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Autore: sheloveshazza    01/01/2012    11 recensioni
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Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I wanna stay here.


-ho detto che non ci vengo mamma.-
-NO, tu ci vieni. quindi signorina, ora, prepara le valigie che domani partiamo.-
Sentii la porta sbattere alle mie spalle. Mia mamma se n’era andata totalmente arrabbiata dalla mia camera. Come al solito avevamo litigato perché non volevo fare ciò che mi diceva, ma come potevo? Erano le 17.00 di pomeriggio e poche ore mi dividevano dal prendere un aereo per Londra per passare le vacanze natalizie con parenti che non vedevo da quando avevo cinque anni, e ora beh, ne avevo sedici. Perché poi le interessava così tanto che ci andassi? Sa come sono fatta, odio i pranzi in famiglia, odio questi falsi ritrovi gioiosi che servono per far riavvicinare parenti che fanno passare tutti i nomi esistenti in questo mondo prima di ricordarsi il tuo, e che si fanno vivi solo ed esclusivamente in queste occasioni. E io non sarei riuscita a far cambiare idea a mia madre. Quando si metteva in testa qualcosa non gliela toglievi, uno dei tanti aspetti che avevo ereditato da lei e che formava il mio carattere difficile.
Tuffandomi a capofitto sul letto iniziai a prepararmi psicologicamente per quello che mi aspettava. In fondo sarebbe stata una settimana, massimo due, ce la potevo fare a superarla, poi sarei ritornata nella mia città e alla mia solita vita in pieno conflitto con i miei genitori. Non credo comunque che sarei mancata a qualcuno durante la mia assenza, non avevo amici da quando avevo compiuto 12 anni a causa del carattere che avevo adottato; non mi aprivo con nessuno, facevo la parte della dura e quando qualcuno cercava di avvicinarsi a me e sapere qualcosa in più sul mio conto troncavo la conversazione con la solita frase ‘non sono affari tuoi’ e me ne andavo; non era nemmeno una frase che ripetevo molto spesso visto che, se potevano, mi stavano tutti alla larga. A me in fondo non mi interessava, bastavo io. Io e la musica. La consideravo come la mia migliore amica. Ogni cosa che facevo lei c’era e questo era sufficiente per me.
Qualcosa ruppe il silenzio. –Haley muoviti con quelle valigie!- la voce di mio padre risuonò nel corridoio dopo aver battuto una mano sulla porta di camera mia.
-LASCIATEMI IN PACE. GIA’ MI STATE COSTRINGENDO A VENIRE, COSA CHE NON VOGLIO.-
-fa quello che vuoi, basta che entro stasera sia pronta e che a Londra ti comporti bene in casa dei tuoi zii, altrimenti niente più corsi di chitarra.-
Non mi sarei mai comportata come la perfetta figlia che tutti si aspettano, non lo ero e non volevo interpretare una me falsa, ma non potevano farmi questo, no! L’unica cosa che mi rendeva felice e che mi faceva guardare tutto sotto aspetti diversi. Suonare quello strumento era una cosa incredibile, era come se ogni volta che toccavo quelle corde riproducendo melodie diverse suonavano ciò che sentivo dentro, il mio stato d’animo. Per me era come una fonte di sfogo. Non potevano togliermela.
Svogliata aprii l’armadio per scegliere che mettere in borsa. Guardai l’ora, erano le 21.30 e non avevo cenato, non avevo fame, così presi il mio iPod e mi immersi completamente nel mio mondo finchè le mie palpebre diventavo poco a poco sempre più pesanti e caddi in un sonno profondo ancora vestita e con le cuffie nelle orecchie.
 
