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Autore: speranza19    04/01/2012    6 recensioni
“Forse ho solo bisogno di potermi sfogare con qualcuno come me, che possa capirmi fino in fondo e che mi ascolti senza giudicare”- aggiunse amaro, increspando le labbra all’insù con un movimento leggero ed elegante.
Dave rimase congelato nella sua posizione.
Non era andato dalla Jones, non si era precipitato dalla Berry a raccontare tutto.
Kurt era andato dritto dritto da lui, attraversando mezza Lima in condizioni non lucide, per sfogarsi sulla cosa peggiore mai capitatagli nell’intera esistenza.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dave Karofsky, Kurt Hummel | Coppie: Dave/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And maybe someday we will meet and maybe talk and not just speak

Dave era a pezzi quel pomeriggio.

L’allenamento con la sua nuova squadra di football era stato massacrante e si sentiva ancora indolenzito un po’ ovunque, nonostante la doccia calda di mezz’ora prima gli avesse sciolto i nervi e la tensione accumulata.

Si vedeva ancora come un corpo estraneo alla Carmel, dopo mesi che si era trasferito lì.

Forse perché al McKinley aveva abbandonato qualsiasi cosa per lui avesse mai contato: il suo amato corso di algebra avanzata col professor Stark, un team vincitore uscente del campionato studentesco, l’amicizia fraterna con Azimio, Kurt. 

E ogni volta che faceva quei pensieri, la sua mente ripeteva sempre le stesse cose: inutile piangere sul latte versato, andarsene è stata la scelta migliore per evitare i pettegolezzi, dedicati al tuo futuro e al college.

E mentre si concentrava su quel vago ritornello dalla cadenza mesta, alzò gli occhi.

Vide un cielo terso, senza una sola nuvola a macchiarlo.

Sereno, limpido: come una tavola azzurra perfettamente liscia.

Dave si sentì contagiato da quella tranquillità così oltre i suoi problemi di tutti i giorni, così oltre i suoi rimpianti e inspirò a pieni polmoni l’aria che lo circondava.

Provò uno strano calore al petto e udì lo stomaco rilassarsi dalla morsa in cui si era stretto.

Poi, lo sguardo si diresse verso la sua macchina parcheggiata fuori, nel cortile; un ammasso nero di vecchia ferraglia chiamato Ford che amava con tutto se stesso.

E intravide qualcosa di strano nelle sue vicinanze.

Una persona, che stava appoggiata alla sua portiera di schiena, come in attesa.

Dave strabuzzò le pupille, come a voler migliorare la propria vista e intendere chi fosse il soggetto in questione.

Quando vide dei capelli castani sistemati in un’alta acconciatura impomatata e capì a chi appartenevano, sentì il ventre ridursi a un pugno che gli torturava la carne e il sangue bruciargli nelle vene come se fosse stato ghiaccio liquefatto.

Il respiro gli si spezzò e Dave sentì una lastra di marmo pesante tonnellate precipitargli su tutto il corpo, schiacciandogli il cervello, i neuroni o qualsiasi altra cosa avesse mai avuto dentro la testa.

Decise di calmarsi mentre, a lunghi passi, si accostava alla figura misteriosa, e di impedire alla propria voce di tremare pericolosamente non appena avesse aperto bocca.

“Come facevi a sapere che era questa la mia auto?”- chiese con gentilezza a Kurt, il tono di voce fermo e sicuro.

Dave esultò interiormente a quella piccola prova della sua forza, ma intanto si stava già formando un groviglio di sensazioni e di domande dentro di lui complicato da districare.

Due occhi color acquamarina lo squadrarono da capo a piedi e, rispondendo allo sguardo con un risolino fiacco, notò che erano gonfi e arrossati.

Uno spesso gomitolo di questioni si posizionò immediatamente sul suo petto, come se fosse stato composto da quintali.

“Ho chiesto ai tuoi nuovi compagni di squadra di indicarmela”- gli replicò flebilmente Kurt. Sembrava fosse sul punto di rompersi in mille pezzi, da un momento all’altro.

