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Autore: Akami92    28/12/2011    5 recensioni
«E dove vai di bello?»
Domanda retorica, sapeva benissimo la risposta.
«In giro, con Dennis»
«In giro dove?»
Colin richiuse il libro con gesto seccato e sbuffò, girò appena il viso per incontrare gli occhi di Demelza. «Demelza, è la quarta volta che me lo chiedi questo mese. Non posso dirtelo, punto. Chiusa la discussione. Jack non si fa tutti i tuoi problemi: accetta e basta»
“Jack non è innamorato di te” avrebbe voluto rispondergli.
Genere: Drammatico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Colin Canon
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Tre scatti per Colin e Demelza

 

1.      Scatto di eroismo

 

«Avete visto cos’è successo a Mrs. Norris? Eravate presenti sulla scena?» balbettò Demelza Robins terrorizzata.

«Certo che ho visto! E figurati che incolpano Harry!» esclamò Colin Creevey, come se il mondo intero l’avesse tradito. «Cioè, Harry Potter! Come si può incolpare Harry Potter di aver attaccato un gatto, quando lui è il mago che ha sconfitto Voi-Sapete-Chi! Non farebbe del male a una mosca!»

Ginny Weasley annuì con vigore. «Io l’ho conosciuto, è stato una settimana a casa da noi. È un ragazzo bravissimo!» aggiunse. Parlare di Harry la emozionava sempre, i suoi occhi si erano illuminati e l’espressione sul suo viso lasciava trapelare una felicità tale che chiunque l’avesse vista avrebbe detto che il suo desiderio più grande si fosse realizzato.

Demelza alzò un sopracciglio, sospettosa.  «Mh, se lo dici tu...»

«Ma certo che è un bravo ragazzo!» ruggì Colin, alzandosi in piedi e facendo cadere la sedia.  Buona parte dei ragazzi nella sala comune Gryffindor si voltarono a guardarlo incuriositi.

«Scusate...» borbottò, rimise a posto la sedia e riprese il discorso: «Io credo che dietro questo ci sia una specie di... complotto»

Demelza, Ginny e un altro ragazzo del primo anno, Jack Sloper, trattennero il respiro.

«Ne sei sicuro?» domandò Jack colpito.

«Sentite, sapete cosa mi ha detto Luna Lovegood di Ravenclaw?» Colin vide i compagni scuotere la testa, ma bramosi di sapere. «Beh, ha detto che, qualche giorno fa durante Incantesimi, Rowan, quel Hufflepuff scapestrato, ha chiesto a Flitwick la storia della Camera dei Segreti» e ripeté il racconto che aveva udito da Luna.

Quando terminò, i suoi compagni di classe boccheggiavano.

«M-ma sei sicuro che sia proprio andata così? Cioè, possiamo fidarci di quello che dice Loony?» borbottò Jack, non del tutto convinto dalla storia vista la fonte eccentrica.

«Certo! E si chiama Luna, non Loony!» strepitò Colin arrabbiato. Detestava che qualcuno parlasse male degli altri ragazzi, soprattutto della povera Luna, che non aveva mai fatto nulla di cattivo o deprecabile.

«Scusa, scusa!» Jack portò le mani avanti e sorrise.

«Dobbiamo fare qualcosa!» continuò, ignorandolo. «La Sprout ha detto che un mago da solo non sarebbe mai riuscito a pietrificare a quel modo. È sicuramente opera di una creatura oscura» e nel dirlo sembrava così convinto che i suoi compagni non poterono obbiettare.

Demelza sorrise dolcemente. «E che cosa vorresti fare, Cole? Andare là fuori e catturare la creatura?»

Jack rise e Ginny, sebbene paresse persa nei suoi pensieri, abbozzò un sorriso.

Colin, tuttavia, era rimasto serio e guardò Demelza dritto negli occhi. «Precisamente»

La ragazza spalancò la bocca incredula. «Non puoi! È pericoloso!» tentò di dire, ma vide che l’amico non sembrava per nulla spaventato, anzi, era come se per tutta la vita avesse aspettato quel momento.

«Demelza, non sono stato smistato a Gryffindor perché l’ho chiesto»

Ginny alzò gli scoccò un’occhiata incredula e Colin arrossì. «Okay, va bene, anche perché l’ho chiesto... ma sapete cosa mi ha detto il Cappello Parlante?» tossicchiò per schiarirsi la voce. «Mi aspetto grandi cose da te, Colin. Tu incarni le virtù Gryffindor, e un giorno lo scoprirai. Beh, questo è il giorno!» dallo sguardo, sembrava che non esistesse nulla di più lampante.

