Fanfiction partecipante all' OTP Tournament ~ I Edizione, indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »
Questo banner così evocativo e delicato non è opera mia, ma di una grafica del « Collection of starlight », cui vanno i miei sinceri ringraziamenti
Callie_Stephanides © 2012 (02 gennaio 2012)
Disclaimer: Harry Potter, Ron Weasley, Hermione Granger,
Severus Piton, Draco Malfoy e tutti gli altri personaggi appartengono a J.K.
Rowling, al suo editore e ai distributori internazionali che detengono i diritti
sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per
quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di
stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. Nessun copyright si
ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright
dell’autrice (Callie Stephanides -
Fictional Dream).
Non ne è ammessa altrove la citazione totale né parziale, a meno che non sia
stata autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
***
1. Non cogli la neve
A raccontarmi questa storia fu mia madre, nella Yule dei miei
sedici anni.
I vetri appannati trasformavano il paesaggio in un’ipotesi
lattiginosa; la campagna, in un mare spumoso di cirri. Se eri tanto coraggioso
da abbandonare la tiepida consolazione del camino, l’inverno ti stringeva in una
morsa spettrale, stordendoti con l’odore inconfondibile che ha il gelo nei mesi
più rigidi dell’anno: un pot-pourri di legna, cenere, muschio bagnato e neve.
Di fiocchi, tuttavia, il cielo era avaro come non mai.
Mi chiesi se quello non fosse un segno del tempo; la sveglia
crudele che mi consegnava a un futuro di adulta.
Mio era uno stato d’animo uggioso, di quelli che ti pungono a
tradimento durante l’adolescenza, quando la tristezza ti scivola addosso come
una coperta bagnata e tu, che ti senti il centro dell’universo, cerchi ovunque
segni o rispondenze.
Ora lo so: non ce ne sono; non ce n’erano nemmeno quel
giorno, così triste che, a rievocarlo, mi chiedo se non fosse una
fortunata-maledetta età la chiave di tutto.
La Yule dei miei ricordi di bambina era un tripudio di
candidi bioccoli. Era soffice e bianca, come puliti e netti erano i confini
delle emozioni e dei fatti; non c’erano incertezze, né ombre, perché lo sguardo
limpido dell’infanzia le rifiuta. I bambini sono semplici, saggi, illusi: poi
capita che un bel mattino ti svegli e scopri che la vita non è né morbida, né
pulita.
Ti affacci alla finestra e non c’è neve.
Di quel giorno ricordo l’ululato del vento e l’agonia dei
cardini, occhi umidi di lacrime rabbiose e una pietra nel petto: avevo deluso
mio padre e non riuscivo ad accettarlo.
*
Dei miei genitori, Ronald era sempre stato il mio preferito,
perché era dolce, vulnerabile e imperfetto; mia madre, un capolavoro di talento
e di efficienza, costituiva invece uno specchio in cui non sopportavo di
riflettermi.
Forse è vero che cresci solo quando arrivi a immaginare un
genitore nudo; quando lo spogli della sua autorità e lo sfogli come una rosa;
quando ti accorgi che, oltre un ruolo, c’è qualcuno come te.
Qualcuno che potrebbe persino piacerti.
Bambina, in Hermione vedevo una dea.
Sedicenne, una rivale.
Le somigliavo d’aspetto e, a detta di mio padre, ne avevo
ereditata l’intelligenza acuta e brillante. A differenza di mia madre,
perseguitata dallo spettro di una nascita babbana, tuttavia, non consideravo
l’eccellenza un valore assoluto. Primeggiare mi piaceva, ma mi concedevo talora
il lusso d’essere pigra e incostante.
Mio padre sorrideva di queste mie debolezze, perché lo
aiutavano a sentirmi vicina.
– Allora c’è anche qualcosa di Weasley, qui dentro, – diceva,
apostrofandomi con quella sua dolcezza rara, priva di pudori e diaframmi.
Per accontentare mia madre, invece, a volte avevo
l’impressione che anche un Eccezionale non fosse abbastanza.
Era perfetta, lei.
Non sbagliava mai, lei.
Alla mia età, lei…
Proiettavo le mie insicurezze su un feticcio che non
somigliava a Hermione, quanto alla Rose di quei giorni, ma non avevo il
buonsenso di rendermene conto. Dovevo ancora scoprire chi fossi e costruire
barricate che mi salvassero dall’invisibile linea d’ombra della crescita, dunque
inventarmi un fronte e un nemico.
Mia madre, infaticabile agente del Ministero, strega
infallibile, donna di mille talenti, era il bersaglio perfetto; l’indulgenza di
mio padre, l’alibi per mille mancanze.
– Poteva studiare di più. Le avevo detto che l’isopsefia non
era una materia da sottovalutare, – lamentava Hermione, davanti al mio primo
fallimento aritmantico (e no, l’aritmanzia non sarebbe mai stata il mio
mestiere).
Ronald le rifaceva il verso, gesticolandole concitato alle
spalle, ed io ridevo, dimentica dell’umiliazione di un’insufficienza.
La mia memoria era piena di simili quadri; affreschi in cui i
miei genitori erano il bianco-nero della vita, prevedibili e scontati come li
pretendevo per sentirmi speciale.
I genitori sono grigi, invece, né si lasciano cogliere.
Come la neve.
*
Nell’inverno dei miei sedici anni, m’innamorai per la prima
volta; l’avrei fatto con cadenza quasi trimestrale per il successivo lustro, ma
all’epoca pensavo che sarebbe stato per sempre.
Che l’amore dei sedici anni sia unico, d’altra parte, te lo
racconta l’esperienza, perché mai più amerai e soffrirai con altrettanta forza.
Mai più ti sentirai come cera davanti al fuoco.
Ti scioglie, quell’amore; ti modella e ti consuma e ti perde
e ti rimette al mondo.
La mia vita, prima ordinata e piatta, scandita dalle lezioni
e dalle chiacchiere della Sala Comune di Grifondoro, da un giorno all’altro
divenne un’altalena. Ridevo e piangevo ed esultavo e mi disperavo senza alcun
valido motivo. Un cenno o un sorriso mi facevano volare, oppure mi precipitavano
nelle tenebre dell’incertezza.
Mio padre rispondeva alle mie lettere e mi raccontava
aneddoti che – ne sono certa – mia madre non gli avrebbe mai perdonato. Soffiava
via la polvere dal suo primo amore per regalarmi la Hogwarts degli anni Novanta,
con il suo carico di volti, cuori, sogni e speranze che lo spettro di Voldemort
non era stato comunque tanto forte da spazzare via.
Quel luogo antico, che mi annoiava a morte nelle nostalgiche
rievocazioni di amici e familiari, riacquistava ora suoni e odori, perché certe
emozioni non cambiano mai. Nel tempo senza tempo dell’adolescenza, soprattutto,
incontravo mia madre come non l’avrei mai immaginata: goffa, bruttina,
fallibile, insicura. Per quell’Hermione quindicenne, dai capelli arruffati e dai
denti da castoro, sperimentavo l’indulgenza e la simpatia che non avrei mai
riservato all’infallibile burocrate che chiamavo ‘mamma’.
