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Autore: Vyvyan    28/12/2011    4 recensioni
Christopher ha diciassette anni, una parlantina esasperante, una zia sbadata e chiacchierona e un nuovo costosissimo appartamento nella Wycombe Square, a Londra.
Leighton di anni ne ha ventitré e se c'è qualcosa che non tollera, quella è il rumore. Specialmente se causato da il suo irritante vicino.
«I ragazzini non mi piacciono, ma li tollero. Quello che più mi irrita è il rumore.» Commentò l'uomo con uno sguardo di superiorità che irritò immediatamente Christopher. Gli balenò l'idea di domandare all'uomo chi, esattamente, gli avesse chiesto qualcosa in proposito, ma decise saggiamente di starsene zitto.
«Non c'è problema. Sono abbastanza silenzioso. Pensa che alle interrogazioni tutti mi fanno i complimenti dato che il più delle volte non fiato mai. Peccato che non si possa prendere un voto in proposito.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fall into the Sky

 

Christopher sospirò profondamente e una nuvoletta di vapore condensato uscì dalle sue labbra.
Si trovava di fronte al portone di uno dei tanti palazzi in Wycombe Square e, inutile negarlo, si sentiva euforico come una ragazzina al suo primo appuntamento. Quale fosse il motivo era presto detto: a soli sei piani di distanza da dove aveva i piedi fissati in quel momento, lo aspettava un appartamento completamente ed esclusivamente per sé.
Il ragazzo non indugiò oltre; spinse il pomello in ottone dell'ingresso ed entrò nella palazzina beige che, da quel momento, poteva chiamare casa sua. Nell’androne vide distrattamente il portiere seduto in una stanzetta vetrata, ma i suoi occhi vagavano con più interesse alla ricerca dell’ascensore. Appena lo ebbe visto, costatò felicemente che era libero. Vi si fiondò dentro con poca grazia, molto poca in effetti, e cliccò il pulsante sei ansioso. Passarono alcuni secondi, troppi pensò Christopher, e uno scampanellio meccanico annunciò l'arrivo al tanto atteso sesto piano.
Nel pianerottolo rettangolare, il cui pavimento era rivestito da una moquette beige, c'erano due appartamenti. Si avvicinò al campanello di destra esitante e lesse sulla targhetta bianca il cognome "Ellis".
Bene, quindi per esclusione doveva essere l'altro.
Christopher si concesse un secondo per ammirare la porta in legno del suo appartamento. Poi, decidendo di mettere fine a quell'attesa che lui stesso stava prolungando inutilmente, prese le chiavi dalla tracolla che portava in spalla e le fece girare tre volte nella toppa della serratura.
Rimase esterrefatto per un attimo. Le pareti bianche ed essenziali, i divani in pelle nere, il tavolo in vetro e l'enorme televisione a muro. Era tutto esattamente come sperava che fosse. Corse verso la sua camera, salendo una piccola rampa di scale e ritrovandosi in un corridoio stretto e lungo, e non appena vi arrivò, gli venne quasi da piangere per la felicità. Era anche meglio, si ritrovò a pensare il ragazzo, poggiando la schiena sullo stipite della porta aperta per avere una visione più generale.
Un enorme letto matrimoniale con coperte blu notte e tanti cuscini sparsi sopra era al centro della stanza e sulla scrivania in legno chiaro si trovava un computer con il modem. Due finestre a lucernario davano sull'interno del complesso residenziale e formavano con il muro una piccola nicchia su cui, eventualmente, ci si poteva appoggiare.
Con una certa felicità sprofondò sul morbido materasso e socchiuse gli occhi, beandosi di quella sensazione di sofficità.
Ancora non poteva crederci, che quell'appartamento fosse suo. Doveva ringraziare sua zia Cheryl per tutto quello che aveva davanti agli occhi. Era stata lei, infatti, a trovare a Christopher una casa così bella.
Cheryl era un'agente immobiliare e aveva un fiuto per gli affari simile a quello di un mastino per la sua preda. Anche lei viveva in Wycombe Square, esattamente nel palazzo dirimpetto a quello di suo nipote. La donna aveva detto che era stato un caso quello di avergli scovato un'abitazione proprio di fronte alla sua, e Christopher aveva fatto finta di crederci. Solo finta, però. Lui, infatti, rimaneva dell'idea che sua zia l'avesse fatto di proposito per controllarlo; magari saltando nel suo appartamento alle ore più disparate per vedere cosa stesse combinando di bello. O di brutto, nel caso avesse fatto qualche casino.