Dave sentì il terreno mancargli sotto i piedi quando afferrò che qualcosa di grave doveva essere successa per forza a quello scricciolo che aveva così tanto vicino da riuscire a percepire la sua stessa disperazione entrargli in circolo. 

Allarmato come mai prima di quel momento, aprì la macchina, si sistemò dentro e fece cenno a Kurt di spalancare la portella ed entrare.

Non appena si sedette sul sedile del passeggero, Dave percepì il silenzio calare come una fitta coltre su entrambi.

Un silenzio strano, fatto di paura ed imbarazzo.

Ma che era decisamente inutile mantenere.

 “Come mai sei qui? Cosa è successo?”- gli domandò, il cuore tremante e incandescente ficcato su per la gola. Quelle fiamme gli rendevano difficile persino ragionare lucidamente, o anche solo inspirare ed espirare come un normale essere umano.

Kurt lo guardò, intensamente, per una manciata di secondi e l’atleta vide dipingersi sul suo viso un’espressione incredula e malinconica.

“Blaine mi ha lasciato per un altro”- gli disse semplicemente, prima di scoppiare in un pianto affranto che lo fece accartocciare su se stesso come una palla di carta e che gli rimbombò negli occhi e nelle orecchie.

Assistere a tutte quelle lacrime copiose fu la cosa più straziante da vedere per Dave, che pure si considerava da sempre un duro assolutamente insensibile ai piagnistei di ogni tipo.

Ma con Kurt era tutto diverso, lo era stato dal primo istante in cui l’aveva visto camminare per i corridoi del McKinley anni prima. Tutto troppo amplificato dentro di lui per non scatenargli delle emozioni che non faticava a cogliere la maggior parte delle volte.

Dave rimase incredulo, bloccato sul posto per parecchi secondi prima di riuscire ad agire con naturalezza.

Tirò fuori un pacchetto di kleenex dal cassetto accanto al cruscotto e ne porse rapido uno a Kurt, improvvisamente intimidito e intontito da tutto quel dolore che gli stava entrando nella pelle e nelle ossa.

“Mi-mi dispiace”- bofonchiò imbarazzato e mortificato.

Era nel panico: non sapeva cosa dire, cosa fare, come muoversi in quel pantano. Era come se avesse davanti una rosa dai petali di cristallo: una mossa sbagliata e tutto sarebbe andato distrutto in modo irreparabile.

Poi, iniziò a ragionare sulla frase di Kurt con razionalità.

Era stato appena mollato.

Una parte di sé esultò per il fatto che Blaine si fosse finalmente tolto di mezzo -non era mai stato all’altezza di uno come Kurt, lo sapeva dall’inizio-, un’altra, ben più grande, soffriva per quelle per quelle ferite che gli erano state inferte e che non meritava affatto.

“Non so nemmeno perché sono qui. Me l’ha detto, sono scappato via, sono salito in macchina tra le lacrime e sono venuto qui senza neanche rendermene conto”- sussurrò tra i singhiozzi mentre fissava Dave, ancora incredulo e sconvolto.

“Forse ho solo bisogno di potermi sfogare con qualcuno come me, che possa capirmi fino in fondo e che mi ascolti senza giudicare”- aggiunse amaro, increspando le labbra all’insù con un movimento leggero ed elegante.

Dave rimase congelato nella sua posizione.

Non era andato dalla Jones, non si era precipitato dalla Berry a raccontare tutto.

Kurt era andato dritto dritto da lui, attraversando mezza Lima in condizioni non lucide, per sfogarsi sulla cosa peggiore mai capitatagli nell’intera esistenza.

Qualcosa di indecifrabile gli si schiantò nel torace quando elaborò il tutto.

 “Ti va di raccontarmi cosa è successo?”- gli chiese gentilmente. Non per curiosità o per avere un’ulteriore spinta a uccidere nel modo più doloroso possibile quel nano da giardino ingellato e pieno di sé che aveva appena spezzato il cuore alla persona che più di tutte valeva per lui.