Mio padre non nutriva ambizioni letterarie e di certo non
avresti mai chiamato ‘classici’ le sue missive, ma conosceva il gusto del
racconto e, soprattutto, aveva sviluppato negli anni una discreta autoironia.
– Per capire il valore di una risata, abbiamo dovuto perdere
Fred, – mi disse una volta. – Ora so che aveva ragione lui; che non vale la pena
di prendersi troppo sul serio.
Del Ronald adolescente, dunque, schizzava un ritratto
caustico, sospetto persino troppo severo: un ragazzo superficiale, mediocre e
vanitoso; un tipo senza qualità che, per un colpo di fortuna, un bel mattino si
era svegliato eroe.
Mio padre, invece, era molto di più: era leale, coraggioso,
onesto. Conosceva i propri limiti e li temeva con ragionevole buonsenso, ma per
la salvezza di un amico era pronto ad andare oltre. Quello era il ragazzo di cui
mia madre si era innamorata, né le avrei dato torto; eppure, quand’era arrivato
il mio momento…
*
– Se è uno scherzo, Rosie, non è divertente.
Avevo aspettato le vacanze invernali per confidargli quel
nome, perché volevo che lo cogliesse dalle mie labbra: la pergamena non avrebbe
mai saputo rendere le sfumature con cui lo accarezzavo, sussurrandolo tra me
come il più dolce e potente degli incantesimi.
Scorpius Hyperion Malfoy.
Poteva una cifra tanto pomposa somigliare a musica?
Avevo sedici anni e una brutta cotta; pretendere che mi
avanzasse un po’ di senso del ridicolo, converrete, non sarebbe stato
realistico.
Conobbi Scorpius, per così dire, che camminavo appena: come
mio padre seppe dalla Gazzetta del Profeta – i Malfoy avevano di certi vezzi –
che era nato un nuovo Serpente (non mi è difficile credere che abbia
usato tali parole), decise d’ufficio che saremmo stati rivali.
Davanti all’espresso per Hogwarts, nell’autunno dei miei
undici anni, queste furono le parole con cui mi consegnò al primo giorno di
scuola: «Cerca di batterlo in tutti gli esami, Rosie. Per fortuna hai il
cervello di tua madre».
Hermione lo guardò con un misto di tenerezza e di
riprovazione, o almeno così mi parve; in seguito avrei scoperto che il nocciola
canino di quegli occhi nascondeva più segreti e sfumature di quel che avresti
mai osato scommettere.
A mio padre non piacevano i Malfoy: quello era un dato di
fatto; quanto alle ragioni, a undici anni non ti poni inutili perché, ma ti fidi
delle persone cui vuoi bene. Adoravo Ronald, dunque ero pronta a combattere in
suo nome qualunque guerra mi domandasse.
– Stava scherzando, Rosie… Sarebbe bello, invece, se
diventaste buoni amici.
Le parole di mia madre mi sorpresero, come il fatto che
avesse approfittato della distrazione di mio padre per sussurrarmele.
Aveva paura del suo giudizio?
Hermione, la perfetta, invincibile Hermione, possedeva un
punto debole?
– Perché? – la provocai.
– Perché a quello serve la scuola: a fare nuove amicizie… E a
imparare.
No: era la mia solita, noiosa, prevedibile mamma.
Che tipo era Scorpius?
Non è la domanda giusta, perché somiglia al punto di vista di
mio padre. Per Ronald, il nome Malfoy era una macchia; il crisma di una
maledizione che non doveva toccarmi.
Draco Malfoy era il ragazzo che l’aveva umiliato per sei
lunghi, indimenticabili anni; il simbolo di tutto quel che un puro come lui non
poteva tollerare.
Draco Malfoy, soprattutto, era stato il grande amore di mia
madre: io, però, non lo sapevo, né l’avrei scoperto sino all’inverno dei miei
sedici anni.
Più che chiedermi come fosse Scorpius, Ronald avrebbe dovuto
domandarmi come fosse la Hogwarts che frequentavo io, a due decadi dai giorni in
cui era la sua scuola, il suo territorio.
Persisteva l’antica rivalità Grifondoro-Serpeverde, ma non
eravamo gli stessi adolescenti di allora, poiché la guerra che aveva consacrato
eroi i miei genitori aveva spazzato via ogni fronte.
Perché, soprattutto, c’era stato un uomo – Severus Piton –
che aveva ricordato ai maghi il valore del grigio.
Essere Serpeverde o Grifondoro nel duemilaventi incideva, al
più, sul colore di una sciarpa, ma non importava radicali scelte di bandiera. Se
proprio dovevo pensare a un rivale pericoloso nella Casa di Salazar, per altro,
avrei fatto il nome di mio cugino Albus, non certo quello di Scorpius Malfoy.
Agli occhi di mio padre, tuttavia, era quasi il tempo non
fosse mai passato; quasi fossi Hermione e lo stessi tradendo ancora una volta.
*
– Come può interessarti un Malfoy? Mi deludi, Rosie.
Avrei preferito uno schiaffo a quelle parole. Uno schiaffo, a
un risentimento che non capivo. Fu per questo, immagino, che mia madre mi regalò
la sua storia: era un atto d’amore; era, soprattutto, la risposta alla domanda
che non potevo porre a mio padre.
Che cosa hanno di sbagliato i Malfoy?
Tutto, mi avrebbe risposto.
Piacevano troppo alle donne della sua vita.
*
Hermione attese paziente che rinunciassi da sola al mio
mutismo. Come comprese che no, il coraggio non era ereditario, preparò del tè e
decise di sfidarmi.
Era una leonessa, mia madre: era ora che lo sperimentassi
sulla mia pelle.
– Mi dispiace, – esordì. – Tuo padre ha parlato senza
pensare.
– E tu che ne sai? Ci spiavi?
Ero aggressiva, perché mi sentivo ferita. Avevo contato i
giorni che mi separavano da quella confessione, e Ronald mi aveva tradito.
– No, ma lo conosco da più tempo di te.
La sua voce era tranquilla, sebbene velata da una strana
malinconia.
– So anche di chi è la colpa, questa volta.
– Mia, immagino, – sibilai. – Come sempre.
Hermione sorrise, ma le sue labbra erano una tagliola. – No,
mia.
Aprii la bocca, ma non ne uscì nulla, perché non sapevo che
dire.
– Avevo la tua età, Rosie, – riprese mia madre. – L’amore è
la più sorprendente delle distrazioni, lo sai?
Si alzò e, senza una parola, abbandonò la cucina. Al suo
ritorno, tra le mani stringeva un involto di velluto.
– Cos’è? – le chiesi.
– L’inizio di tutto, – mi rispose.
Una Giratempo dal vetro incrinato.
– Se questa signora avesse funzionato a dovere,
chissà? Forse tuo padre non l’avrebbe presa tanto male.
La sua voce, all’improvviso, era piena di colori.
Mi chiesi dove li tenesse nascosti d’abitudine.