In fondo, Cheryl non aveva tutti i torti a voler sorvegliare suo nipote. Christopher era un diciassettenne e viveva da solo senza nessuna protezione. E si sa, nell'età dei grandi cambiamenti se ne fanno di disastri, specialmente con una casa libera a disposizione.
Il ragazzo digitò sulla tastiera del cellulare il numero di sua zia -lo sapeva a memoria, date le innumerevoli volte che l'aveva chiamata per sapere come procedevano i lavori di casa sua- e attese pazientemente che la voce allegra di Cheryl facesse capolino dall'altra parte del telefono.
«Fammi indovinare, è il mio nipotino estasiato dalla sua nuova casa che vuole ringraziarmi?»
Christopher rise e con un cenno del capo che la donna non poteva vedere, mimò un sì.
«Grazie mille, miliardi, zia! Voglio dire, i mobili, i colori! Sono proprio come li volevo! Ti ho già detto che ti adoro?» Domandò contento, sperando di aver dato a Cheryl una risposta di senso compiuto. Nella sua testa vorticavano, infatti, centinaia di grazie e di "è perfetta" che si univano l'uno all'altro in una frase senza fine. La donna scoppiò a ridere, con quel suo modo un po' buffo per cui Christopher la prendeva sempre in giro.
«Quindi devo dedurre che ti sia piaciuta! Sono proprio soddisfatta, anche se detto fra noi non avevo dubbi. Tua zia ha un occhio particolare per l'arredamento.»
«Sì, va bene. Adesso tiratela pure quanto vuoi, per oggi te lo meriti.»
Per dieci minuti buoni la donna non fece altro che raccontare di come, appena vista la casa, avesse pensato a suo nipote o di quando aveva trovato quel tavolino in vetro che gli era parso perfetto con l'arredamento che aveva in mente. Christopher la stette ad ascoltare interessato e fu felice di sapere che gli oggetti che vedeva avessero tutti una storia un po' bizzarra.
C'era il letto dove adesso sedeva che era stato messo in commercio da poco e per cui sua zia aveva letteralmente combattuto: restava infatti un solo esemplare di quel modello e, sebbene la ditta ne stesse già producendo altri, prima che fossero diventati nuovamente disponibili sarebbe passato come minimo un mese. Cheryl si era affrettata per comprarlo immediatamente, ma anche un'altra signora voleva fare altrettanto. Così, dopo una lunga discussione, ne era uscita vittoriosa e con il letto come trofeo.
Christopher rise di cuore a quel racconto, arricchito da dettagli esilaranti e riportato con voce grave, quasi sua zia stesse parlando di un poema epico e di una grande lotta.
Poi c'era anche la mensola bianca in cucina, sopra il lavabo, che meritava di essere annoverata tra le storie improbabili.
Si dà il caso che proprio il tipo che Cheryl stava disperatamente cercando fosse prodotto nella sola Germania e che entro i confini della Gran Bretagna non si trovasse nulla di simile. Così si era data da fare per l'importazione.
Peccato che non appena il pacco della mensola era arrivato a destinazione, il contenuto fosse del tutto sbagliato. Gli era stato portato un ripiano bianco panna, non bianco lucido! Perciò, la donna si era dovuta arrabbiare parecchio al telefono con un tizio che d’inglese sapeva dire solo Yes e Ok, prima di poter parlare con qualcuno di più competente.
Definiva quel lavoro la sua Odissea personale.
«Ora devo andare Chris,» borbottò Cheryl vagamente irritata. Probabilmente le era venuto in mente un qualche lavoro che doveva fare, ma di cui si era completamente dimenticata, e adesso doveva andare a rimediare. Non sarebbe stato così impossibile, conoscendo la sbadataggine patologica della zia. «e tu, da bravo padrone di casa, vai a salutare il vicino. Mi raccomando, abbi pazienza con lui. E' un tipo un po'...particolare.»
«Se dici così mi fai preoccupare. Non è che è un serial killer con qualche cadavere sotto il letto?»
Nel suo ufficio elegante Cheryl scosse la testa platealmente e lo salutò con un «Chi lo sa. Fai il bravo e martedì sono a pranzo da te.»
Queste ultime parola a Christopher suonarono quasi come una minaccia ed ebbe la riprova che il suo ragionamento fosse giusto: sua zia l'avrebbe controllato costantemente.
 
