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Autore: ArtemisiaSando    03/01/2012    2 recensioni
Credo sia la prima fanfiction ispirata alla serie videoludica Uncharted :) La storia che voglio presentare parla del fortuito incontro tra un giovane Victor Sullivan e la cantante di un bar in una città appena devastata dalla guerra.
Nascerà immediatamente qualcosa tra i due personaggi, che pure si vedranno costretti ad affrontare ciascuno i propri demoni personali per poter costruire una relazione. Il passato della ragazza ed il "lavoro" di Sully riusciranno forse a minare la loro amicizia...
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

Per la prima volta da quando aveva cominciato il lavoro, Victor Sullivan decise di prendersi una pausa, una delle sue: ovvero qualcosa che prevedesse un bicchiere di scotch e un sigaro, qualsiasi bettola sarebbe andata più che bene.

Infondo la città non era poi così male, considerando che le terre di confine erano ancora martoriate dalla guerra recente. Junon sembrava ancora conservare quel fascino discreto di cittadina di provincia che le permetteva di non annegare completamente nel marciume e nell’illegalità che la guerra aveva portato con sé.

La gente era ancora infelice e povera, ma qua e là c’era chi tentava di riprendersi e di certo i bar del sobborgo erano l’attività più redditizia. Erano frequentati da gentaglia d’ogni tipo, militari disertori compresi, ma Sully non era un tipo schizzinoso e se qualcuno aveva intenzione di rompergli le uova nel paniere quella sera avrebbe trovato ciò che gli spettava.

 

Entrò da una porticina consunta all’angolo di un palazzo. Sembrava di discendere agli inferi tanto erano angusti i maledetti scalini, ma di certo pareva quello meno mal frequentato data la scarsità di loschi ceffi all’entrata. L’odore di fumo nella fastidiosa penombra era forte, ma non quanto si sarebbe aspettato e non si pentì della scelta considerando l’opzione di fumarsi un sigaro in santa pace. Un vago sentore di benzina da quattro soldi riempiva l’aria, ma, a parte il tintinnio di bicchieri e bottiglie, regnava uno strano silenzio.

Si diresse immediatamente verso il bancone, curandosi bene di non guardare in faccia nessuno, non era mai prudente in posti come quello. Il barista era un individuo magro e slavato, non molto più giovane di lui, e pareva estremamente infastidito dal dover asciugare bicchieri su bicchieri.

Ordinò uno scotch senza ghiaccio, ma dubitò seriamente che fosse anche solo lontanamente il migliore che avevano, nonostante questo per una volta non protestò, voleva solo starsene una serata tranquillo, senza che qualche stronzo gli puntasse addosso una pistola o cercasse di fregarlo.

Solo quando si fu sistemato sullo sgabello che, a occhio, avrebbe sostenuto bene il suo peso, si voltò verso l’estremità opposta della stanza notando che addossato alla parete si trovava un cencioso palchetto. Ciò che lo stupì davvero fu ciò che sopra vi si trovava: nella tenue penombra, illuminata a giorno solamente in quell’angolo di stanza, individuò una ragazza.

Strizzò appena gli occhi azzurro mare per vederla meglio e quasi si rovesciò addosso tutto il bicchiere, che gli fosse venuto un colpo se in piedi su quel palco non c’era la ragazza più bella che avesse mai camminato sulla terra! Non era certo il genere di donna che di solito aveva occupato il suo letto, ma non c’era nulla da obbiettare a quella sua paralizzante bellezza.

Il delicato vestito bianco fasciava un corpo esile che pure avrebbe fatto invidia a qualsiasi modella da copertina, con quei fianchi stretti e sinuosi, il seno generoso, le gambe candide e tornite. La osservò come uno scolaretto fino a che la ragazza non ebbe alzato il viso, guardando apparentemente dalla sua parte e il cuore sembrò schizzargli in gola per un lungo istante. Su quel viso dolce e gentile, circondato dai lunghissimi e lisci capelli mogano ramato, si apriva un sorriso degno di una dea della primavera tra le labbra piene di un tenue color pesca.