La mattina dopo mi svegliai di colpo a causa dell’acuto di Adele in ‘someone like you’, avevo ascoltato la musica per tutta notte. L’orologio segnava le 8.30 di mattina, l’aereo sarebbe partito tra 2 ore, avevo ancora tempo.
Con passo da bradipo mi diressi verso il bagno, mi lavai faccia e mani e poi andai in cucina per fare colazione. Al tavolo c’era mia mamma pronta, truccata e vestita (strano che non si fosse preparata cinquant’anni prima).
-Sei già pronta pure tu?- mi chiese con quella sua voce da madre gentile.
-Si, oggi volevo sfoggiare una nuova moda con questo trucco da panda.- risposi acida prendendo una tazza dalla credenza.
-Allora perché sei già vestita?-
-Pronto? Forse mi sono addormentata così dimenticandomi di mettermi il pigiama?- questa conversazione mi stava dando sui nervi, non era per niente giornata.
-Stiamo calmine eh. Tuo padre si sta preparando. Fa velocemente colazione e poi vatti a vestire che tra una mezzoretta partiamo per l’aeroporto.-
Non risposi. Mi sedetti di fronte a lei, accesi la tv, c’erano solo cartoni, mi accontentavo, e inizia a bere il mio latte.
 
Esattamente 45 minuti più tardi stavo guardando la pioggia che batteva sul finestrino posteriore della macchina di mio padre e che riproduceva un tintinnio rilassante che ti faceva svanire ogni pensiero presente nella mente.
Ai sedili anteriori erano seduti i miei genitori che discutevano su ciò che avremmo potuto visitare a Londra durante la ‘vacanza’, menzionando anche me certe volte e chiedendo la mia opinione anche se, secondo il mio parere, non l’avrebbero presa minimamente in considerazione. Ogni cosa che facevamo era dovuta a una loro decisione, io ero invisibile. Credo che fosse anche per il fatto che non partecipavo molto volentieri a queste cose quindi tanto valeva sapere mie opinioni o no. Praticamente era meglio lasciarmi sola a fare ciò che volevo dopo quel che mi era successo pochi anni prima.
-Su andiamo, dobbiamo prendere un aereo.- mio padre aprì la portiera su cui ero appoggiata, facendomi quasi sbattere direttamente la faccia sul pavimento roccioso del parcheggio. Scesi di malavoglia e presi le mie valigie dal bagagliaio mentre le gocce d’acqua bagnavano i miei capelli che oggi avevano deciso di prendere una piega indefinita.
Quando ebbi finito ci affrettammo ad andare a fare il check-in e come se non fosse già abbastanza tutto quello che stava succedendo un simpaticone mi venne addosso correndo e facendomi cadere, senza nemmeno chiedermi scusa ne aiutarmi ad alzarmi. Già ne avevo abbastanza, volevo tornare indietro ma non potevo, che bellezza.
Salita su quel mezzo tanto atteso da quei vecchi da me chiamati mamma e papà da quando avevo iniziato a parlare mi misi le cuffie nelle orecchie e ‘sparii’ fino a quando vidi che il cielo stava diventando di un grigio sempre più fitto, il che mi fece capire che eravamo arrivati.
 
Dopo circa una ventina di minuti stavamo percorrendo le vie di quella capitale britannica in un taxi, non rendeva assolutamente vista da quella prospettiva. Eravamo diretti verso Oxford Street, nemmeno mi ricordavo com’era quel quartiere, chissà quando ci ero stata lì l’ultima volta.
Iniziai ad immaginare il nostro arrivo in quella casa, tutti si sarebbero catapultati su di me per dirmi come ero cresciuta e blablabla solite storie pallose di quando sei una teenager e ti rivedono dopo anni. Non mancava molto a quel momento, lo dedotti dal fatto che la macchina iniziò a rallentare e si fermò di fronte a una fila di villette, quella che ci interessava era quella del numero 13 di un colore rosa pallido e che si affacciava su un giardino provvisto di una piscina interrata abbastanza grande da poterci stare almeno 4/5 persone.
Suonammo il campanello e dopo un’attesa di qualche minuto un ragazzo venne ad aprire dopo aver sentito delle voci di sottofondo, la tortura ebbe inizio.

sera gente :3 innanzitutto buon 2012 wuhu.
pooi veniamo a noi, ho appena finito di scrivere questo primo capitolo di una ff (l’ho fatto per nena, nena ringraziami) che mi convince *si emoziona* è la prima oh. ‘-‘ vabbè ma questo non importa, deve piacere a voi quindi commentate questa volta visto che con la os nessuno lo faceva. ahahah DD:
non ho altro da dire, sono una ragazza di poche parole si, quindi lascio a voi i commenti, cià belli. C:
- Ila.

  
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