si concedeva una tregua e tornava alla sua lettura, lasciando a suo fratello l'esclusiva sul suo idolo.
“Si, direi di si.”
“Non farci caso se ti sembra ombrosa, è che sta sempre sulla difensiva. Non è facile vivere come lei secondo me.”
“Ehi, quanti anni hai detto di avere ragazzino?” gli chiese Jimmy, divertito dalla pomposità che contenevano le sue frasi.
“Undici e sette mesi. In ogni caso, se volessi uscire con lei avresti la mia benedizione.”
Jesse era ancora un moccioso ma dall'occhio dannatamente clinico. Vivere in simbiosi con una persona che non parla ti obbliga a mettere in gioco gli altri sensi per comprendere gli altri, dunque ti basta solo un'occhiata per leggere – tra le righe del mutismo di tua sorella – l'imbarazzo di una scelta o di una proposta. Cecilia, poi, era un disastro. Non gli aveva – ovviamente – mai parlato di ragazzi che le piacessero, né si ricordava che sua sorella si fosse mai presa il disturbo di farsi carina e uscire per un appuntamento. Cioè, sua sorella per lui era stupenda – ancora di più da quando si era tinta i capelli di quel rosa shocking che le metteva in risalto gli occhi verdissimi -, ma restava indubbio che avesse evitato come la peste qualsiasi relazione sentimentale da quando ne aveva memoria.
“Ehi sorellina, mi porta a casa Jimmy, ci facciamo un giro tra uomini. Ti accompagniamo?”
Lei sollevò lo sguardo verso il fratello che, con aria da saputello, le aveva sfiorato il braccio per richiamarla, spostandolo poi da Jesse a Jimmy con aria sospetta.
So badare a me stessa. Tu sei sicuro di non essergli di peso?
Per la prima volta Jimmy la vedeva parlare con il linguaggio dei segni. Se avesse dovuto tradurre in suoni quei movimenti si sarebbe aspettato una parlata veloce e forse un po' nervosa, fatta di un ritmo che andava accelerando.
Si arrestò bruscamente stornando lo sguardo sul batterista per poi alzarsi di scatto, come se si fosse irritata.
Ci vediamo a casa. Non fare tardi, o chi la sente mamma?
Sei arrabbiata vero?
No, sono solo stupida, Jesse.
Il bambino la osservò allontanarsi, mordendosi il labbro inferiore.
“Si è arrabbiata” esalò il ragazzino sospirando, appoggiandosi contro lo schienale della panchina, le mani intrecciate sul ventre come un vecchio grasso e le gambe distese dinnanzi a sé.
“È colpa mia?”
“No, è la solita storia che si ripete. Non vuole farsi vedere utilizzare il linguaggio dei gesti, solo che con me le viene normale farlo. Colpa di quella rompipalle di nostra madre che le ha sempre impedito di farlo. Non voleva che il mondo lo sapesse, ecco, che Cecilia non può parlare. Mia sorella vorrebbe sentirsi normale. Lo sai che me lo sono sempre chiesto, come fa a vivere circondata dal silenzio? Io credo che sia una persona molto sola.”
“Sei un ragazzino, non dovresti pensare a cose da adulti.”
“È  mia sorella, mi preoccupo per lei.”
“Forse è più difficile per te, a volte, che per Cecilia. Secondo me tua sorella è una persona forte.”
“Perché la é non significa che non possa sentirsi sola o che non voglia cambiare la sua vita.”
Jimmy osservò Jesse, poi gli posò una mano sulla nuca nel tentativo maldestro di concedergli una carezza rassicurante.
“Guarda che non sono triste. E non sono una femmina. Cecilia dovrebbe essere felice ma non ci riesce proprio.”
Jesse aveva solo undici anni, ma a Jimmy pareva ne avesse molti di più sulle spalle.
“Se le chiedessi un appuntamento?”
“Dovrai riuscire a conquistare la sua fiducia. Si è fatto tardi, meglio che vada. Se ci sei anche domani ci trovi qui!”
 
