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Autore: Aya_Brea    03/01/2012    9 recensioni
"La figura alta ed imponente di Gin era ferma affianco al letto della piccola scienziata, teneva le mani infilate nelle tasche dell’impermeabile ed i suoi lunghi capelli d’oro seguivano la direzione del vento. Dal suo viso imperturbabile non trapelava alcuna emozione, ombreggiato com’era, dall’argentea luce lunare. I suoi occhi verdi brillavano come quelli di un felino."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mia cara Sherry
 





“I wish I had an angel
For one moment of love
I wish I had your angel tonight

Deep into a dying day
I took a step outside an innocent heart
Prepare to hate me fall when I may”


“This night will hurt you like never before”


(Wish i Had an Angel - Nightwish) 
 
 
Quella sera del 21 Dicembre era magica: I fiocchi di neve cadevano lenti e in poche ore avevano creato sul suolo freddo e duro, una coltre di soffice ovatta bianca. Il Natale era ormai alle porte, la tristezza svaniva via ed il cuore di Ai era stato riscaldato da un tenue tepore: finalmente poteva provare nuovamente quella sensazione data dal calore di una famiglia, e ciò, lo doveva a Conan, al Dottor Agasa.
Erano tutti e tre al ristorante e anche se non si trattava di una di quelle cene sontuose, stracolme di gente che gioca a carte, e piene di risate grasse, Ai era felice. Come non lo era mai stata. Chiacchieravano, mangiavano in tranquillità, a Conan bastò una semplice occhiata, un fugace scambio di sguardi, per notare negli occhi di lei, quel barlume di gioia che rendeva la serata ancor più speciale. Tutto perfetto. Tutto. Il ristorante, le persone, la tovaglia bianca con i grandi tovaglioli rossi, il profumo del vino bianco e del pesce. Non poteva desiderare di più.
“Professor Agasa, immagino che le costerà un occhio della testa!” Mormorò Ai, mentre si portava il tovagliolo alle labbra. Conan ridacchiò sotto i baffi.
“Questi sono i pregi dell’essere Conan!” Ribatté il piccoletto, mentre si stiracchiava, noncurante del rispetto del galateo. Agasa infatti, non mancò di ammonirlo con il solito cipiglio di uno zio premuroso. Ai sorrise lievemente e pensò che dopotutto, Shinichi avrà pur avuto il corpo di un diciassettenne, ma la forma con cui lo vedeva in quel momento, ne rispecchiava l’animo ancora fanciullesco.
L’atmosfera era serena e tranquilla, eppure vi erano certi momenti in cui il silenzio la avvolgeva come una bolla di sapone, si ritrovava a pensare; forse quella nostalgia che la attanagliava faceva parte del suo carattere, ma sapeva che dentro sé celava un atroce mistero, negli anfratti più reconditi e oscuri della sua psiche: un chiodo fisso che non l’abbandonava. Mai. Ma cercò di scacciar via quei brutti pensieri, con un sorrisino lieve.
“Voglio la frittura di pesce! E una fetta di limone!”  Esclamò, decisamente allegra, speranzosa che quel momento fosse soltanto passeggero.
“Si!” Gli occhi di Conan si illuminarono. “Cerca il cameriere Ai! Non lo vedo.” Borbottò, mentre spaziava con lo sguardo nella sala. “Eccolo lì! Cameriere!” Lo richiamò a gran voce, quasi in piedi, sulla sua sedia.
“Che maleducato.” Disse Ai, rassegnata. Ben presto giunse al loro tavolo il cameriere, il quale cominciò a dilungarsi nella descrizione meticolosa del menù, delle prelibatezze che offriva la casa.
“Risotto alla crema di scampi!” Conan leggeva con attenzione: sembrava davvero un bambino, dimostrava l’età esteriore del suo piccolo corpo.
“Dev’essere buonissimo! Ok, per me questo, per te, Ai?” La guardò: ebbe un sussulto appena incrociò i suoi occhi.
“Ai?!” La richiamò nuovamente, ma ella sembrava persa nei suoi pensieri, attratta da qualcosa, da qualcuno.
“Ai, che ti prende? Stai bene?” Il viso di lei era diventato così pallido, cinereo, gli occhietti vagamente spauriti.
Sbattè le palpebre per poi scuotere il capo. “S-sto bene. Stavo pensando scusami.”