Mi chiesi, soprattutto, se la conoscevo bene come credevo.
– Allora, Rosie? Vuoi ascoltare una vecchia storia?
Sì, lo volevo, e mia madre condivise le sue ombre e i suoi
fantasmi.
Ero grande, ormai; era tempo che diventassi sua complice.
*
2. Una crepa nel cuore
Il giorno in cui consegnai a Rosie il mio più intimo segreto,
fu forse uno dei più dolci e tristi della mia vita.
Dolce perché la spiavo con l’orgoglio della madre e la
riscoprivo non più bambina ma donna; triste perché quello era il segno di un
imminente distacco.
Un vento gelido e ostile strappava dai rami le ultime foglie,
e così se ne andava lei, la mia-nostra Rosie: ero un vecchio albero che non
aveva più nulla da offrirle.
Avrei potuto scegliere mille altre occasioni per confessarmi
e cercare l’assoluzione che non mi ero mai concessa, ma il cuore ha tempi suoi e
l’egoismo di un tiranno.
Forse decisi per quel momento perché eravamo sole, noi due, e
la solitudine vinceva anche il mio riserbo di vigliacca.
Forse perché il rancore sommesso di mia figlia feriva la
persona sbagliata, e la mia onestà suicida non poteva tollerarlo: non era colpa
di Ron, se quel nome faceva male.
Non era nemmeno colpa di Malfoy.
*
Rosie e suo padre avevano stretto negli anni un rapporto
tanto intenso ed escludente da farmi sentire gelosa: era con Ron che mia figlia
si confidava; era a Ron che scriveva pergamene infinite, punteggiate di emozioni
e domande.
– Sei sua madre: è naturale che si senta in competizione con
te.
Le parole di Molly suonavano rassicuranti al mio orecchio, ma
non convincevano il mio istinto. La verità era che Rosie mi somigliava al punto
che, talora, mi concedevo il lusso di detestarla come avevo odiato l’Hermione
goffa, rigida e aggressiva dei diciassette anni.
Quel mattino d’inverno, tuttavia, un’altra certezza mi colse:
avevo anche amato quella maldestra ragazzina, mutevole come il cielo di marzo.
Amavo la mia intensa, selvatica bambina.
*
A dispetto del mio ostentato pragmatismo, a diciassette anni
ero sensibile ai segni. Senza credere a una sola parola di quel che blaterava la
Cooman, mi aspettavo che la Natura riflettesse le mie emozioni o anticipasse i
miei stati d’animo.
Tutti gli adolescenti sono egoisti e autoreferenziali; se si
prendessero il disturbo di guardare più in là del loro naso, forse si
accorgerebbero che il mondo gira a prescindere da loro.
Nei giorni in cui scoprivo il grigio e salutavo, dunque, le
effimere certezze dell’adolescenza, il cielo era di un azzurro irreale; la
primavera profumava l’aria e asole d’infinito, solcate da nubi soffici come
fiocchi, mi correvano sul capo e catturavano il mio sguardo.
La vita era lì, a un passo dall’allungarmi il morso
definitivo, eppure tutto era netto e senza ombre: un’amara lezione d’umiltà per
la signorina-so-tutto.
Il mio sesto anno a Hogwarts era una libra sbilenca: esultavo
e mi deprimevo senza soluzione di continuità, nascondendo, maldestra, lacrime
sempre in agguato, simbolo di una fragilità che avevo scoperto all’improvviso,
con l’amore dei diciassette anni.
L’amore che vivi una sola volta, ma che ricordi per sempre.
L’amore, soprattutto, che un magico artefatto avrebbe vestito
di nuovi colori.
Cervellotica, eppure passionale, avevo trovato una ricetta
infallibile ai turbamenti dell’età: se non puoi smettere di pensarlo,
inventati un nuovo pensiero, e cumulavo impegni scolastici come potenziali amuleti.
Alla McGranitt avevo venduto un copione da prima della
classe, recitato con la convinzione dell’abitudine.
Il mio cuore, onesto e brutale, mi ricordava invece che
sarebbe tornata la notte e, con essa, sogni d’oro rosso e occhi blu.
– Sai già come funziona, vero, Hermione?
All’anarchia di un tempo addomesticato chiedevo di tenermi al
riparo dall’amore; un Caso umorista, tuttavia, aveva forse già deciso che a
servirmelo fosse proprio una vendicativa Giratempo.
A tradimento, per giunta, come tutto quel che lascia il
segno.
*
Accadde alla vigilia della sfida Grifondoro-Corvonero: mi
sarebbe impossibile dimenticarlo, perché fu Ron, nella sua disperata fuga verso
i bagni, a innescare un imprevedibile domino.
Me ne stavo al lato della scala, intenta ad armeggiare con la
ghiera della Giratempo, quando un ciclone m’investì e persi la presa dal
prezioso artefatto.
– Scusa, ma devo vomitare, – fu il disperato (e già lontano)
singulto che mi raggiunse, mentre fissavo sconsolata la crepa che sfregiava ora
il quadrante. – Imbranato, – borbottai, preoccupandomi di verificare che il
meccanismo funzionasse ancora.
Frequentavo un corso avanzato di Aritmanzia e la Giratempo
avrebbe dovuto regalarmi un’ora di riflessioni solitarie sotto la guida della
professoressa Vector; quando, tuttavia, sollevai lo sguardo dal quadrante leso,
realizzai con disappunto di non essermi mossa nel tempo, ma nello spazio: in
luogo dell’aula in cui avrei dovuto trascorrere almeno cinquanta, noiosi minuti,
mi salutava l’immacolato squallore di un bagno.
– Meraviglioso… – esalai scontenta, fissando il soffitto
leggermente muffito che sovrastava il cubicolo in cui mi ero ritrovata mio
malgrado. – Che dirò alla professoressa McGranitt?
Erano pensieri scontati e rassicuranti, degni della ragazzina
rigida e perfezionista che ero. Ad avere il temperamento immaginativo di Luna,
forse mi sarei domandata se gli oggetti possedessero un’anima, e avrei fatto
bene: la Giratempo, almeno, vantava un’indole incline alla vendetta, perché alla
ferita inflitta rispose con un contrappasso da manuale.
Per la crepa del quadrante, un’altra me ne aprì nel cuore.
Un’indimenticabile ferita.
*
– Potrei dire che è stata colpa di Ron. Se non mi avesse…
Inghiottii quella scusa meschina, vergognandomi anche solo di
averla accarezzata, perché non avevo mai tradito un amico e non avrei senz’altro
cominciato dal ragazzo di cui ero innamorata (credevo).
– Avanti, ne hai combinate di peggiori…
Fu allora che mi accorsi di quel suono e rimasi, inebetita,
in ascolto.
Il palmo già sulla porta, rigida e tesa, spiavo attonita la
disperazione di un nemico: la voce che mi raggiungeva fioca, tra un singulto e
l’altro, era quella di Draco Malfoy.
Che rapporto ci aveva unito in quegli anni? Non potrei dirlo
nemmeno complicato, perché la verità era che a opporci stava qualcosa di
più doloroso e invincibile dell’odio: stava il pregiudizio.
