La luna è alta nella notte, una delle notti ancora fredde nella primavera di Nihon. La luna è alta e sembra una lama che abbia sparso intorno sangue argenteo di stelle.
Nessuno di loro riesce a dormire.
Kurogane tiene la sua mano di ferro appoggiata alle ginocchia e ogni tanto ne prova la presa. E’ serio, più di quanto sia mai stato. Lo sa che in quella battaglia non si giocherà solo la sua vita, ma anche quella di coloro che ama. Lo sa, ma questa volta forse non è pronto ad andare. Non così.
Ha ancora sulla pelle il profumo di Fay, sente il solletico dei suoi capelli, l’umidità delle sue lacrime, il suo abbandono.
La luna lo bagna come acqua fredda portandogli via tutto il calore.
 
Anche Fay guarda la luna, guarda le stelle che si portano via i suoi desideri smarriti. Guarda Shaoran che aspetta al freddo e pensa alla sua principessa perduta. Là, sul tetto del castello di Shirasagi, dove le tegole gelide si bevono il calore dei suoi piedi nudi ma a lui non importa.
Fay si preoccupa di quel ragazzino e del suo fragile amore. Vorrebbe salvarlo perché si conservasse innocente. Lui non lo è più da così tanto tempo. Ma ora…
 
Kurogane ha bisogno di una spada. Ha bisogno di Ginryu, del suo drago d’argento da cui suo padre non si separò fino alla fine. Ha bisogno di Ginryu che è sepolta insieme a sua madre e forse è disposto anche ad attirarsi la maledizione del peggiore dei sacrilegi pur di salvare quelli che ama.
Ma Tomoyo scivola dentro senza più rumore di una piuma nel vento. Tomoyo dalla voce dolce che ricorda il passato, Tomoyo dagli occhi lucenti come la luna. E’ lei a dargli la sua spada, la spada della profezia, la sua Ginryu dalla lama tagliente come quella luce. In quella lama il ninja si specchia e sa cosa deve fare. In quella lama i suoi occhi rossi sono diventati d’argento, la sua voce torna a pronunciare l’antico giuramento, giura sul suo vero nome.
 
Tornerò.
 
Lo sanno tutti e due che potrebbe essere una promessa vana. Kurogane ricorda con dolore le benedizioni di sua madre, il sorriso di suo padre. Lui non riesce a sorridere. Non ci riesce per la sua piccola principessa bambina e china la testa, la sua orgogliosa testa di ninja, in un gesto di sottomissione.
La mano di lei, così piccola e solenne,  si alza verso il muso del drago scolpito nell’elsa.
 
Torna vincitore. Yoo.
 
Quando l’alba compare da dietro i ciliegi che sfioriscono è l’ora di partire. Non si guardano negli occhi. Infagottati nei loro abiti pesanti, solo Fay lo sfiora per caso, come se avesse sbagliato a calcolare la distanza fra loro. Ma ormai Kurogane lo sa che l’idiota non fa mai niente per caso. Avrebbe una montagna di cose da dirgli, che lui li proteggerà, che torneranno insieme, che non sopporta l’idea che potrebbe perderlo proprio ora… no, questo non glielo direbbe mai. Così si limita a stringere la sua mano metallica sull’elsa di Ginryu  e a guardarsi attorno per vedere se tutti sono pronti. L’idiota non lo guarda, però ha la faccia di chi ha capito tutto, come al solito. Lo chiama idiota solo per abitudine, ma sa che è capace di leggere in lui ogni suo pensiero.
 
Allora si decide a guardalo e l’unica cosa che pensa mentre il flusso magico li trascina via (la pensa forte, perché vuole che anche lui la senta) è che ha fatto un giuramento sul suo vero nome e solo la morte gli impedirà di mantenerlo. E lui la morte la conosce bene, ci ha giocato tante volte.
 
Torneremo.