 
Due settimane e ti accorgi di come il mondo può cambiare a seconda della prospettiva con cui lo guardi. James Owen Sullivan aveva scelto di vivere lontano da Huntigton Beach una cosa che apparteneva a lui soltanto. La famiglia con cui era cresciuto, il manipolo di amici che erano diventati fratelli nel corso degli anni, riuscivano a essere soffocanti. Lavorare a un nuovo album li eccitava, facendo sfoderare a ognuno di loro il lato peggiore del proprio carattere e Jimmy si sentiva in dovere di cambiare aria, allentare la presa e adottare un punto di vista distaccato su ciò che stavano facendo. Brian era maniacale e puntiglioso sino all'eccesso; Zacky, di rimando, si scazzava dell'ossessività di Gates nel portare tutto all'eccesso. Un po' come quando avevano utilizzato quell'assurdo riff da ballata spagnola in Sidewinder. Matt era un cazzo di marines, sufficientemente stronzo e masochista da dimenticarsi persino di vivere oltre le mura dello studio d'incisione per settimane intere. Solo Johnny era dotato dell’equilibrio necessario per lasciarli parlare tutti a vuoto e fare la propria parte stando zitto e lavorando sodo. Jimmy, all'improvviso, si era sentito in dovere di vivere qualcosa che appartenesse solo a lui: dopo un vita fatta di eccessi e successi condivisi, sentiva l'impulso di possedere qualcosa che potesse considerare un tesoro, una sua proprietà esclusiva. Sulle canzoni non aveva mai avvertito la necessità di una cosa del genere, semmai era sempre stato Matt a precisare che questo o quel testo erano stati scritti da lui, anziché tutti insieme o solo da Sanders in persona.
Perché si sentiva così stupido? Era certo che avesse deciso di seguire Cecilia in compagnia di Jesse per due settimane, sfracellandosi le palle con la logorrea di quel ragazzino, solo perché lei era lontana anni luce dagli Avenged Sevenfold, da Huntigton Beach e da tutto ciò che ci si poteva aspettare da James Owen Sullivan. Nessuno, quando aveva iniziato a uscire con Leana,aveva scommesso su di loro un solo centesimo: troppo facile, dunque, fotterli con una storia a lungo termine con una pornostar. Da uno come lui, tutti si aspettavano una tipa con un fisico da dieci e lode che ti incantava solo camminando. Cecilia non possedeva nulla del genere: sorrideva di rado, vestiva sempre con i jeans e t-shirt e guardava il mondo con diffidenza. Non lo cavalcava, si nascondeva. Nelle sue condizioni era certo che l'avrebbe fatto anche lui. Seduto all'interno della propria auto, attendeva Cecilia tamburellando le dita sul volante. Jesse fece capolino dalla porta di casa, trascinandosi appresso la sorella tenendola per mano.
Con un sorriso sornione, da folletto benefattore, li salutò con un cenno della mano mentre Jimmy metteva in modo abbozzando un saluto verso la ragazza.
“Ho prenotato la cena in un pub verso la East Avenue... cucina messicana, mi hai detto che ti piace, vero?”
Alzò lo sguardo verso di lui, sorpresa, poi sorrise scrivendo qualcosa sul proprio taccuino.
Si, come hai fatto a ricordarlo?
“Io ricordo sempre ogni cosa importante. Anche ogni stronzata. Per questo finisce che Zacky si scazza quando gli ricordo tutto quello che dice.”
Questo Zacky non credo mi piacerebbe. La mostra fotografica è aperta sino a mezzanotte, se vuoi andarci dovremmo riuscire a farci un salto.
“Sono esposte solo le tue foto?”
Anche di altri ragazzi del laboratorio di fotografia. Ci sono alcuni lavori molto interessanti.
“Siete in tanti?”
Una decina, più o meno. Tutti con gli stessi problemi. Sai, ti trovi sempre meglio con i tuoi simili: ti illudi che possano capirti meglio e non ferirti mai. Jesse sostiene sia una scelta troppo facile e una forma di auto-emarginazione. Sei la prima persona normale con cui esco, lo sai?
Jimmy si era sentito addosso una quantità di aspettative pericolose, come se fosse lui a decretare la schifezza del mondo agli occhi di Cecilia.
Puoi partire, continuiamo dopo.
Come se avesse avvertito il suo disagio, la ragazza aveva interrotto quella conversazione, lasciando Jimmy in balia dei propri pensieri e della difficoltà in cui si era infilato. Perché aveva invitato quella ragazza a uscire insieme, dopo due settimane di pomeriggi passati seduti sulla medesima panchina a raccontarsi di vite parallele che correvano su due binari che mai avrebbero potuto intrecciarsi? Jesse aveva portato all'esasperazione sua sorella per convincerla a passare una serata insieme al batterista che si era chiesto se le parti non fossero invertite e non fosse lui, quello ad aver mosso a compassione Cecilia.
“Posso chiamarti Cherry? Mi sembra più adatto a te.”
Perché? gli chiese mentre attendevano che il cameriere prendesse le loro ordinazioni.
“Il colore dei capelli, e poi ci sta con il tuo nome. Tutti ti chiamano solo Cecilia?”
Le persone danno vezzeggiativi ai loro migliori amici, non a tutti quelli che incontrano.
“Sono abituato a rendere uniche le persone che ho intorno. Sai che Syn l’ho chiamato così dopo che, da ubriachi, ci siamo schiantati contro il cancello di un cimitero con l’auto? Synyster Gates faceva poi abbastanza figo per un chitarrista.”
Sbruffone.
Jimmy sollevò lo sguardo dal taccuino sul volto di lei, l'espressione divertita. Per la prima volta al batterista pareva che Cherry stesse vivendo davvero.
Scherzavo. Mi piaci perché sei spontaneo. Non mi fai sentire un fenomeno da circo. Grazie.
Jimmy ebbe l'accortezza di ordinare per entrambi, evitandole la difficoltà che avrebbe incontrato nel farlo. Gli si stava aprendo un mondo in cui le cose ordinarie potevano essere difficili o, quanto meno, non così ricche di automatismi come lo erano sempre state. Cherry era quella cosa che, nella vita, ti fa aprire gli occhi su ciò che è davvero importante e cosa superfluo, facendoti riflettere su quanto futile e labile sia il concetto di “normalità”, troppo abusato nel parlato comune.
 