Draco mi vedeva come un’abusiva nel suo orizzonte perfetto e
aveva avvelenato le mie illusioni con un epiteto – Sanguesporco – che mi aveva
reso ancora più insicura e petulante.
Per reazione, avevo associato al suo nome quanto detestavo
del Mondo Magico e – lo sapevo – avrei combattuto per tutta la vita:
l’immobilismo e la crudeltà gratuita, l’arroganza del sangue e l’attaccamento
vigliacco a una tradizione che, di fatto, s’identificava con i privilegi.
Anziché ammorbidire l’antipatia istintiva dell’infanzia, gli
anni ci avevano reso ancora più rigidi, partigiani, ciechi. In una parola,
nemici.
Harry sospettava già da qualche tempo che Malfoy fosse
implicato in qualcosa di losco, perché era diventato evanescente come nebbia.
Ron ed io, però, distratti da sentimenti prepotenti e leggeri, non avevamo
assecondato i suoi sospetti come in passato. Harry era ancora il mio eroe ma
Voldemort poteva aspettare almeno finché non avessi strappato a Weasley il bacio
che sognavo.
Il quel bagno, tuttavia, l’urgenza del presente tornava a
reclamarmi, ricordandomi una partita cui avevo aderito troppo giovane perché ne
metabolizzassi sino in fondo le conseguenze: al Signore Oscuro ti opponevi per
la vita.
Se Draco Malfoy era – come temeva Harry – un soldato di
Voldemort, spiarlo e stringerlo agli angoli delle sue responsabilità, era un mio
preciso e insindacabile dovere.
Peccato, però, che chi chiamavo ‘nemico’ avesse al più
bisogno della mamma, non certo di un giudice impietoso.
*
– Ma cosa…
Il singhiozzo divenne un gemito prolungato, straziante. Anche
a non avere un cuore di burro, non potevi restare indifferente a una simile
manifestazione di dolore.
Draco non sapeva di me; non si aspettava d’essere ascoltato e
compatito.
Draco soffriva come un ragazzo di sedici anni non dovrebbe
mai: afferravo quell’evidenza sgomenta, eppure incapace di reagire. Stretta
nelle maglie di una parte che avevo recitato con l’intransigenza dell’età,
faticavo a ritagliarmi un ruolo che raccontasse dell’autentica Hermione: una
ragazzina che non avrebbe mai accolto la noncuranza come risposta alla paura.
– Non essere così triste. Esiste un rimedio per ogni cosa,
sai?
Una voce si sovrappose a quel pianto accorato. La conoscevo?
La memoria mi suggeriva di sì, senza che arrivassi, tuttavia, a identificarne la
fonte. Socchiusi la porta: Mirtilla Malcontenta era un film lattiginoso che
avvolgeva Draco, ne lambiva le spalle, ne accarezzava i capelli di lino.
Sotto le lunghe ciglia, gli occhi di Malfoy erano liquidi e
arrossati.
– Non se mi ammazzano. Non se uccidono mio padre…
Quelle ultime parole svanirono inghiottite da un rantolo.
– Forse dovresti…
– Cercare aiuto? E chi me lo darebbe?
Io, sussurrai, senza quasi rendermene conto.
– Se solo fallissi…
Si asciugò il viso con un gesto rabbioso, prima di cercarsi
nello specchio. Quel che vi colse, tuttavia, non fu il riflesso della mia
genuina compassione, quanto gli occhi verdi del ragazzo che, a suo avviso, aveva
colpa di tutto: colpa della disgrazia della sua famiglia e colpa della
sua debolezza e colpa del suo isolamento e colpa della sua tristezza e…
Le ragioni per cui accusi il prossimo delle tue mancanze sono
infinite, almeno quanto modesti sono i motivi per cui accetti di domandare
perdono. Draco era un ragazzo terrorizzato: chiedergli di comportarsi da uomo
sarebbe stato molto oltre le sue possibilità.
Si volse di scatto, quasi l’avesse morso una serpe; mano
sulla bacchetta e le labbra strette in una sottilissima cicatrice.
Harry non tremava, perché dalla sua aveva l’esperienza di
mille battaglie e l’odio sordo delle eterne vittime. Aveva ogni ragione per
odiare Malfoy, perché il sangue di cui era tanto orgoglioso aveva nutrito il
mostro che l’aveva reso orfano mille volte: James e Lily erano fantasmi ormai
sbiaditi della memoria, ma non Sirius. Sirius era carne e sanguinava.
Se mi fossi annunciata subito, forse quel che accadde non
sarebbe mai capitato.
Non avrei mai scoperto il grigio nel rosso.
Non mi sarei mai innamorata di Draco.
*
Al riparo di quel cubicolo, trattenevo il fiato e aspettavo.
L’ho detto: Potter era il mio eroe. Non mi ero mai concessa
il lusso di pensarlo come qualcosa di diverso, malgrado fosse diventato,
crescendo, un ragazzo piuttosto attraente.
Era il Prescelto, il mio migliore amico e un combattente che
ammiravo: sospirare d’amore ai suoi piedi sarebbe stato troppo anche per me.
– Cru…
A mutare in modo radicale le mie intenzioni, fu una sillaba:
un sospiro o poco più. Non avevo preso in considerazione l’ipotesi che Malfoy
potesse essere tanto disperato da ricorrere a una maledizione senza perdono. Non
immaginavo nemmeno, tuttavia, che Harry arrivasse a usare un incantamento mille
volte più feroce.
Sectumsempra.
Abbandonai il mio nascondiglio appena in tempo per vedere il
corpo di Draco tendersi in modo innaturale, mentre un fiotto vermiglio mi
esplodeva addosso e s’incollava al maiolicato del bagno con un plotch
sinistro: l’odore dolciastro e rugginoso del sangue mi penetrò come una
maledizione.
Deglutii con difficoltà, abbassando lo sguardo: tra i miei
seni stava una rosa e puzzava di morte. A terra, straziato, Draco sboccava
sangue e bile, comprimendo invano con le dita l’orrenda ferita che Harry gli
aveva procurato.
– Vai a cercare aiuto, – bisbigliai. Pietrificato, il
Prescelto era di nuovo solo un bambino consegnato all’orrore di una vita senza
sconti. – Muoviti, Harry! – sibilai con una violenza che non mi apparteneva, ma
che avevo inventato su due piedi per quell’eterno istante senza ritorno.
Non mi volsi a verificare che mi avesse obbedito, ma
m’inginocchiai accanto a Draco. All’odore del sangue se n’era aggiunto un altro,
acido e acuto: anche i Malfoy non si curavano della forma davanti a un’agonia.
– Mi dispiace, – balbettai, prima di cercare la sua mano. Era
rossa, vischiosa e scivolava nella mia senza forza.
– Coraggio… Andrà tutto bene.
M’inventavo rassicurazioni in cui non credevo per prima, ma
tutto mi pareva preferibile a un silenzio che avrebbe amplificato lo strazio di
quell’ora.