Demelza appariva ancora meno sicura di prima, mentre Jack lo osservava come se fosse un porcospino che ballava l’hula-hoop.

Colin capì che non poteva pretendere sostegno da loro e guardò Ginny, l’unica Gryffindor la cui opinione lo avrebbe dissuaso, se possibile.

«Io...» balbettò la ragazza. Vide nei morbidi occhi azzurri del ragazzo una decisione e una passione che le ricordarono tanto Harry. «Secondo me puoi farcela» decretò infine, destando occhiate incredule da parte di Demelza e Jack.

Colin era radioso. Prese la sua macchina fotografica, infilò la bacchetta nella tasca dei jeans e si alzò. Camminò fiero verso l’uscita del ritratto e si voltò per salutare i compagni con una mano.

«Fermo!» gridò Demelza, ma fu trattenuta da Jack. Ginny gli sorrise, lasciò il suo posto e incespicò nel tappeto della sala comune, cadendo e gridando dal dolore.

Per un attimo, Colin pensò si fosse fatta davvero male, ma mentre i Gryffindor rimasti nella sala accorrevano in aiuto di Ginny, la vide fargli l’occhiolino e capì che la ragazza gli aveva fornito un perfetto diversivo.

Decise che quando sarebbe tornato indietro le avrebbe comprato una scatola di Cioccorane come ringraziamento. Fece un ultimo passo silenzioso e in breve fu fuori dal ritratto.

Demelza seguì Colin con gli occhi e scrollò le spalle. «Sono le persone come lui che muoiono giovani» scherzò con Jack, prima di precipitarsi al capezzale di Ginny e aiutarla a fingere un trauma cranico che fosse credibile.

 

Hogwarts di notte era davvero...

«Lugubre...» pensò Colin, svoltando un corridoio e trovandosi davanti al quadro di Beda il Bardo che, di giorno, stava allegramente seduto al suo scrittoio con una piuma in mano, ma di notte sembrava che stesse per accoltellare qualcuno.

Da quando Mrs. Norris era stata aggredita, Filch pattugliava i corridoi con estrema attenzione... e con una mazza in mano, motivo per cui Colin, quando lo sentì piagnucolare nell’ala sud del castello, scelse subito di prendere una strada alternativa.

Scese di due piani e si trovò davanti alla statua di un uomo strano, che indossava i guanti nelle mani sbagliate. Ecco perché non scendeva mai al quinto piano: era strano. Sapeva che lì nei dintorni doveva esserci il bagno dei prefetti (aveva sentito il prefetto Weasley parlare di un incontro segreto con il prefetto di Ravenclaw), ma non vi prestò attenzione e corse lungo tutto il corridoio. Chissà dove poteva nascondersi la creatura...

«Proverò nelle serre, magari si sta nutrendo di qualcosa, o forse vuole uccidere le mandragole perché così non potranno far tornare in vita!» pensò confusamente e si sentì subito molto intelligente.

Non aveva fatto un passo che un clangore metallico lo mise in allarme. Qualcuno aveva sfiorato un’armatura?

«Chi è?» domandò a voce alta, senza voltarsi. Non poteva essere Filch, quando l’aveva incontrato si stava dirigendo nella direzione opposta.

Non udì nessuna risposta. Subito si illuminò: doveva essere la creatura. La paura scomparve, sostituita da un’estrema curiosità. Desiderava voltarsi con tutto se stesso.

Guardò i muri che, grazie alle lanterne, fungevano da schermo per la proiezione della sua ombra. Girò lentamente gli occhi per cercare di scoprire che tipo di creatura fosse quella che aveva attaccato la gatta di Filch, ma non vide nulla.

Un sibilo fendette le sue orecchie e un brivido gli corse lungo la schiena, come se un cubetto di ghiaccio fosse scivolato nella maglietta.

«Lumos» sussurrò alla sua bacchetta, e subito una luce baluginò sulla punta. La gibigianna del suo orologio lo accecò per un secondo e si proiettò sul muro, creando un curioso contrasto con la sua ombra minuta ed esile.

Con lentezza esagerata (la mano gli tremava dall’emozione), caricò la macchina fotografica, portò l’occhio all’obbiettivo e si voltò di scatto.