Solo per ascoltarlo e per calmarlo.

Kurt gli narrò tutto per filo e per segno: l’allontanamento graduale di Blaine dopo aver conosciuto Sebastian- che poi collegò al ragazzo alto e biondo che ballava con il piccoletto allo Scandals e che conosceva vagamente di vista-, le bugie che intuiva gli venissero raccontate ma su cui chiudeva sistematicamente gli occhi per paura di perderlo, i timori divenuti realtà quando gli era stata confessata la verità.

E Dave lo seguì, con pazienza ed attenzione.

Gli avrebbe dato ascolto anche per giorni interi di fila, se gli fosse servito a qualcosa.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché Kurt potesse stare un po’ meglio.

Mentre parlavano, gli passò ogni singolo fazzoletto, gli tolse addirittura dalle dita prive di presa quelli che ormai aveva ridotto a brandelli e analizzò ogni sua frase nel tentativo di mettere assieme i pezzi e avere il quadro completo della situazione, cercando di porgli le domande nel modo più delicato possibile, per evitare di portargli inavvertitamente a galla ricordi troppo freschi e penosi o troppo lontani e felici.

Mentre gli raccontava come era stato lasciato -Blaine lo aveva invitato a casa e glielo aveva confessato senza tanti giri di parole, implorando il suo perdono e sperando che un giorno avrebbero potuto tornare a essere amici e a volersi bene-, Kurt riprese a piangere senza nemmeno rendersi conto che il fiume di lacrime era tornato a versarsi sulle sue guance, addirittura gocciolando sul mento e arrivando a bagnargli il collo scoperto.

A quel punto, Dave non ce la fece più: lo avvicinò a sé e lo strinse con delicatezza per consolarlo.

Senza insistere, senza premere i loro corpi in alcun modo.

Chiuse le palpebre, lasciò che Kurt gli aderisse addosso e che gli inzuppasse la polo aperta sotto la zip vecchia e scolorita delle esercitazioni.

Dave vide solo la schiena curva scossa dai singulti e sentì la lacca proveniente dai capelli splendidamente acconciati invadergli le narici.

Era completo, in quell’esatto momento.

Kurt era all’inferno, mentre lui era proiettato in paradiso.

E si sentì in colpa, quasi come se si stesse approfittando della debolezza di Kurt per ottenere quel contatto. Eppure, era sicuro che tutto ciò di cui necessitava era un semplice abbraccio; forse quello l’avrebbe finalmente fatto stare meglio.

Alzò una mano in aria, indeciso se poggiarla o meno sulle spalle dell’altro, e rimase a quel modo assurdo e malagevole per quasi un minuto.

Poi, l’appoggiò sul cappottino super chic e super costoso di velluto di Kurt e permise alle sue dita così grandi di strisciare lungo tutta quella superficie, incamerandone ogni curva e ogni movimento.

Si impressionò quasi nel confrontare l’enormità delle sue mani rispetto quella schiena così piccola e magra, così apparentemente fragile, che in quel momento stava reggendo un fardello non facile da trasportare, ma che col tempo si sarebbe alleggerito.

Percepì, a poco a poco, Kurt calmarsi grazie a quel contatto e i singhiozzi diventare sempre più rari.

Anche i respiri iniziarono a regolarizzarsi, e assieme a quelli anche il suo battito cardiaco, impazzito da quando aveva realizzato che Kurt gli era stretto come mai prima d’allora e che poteva avvertire la sua pelle sotto il suo tocco.

“Ti senti un po’ meglio?”- gli sussurrò Dave nell’orecchio, fasciandolo ancora di più e sentendo con precisione che la stretta veniva ricambiata, quasi come se Kurt si stesse aggrappando a lui per non cadere, per non cedere.

Ad ogni modo, si riteneva stupido, impacciato in quell’istante e si augurava solo di non fare più danni che il resto.