Draco piegò un poco il capo e mi guardò: aveva gli occhi
pieni di lacrime – occhi di una bestiolina in agonia.
Mi portai la sua mano al viso, perché sentisse il mio calore;
perché sapesse che ero viva, io, ed ero con lui.
Il suo sangue dipingeva lacrime porpora sulle mie guance,
eppure non fu quello il dettaglio che mi strappò un gemito soffocato: sulla
candida pelle di quel braccio sottile, spiccava lo sfregio sinistro di un
teschio. Il Marchio Nero.
– Sei un Mangiamorte?
La mia voce fu poco più di un sussurro. Se anche avesse
posseduto una qualche consistenza, d’altra parte, Draco non avrebbe potuto
rispondermi.
Perse conoscenza tra le mie braccia: era bianco come il latte
e freddo come il marmo. La bocca purpurea di quella ferita aveva la bellezza
torbida e perfetta di una rosa nata dalla neve.
Una rosa d’inverno.
*
3. Il sangue è sempre sporco
Harry ed io ci evitammo per i due giorni successivi: l’uno
chiedeva al Quidditch di distrarlo; l’altra riparava nella quiete protettiva
della biblioteca.
Non sapevamo come affrontare il discorso e confrontarci su
quanto avevamo vissuto, dunque preferivamo un silenzio strategico alla
vigliaccheria di parole di circostanza.
Non gli dissi che Draco era un Mangiamorte e che ne avevo le
prove; era un’omissione consapevole, che mi faceva sentire sporca e non mi dava
pace. Al contempo, avevo scoperto in Harry un’invisibile linea scura; forse
proprio lo spartiacque tra l’eroe tragico e il folle assassino di cui un’oscura
profezia prima e il Cappello Parlante poi avevano riferito.
Non dubitavo dell’onestà del mio migliore amico, beninteso,
ma cominciavo a interrogarmi sui danni collaterali di una vita al limite.
Harry aveva già perso tutto: non gli restava che la sua
controversa umanità. Se gli avessi detto che Malfoy era parte della congrega che
aveva ucciso Sirius, avrei menato forse l’ultimo colpo alla Ruota – e non
volevo.
Avrei affrontato Draco da sola, perché ero un soldato, non un
martire: di testimoni condannati ce n’erano stati già troppi.
*
Dopo il provvidenziale intervento del professor Piton, Malfoy
era stato ricoverato nell’infermeria di Hogwarts: fu lì, dunque, che mi recai un
uggioso pomeriggio di tarda primavera.
Mi sorprese pensare che solo poche settimane prima
piagnucolavo al capezzale di Ron, mentre ora mi affrettavo a raggiungere il
letto del principale indiziato di quell’avvelenamento.
I locali erano deserti e silenziosi. Il rumore dei miei passi
sulla nuda pietra possedeva qualcosa di solenne e funebre al contempo.
Che ne era stato della corte di Draco? Dov’erano i suoi
leali compagni?
Per l’ennesima volta sperimentai nei suoi riguardi qualcosa
di simile alla compassione: mi bastava ricordare le sue lacrime clandestine e
immaginare la solitudine di un ragazzo tanto disperato da accettare la pietà di
uno spettro.
Anche quello era Malfoy, ma non avevo mai avuto modo di
rendermene conto.
Il suo letto era l’ultimo della camerata deserta. Mi arrestai
davanti alla cortina: tutta la determinazione che aveva guidato i miei passi e
le mie scelte sino a quel momento, cedeva le armi davanti a un ragazzo vulnerato
che sapevo appena chiamare.
– So che sei qui.
Sussultai. La voce di Draco era bassa e monocorde, depurata
da accenti ed emozioni. Che fosse un eccellente occlumante si coglieva anche da
dettagli come quelli; dall’incredibile controllo che riusciva a esercitare sui
toni quando (e lo sapeva) non c’era più nulla di controllabile in un’esistenza
allo sbando.
Non avrei mai accettato, tuttavia, che si accorgesse del mio
imbarazzo, perché tanto gli avrebbe conferito un innegabile vantaggio.
– Meglio, – replicai, e scostai la tenda con uno strattone
che denunciava il mio stato d’animo più di mille parole.
C’era troppa rabbia, troppa nettezza, perché non dicesse di
una ragazzina imprigionata da una maschera ormai usurata.
Sostenuto dai guanciali, Draco era esangue. I suoi occhi,
tuttavia, avevano perduto la scintilla umanissima e fragile che tanto mi aveva
turbato. Era di nuovo un Malfoy, duro, sprezzante e gonfio dell’arroganza di una
famiglia di politici e assassini.
– Che cosa vuoi da me? Un grazie, forse?
Fu questo a spezzare l’incantesimo della simpatia e a
restituirmi la mia Hermione: quella abile a usare le mani almeno quanto
la bacchetta.
– Non sarebbe male, anche se un po’ prematuro.
Negli occhi di Draco scivolò un’ombra che mi strappò un
sorriso compiaciuto.
Hai abboccato, pesciolino… Adesso sta a me evitare che la
lenza si rompa.
– Non ho ancora deciso, a dire la verità…
– Deciso cosa?
– Se denunciarti, mi sembra ovvio.
Le dita di Draco si contrassero in modo impercettibile.
Portai lo sguardo al suo braccio sinistro, senza preoccuparmi d’essere
intercettata: io sapevo ed era bene che lo capisse.
– Sei un Mangiamorte.
Secco, come un colpo di fucile.
– E senz’altro sai qualcosa di…
– Ma non dire idiozie!
Il tono era leggero; il suo sguardo, quello di una preda
braccata. Sollevai ironica un sopracciglio. – L’ho visto. Ho visto il Marchio
Nero, e potrei anche decidere di dargli un’altra occhiata, se solo…
– Non osare toccarmi!
Più che un ringhio, mi ricordò il miagolio di un gattino.
Non fingerti leone, Malfoy: tu non sai cosa vuol dire mordere
sul serio.
Gli afferrai il polso, prima che potesse ritrarsi. Per tutta
risposta, Draco mi allungò una spinta, sottraendosi alla mia stretta. – Non ci
provare, – sibilò, – stupida Sanguesporco.
A undici anni, forse avrei faticato a inghiottire le lacrime:
a diciassette, avvertivo piuttosto le sue oltre il logoro disprezzo di un
insulto ormai inflazionato.
– Altrimenti?
Draco abbandonò il letto, perché darmi le spalle era quanto
gli restava per sottrarsi al mio sguardo.
– Non credo che dovresti. Non hai una bella cera, – osservai
con una tranquillità che dovette suonare derisoria al suo orecchio.
Malfoy mi rivolse un’occhiata piena d’odio, prima di
schiudere le labbra e…
– Detesto avere sempre ragione!
… crollare tra le mie braccia.
– Non è vero, – sussurrò Draco, come fu di nuovo nel suo
letto.
– Cosa? – domandai, mentre m’improvvisavo solerte infermiera
– o babysitter.
– Tu adori avere sempre ragione!