Udì il clic dell’aggeggio, prima di non udire più nulla.

Vide un paio di occhi gialli, prima di non vedere più nulla.

Chiuse gli occhi, prima di non poter muovere più nessuna parte del corpo

 

Il suo ultimo pensiero andò al Cappello Parlante: possibile che non fosse quello il momento in cui avrebbe dimostrato il suo valore?

 

Riaprì gli occhi. Doveva già essere stato sepolto, pensò, perché vide soltanto il color nocciola davanti a sé.

«Si è svegliato!» sentì gridare da una voce femminile che sapeva di conoscere, anche se non la ricordava così musicale. Per quanto tempo aveva dormito?

«Chiamate Jack!» urlò Ginny. Riconobbe subito la dolce voce dell’amica.

Jack. Perché non era anche lui al suo capezzale?

«Chessuced?» domandò, con eccessiva velocità, poiché percepì il tono troppo impastato. Come se non aprisse la bocca da mesi.

Mise a fuoco l’immagine che aveva davanti: avrebbe dovuto immaginare che ciò che aveva visto al suo risveglio erano gli occhi di Demelza.

Tuttavia, prima che riuscisse a realizzarlo, si sentì stritolare dalle braccia della ragazza e fu investito da un forte aroma di frutta.

«Demelza, mi soffochi! Sul serio!» gridò. Subito Demelza si ritrasse e lo guardò. Era cresciuta, i capelli castani erano più lunghi e la carnagione più abbronzata, il che le dava un fascino mediterraneo non indifferente, nonostante i soli undici anni.

«Come ti senti?» gli domandò, con un largo sorriso sulle labbra.

«Molto meglio»

Quando Jack entrò, chiamato da Andrew Kirke, Colin dovette giustificare la sua pietrificazione al migliore amico, ma solo Ginny notò gli sguardi che di tanto in tanto lanciava a Demelza.

“Strano risveglio, Colin” pensò la ragazza, divertita.

 

2.      Scatto a tradimento

 

Demelza si accoccolò sul divano della sala comune di Gryffindor. Appoggiò la testa sulla spalla di Colin, come soleva fare quando si sentiva particolarmente col morale a terra.

Colin stava avidamente leggendo il manuale di Difesa Contro le Arti Oscure di Jack, cercando di decifrare quelle specie di geroglifici che dovevano essere gli appunti che l’amico aveva scribacchiato a lato della pagina. Aveva un paio di occhiali calati sul naso: da poco aveva scoperto di essere miope e di dover indossare per leggere le lenti, che gli davano un’aria non poco comica.

«Cosa ti opprime?» le domandò Colin, senza distogliere gli occhi dalle formule.

«Mi chiedevo, fai qualcosa domani sera? È da un po’ che non parliamo faccia a faccia come ai vecchi tempi. Sai, da migliore amico a migliore amica»

Demelza aveva da tempo notato che il suo migliore amico era solito scomparire una volta al mese senza dire dove fosse diretto, accompagnato sempre dal fratellino. Era a conoscenza dell’affetto smisurato che Colin provava per Dennis, quindi all’inizio aveva pensato a qualche riunione tra fratelli, ma quando aveva tentato di chiedergli spiegazioni era stata liquidata in poche parole.

«Domani non posso»

Aveva fatto centro.

«E dove vai di bello?»

Domanda retorica, sapeva benissimo la risposta.

«In giro, con Dennis»

«In giro dove?»

Colin richiuse il libro con gesto seccato e sbuffò, girò appena il viso per incontrare gli occhi di Demelza. «Demelza, è la quarta volta che me lo chiedi questo mese. Non posso dirtelo, punto. Chiusa la discussione. Jack non si fa tutti i tuoi problemi: accetta e basta»

“Jack non è innamorato di te” avrebbe voluto rispondergli.

«Mi riesce difficile» disse semplicemente.

Colin guardò il fuoco. Le fiamme lambivano nell’iride azzurra del ragazzo. Già era difficile nascondere le sue fughe serali ai compagni di dormitorio, se poi ci si metteva anche Demelza, l’impresa diventava ancora più difficile. Colin era un pessimo bugiardo, soprattutto con le persone a cui teneva di più.

Come poteva spiegare alla coraggiosissima e avventatissima Demelza Robins dell’Esercito di Dumbledore?

Optò per un silenzio enigmatico. Gliel’avrebbe spiegato, a suo tempo. Per il momento era meglio che Demelza si tenesse fuori dai guai.