Solo quando la sconosciuta posò gli occhi grandi e profondi distrattamente su di lui, Sully poté notare l’oro puro in cui navigavano le sue pupille, iridi che brillavano alla luce degli sgangherati riflettori come pietre di rara bellezza. Victor gracchiò un istintivo sorriso quando si accorse di aver trovato un tesoro d’immenso valore proprio in quella squallida bettola.

La osservò ancora un istante senza la minima idea di che cosa ci facesse in un posto come quello, fino a che la ragazza cominciò ad intonare una canzone. Non gli sembrò affatto strana la mancanza di un accompagnamento, nonostante di musica non ne capisse un accidente, poteva di sicuro affermare di non aver mai ascoltato niente di simile.

Improvvisamente capì il perché del silenzio al suo arrivo, la ragazza doveva lavorare lì ogni sera e chiunque in quella stanza aveva aspettato di sentirne la voce in religioso mutismo.

 

Estel conosceva ormai ogni canzone talmente a memoria che cantare non le recava il benché minimo disturbo o impegno, così poteva guardare attentamente chiunque nella sala. Nonostante tutto la gente ancora la incuriosiva, riusciva a ferirsi così a fondo da radere al suolo città, spezzare vite e famiglie eppure c’era chi era ancora là per lei, commuovendosi a sentirla cantare.

La clientela era di solito abituale, più che altro ex militari ritrovatisi senza lavoro dopo la fine della guerra, persone sole al mondo, mariti infedeli e gentaglia di qualsiasi specie, che si inventava i mestieri più sgradevoli pur di uscire dalla povertà. Quella sera però c’era una faccia nuova proprio davanti al bancone, lo strano individuo non sembrava essere afflitto dagli stessi problemi che tormentavano gli altri, anzi, aveva un cauto sorriso sulle labbra sottili ad illuminare gli impavidi occhi azzurri.

Sorriso a cui Estel si sentì istintivamente di rispondere: rispetto agli altri clienti del locale era dotato di una bellezza virile e spavalda, che si rifletteva nel viso squadrato dai lineamenti gentili e rassicuranti. Non doveva avere più di trenta o trentacinque anni, ma a June sembrò stranamente maturo, come se la sapesse più lunga di quanto non desse a vedere in realtà. I capelli castani erano compostamente tirati indietro sulle tempie se non per un corto ciuffo scomposto sulla fronte, la barba sembrava volutamente non rasata di qualche giorno contrapponendosi ai baffi leggermente più lunghi.

Era davvero alto e il corpo piazzato e muscoloso traspariva dai pantaloni beige e dalla camicia verde chiaro aperta sul petto. Lo fissò tanto intensamente che si sentì sussultare quando, sul finire della canzone, l’uomo allargò il proprio sorriso per lei.

 

Con un guizzo degli occhi d’oro la ragazza distolse lo sguardo arrossendo e Sully capì di essere cotto, posò distrattamente il bicchiere sul bancone lanciandole un ultimo, furbo, sorriso.

- Amico, sai chi è la ragazza?- si rivolse allo svogliato barista, quando la melodia si fu spenta:- Non sei il primo e non sarai l’ultimo a volerlo sapere, “amico”. Non voglio problemi con la mia cantante, quindi tutto ciò che devi sapere è che si è presentata qui tre giorni fa. Non ho idea di chi sia, né da dove venga, ma ho il forte sospetto che sia una vagabonda, però è bella, sa cantare e questo è quanto.- rispose acido facendo sorridere Sully, aveva già promesso a se stesso una pausa e da quell’idiota non avrebbe ottenuto che i vaneggiamenti di un meschino, perciò si rassegnò a godersi il resto della serata.

La sconosciuta cantò ancora diverse canzoni, fino a che fu abbastanza tardi per il proprietario per accennarle con un gesto che poteva andare. Ringraziò fugacemente gli avventori e voltò loro le spalle uscendo dalla porta di servizio, Victor, colto di sorpresa, ricevette da lei un ultimo timido sguardo, ma non poté seguirla dato che il barista lo teneva strettamente sotto controllo. La lasciò andare a malincuore, sperando di ritrovarla il giorno seguente e pensando ad una tattica per avvicinarsi a lei, almeno per sapere il nome della ragazza che, con un solo sguardo, aveva tenuto una notte intera in scacco il suo cuore.

   
 
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