Nei suoi occhi non c’era né crudeltà, né malizia, quanto una
scintilla di divertita ironia.
Desiderai trovarmi altrove o vestire i comodi panni di
Lavanda Brown: essere una ragazzetta scontata, prevedibile e serena davanti
all’ipotesi d’arrossire. Quel calore che mi saliva sino alle orecchie, invece,
bruciava più di uno schiaffo.
– Sì, hai ragione: ho questo limite, – replicai con la gola
secca, – ma non è un tuo problema.
Draco abbassò le palpebre e rimase in silenzio. Nell’aria
ferma di quel pomeriggio stagnante, nubi basse all’orizzonte e un’afa
innaturale, un semplice sospiro suonava deflagrante.
Sentivo il mio cuore battere rapido. Percepivo, soprattutto,
il muto grido del suo.
– Com’è successo?
Mi uscì così, senza filtri; una domanda stupida e mal posta,
o forse l’unica che avesse ancora un senso.
Com’era possibile vendersi a un mostro?
Com’era possibile accettare quell’obbrobrioso marchio?
E Draco, che era forse stanco di quella solitudine e
consumato dalla paura, me lo disse.
– Non ho avuto scelta.
– C’è sempre una scelta.
Scosse il capo. Le sue labbra tremavano.
– Non per me.
– Che vuoi dire?
Per sei anni non c’eravamo mai parlati: avevo ricevuto i suoi
insulti, subito le sue occhiate colme ora di disgusto, ora di un sarcasmo
altrettanto doloroso; avevo risposto con la lingua, con la bacchetta, con le
mani.
All’improvviso, invece, scoprivo che era possibile. Era
persino facile.
Avevo visto il suo sangue, in fondo: era rosso come il mio.
– Che per colpa tua e di San Potter e di quell’esercito
sgangherato dei vostri amichetti, tutta la mia famiglia è in pericolo, contenta?
Il suo viso si contrasse in una smorfia carica, in eguale
misura, di dolore e di risentimento.
Si portò la mano alla ferita, boccheggiando. Due grosse
lacrime gli scivolarono lungo gli zigomi affilati, ma finsi di non vederle.
– Vattene via, – singhiozzò.
– No, – sospirai, raccogliendo le mani in grembo per vincere
la tentazione di toccarlo di nuovo. – No, perché non penso di avere colpa di
niente, e no, perché non è mia abitudine lasciare qualcuno nei guai.
Se a ricevere quelle parole non fosse stato un ragazzo
terrorizzato, il mio bluff avrebbe avuto vita breve: la mia voce era ferma, ma
il mio cuore tremava. Non ero brava negli autoinganni come nel vendere certezze
di pergamena.
– Io non voglio il tuo aiuto, – mormorò Draco, ed era
sincero.
Il colpo di fulmine, la passione al primo sguardo
sono invenzioni letterarie, il deus ex machina del narratore disperato.
L’amore, invece, ti colpisce sempre alle spalle e somiglia a una freccia
avvelenata, tanto fa male: me ne accorsi quando quell’invincibile disprezzo
cominciò a toccarmi davvero.
Se ne accorse Draco, quando capì che non ne provava
abbastanza.
Quel giorno, tuttavia, eravamo ancora un prevedibile
bianco-nero: immobili, alle soglie di una vita che ci spaventava a morte.
– Non puoi scegliere: o mi racconti tutto, o riferirò al
Preside. Vorrà dire che rivedrai tuo padre prima…
Draco schiuse le labbra, ma non riuscì a replicare. Era un
colpo basso e lo sapevo, come sapevo che non potevo concedermi errori, perché la
guerra che stavo combattendo era spietata.
– Non essere stupido! Tutto quel che ti sto offrendo, è un
piccolo compromesso: tu mi spieghi quanto sta capitando, ed io…
– Da quando i ricatti si chiamano ‘compromessi’? – mi chiese
Malfoy. I suoi occhi grigi, su di me, erano pieni di rancore.
Abbassai lo sguardo. – Avevi ragione tu, – mormorai. – A
volte non c’è altra scelta.
Cercai la sua mano e la strinsi nella mia: era madida e
caldissima. – Pensa a quello che ti ho detto. Io so chi sei.
Fu il mio commiato ed era una solenne menzogna: non ero più
sicura di sapere chi fosse, né lo ricordava lui.
Fu anche per questo, immagino, che l’amore arrivò.
*
– È stata mia zia Bellatrix a condurmi da Lui.
La Stanza delle Necessità aveva l’odore polveroso dei vecchi
ricordi dimenticati. Ascoltavo Draco parlare e mi perdevo tra le ombre che
s’incuneavano negli interstizi come malefici spettri.
Era lì che aveva vissuto in tutti quei mesi; lì che aveva
inaugurato una missione da sicario solo per scoprirsi mille volte vittima.
– È stato spaventoso. Lui è…
– Voldemort.
Pronunciai quel nome con una nettezza che lo fece
rabbrividire. D’istinto si posò il palmo sull’avambraccio, là dove stava il
Marchio Nero. Lo faceva di continuo, come un lupo rabbioso avrebbe morso la
catena che lo trasformava in cane.
– Se non eseguirò quanto mi hanno affidato, sarò ucciso.
Prima, però, ammazzeranno mia madre e mio padre.
– È quello che ti hanno detto.
– È quello che faranno, signorina-so-tutto. Se proprio devi
immischiarti nei miei affari, almeno risparmiami giudizi non richiesti.
Non mi aveva chiamato Sanguesporco, questa volta, eppure mi
ferì, perché coglievo un brandello di verità oltre il livore; un frammento di
Hermione che non piaceva nemmeno a me.
– Tu non hai la più pallida idea di cosa il Signore Oscuro
possa o non possa fare, perciò…
– D’accordo, ho parlato senza pensare. A te non capita mai?
Si zittì di colpo e mi fissò con evidente stupore.
C’era qualcosa di comico nel nostro avvicinarci e poi
ringhiarci contro, ballando sull’invisibile filo di una vecchia abitudine.
Eravamo diversi dalle maschere che indossavamo, ma a strapparle saremmo rimasti
nudi, e a diciassette anni l’imbarazzo è il tuo unico nemico. Il solo, almeno,
che temi con qualche ragione.
– Quale sarebbe il tuo compito? Immagino che abbia a che
vedere con questa stanza.
– Non posso dirtelo, – replicò Draco. – Se lo scoprissero…
– So già troppo! – esalai esasperata. – Cosa pensi che
capiterebbe, se raccontassi a Silente che sei un Mangiamorte?
Draco si morse le labbra.
– Il Preside ha già contribuito una volta alla cattura dei
più pericolosi criminali del Mondo Magico. Vuoi che…
– Devo ucciderlo…
Fu poco più di un bisbiglio, ma mi raggiunse lo stesso. Lo
guardai inorridita. Malfoy annuì.
– Devo uccidere Silente e far cadere Hogwarts.
La sua voce si spezzò.
– Loro devono entrare ed io…
– Non puoi dire sul serio.