Demelza sospirò.

Colin sembrò accorgersene, infatti si voltò nuovamente per guardarla. «E adesso che hai?»

Lei ridacchiò civettuola, mascherando la malinconia. «Niente, ti guardavo»

Il ragazzo sorrise divertito. «Andrew potrebbe ingelosirsi. È da anni che ti muore dietro»

Demelza si rabbuiò. «Andrew potrebbe anche smetterla, dopo anni che gli dico che non mi piace» sbottò. Possibile che non capisse?

Colin scosse la testa, come rispondendo alla sua muta domanda. «Perché non gli dai almeno una possibilità?»

Demelza sbuffò, portandosi una mano alla fronte e sentendosi il calore del fuoco pizzicare la mano. «Ne abbiamo già parlato, Cole»

«E dai, cosa ti costa uscire con lui almeno una volta?»

Era stupido? Quanti ragazzi non sono in grado di comprendere i sentimenti di una ragazza che poggia la testa sulla loro spalla proprio nel momento in cui sono soli, comodamente seduti di fronte a un romantico caminetto?

«Perché non sono innamorata di lui, lo vuoi capire? In che lingua te lo devo dire?» quasi urlò dalla rabbia, alzandosi dalla sua spalla e scendendo dal divano, sedendosi per terra e fissando con insistenza il fuoco, sperando che Colin non la vedesse piangere.

«E adesso cos’hai?» si preoccupò il ragazzo, sporgendosi per cercare di vederla in viso.

«Niente» rispose lei. Non era la sua voce ad essere così rotta, vero?

Colin le prese la mano e si inginocchiò di fronte a lei.

«Non piangere, per favore. È così strano vederti in lacrime... sei...» non trovava le parole adatte. Forse ciò che avrebbe voluto dirle era quanto fosse bella così, semplice come poche ragazze lo erano: gli occhi arrossati e lucidi, le labbra rosse ed invitanti (se le mordeva sempre quando era preoccupata), i ricci capelli castani scarmigliati.

«Sono?» borbottò Demelza, alzando lo sguardo in direzione dell’amico, speranzosa.

«Aspettami qui» fece appena in tempo a dire Colin. Sfrecciò su per le scale del dormitorio maschile e prese dal comodino la sua inseparabile macchina fotografica.

Quando tornò nella sala comune, Demelza era seduta sul divanetto, le ginocchia strette al petto, che cercava di nascondersi dagli sguardi curiosi dei Gryffindor che ancora non erano andati a dormire, vista l’ora.

Si sistemò con premura gli occhiali (avevano quella brutta tendenza a scivolare sempre giù dal naso) e scattò una fotografia a Demelza.

Clic.

Demelza che alzava lo sguardo sorpresa dallo scatto a tradimento.

Clic.

Demelza che si avvicinava a Colin, il pugno ben in mostra.

Clic.

Colin che fermava il pugno di Demelza con una mano.

Clic.

Demelza che toglieva gli occhiali a Colin.

Clic.

Demelza che baciava Colin.

Clic.

La mano di Colin a coprire l’obbiettivo.

 

«Colin, lo sai perché non voglio uscire con Andrew?»

«Perché?»

Era pericolosamente vicina, ma per fortuna aveva fermato il suo pugno.

«Perché a me piace un’altra persona»

Con la mano libera, Demelza gli aveva preso gli occhiali, sfilandoglieli con delicatezza disarmante.

«C-chi?» aveva tentato di dire, illuso.

Le labbra della ragazza si erano avventate sulle sue.

Sebbene avesse gli occhi chiusi, percepì il flash della macchina fotografica.

Eh, no, macchina fotografica impicciona.

 

3.      Lo scatto perfetto

 

Demelza aveva sospirato, seduta al posto che era solita occupare durante i pasti. Accanto a lei, Colin fremeva d’impazienza.

La battaglia per il destino del mondo era cominciata, in un luogo che nessuno, nemmeno nelle più recondite elucubrazioni, avrebbe mai immaginato. Hogwarts era ora palcoscenico di una tragedia di un solo atto: la guerra.

Aveva sempre sognato di combattere, di mostrare il suo coraggio, pari soltanto a quello di Ginny Weasley ma sempre sottovalutato... eppure, in quel momento, non poteva fare altro che aspettare, tremante, che la guerra finisse. Le lacrime che premevano di uscire, le preghiere per i suoi amici che stavano combattendo, la speranza di riuscire a rivederli quando tutto questo fosse finito.

