È la prima volta che
scrivo in questo fandom, per cui siate clementi e perdonatemi se, a volte, i
personaggi vi appariranno diversi da come sono, non sono pratica dei loro
comportamenti ‘reali’.
Qui raccoglierò
diverse one-shot, avevo in mente di dar ad ognuna di loro un filo logico con
quella precedente, ma vedremo come le cose si evolveranno.
Per il resto, buona lettura.
Malù.
Scelga
la morte che le è più congeniale.
(Facendo
l’amore.)
Mi
sarebbe piaciuto raccontarvi di loro con un inizio diverso e più distante, ma
via di fuga o di scelta mi era impossibile, forse improbabile. Ho riposto
nell'arcaica e soddisfacente ispirazione tutto ciò che la ragione mi impediva
di assecondare, rinunciando ad una possibile emancipazione. Vi spiegherò,
probabilmente, attraverso interrogativi.
Avete
mai provato a giocare a scacchi sulle pendici di una cascata gelata? Magari, in
Svizzera. Possibilmente, con una spalla lesionata.
No?
Allora
provate a poggiare i pensieri in una culla di stelle. Io sono qui per
mostrarvele. Con insana fantasia e una buona dose di astronomia.
Le storie
d'amore rendono il tempo assuefazione.
L'amore che
racconta storie rende il tempo esplosione.
Sudore.
Colava
esaminando con straordinaria minuzia le scapole di quell'uomo troppo poco umano
per essere talmente genio.
Glaciale.
Brividi
che preannunciavano una fine pretenziosa e infame, un epilogo impossibile,
inopinato, una drammaticità viscerale che svicolava nelle vene traghettando
stille di inquietudine e tormento, come Caronte su rive umane.
Impalpabile.
L'ineccepibile
fallimento: l'unica nozione di cui non era riuscito ad avvalersi.
Ne
ignorava la fisionomia, appigliandosi con la sua innata capacità e caparbietà a
semplici distillati di cui coglieva distratti particolari, inutili per una
diagnosi perfetta a mai lasciata al caso com'era solito accingersi.
Nulla
lasciato al caso.
Che
fosse davvero quella sua impeccabile
follia ed eleganza a punirlo?
''Cosa vede?''
''Tutto... È questa la mia condanna''
''Tutto tranne quello che cerca''
Assentarsi
da quell'ignavo mondo era un compromesso più che ottimo, per la risoluzione di
quel caso e della sua vita. Non avrebbe potuto direzionare nel fuoco le
preghiere: sarebbe stato il ghiaccio, la sua tomba.
I
piani, ormai, non prevedevano altro se non spiragli sporadici di deduzione. Era
troppo difficile abbandonare la propria indole investigativa, anche in
quell'istante, quando ogni cosa era più
che mai inghiottita dall'oblio.
La
terra non era capace di ospitare un simile intelletto, che ne sentisse il peso?
Eppure...
eppure c'era chi ne aveva assaporato gran parte con un'ironia pungente e
provvidenziale, creando un'unione alimentata dalla complicità e dal profumo di
pioggia londinese.
John, mio amato John, avverte la mia
agonia?
Non
era la morte a turbarlo, piuttosto l'abbandono. La disfatta avrebbe sepolto il
suo corpo, ma l'anima? In che modo avrebbe sostenuto tutta quell'assenza?
Oh John, avrei così tanto voluto esplicitarle
ogni goccia di sapere sino a lambirne le sue labbra...
Una
porta come macigno, a separarli. Cinque minuti di ineffabile rovina, ad
allontanarli.
Urlerò per salvarle la memoria. Lei
continuerà a smentirmi?
Conclusione,
inevitabile.
Non avrò il piacere delle sue lacrime.
Ma, nei suoi pensieri, piangerò ogni notte.
A
meno che…
Gli
occhi lampeggiarono in un eccesso di euforia, l'ultimo sprazzo di irrazionalità
prima del volo.
Soffiò
cenere incandescente nello sguardo del suo nemico, distraendolo lesto e
magistrale. Ne avvolse le spalle quasi in un abbraccio di odio implacabile,
pronto allo slancio.