‘Shiho, sta calma, l’avrai semplicemente immaginato. Non può essere. Calmati, ora.’ Ripetè mentalmente fra sé. Volse il capo verso il cameriere e proferì debolmente quel che aveva visto rapidamente dal menù: a dir la verità non ci aveva neanche pensato, erano i primi piatti che le erano saltati agli occhi. “D’accordo signorina, e da bere?”
Ai non rispose, abbassò il capo: aveva i brividi, cercò con tutte le sue forze di reprimerli. Quel comportamento così ambiguo non fece altro che aumentare i sospetti che si insinuavano nella mente del Detective. “Ai, ma sei sicura di stare bene?!” In un gesto affettuoso le portò una mano sulla spalla, ma appena l’ebbe sfiorata, Ai gli afferrò il polso con subitanea veemenza. “Non toccarmi, Shinichi. Sto… sto bene.” Annuì, poi lo guardò negli occhi, attraverso le lenti degli occhiali da vista.
Aveva decisamente esagerato, così cercò di stemperare quell’eccesso d’ira con una risata. “Scherzavo. Ma si che sto bene. Ho un po’… di freddo.” Ammise. Così, la serata poté procedere.
I tre continuarono a mangiare a parlare del più e del meno, Ai sembrava essersi ripresa, poiché probabilmente aveva semplicemente immaginato quel che aveva visto. “Me la sto facendo sotto!!!” Esclamò Conan, poi balzò giù dalla sedia e rise. “Scusami Ai, è urgente! Finiremo dopo il discorso.” La ragazzina sbuffò. “Sempre il solito.” Constatò.
Alzò lo sguardo per seguire il piccolo che si dirigeva in fondo alla sala e così li vide chiaramente. Non era una semplice allucinazione: il suo incubo più grande era lì, a pochi tavoli dal loro, insieme al suo braccio destro.
Gin e Vodka.
I due membri dell’organizzazione, erano nella sua stessa sala, respiravano la sua stessa aria.
Schiuse le labbra e cercò di deglutire, mandando giù la saliva: ma non vi riuscì. Sentì un nodo alla gola e il cuore balzarle fuori dal petto, stretto nella morsa della paura. Era rimasta come pietrificata, con gli occhi sbarrati.
Quando i loro sguardi si incrociarono e Gin piantò gli occhi nei suoi, ella ebbe un moto di sgomento, un brivido gelido lungo la schiena. Era come se lo ricordava: dai tratti del viso spigolosi, a volte più morbidi, gli occhi glaciali in un misto fra verde ed azzurro, i lunghi capelli biondi e quei ciuffi che spuntavano al di sotto del capello nero. Immancabile, il suo lungo impermeabile dello stesso colore della notte.
Quei secondi sembrarono durare un’eternità, in un istante sospeso, quasi in bilico fra la vita e la morte, fra la realtà e l’immaginazione. Gin non le tolse gli occhi di dosso, Ai non poteva distogliere lo sguardo, ma lo vide, lo sentì mentre si schiariva la voce e con un gesto molto disinvolto tirò fuori dalla tasca del giubbotto un pacchetto di sigarette, ne sfilò una con fare elegante e dopodiché se la portò alle labbra. Mentre la accendeva con gusto, con una lentezza quasi estenuante, finalmente diede tregua alla piccola Ai, la quale si morse appena il labbro e cominciò a stringere i pugni, sotto al tavolo: il Dottor Agasa non si era accorto di nulla.
‘Shiho. Per la miseria, sta calma! STA CALMA! E’ una coincidenza, una maledetta coincidenza. Non può farti del male, c’è Il Dottor Agasa e c’è Conan e…!’ Dio. Di nuovo. Non poté far a meno di sollevare nuovamente lo sguardo verso quell’uomo: sembrava che ci fossero soltanto loro due, lì dentro.
Gin aveva ripreso a fissarla insistentemente, si mise comodo sulla sua sedia, fumava la sua sigaretta e di tanto in tanto sbuffava del fumo. Ai pensò semplicemente che il suo sguardo era terribilmente freddo, gelido. Aveva quasi paura che riuscisse a spogliarla di tutte le sue protezioni, della sua corazza, che le stesse leggendo la mente. Vodka si avvicinò all’orecchio di Gin e bisbigliò qualcosa, e di tutta risposta il biondo alzò le sopracciglia, poi annuì. Dopo quelle parole, entrambi si alzarono senza destare alcun sospetto; rapidi e fugaci come lo erano stati inizialmente, si dileguarono con la stessa rapidità e soavità di un gatto randagio.
Quando Conan tornò a tavola, non poté fare a meno di notare che la piccola Haibara si teneva le mani contro le labbra, impietrita.
 