 
Un appuntamento finisce sempre con un bacio e la richiesta di vedersi il giorno successivo. James aveva sfatato quel mito guidando sino a Malibù, mostrando a Cherry l'alba sull'oceano e riportarla a casa in tempo per vedere sua madre uscire per andare al lavoro e rimproverarla per il comportamento che aveva tenuto. Cecilia fece spallucce, poi salutò il suo cavaliere con un cenno della mano per ricomparire pochi istanti più tardi con Jesse al fianco.
“Ehi, avete bisogno di un passaggio?”
Jesse lanciò un'occhiata alla sorella, poi si avvicinò a Jimmy  con aria sospettosa.
“Ehi, l'hai riportata a casa ora?”
“Siamo andati a vedere l'alba a Malibù.”
“È così che si conquistano le ragazze?” gli chiese il ragazzino, scettico, riprendendo il discorso senza dare possibilità al batterista di ribattere.
“Guarda che mia sorella non è una delle groupie che vi seguono. E prima che tu possa dirmi qualcosa, so benissimo cos'è una groupie.”
Cherry mosse la mano rapidamente, posandola sulla nuca del fratello facendovi una leggera pressione verso il basso per attirarne l'attenzione e, al contempo, zittirlo.
“Okay, ho capito. Andiamo a piedi. Ci si vede oggi, Jimmy!”
 