Un
anfratto circoscritto di tempo, il suo sguardo verso la soglia, un varco di
luce ambrata.
Era
lì. Per salutare ciò che restava. Era lì. Per davvero.
È riuscito ad udirmi?
I
suoi occhi marini immobili, concentrati, preventivi, ineluttabili. Sarebbe
accaduto, necessariamente, inesorabilmente. Avrebbero perso. Anche con uno
scacco di scoperta. ''E, per inciso,
matto''
Si
incontrarono per quella che fu la fine. Unica. E per sempre.
Addio, amore mio. Nella pipa lascerò
sprazzi del suo viso, placando il mio animo in volute di aspro fumo che il mio
palato non assaporerà mai.
Calò
le palpebre serrando le ciglia.
Inspira. Fa piano, Watson, il buon Dio
atten-
E
giù.
A
strappare lembi appuntiti d'acqua.
«Da
quando è così melodrammatico, Holmes?»
«È
lei ad aver perso lo spirito giusto, amico» parlò l'investigatore con lo
sguardo perso al di fuori della finestra, il violino poggiato sulle cosce
scoperte e la poltrona contro le sue spalle.
John
sbuffò sonoramente, intrecciando le dita dietro la schiena e passeggiando
indeciso sulla moquette che felpava i suoi passi.
«È
lì fermo da due ore a parlare, solo, con il suo violino. Non c'è più nulla da
vedere, ormai, non crede?» si fermò al centro della stanza, inalando odori dal
retrogusto acido e fastidioso.
Un
misto di scotch e sudore.
«Credevo
che in questi anni avesse imparato qualcosa in più, dal sottoscritto. C'è sempre
da vedere, Watson» biascicò irritato l'altro, picchiettando le dita sulle corde
di tanto in tanto.
«E
la smetta di torturarsi le dita. Sto meditando» continuò, lasciando interdetto
il suo compagno di (dis)avventure che si ritrovò a sorridere celato, nuovamente
stupito da quella sua spiccata capacità di cogliere ogni più piccolo movimento
o spostamento senza direttamente osservarlo, come riuscisse a sentire uno
schiaffo sul viso ogni qualvolta l'aria si muovesse.
O,
più semplicemente, era ormai così saturo della presenza di John da aver
rilegato le pagine delle sue abitudini in quel cervello che spacciava per
enorme soffitta.
«Ci
sono!» un urlo trionfante, che rinnovò la vitalità di Sherlock balzato dalla
poltrona, in un fermento estatico.
John
lo osservò scettico, notando subito dopo la totale assenza dei pantaloni. Per
un attimo vagò in apnea, provato dalla consapevolezza di vedere per la prima
volta il suo amico totalmente nudo, ma sospirò di sollievo appena notò il
bianco della stoffa sulle natiche, che ne copriva la forma tonda e morbida in
un attillato tentativo. Deglutì più volte, sfiorandosi la gola in agitazione.
«Venga
qui» squillò Holmes con sguardo malizioso, braccando il polso del dottore nella
sua capiente e calda mano.
Si
scontrarono per istanti che parvero inverosimili, ritrovando nascosto da
qualche parte quel ricordo che faceva parte di un passato non molto lontano,
ancora vivido nelle straziate membra di entrambi.
C'era
sempre quella memoria, al di là della pupilla, in ogni breve occhiata, in ogni
leggera rimembranza. Erano collegati da un filo invisibile talmente spesso da
coinvolgerli in una tacita intesa d'amore infernale che non lasciava scampo a
niente. E a nessuno.
«Sherlock...»
un sussurro di sbocciata malinconia, gli occhi del citato calarono
inesorabilmente arcuando le labbra in un'espressione dalla dolcezza infinita.
Se solo avesse potuto (voluto)
vederla... Ma non c'era tempo. Non c'era un tempo, per loro. Non ci sarebbe mai
stato. Né in quell'epoca, né in una possibile e futura.
«Guardi»
preciso e suadente, trascinò Watson verso il sole pomeridiano di Londra che
rotolava accalorato senza degnarsi di un minimo sguardo verso di loro, troppo
imponente per la ragione umana.