Dopo qualche tempo, bloccati in quell’abbraccio scomodo eppure naturale, Kurt si staccò con lentezza da lui, si mise più confortevolmente sul suo sedile e lo guardò negli occhi, continuando a stringergli la mano che lo aveva accarezzato.

Annuì con semplicità alla domanda di Dave, mentre si tirava su il naso otturato dai pianti.

“Sì, mi sento un pochino meglio. Non sono più agitato come prima”- enunciò debolmente, ma con gli occhi un po’ meno spenti di prima e la voce più stabile.

Dave gli sorrise e scosse anche lui la testa, con grande sincerità e con una microscopica punta di felicità malcelata.

 Si sentì fiero di aver fatto finalmente qualcosa di buono per lui, specie in quel frangente così triste.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa per Kurt Hummel, ne era dannatamente certo.

Kurt fissò l’orologio sistemato sul polso sottile e quasi sobbalzò, spalancando le palpebre. Evidentemente si era fatto tardi per lui, anche perché il sole era ormai tramontato e tutto attorno a loro si era trasformato in nero, grigio e violetto.

“Dave, posso tornare a trovarti?”- gli domandò dolcemente, asciugandosi una lacrima che si era formata e che non aveva intenzione scendesse nuovamente sul suo volto esausto. Pronunciò quella richiesta come se la presenza di Dave, il suo ascoltarlo silenzioso e rispettoso gli avessero trasmesso la sicurezza che gli scarseggiava in quel momento.

Come se fossero diventati un appoggio per lui imprescindibile.

L’unica cosa che Dave riuscì a fare quando riuscì a connettere la frase al suo soggetto -cioè, incredibilmente, lui- fu solo scuotere il capo.

“Certo, Kurt, quando vuoi”- gli replicò poi finalmente. Avrebbe voluto darsi un pizzicotto per capire che era vivo, o che almeno non stava sognando bellamente il tutto.

Kurt sorrise così largamente che apparvero delle fossette ai lati delle sue labbra, mentre sciolse la mano dalla presa con Dave, iniziando a ricomporsi e a darsi una sistemata allo specchietto che aveva abbassato davanti a sé.

Afferrò poi la cartella coi libri che aveva gettato ai suoi piedi entrato in macchina e si voltò a osservare Dave con lo sguardo più carico di gratitudine che l’altro avesse mai visto in tutta la sua esistenza.

“Allora ci vediamo presto. Non so veramente come poterti ringraziare”- gli mormorò prima di soffiargli un minuscolo bacio sulla guancia e aprire la portella della macchina, pronto a sgusciare via, lontano.

Dave sentì il fresco della sera in avvicinamento entrare nell’abitacolo della macchina e incollarglisi addosso come una pellicola trasparente; il vuoto che gli si formò a velocità inconsulta dentro lo informò che avrebbe incominciato a sentire la mancanza di Kurt prima ancora che se ne andasse.

“Mi raccomando, per qualsiasi cosa, ci sono per te, ok?”- gli ricordò prima che gli si dileguasse tra le dita come polvere portata via dal vento.

Come se ci fosse ancora stato bisogno di sottolineare che si sarebbe scapicollato ovunque per lui, pronto a raccogliere ogni sua scheggia se avesse minacciato di crollare ancora.

Il cuore gli diventò un nodo gigantesco al pensiero di quanto tempo avrebbe impiegato Kurt a superare tutto, al tempo che avrebbe impiegato nel lasciarsi ogni brutta cosa accaduta scivolare via addosso, al tempo che avrebbe impiegato nel rimettersi finalmente in piedi, pronto a vivere di nuovo.

“Lo so, lo so”- gli rispose disteso -esattamente come aveva fatto a lezione di francese un’eternità addietro- prima di scomparire dietro il vetro della portiera e avviarsi verso la sua automobile, avviluppato nella penombra.

***

Dio, quanto vorrei vedere una scena del genere in Glee... ma siccome gli autori sono dei fessi, mi rassegno e ci scrivo su una os senza alcuna pretesa.

Metà, it's all for you <3

  
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