 
Jimmy festeggiò con i ragazzi, in un locale di Los Angeles, poi li aveva lasciati in balia dell'alcol e della musica ed era andato a recuperare Cherry. Brian non era un idiota, sapeva benissimo che il suo migliore amico aveva in mente qualcosa che non voleva condividere con nessuno di loro e questo gli procurava un certo fastidio. Chiusi nel bagno del locale, l'uno accanto all'altro intenti a svuotare la vescica con una sana pisciata in compagnia, Brian si decise a vuotare il sacco.
“Che ti prende? Non te ne andresti mai a quest'ora, per i fatti tuoi. Halloween è la tua festa preferita.”
“Chi non ama Halloween, Brian?”
“Okay, allora ti rigiro la domanda: dove vai?”
“A trovare una persona.”
“Ed è così speciale da farti lasciare qui anche Leana?”
“Lontana anni luce da tutto quello che potresti pensare.”
“È  una donna? Okay, se hai un'amante è comprensibile, qualche scopata qua e là ce la siamo fatta tutti.”
“Solo qualche?” gli chiese divertito il batterista con un sorriso malizioso stampato sul viso.
“Fanculo alla tua memoria – gli rispose Gates, tirando la zip dei pantaloni e sistemandosi in una postura eretta – merita tutto questo sbattimento?”
“Chi ti dice sia una donna? E chi ti dice, poi, che mi costi fatica?”
“Sei soggetto ai fuochi di paglia. Le ami per due ore e poi le dimentichi.”
“Ma le ho amate tutte, indistintamente. Tu nemmeno ti ricordi il volto di Michelle, se ti chiedessi di parlarmi di tre dettagli del suo viso.”
“Sei stronzo.”
“Ti sta sulle palle che non ti parli di questa cosa.”
“Non hai mai fatto mistero di nulla. Cos'è, hai deciso di tradirci?”
“È  questo il problema. Se non parliamo di tutto, sembra debba cadere il mondo. È  una persona speciale. Unica.”
“Lo dicevi anche di Leana.”
“Anche lei lo è.”
“L'hai sempre detto anche tu: non puoi amare due persone contemporaneamente.”
“Chi ti dice che le ami entrambi?”
“Allora è solo una scopata” minimizzò il chitarrista mentre Jimmy si staccava dal proprio urinatoio senza rispondergli. Aveva già parlato anche troppo di Cherry: desiderava che fosse sua soltanto, un sogno che dura una notte e di cui dimentichi ogni dettaglio il mattino successivo ma che sai averti regalato una felicità infinita durante il sonno.
 
 
Finirono in una stanza d'hotel la notte di Halloween. Ci finirono lucidi, con qualche birra in corpo e la voglia di stare insieme. Cherry era un mondo da esplorare, Jimmy un uomo che sapeva troppo della vita. Nella guida di labbra voraci e desiderose che si facevano strada sulla pelle nuda, nelle dita che si intrecciavano e poi scivolavano tra le cosce, negli sguardi che si incrociavano inchiodandosi l'uno all'altro, Cherry avvertiva l'emozione primordiale di una donna che si sente desiderata.
“Mi piaci.”
Un altro, chiunque altro, le avrebbe sussurrato un falso “ti amo” in quel momento, mentre le dita sfioravano la fronte e le labbra si schiudevano in un muto grido di piacere. Della ragazzina che credeva di aver conosciuto, Jimmy vedeva solo lo sguardo da gatta: al suo posto c'era una donna che sapeva amare, mostrandoglielo senza timore.
Si era chiesto se Cherry fosse ancora vergine, se c'erano cose di cui dover parlare, ma quando l'aveva baciata la prima volta si era reso conto – nel suo corpo che premeva contro quello di lei – che non c'era paura, solo scetticismo per una situazione da cui, una volta caduti al suo interno, sarebbe stato poi impossibile uscire.
Il respiro corto, distesi l'una tra le braccia dell'altro, sembrava che il mondo dovesse finire quella notte stessa mentre le promesse premevano contro il petto per uscire.
Leana?
“Non lo so. Non voglio che tu diventi la mia amante, o chiamalo come cazzo vuoi. Mi piaci sul serio, Cherry, da morire. Devo solo capire come sistemare tutto il resto della mia vita che non sa della tua esistenza.”
Per ora resto un'amante. Va bene anche così.
Cecilia gli aveva insegnato il linguaggio dei gesti e, a poco a poco, Jimmy era riuscito a imparare qualcosa. Quando si esprimeva a quel modo, con lui, cercava di essere lenta nei movimenti e semplice nell'elaborazione dei pensieri, in modo da potergli dare il tempo di comprenderla. Per Jimmy era qualcosa di più intimo di una scopata: si sentiva semplicemente un uomo, non una cazzo di rock star. Quando hai tutto dalla vita, vorresti solo tornare ad essere un Signor Nessuno, a volte. In quel caso, Jimmy aveva compreso benissimo di aver appena fatto la più enorme cazzata della propria vita.
Sei triste?
“Sono uno stronzo perché ti farò soffrire.”
Come lo sai?
“Lo so e basta. Qualunque cosa faccia, tu piangerai. E io non avrò sfatato nemmeno per un cazzo il concetto secondo cui tu puoi avere una vita normale.”
Ora ce l'ho.
 