«Quanto
egocentrismo...» osservò John, provocando uno sguardo interrogativo al
compagno, che scosse sconsolato il capo chinandosi all'altezza dell'apertura.
«Lì»
indicò frettoloso, direzionandosi verso il tetto dell'abitazione a loro di
fronte, sul cui apice trotterellava vispo un uccello dalla piccola statura.
«Un
merlo?» ipotizzò dubbioso.
«Diamine,
mio caro, è uno storno, dallo Sturnus vulgaris. Una femmina, bell'esemplare.
Apertura alare 37 centimetri, non peserà più di 70 grammi. Ha perso il suo
nido» constatò assumendo la solita espressione risoluta di cui si serviva per
spiegare casi di straordinaria importanza.
«Non
riesco a capire» confessò l'altro facendo un passo indietro, in un gesto
istintivo che gli provocò uno strano timore interiore. Nello stomaco si
librarono leggeri tremori, e stette lì a guardare Holmes per minuti
interminabili, immobile come ghiaccio, confuso e amareggiato senza un apparente
motivo, muovendo i piedi sul posto, irrequieto, in una danza illogica e
impacciata di cui non riusciva a spiegarsi.
«Cos'è
che la turba, dottore?» sinuoso, John immaginò la lingua del suo compagno
muoversi nel palato per disegnare quei fonemi, e quasi ne soffocò preso
dall'istinto animalesco che continuava a prosciugare aria e saliva.
Perché Holmes, perché?
Si
portò una mano al petto, stringendo la stoffa della camicia candida, e chiuse
gli occhi espirando ed inspirando.
Ce la puoi fare John, ce la puoi fare.
Una volta, due, tre.
Tuttavia
il cuore continuava a pulsare matto e incoerente, passionale.
L'investigatore
attraversò a grandi falcate lo spazio che li separava, ritrovandosi al cospetto
dell'amico ancora perso tra il respiro che non trovava conforto nella calma.
Gli occhi beatamente chiusi gli donavano un'aria innocente, quasi buffa,
tenera. E non riuscì a resistere.
Mosse
la mano creando geroglifici nell'aria, per poi posarsi fine su quella di
Watson. Quest'ultimo spalancò gli occhi, in iperventilazione, inghiottito dalla
consapevolezza di volere quell'uomo ora e subito. I suoi baci, la genialità
affinché potesse defluire anche nella sua carne, l'irruenza e la delicatezza di
cui non si sarebbe mai stancato. Il calore, la voglia impetuosa, la musicalità
dei loro gesti, l'armonia!
A
dispetto della Chiesa, che anneriva quell'amore classificandolo come blasfemo.
A
dispetto del sole, e della pioggia, che non si spegnevano a vicenda.
A
dispetto degli sguardi altrui, la cui importanza rasentava il vuoto.
A
dispetto del sudore e della morte, che li aveva inesorabilmente separati.
A
dispetto della fede, lì impettita e ritta che gli circondava l'anulare
sinistro.
A
dispetto di...
«Signor
Watson, sua moglie è fuori ad aspettarla» Mrs. Hudson, con tempismo perfetto,
interruppe il loro scambio millesimale di bisogni, sciogliendoli repentini da
quella congiunzione di dita, sangue e sogni.
John
si portò una mano al viso e scosse con violenza la testa, quasi con quel gesto
potesse scrollarsi di dosso tutto quell'amore...
Con
mani vacillanti prese la sciarpa poggiata sulla poltrona, se l'avvolse intorno
al polso e, dando le spalle ad Holmes, chinò la testa ancora sconvolto.
«Io...»
un tentativo vano di spiegazione, la voce era così flebile che solo Sherlock
sarebbe stato capace di coglierla.
«Faccia
un buon viaggio» conciso e tagliente, lo congedò senza alcuna pietà.
Watson
corse via, annaspando e salutando la domestica. Watson corse via, il cocchiere
sorridente e la voglia di rimanere. Watson corse via, Mary fiera e la necessità
di urlare. Watson corse via, con lo
spirito a brandelli e la testa poggiata contro il petto di Sherlock Holmes.