“ È  l’ora notturna in cui affascinano le malie,  quando i cimiteri sbadigliano e l’inferno soffia il suo contagio sul mondo. Ora potrei bere sangue caldo.”  (Shakespeare “Hamlet”)
 



 
Una volta giunta a casa, Ai tirò un sospiro di sollievo. La sensazione dell’essere finalmente in camera, le infuse sicurezza, i pensieri sembravano ora ben distinti gli uni dagli altri, ovattati nell’esser soltanto ricordi, anche se recenti. Non sapeva come definire quella serata, ma quel che la faceva sentire davvero male, era stato il suo silenzio: Conan aveva insistito con la sua consueta gentilezza, eppure non le aveva estorto proprio nulla. Le sue labbra erano rimaste vergini, poiché in ogni istante in cui pareva aver riacquistato le forze, le parole le si strozzavano in gola, contorcendole le viscere. Quelle parole non dette, quei sentimenti sottaciuti, bruciavano più di qualsiasi altra fiamma, le facevano male. Aveva mentito. Non soltanto al giovane detective, ma anche a se stessa.
Perché Gin era lì? Cercava lei? O forse Shinichi? Dalla finestra aperta entravano delle folate di vento gelido, Ai si affrettò a raggiungere le ante e le chiuse con un gesto secco e rapido: calò il silenzio più assoluto. Sapeva che non sarebbe riuscita a dormire senza il monotono sottofondo della televisione, così la accese distrattamente e si fermò sul canale dove davano il solito notiziario della notte. Si trascinò con sonnolenza verso il letto e in pochi secondi fu immersa nel calore del piumone invernale; afferrò i lembi della coperta, tanto da nascondervi anche la testolina. Dovette rigirarsi più volte, prima di trovare la posizione più comoda.
“La notizia è giunta soltanto da pochi minuti in studio, ma pare che le tracce della scia di sangue che da ben due mesi terrorizzano la città, abbiano ripreso il loro corso. Nei pressi della zona del Green Side Park, venti colpi di una Calibro 9 hanno risuonato in una violenta sparatoria. Testimoni oculari affermano di aver riconosciuto due uomini in impermeabile nero, dileguatisi a bordo di una Porsche vecchio stile. Al momento non vi sono congett-“
Ai sgattaiolò fuori dalle lenzuola in un batter d’occhio, afferrò il telecomando con entrambe le mani per alzare il volume ma improvvisamente lo schermo emise un lieve sfarfallio, una sorta di sfrigolio, e si spense. In concomitanza con ciò, Ai sentì chiaramente degli allarmi risuonare lontani, il suono del generatore di corrente che si affievoliva progressivamente. Un Black Out. Il buio. L’oscurità. Era sola, Conan e il dottor Agasa dormivano cullati nel loro sonno profondo, al piano terra.
Aveva paura, rimase immobilizzata sopra le coperte, in parte riverse a terra, ma stava cominciando ad avere freddo. ‘Doveva capitare proprio ora? Non si vede niente! Non c’è neanche la luce della luna.
'Quei due erano Gin e Vodka. Ne sono sicura. Il Green Side Park… sono qui!’ Si morse le labbra: avrebbe tanto desiderato un pizzico di coraggio in più, già nella sua mente si prefigurava la sua corsa giù per le scale, le parole di Shinichi, un suo sorriso rassicurante… Eppure non poteva mostrarsi così debole e fifona ai suoi occhi: Ai doveva mantenere quel suo atteggiamento integerrimo e freddo, pacato ma cinico, misurato.
Il cuore le batteva talmente forte da farle mancare il fiato, giurò di non aver mai provato tanta ansia in vita sua, specialmente se ripensava a quei due che erano liberi di scorrazzare per la città, con la loro stramaledetta Porsche nera. Inspirò. E deglutì. “Oddio.” Trasecolò: c’era un profumo strano nella sua stanza. Quello fu il momento cruciale: aveva capito tutto.