 
Quando sei felice non ti preoccupi se puoi fare male agli altri, assapori quel dono come se fosse ambrosia degli dèi. Non mi sono mai preoccupata di Leana, di ciò che le stavamo facendo, di ciò che io rappresentavo. Ero l'amante, la stessa cosa per cui avevo odiato per anni mio padre dopo che ci aveva abbandonato. Io Leana nemmeno la conoscevo, era solo un nome associato a una fotografia da cui sorrideva raggiante e quello bastava a rendere giustizia alla mia felicità: lei non sapeva di me e tutto sarebbe andato avanti a quel modo. Aveva il sorriso da bambina, Leana, e forse la era. Per quel motivo credo che Jimmy si sia innamorato di lei. Jimmy amava le cose fuori dal tempo e dallo spazio, quelle che le persone comuni non degnano di nota. Aveva offerto a una pornostar il ruolo di principessa e a una sordomuta quello di amante. Jimmy adorava sfatare le convenzioni e buttarsi dall'altra parte della vita, restare lì a fissare gli altri seguire regole di cui – prontamente – se ne fregava, instillando il dubbio legittimo di chi aveva ragione. Jimmy ti poneva davanti alla domanda, ma non ti offriva mai la risposta. Quella, dovevi sempre trovarla da solo.
 
 
Cherry era diventata la certezza di avere una via di fuga verso un mondo migliore. A volte si accorgeva che aveva bevuto troppo, allora si limitava a stare con lui sino a quando non si addormentava, altre si arrabbiava e gli diceva che stava sbagliando tutto. Persino in quei frangenti i gesti decisi erano più efficaci delle grida isteriche di qualsiasi altra donna. Jimmy aveva iniziato ad amare il silenzio e la bellezza di un gesto curato, dettato dal cuore. Si trovava spesso a osservare la banalità con cui gesti importanti e ricchi di significato venivano compiuti dalle persone che gli stavano attorno, come se le parole dovessero sopperire alla mancanza di una padronanza del proprio corpo perduta attraverso i secoli. Il potere salvifico di un abbraccio sincero si perdeva nella quotidianità con cui due conoscenti si ritrovavano al supermercato; un sorriso sincero diventava semplice routine tra gli addetti alla cassa dei supermarket. Era così che funzionava la vita lontano da Cherry. A Jimmy sembrava che la sua vita si fosse svuotata all'improvviso della propria importanza, soffocando ogni silenzio con una battuta, una parola, una risata, come se tutto il mondo ne avesse una paura fottuta. Nel silenzio sei costretto a fermarti a pensare e dosare le parole: ti poni contro te stesso e sei costretto a rendere conto di ogni tua singola azione alla tua ragione.
“Credo che lascerò Leana.”
Cherry, seduta accanto a Jimmy, diretti verso l'ennesimo motel in direzione Santa Monica, sollevò  lo sguardo verso di lui, iniziando a gesticolare freneticamente con le mani a mezz'aria davanti a sé.
“No, ascoltami un attimo. Ti conosco da tre mesi e so quanto vali. Perderti sarebbe un casino e lo so che non me lo stai chiedendo ma non è giusto nei vostri confronti continuare a questo modo. Si ama una sola persona per volta e io credo di amare te.”
Lei si limitò a osservarlo imbarazzata, abbassando lo sguardo sulle proprie mani formando poi con le punte delle dita che si sfioravano, un cuore a mezz’aria.
Semplice, preciso, andava dritto al sodo quel messaggio. Con Cherry non c'erano mai fraintendimenti perché una carezza aveva la valenza di mille parole e decine di scuse che sarebbero risultate solo banali riempitivi.
Il suo regalo di Natale era stata la prima dichiarazione d'amore sincera fatta negli ultimi tre anni.
Il regalo di Natale di Cherry sentirsi felice come mai prima di allora: perché l'amore poteva davvero renderti la più splendente delle stelle e poi buttarti giù, schiantata al suolo dopo il volo pindarico di una cometa nel cielo d'inverno.
Era il ventisei dicembre e tutto, in quella notte, sembrava possibile: perché si amavano e avevano deciso di uscire allo scoperto e mostrarsi al mondo per ciò che erano. Solo innamorati. Non ci sarebbe stata più solo Los Angeles e decine di hotel tutti differenti a ospitarli, ma anche tutta quella parte di quotidianità che si erano sempre preclusi. Da quel giorno sarebbe iniziata una nuova vita ed entrambi guardavano al futuro con l'ottimismo di chi ha trovato uno scopo nella propria esistenza: rendere felice la persona che si ama con tutti sé stessi.
 