Draco mi mostrò un vecchio armadio. – Ce n’erano molti ai
tempi della Prima Guerra…
Lo vidi riporre una palla muffita su un ripiano e chiudere le
ante. Quando le riaprì, non c’era più nulla.
– È quasi perfetto.
Era un successo, ma il suo non era un tono trionfante, quanto
un cupo singhiozzo. – Adesso capisci perché…
– … Perché hai bisogno di me. Sì, lo capisco fin troppo bene,
– replicai, con una risolutezza che la mia voce tradiva: tremava, come tremava
la mano con cui gli sfiorai le spalle. – Ti aiuterò a completare l’opera.
– C… Che?
Sorrisi. – Un problema alla volta. Prima di tutto, nessuno
deve sospettare di te, o sbaglio?
Mi guardò come se fossi impazzita.
Forse lo ero davvero.
Forse stavo diventando grande.
*
Ci incontravamo ogni sera dopo le sette. Non uno sguardo, tra
noi, né una parola, eppure aspettavo la clandestinità di quell’ora con un’ansia
che annichiliva tutto. Era un sentimento che non sapevo chiamare, ma che aveva
già prodotto un piccolo prodigio alchemico: anche a spremermi il cuore, non
c’era più traccia della mia ossessione per Ron.
Non avevo smesso di volergli bene – sarebbe stato impossibile
– ma sapevo che non aveva bisogno di me. Non come Draco.
Malfoy era un enigma e una prova di forza. A volte avevo
l’impressione che mi tollerasse a stento; altre, quando mi credeva troppo
assorta su uno dei tanti tomi che trafugavo dalla biblioteca, c’era qualcosa di
caldo e dolce nel suo sguardo.
Poco alla volta penetravo il suo mistero e cedevo alla
tenerezza: gli avevano insegnato che i sentimenti erano qualcosa di basso, forse
persino Babbano; gli avevano detto che la gratitudine non era affare da
Purosangue, perché a quelli come lui tutto era dovuto per diritto di nascita.
Scopriva ora che l’Onore non aveva bandiera e che due era
meglio di uno.
Scopriva che il sangue è sempre sporco, perché è la vita
stessa a inquinarlo.
Scopriva che la solitudine poteva nascere dalla distrazione o
da una curiosa miopia, e che non lo sfiorava, perché il posto al suo fianco non
era più vuoto: c’ero io.
*
Il giorno in cui completammo la riparazione dell’Armadio
Svanitore l’estate era ormai nell’aria; il mio cuore, tuttavia, era pieno di
nuvole. La nostra era una complicità a scadenza (lo sapevo), ma accettarlo mi
riusciva impossibile.
Il venti giugno Draco avrebbe compiuto diciassette anni e
sarebbe diventato, forse, il più giovane sicario di Voldemort.
– Entreranno…
Immobile, davanti a quel tetro artefatto, sembrava disperato.
– E noi li aspetteremo.
– Noi?
Mi strinsi nelle spalle. – Ormai ci sono dentro fino al
collo, no?
Sorrise: un sorriso fragile e bello. – Non importa. Adesso
basta.
– Cosa?
Draco socchiuse le ante e mi guardò. – Per me è finita
comunque. Che uccida Silente o mi rifiuti, io sono morto.
Deglutii con difficoltà. – Perché dici così?
– Perché ho sbagliato tutto.
Allargò le braccia e fece un mezzo giro su se stesso. –
Doveva essere il mio anno. Volevo sentirmi un eroe e invece? Sono rimasto solo.
Non ho…
– Ed io chi sono? Io non conto niente?
Fu una nota imprevista e stridula, ma non feci in tempo a
vergognarmene, perché, a vincere, fu la sorpresa per un abbraccio imprevisto:
non chiesto, non cercato, mai immaginato.
Draco mi strinse a sé senza dire niente. Mi superava di
un’intera testa e aveva un cavallo terrorizzato a corrergli nel petto, eppure mi
fece sentire bene: protetta e desiderata.
– Tu sei stata un errore… E l’ho compreso troppo tardi, –
bisbigliò.
L’interlinea, tuttavia, urlava.
Potevi essere un’amica, ma non l’ho capito.
Potevi essere tutto, ma non l’ho voluto.
Potevi essere l’inaspettato, ma mi manca un futuro.
Invece no: ce l’aveva ancora. Ero io a volerlo.
Le sue labbra scivolarono tra i miei capelli. Chiusi gli
occhi e sotto le palpebre esplosero tutti i colori del mondo: non più solo
bianco e nero.
Mi sciolsi dalla sua stretta per chiuderlo nella mia; cercare
la sua pelle e la sua bocca.
Era tiepida e timida.
Era come l’avevo immaginata.
Quante volte avevo sognato il primo bacio? Infinite, come
infiniti sono i gradini che affronti quando accetti di crescere; quando raccogli
la sfida della donna che già ti guarda dall’altro lato dello specchio.
Viverlo, tuttavia, fu sorprendente come scoprire che lo
voleva anche lui.
Che mi voleva.
Le sue dita mi accarezzavano la schiena e poi si persero
nelle volute ribelli dei miei capelli.
Faceva l’amore con le mie labbra e m’imbandiva il cuore.
Dagli un bel morso, coraggio: te lo regalo.
Aprii gli occhi e non mi tirai indietro.
Se un sacrificio di sangue chiamava la vita, per il suo
sangue avrei speso il mio.
*
Il soffitto era una macchia nera, incombente.
La sua pelle lattea mi faceva pensare alla luna nelle notti
d’agosto.
Nuda, tra le sue braccia, mi sentivo invincibile come chi
abbia appena colto la neve – e la neve, no, non la catturi mai.
– Un altro errore, – mormorò Draco, mentre mi sfiorava con la
bocca la curva del naso. – Adesso ho ancora meno voglia di morire.
Sospirai profondamente; gli rubai un altro bacio. – Invece lo
farai, e senza tante storie.
Sgranò gli occhi, incredulo. Le sue iridi erano velluto, ma
non me n’ero mai accorta.
– Distillato della Morte Vivente. Ti voglio stecchito,
Malfoy. È il modo più sicuro per liberarsi dai debiti. Lo sanno anche i Babbani!
Rimase in silenzio per qualche istante, poi cominciò a
ridere: di gratitudine e sollievo e, forse, incredulità, perché a salvarlo era
una nata Babbana che non avrebbe mai rinnegato le proprie radici. Ed erano
buone, loro: affondavano nella terra e resistevano al vento della follia di
Voldemort come non avevano potuto i Manor. Nemmeno quello dei Malfoy.
– Mi sembra un buon piano…
– E funzionerà, – aggiunsi io.
Funzionò, infatti: come aveva detto Draco, adoravo avere
ragione.
*
4. Rosa d’inverno
Il racconto di mia madre s’interruppe proprio quando ne ero
ormai schiava, smarrita tra ricordi che non erano miei, eppure mi parlavano con
la familiarità delle emozioni condivise.
– E poi?