Balzò come un animaletto spaventato giù dal letto, per la furia di correre via diede una violenta botta contro lo spigolo della scrivania vicino alla porta, annaspava e con le braccia procedeva a tastoni, brancolava nel buio più orrido della sua esistenza. Afferrò con violenza la maniglia della porta, dopo averla cercata a lungo, ma con suo tremendo sgomento, comprese che era chiusa.
Era in trappola, era la preda, e Lui, il predatore. Sentì una mano agguantarla con violenza, Ai cercò di lanciare un urlo disperato ma sentì un’altra mano premerle le labbra con forza.
“Game Over Sherry. Il gioco è finito.” Proferì Gin in un sussurro, con tono tagliente. “Ed è finito male.” Aggiunse, poi.
La ragazza sentì le sue mani fredde, le percepì come prive di qualsiasi calore che si potesse definire umano, mani che non avrebbero mai e poi mai offerto un gesto gentile. E infatti ne percepì soltanto la violenza, la presa salda e decisa. Era come paralizzata, il suo corpo tremava come una foglia, le gambe cedevano, se non fosse stato per Gin, sarebbe crollata a terra. L’uomo alle sue spalle le puntò la pistola alla testa, facendola scorrere lungo il suo viso, poi premette la canna dell’arma contro la tempia di Ai. La ragazza reagì soltanto pochi istanti più tardi, quando finalmente riuscì a metabolizzare il pericolo: l’istinto di sopravvivenza avrebbe vinto sulla paura. Cominciò a dimenarsi, in un vano, ma energico tentativo di scrollarselo di dosso. “Sta’ buona, dannazione.” Ai deglutì.
‘Cosa vuoi ancora da me Gin? Hai avuto tutto, ti prego. Lasciami vivere. Ti prego.’ I suoi pensieri erano stranamente supplichevoli e convulsi. Sapeva che con quel biondo non si scherzava e che se avesse voluto farla fuori, non avrebbe esitato.
Sentì ancora il sussurro di lui, a denti stretti. “Sta’ ferma o giuro che ti faccio esplodere le cervella.” Soggiunse poi, con un tono più severo, tanto che la piccola dovette placarsi.
“Cara Sherry. Pregustavo da tempo questo momento; da quando fuggisti dall’Organizzazione. Eri così perspicace ed intelligente.. il diamante di cui vantarsi, la gemma preziosa fra tutti noi. Eppure.” Ai rabbrividì, nel sentire la canna fredda della sua arma spingerle la tempia. “Eppure sei scappata.” Gin le strinse la guancia, con la stessa mano con cui le impediva di urlare. “Ora pagherai per tutto quanto.” Fu solenne. Lei sentì il cuore battere all’impazzata, quando finalmente quell’atmosfera così cupa e tesa fu rotta dalla voce lontana di Conan.
‘Shinichi!’ La sua salvezza! Quella voce fu come una rinascita per lei, tanto che i suoi occhi si illuminarono, si riempirono di una luce di speranza e racimolò, così, le forze per cercare nuovamente di sfuggire dalle grinfie di Gin. “Maledizione, quel piccolo moccioso.” Borbottò. Finalmente lasciò la presa.
“Sherry, non credere di aver salva la pellaccia.”
Ai si lanciò contro la porta e prese a battere con i pugni su di essa, incessantemente. “Shinichi!” Urlava. “Aiuto!”
In quel preciso frangente, mentre Conan saliva le scale rapidamente, il suono del generatore proruppe fra le grida di lei, la luce del televisore rischiarò nuovamente la stanza; quando la piccola volse il capo, scorse la figura fiera di Gin, nel suo impermeabile nero, i suoi lunghi e fluenti capelli biondi agitati dal vento freddo che proveniva dalla finestra.
Avanzò di qualche passo verso di lei e quando le fu abbastanza vicino, i loro sguardi si incontrarono nuovamente. “Sherry. Sei una bambina cattiva.” Ma il suo tono le sembrò stranamente sereno, quasi dolce.
Gin approfittò di quel momento in cui l’aveva destabilizzata e con il calcio della pistola le sferrò un violento colpo alla testa. Ai crollò a terra, con le poche forze che le rimanevano, lo vide correre verso la finestra e spiccare un balzo.
Poi, il nulla.
Completamente buio.
  
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