Se mai sarebbe finito.

Colin le prese la mano. Era gelida e lui era pallido come un fantasma.

«Demelza, io...»

Demelza chiuse gli occhi, pronta a subire il colpo che, sentiva, l’avrebbe uccisa.

«Io... devo combattere»

Fu come se, invece che stringere la mano, le dita ghiacciate del giovane si fossero chiuse intorno al suo cuore e avessero cominciato a stringerlo senza pietà.

Il respiro le si fece corto. Si morse il labbro inferiore tanto forte da farlo sanguinare.

«Aspettavo il momento in cui me l’avresti detto» sussurrò, arresa.

Colin l’abbracciò con tenerezza e le baciò la fronte. «Posso farcela. Davvero. Me lo sento, Demelza, questa volta ce la farò! Non accadrà come col Basilisco»

Demelza sapeva che mentiva. Colin sarebbe morto, se si fosse gettato nella battaglia.

«Cosa te lo fa pensare?»

Colin sorrise. «Lo devo fare per proteggere le persone che amo. Mi sentirei un vigliacco se non provassi nemmeno. Come posso dimostrarti che ti amo, se non tento nemmeno di fermare ciò che minaccia la tua vita?»

Eccole, le lacrime che Demelza aveva tentato di ricacciare indietro, di trattenere inutilmente.

«Quando piangi sei di una bellezza accecante, lo sai? Sebbene odi vederti piangere, non posso negare che ogni volta che lo fai mi ricordi quanto sei splendida»

«N-non so se prenderlo per un c-complimento o no...» la voce era rotta dai singhiozzi, ma riuscì ad abbozzare un sorriso, asciugandosi il viso con la divisa.

Colin arrossì appena. «Sai che non sono mai stato bravo coi complimenti»

Era vero. Demelza ricordava gli strani metodi che aveva Colin per dirle che un vestito le donava («Sei bella con quel vestito! Cioè, stai bene anche senza. No, cioè, volevo dire che stai bene anche senza vestiti. No. Stai bene con altri vestiti. E con quel vestito. E... oh, per l’amor del cielo, andiamo»), che era intelligente («È incredibile che tu abbia preso “Eccezionale”! Oddio, no, non volevo dire quello! Volevo dire che è magnifico! Cioè... insomma, complimenti, ecco»), che ancora l’amava dopo due anni insieme («È strano che ti ami ancora dopo tutto questo tempo. No! Non intendevo dirlo in questo modo! Ho rovinato tutto, ecco...»).

Eppure, aveva sempre trovato le parole giuste per farla sentire amata, per farla sentire bella e desiderabile. Una vera principessa.

E come tutte le principesse, era suo dovere lasciare che il suo principe andasse a sconfiggere il drago, riportasse la pace nel regno così da poterla sposare.

Sorrise, divertita dai suoi sogni da bambina.

«Adesso sorridi? Sei strana» sorrise anche lui, ora più nervoso al pensiero di stare per abbandonarla.

«Colin, ti prego, non morire» disse lei, e lo baciò. Non era un bacio passionale, era un bacio delicato, dolce, come se le loro labbra si fossero appena sfiorate.

«Morire? Figurati! Io sono indistruttibile, come Harry Potter!» esclamò, alzandosi in piedi e cominciando a guardarsi intorno. I professori stavano combattendo, le uniche persone a mantenere l’ordine erano Madama Pomfrey e qualche studente che si era offerto di aiutarla.

Uno di essi, Lance Wallace, un Hufflepuff suo coetaneo non particolarmente coraggioso, si stava avvicinando a loro.

«Ragazzi, devo chiedervi di spostarvi... sta arrivando un ferito» aveva lo sguardo indecifrabile. Lui, che era sempre stato spaventato dal sangue e dalle ferite, ora si era messo a disposizione di Madama Pomfrey e nel giro di poche ore aveva già dovuto sopportare più di quanto avesse mai creduto possibile.

«Lance, ho bisogno che mi aiuti a uscire di qui» iniziò Colin, moderando il tono della voce per non farsi udire.

«Non puoi. La professoressa McGonagall è stata chiara»

«Lance, lasciami andare. Voglio aiutare i miei amici. Voglio aiutare Harry e proteggere Demelza e le persone che amo»

Lance lo guardò dritto negli occhi, gli occhi grigi che minacciavano di bagnarsi da un momento all’altro. Nel suo sguardo, Colin vi lesse invidia. Invidia per il suo coraggio, invidia per il desiderio che aveva di combattere.