Hermione si strinse nelle spalle. – E poi è storia nota. I
Mangiamorte irruppero a Hogwarts, ma trovarono ad attenderli l’Ordine al gran
completo. Piton esaudì l’ultimo desiderio di Silente e fu ingiustamente
calunniato. Ron ed io…
– … Avete combattuto al fianco di zio Harry. Lo so: io
parlavo di Draco!
Mia madre abbassò lo sguardo; era a disagio e si vedeva. In
un altro frangente avrei forse goduto del mio potere, ma non allora. Nel
silenzio riposava la verità che meritavo.
– Draco riparò con noi dai Weasley, ma non prese parte alla
ricerca dei Doni della Morte. Era terrorizzato al pensiero d’imbattersi in
Voldemort o nei suoi seguaci, e ci sarebbe stato solo d’impaccio.
– Io pensavo…
Hermione sorrise e mi accarezzò con gentilezza la guancia. –
Non puoi cambiare chi ami, Rosie; al più, sforzarti di somigliargli. Io volevo
combattere; Draco, vivere: era già scritto che non sarebbe durata.
– E quando…
– Vuoi sapere quando tutto finì tra noi?
Annuii. Negli occhi di mia madre c’era ancora la malinconia
di un sogno svanito troppo presto.
– Quando morì Dobby. Draco era sotto la protezione di Fleur e
Bill, a Villa Conchiglia. Aiutò Harry a seppellire il vecchio elfo di suo padre.
– E…
– E mentre lo guardavo scavare e sudare, lui, che era così
pallido e delicato, misi a fuoco la verità con cui non avevo accettato di
confrontarmi sino a quel momento: non era come noi. Non avrebbe commesso gli
errori di Lucius, ma non avrebbe nemmeno mai compreso perché Dobby meritasse una
tomba, o perché un Babbano valesse il disturbo di un amore. Mi voleva bene, ma
gli sfuggivo. Insieme non saremmo mai stati felici.
– Papà, invece?
Mia madre sorrise, e su quelle labbra c’era la storia che mi
avrebbe dato la vita. – Tuo padre sedette al mio fianco e mi porse un involto di
velluto. «Cos’è?» gli chiesi, con il naso che mi colava ancora. «La tua vecchia
Giratempo. L’ho presa prima di lasciare Hogwarts. Ho pensato che se l’avessi
riparata…».
– Papà voleva…
– … Consolarmi e farmi capire che sentiva con il mio cuore e
leggeva nei miei desideri. Se avessi avuto ancora una Giratempo utile, avrei
potuto ripetere il miracolo di Fierobecco. Ron sapeva che era troppo anche per
me, ma in quel gesto c’era più affetto di quel che meritavo.
Mia madre si asciugò furtiva le palpebre. – Poi la guerra
finì e Draco si ricongiunse ai genitori. Ci scrivemmo per qualche tempo, ma
sapevamo che erano gli ultimi grani della nostra clessidra. Ci sono amori che
durano una vita, altri che hanno una scadenza: basta accorgersene prima che
faccia male.
Fece una breve pausa, poi riprese.
– Nella sua ultima pergamena mi confidò che avrebbe sposato
la donna destinatagli da Lucius, Astoria Greengrass. «Non ho altra scelta»
scrisse. Non era mai stato bravo a farne. Tutto qui.
– È per questo che…
– Ron non è stato un ripiego, Rosie. Non pensarlo mai, –
disse con discreta secchezza. – Forse dovevo concedermi qualche deviazione, per
capire che l’amore può anche essere facile, quotidiano, persino banale, perché è
nelle piccole cose che ti metti davvero alla prova. Draco era stato il mio amore
in tempo di guerra; un amore romantico, drammatico e intenso, ma chi ho scelto
per la pace è Ron, perché è stato la mia pace.
Mi alzai, stirandomi come un gatto.
– Adesso hai capito perché tuo padre ce l’ha tanto con i
Malfoy?
– Perché ci vuole bene. Perché siamo sue.
Hermione sorrise. – Ottima risposta. Si vede che c’è molto di
Granger, là dentro.
– E di Weasley.
– Anche di Weasley, certo.
Oltre le finestre, densi e pastosi, cadevano ora grossi
fiocchi di neve.
– Quando contano di rientrare, quei due? – sospirò mia madre.
– Posso capire Hugo ma Ron non ha più l’età per dare la caccia agli gnomi, con
questo tempo!
Sogghignai tra me e spalancai la porta di casa. Un soffio
d’aria gelida ci investì, ma mi accorsi di non sentire freddo: il mio cuore era
al caldo e mi bastava.
– Rosie?
– Vado a chiamarli! – replicai, prima di correre fuori a
sfidare la neve, quasi fossi figlia di quel candore immacolato.
Come una rosa d’inverno.
Note: questa storia, in un certo qual modo, mi è stata
estorta. Mai, nei fatti, avrei pensato di scrivere un’altra Dramione, viste
le mie difficoltà con l’Ossimoro (sono masochista, ma fino a un certo
punto!) e, soprattutto, il mio interesse infimo o nullo per la coppia in
quanto coppia. Non ho mai fatto mistero di considerare tale pairing un
complicato esercizio narrativo per i maniaci dell’IC come la sottoscritta,
mentre di detestare cordialmente un fanon malato di ‘drafigaggine’ e
bashing scellerato su Ron (che io, beninteso, adoro).
Per tutte queste ragioni, insomma, continuo a non
considerarmi un’autrice di genere: sono una che ogni tanto scrive su
Harry Potter, sforzandosi di rispettare il canone originale e mettendoci del
suo. Gli orgogliosi proclami ‘di coppia’ li lascio ad altri.
Con queste premesse, com’è possibile che mi sia trovata nella
posta
questo invito?
Un bel mistero per Kazzenger, direi (ma tanto siamo
nel duemiladodici, no?).
Oltre alla sorpresa di scoprirmi inserita tra le autrici
‘Dramione’, accanto a nomi che, mi pare, sono da sempre legati alla coppia, tra
capo e collo mi è piovuto un
contest, ed io ho un pessimo rapporto con i contest (con l'idea, più di ogni altra cosa): non mi
piacciono, perché non vedo l’utilità di trasformare un hobby in una
competizione, e non mi piacciono perché non ho mai visto produrre in tali sedi
un giudizio che non fosse viziato da altro (la terzietà del giudice è già
un’utopia nelle aule di giustizia, figurarsi in una realtà ‘parrocchiale’ come
il fandom).
Allora perché questa storia? Perché il pacchetto-contest
conteneva un prompt bellissimo, ed io posso resistere a tutto, fuorché
all’ispirazione (nel mio caso, tale set: Una Giratempo difettosa //
Distillato della Morte Vivente (Pozione) // «Da quando i ricatti si chiamano
compromessi?»).
Dunque? Dunque ho deciso di cogliere l’occasione per scrivere
una nuova fanfiction, dedicata, ovviamente, allo staff di Collection of
Starlight, che ha pensato bene di pungolarmi con cotanto input, agli amanti
della coppia e a chiunque vorrà leggerla: non mi aspetto voti, ma che vi
divertiate! Questa è l’unica vittoria che m’interessa.