 
Christopher aveva suonato il campanello di casa Ellis con la grinta tipica di un diciassettenne sempre positivo. Al primo trillo, però, non aveva ricevuto risposta e così aveva pigiato il piccolo tasto un'altro paio - o forse qualcuna in più - di volte. Stava quasi per rinunciare alla sua visita a sorpresa quando sull'uscio della porta fece la sua comparsa un uomo. E non uno qualunque, ma uno alto, bello e dall'aspetto nettamente irritato.
«Ciao! Io mi chiamo Christopher, sono appena venuto a stare nell'appartamento di fronte al tuo. Piacere di conoscerti.» Christopher concluse la sua piccola presentazione con un sorriso diabetico e sperò di aver fatto una buona impressione sull'altro. Perchè il ragazzo aveva intenzione di abitare a lungo lì e coltivare un sano rapporto di amicizia con il proprio vicino, almeno per lui, non poteva essere considerata cosa di poco conto.
Ricordava innumerevoli occasioni in cui, nella sua vecchia casa, l’adorabile coppietta di anziani della porta accanto gli era stata d’aiuto. Come quando aveva lasciato il gas acceso e loro lo avevano avvertito prontamente evitando così un’esplosione di tutto rispetto; o in quella settimana in cui Christopher si era preso cura del loro gatto perché i due signori erano andati in Irlanda da amici.
Insomma, si erano dati una mano a vicenda e voleva fosse così anche con quell’uomo.
«Ah.» Si limitò a sibilare l'uomo, vagando con gli occhi sulla giovane figura che aveva davanti. Occhi grigi, capelli castani, fisico mingherlino. Un moccioso, decretò fra sé e sé. «Quindi sei tu quello che camminava a passo d'elefante sul pianerottolo venti minuti fa.» Dedusse lui, inarcando un sopracciglio con espressione poco rassicurante.
Christopher a quelle parole rimase interdetto, non sapendo come rispondere: certo, era cosciente del fatto che forse, data la contentezza, avesse un po' esagerato e saltellato più del dovuto, ma allo stesso tempo non gli sembrava di aver fatto tanto rumore. E poi, mica poteva muoversi a passo felpato ogni volta che passava di lì, solo perchè il suo vicino aveva un udito sopraffino.
«Sì, ero io» bofonchiò piccato il ragazzino, portandosi le braccia al petto. «Comunque-»
«I ragazzini non mi piacciono, ma li tollero. Quello che più mi irrita è il rumore.» Commentò l'uomo con uno sguardo di superiorità che irritò immediatamente Christopher. Gli balenò l'idea di domandare all'uomo chi, esattamente, gli avesse chiesto qualcosa in proposito, ma decise saggiamente di starsene zitto.
«Non c'è problema. Sono abbastanza silenzioso. Pensa che alle interrogazioni tutti mi fanno i complimenti dato che il più delle volte non fiato mai. Peccato che non si possa prendere un voto in proposito.» Disse il ragazzo per sdrammatizzare, cercando di scalfire il volto di ghiaccio dell'altro. Fu comunque tutto inutile: né un sorrisetto appena accennato né tantomeno una qualche manifestazione più evidente apparvero sul viso dell’uomo. Aveva fatto un fallimento su tutta la linea.
«Senti bene Christian»
«No» disse il ragazzo scuotendo violentemente la testa «E' Christopher, non Christian. Il Chris c'è e se vuoi puoi chiamarmi anche solo così. Tanto lo fanno tutti. E poi è più semplice.»
«Sei petulante, ragazzino.»
Christopher accusò il colpo imbronciandosi e si morse la lingua per non offendere con epiteti davvero poco lusinghieri quel tizio. «Sì, certo» concesse per l'esasperazione il ragazzino, sospirando profondamente.
L'altro si passò una mano fra i capelli scuri e bagnati, segno che era appena uscito dalla doccia, indeciso se sbattergli la porta in faccia o continuare a guardarlo male, tanto per fargli capire il concetto di "odio il rumore".
«Almeno posso sapere come ti chiami? Sai questa si chiama educazione» sussurrò a bassa voce Christopher con l'espressione più mite che aveva nel suo repertorio. Non che servì a molto: l'uomo lo guardava ancora dall'alto in basso e non accennava a dire una parola. Perfetto, voleva fare il duro? Bene, imprecò Christopher nella sua mente, dando le spalle al suo interlocutore per dirigersi verso la porta di casa sua. La risata cristallina e melodica dell'altro lo fece voltare infastidito.
«Sei proprio un moccioso.» Lo schernì l'uomo con tono irrisorio e le labbra piegate in una smorfia beffarda.
«E tu un vecchiaccio dalla lingua biforcuta.»
L'uomo s'incupì e le labbra di Christopher si stirarono in un sorrisetto trionfante. Il ragazzino lo osservò con la stessa aria di scherno, mista a saccenza, con cui l'altro aveva guardato lui e si sentì come Odisseo vincitore su Polifemo.
«Ho ventitrè anni»
«Te l'ho chiesto?» Replicò il ragazzino, rincarando la dose sulla sua arroganza e prendendo il coltello dalla parte del manico. Le linee del volto dell'uomo si arcuarono in un'espressione tagliente ed i suoi occhi azzurri venati di nocciola si fecero affilati come lame.
«Piccolo. Stronzetto.» Sibilò il simpatico signor Ellis - di cui ancora Christopher non conosceva il nome - non abituato a sentirsi rispondere in quel modo. Specialmente non da qualcuno che raggiungeva il metro e settanta con grandi sforzi e doveva alzare il mento per guardarlo in viso.
«Quando busserai alla mia porta staremo a vedere se sarò ancora un piccolo stronzetto.» Sibilò il ragazzino con sfacciataggine, sbattendo volutamente la porta del suo appartamento, senza voltarsi indietro.



 

Salve a tutti quelli che passeranno di qui.
Questo è il prologo di una storia slash/yaoi dunque se non gradite il genere probabilmente non è la storia più adatta a voi :D
Per tutti gli altri, spero che possa essere una lettura interessante. E' una storia nata da un'idea del tutto casuale di un po' di tempo fa, ma che ho deciso di mettere per iscritto da poco. Scrivo senza troppe pretese e per divertimento, come credo si capisca dalle battute idiote di alcuni personaggi xD
Se vi va -non posso obbligarvi, no? ;)- lasciatemi pure una recensione, sia positiva che negativa ovviamente. Per andare avanti fanno sempre piacere pareri altrui.
Alla prossima,
Vyvyan

 

  
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