Coraggio e desiderio che lui non avrebbe mai avuto.

«Vai, ti copro io» sospirò, infine. Non poteva immaginare che quella decisione lo avrebbe perseguitato per il resto della sua vita.

Colin scambiò un' ultima, struggente occhiata a Demelza. Poi, fuggì.

 

La sedia sulla quale era seduta era tremendamente scomoda.

Davanti a lei, la bara bianca di Colin riluceva, colpita dal sole mattutino. Il funerale si sarebbe tenuto all’aperto, sui campi nei quali il piccolo Colin era cresciuto con il fratellino Dennis.

Ed eccolo lì, Dennis. Abbracciava la madre e non piangeva. Era forte, Dennis. Lei non avrebbe mai eguagliato la grandezza dell’animo di quel ragazzo.

No, Demelza non era così coraggiosa come le era sempre piaciuto far credere agli altri. Aveva tremato durante la battaglia di Hogwarts, non si era gettata nella mischia come Colin e non era riuscita nemmeno ad aiutare Madama Pomfrey nel curare i feriti. Aveva pianto e aveva vomitato alla vista delle ferite riportate da Lavanda Brown e Seamus Finnigan, non era stata in grado di guardare i Weasley piangere sul corpo del loro amato Fred e, quando aveva visto Lance trasportare sconvolto il corpo senza vita di Colin, non era riuscita a trattenere un urlo disperato.

Si era gettata su di lui, lo aveva stretto a sé, ma quando si era accorta di essersi sporcato con il suo sangue, aveva gridato ancora più forte, si era strappata i vestiti e si era gettata a terra, piangente, raggomitolata su se stessa.

Quella era la triste storia di una codarda.

Eppure, i genitori di Colin l’avevano ringraziata per aver reso gli anni del figlio ad Hogwarts speciali e Dennis le aveva addirittura domandato il permesso di chiamarla “sorellona”.

Ora, seduta su quella scomoda sedia, proprio accanto a Lance, sentiva di non meritarsi tutto quell’affetto da parte della famiglia del suo ragazzo.

Lance, d’altra parte, era distrutto quanto lei. I signori Creevey lo avevano ringraziato per avergli permesso di combattere, cosa che sapevano lui desiderasse dal profondo del cuore, ma certo Lance non poteva non sentirsi colpevole della morte di Colin.

Al termine del funerale, si avvicinò alla bara, chiusa (non voleva vederlo in viso), e la toccò.

«Addio, Cole» disse.

Quando si voltò, vide che il luogo del funerale era stato assaltato dai giornalisti dei vari quotidiani di rilievo del Mondo Magico. I signori Creevey tentavano di sottrarsi alle domande insolenti dei giornalisti, invano.

Il flash dei fotografi aveva invaso il campo, senza il minimo riguardo.

Uno solo, dei fotografi, sembrava vagare, le mani strette alla macchina fotografica, come alla ricerca di qualcosa.

Quando vide Demelza, si avvicinò, impacciato.

«Ciao, il mio capo mi ha detto di fare una fotografia che catturi l’essenza di Colin Creevey. Vogliamo scrivere un articolo sulla sua vita»

Demelza apprezzò il fatto che volessero parlare della sua vita e non della sua morte, sorrise. «Ho una cosa che può fare il caso tuo»

Frugò nelle tasche e vi trovò, spiegazzata, una fotografia che si portava dietro dal giorno in cui era stata scattata. Ritraeva lei e Colin, sorridenti, felici, innocenti, senza preoccupazioni.

Semplici, come lo erano sempre stati.

«Tenga, può usare questa»

L’uomo guardò l’immagine e rimase sbalordito. «Sembra perfetta»

«Lo è. È lo scatto perfetto»

Decise che avrebbe ricordato così Colin, con lei. Almeno, in quella fotografia, sarebbero stati insieme per sempre.

 

 

Clic.

 

 

 

 

 

 

Niente di particolare, un piccolo spazio che Colin e Demelza si sono ritagliati nel mio personalissimo album di Harry Potter.

 

Akami

 

P.S. Per chi non sapesse chi sono Rowan e Lance: appartengono all’universo Hufflepuffiano della mia storia “L’altra faccia delle Camera dei Segreti”.

   
 
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