 
La mattina del ventotto dicembre trovai Jesse in lacrime seduto davanti alla porta della mia camera da letto. Indicava il computer in salotto e probabilmente piangeva da ore per non svegliarmi. Non aveva trovato le parole per dirmelo, ma non ci sarebbero stati né gesti né grida per rendere meno dolorosa la realtà. Jimmy era morto. Per sempre, la vita si era liberata di lui con un colpo deciso lasciandomi da sola a marcire nel mondo. Ero stata un'ombra nella sua vita e la sarei rimasta in eterno. Senza riflettere ho recuperato poche cose e sono partita alla volta di Huntington Beach, pernottando in un hotel dal quale non sono uscita per giorni. Tutto quello che ho fatto è stato trasformare me stessa, in modo che Cherry esistesse solo per essere amata da Jimmy: se lui non esisteva più, nemmeno Cherry aveva motivo di continuare a vivere. Sono andata dal suo tatuatore chiedendogli di disegnarmi sul lato sinistro del collo una coppia di ciliegie, poi ho lavato via il rosa dai capelli lasciandoli di un biondo sbiadito, tendente al bianco.
Mi guardo allo specchio e sembro uscita da un altro mondo: capelli troppo chiari, occhi di un indefinito colore tra il verde e il giallo, labbra screpolate dal pianto e le dita che si contorcono in preda all'ansia. È  il momento di fare i conti con la realtà in cui ha vissuto Jimmy, quella di cui sarei diventata parte se la vita ce ne avesse dato occasione. Sembra che tutta Huntington Beach stia vivendo un momento di stasi, come se tutto si fosse fermato a ricordare Jimmy, così come ho fatto io per giorni. Mi arresto dinnanzi al cimitero, vedendo scorrere davanti a me una processione fatta di pochi individui, inconfondibili avvolti nel dolore della perdita. Brian spicca su tutti ed è in questo momento che so di non avere il diritto di piangerti. Il mio dolore, se paragonato al loro, quanto può essere sbagliato e piccolo, rispetto a quello di chi ti conosce da sempre? Nessuno presta attenzione a ciò che ha attorno e Brian solleva lo sguardo distrattamente, cercando di non incespicare nei propri piedi e mi lancia un'occhiata veloce, senza prestarmi troppa attenzione. Sembra che non dorma da ore e probabilmente è davvero così: straziato nell’anima, come tutti, incapace di formulare un pensiero coerente come se il cervello fosse andato in cortocircuito e potesse mostrare solo i flashback del passato in cui eri ancora con noi. Se hai parlato di capelli rosa, non saranno loro a rendermi la tua amante davanti a chi ha condiviso la sua vita con te: sono rimasta il tuo segreto sino alla fine e voglio che sia così per sempre.
Mi chiedo se Jimmy avesse una risposta per me, ora, perché a tutto questo dolore non trovo soluzione né attenuante. Avevi ragione tu: alla fine sei riuscito a farmi piangere.
 
 
 
 
 
Note dell'autrice.
Scrivere questa storia è stato particolarmente difficile, sia per il tema trattato che per la protagonista che ho desiderato utilizzare. Rendere credibile una situazione di questo genere – e renderla, soprattutto, su carta – è stato particolarmente complesso, ma spero possa esservi piaciuto il risultato finale di questa storia. I dialoghi di Cherry, sono stati presentati sempre in corsivo, al fine di renderli comprensibili al lettore.
   
 
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