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Autore: VirtualInsanity    04/01/2012    4 recensioni
Sudore.
Colava esaminando con straordinaria minuzia le scapole di quell'uomo troppo poco umano per essere talmente genio.
Glaciale.
Brividi che preannunciavano una fine pretenziosa e infame, un epilogo impossibile, inopinato, una drammaticità viscerale che svicolava nelle vene traghettando stille di inquietudine e tormento, come Caronte su rive umane.
Impalpabile.
L'ineccepibile fallimento: l'unica nozione di cui non era riuscito ad avvalersi.
Ne ignorava la fisionomia, appigliandosi con la sua innata capacità e caparbietà a semplici distillati di cui coglieva distratti particolari, inutili per una diagnosi perfetta a mai lasciata al caso com'era solito accingersi.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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È la prima volta che scrivo in questo fandom, per cui siate clementi e perdonatemi se, a volte, i personaggi vi appariranno diversi da come sono, non sono pratica dei loro comportamenti ‘reali’.

Qui raccoglierò diverse one-shot, avevo in mente di dar ad ognuna di loro un filo logico con quella precedente, ma vedremo come le cose si evolveranno.

Per il resto, buona lettura.

Malù.

 

 

 

Scelga la morte che le è più congeniale.

(Facendo l’amore.)

 

Mi sarebbe piaciuto raccontarvi di loro con un inizio diverso e più distante, ma via di fuga o di scelta mi era impossibile, forse improbabile. Ho riposto nell'arcaica e soddisfacente ispirazione tutto ciò che la ragione mi impediva di assecondare, rinunciando ad una possibile emancipazione. Vi spiegherò, probabilmente, attraverso interrogativi.

Avete mai provato a giocare a scacchi sulle pendici di una cascata gelata? Magari, in Svizzera. Possibilmente, con una spalla lesionata.

No?

Allora provate a poggiare i pensieri in una culla di stelle. Io sono qui per mostrarvele. Con insana fantasia e una buona dose di astronomia.

 

Le storie d'amore rendono il tempo assuefazione.

L'amore che racconta storie rende il tempo esplosione.

 

 

Sudore.

Colava esaminando con straordinaria minuzia le scapole di quell'uomo troppo poco umano per essere talmente genio.

Glaciale.

Brividi che preannunciavano una fine pretenziosa e infame, un epilogo impossibile, inopinato, una drammaticità viscerale che svicolava nelle vene traghettando stille di inquietudine e tormento, come Caronte su rive umane.

Impalpabile.

L'ineccepibile fallimento: l'unica nozione di cui non era riuscito ad avvalersi.

Ne ignorava la fisionomia, appigliandosi con la sua innata capacità e caparbietà a semplici distillati di cui coglieva distratti particolari, inutili per una diagnosi perfetta a mai lasciata al caso com'era solito accingersi.

 

Nulla lasciato al caso.

 

Che fosse davvero quella sua impeccabile follia ed eleganza a punirlo?

 

''Cosa vede?''

''Tutto... È questa la mia condanna''

''Tutto tranne quello che cerca''

 

Assentarsi da quell'ignavo mondo era un compromesso più che ottimo, per la risoluzione di quel caso e della sua vita. Non avrebbe potuto direzionare nel fuoco le preghiere: sarebbe stato il ghiaccio, la sua tomba.

I piani, ormai, non prevedevano altro se non spiragli sporadici di deduzione. Era troppo difficile abbandonare la propria indole investigativa, anche in quell'istante, quando ogni cosa  era più che mai inghiottita dall'oblio.

La terra non era capace di ospitare un simile intelletto, che ne sentisse il peso?

Eppure... eppure c'era chi ne aveva assaporato gran parte con un'ironia pungente e provvidenziale, creando un'unione alimentata dalla complicità e dal profumo di pioggia londinese.

John, mio amato John, avverte la mia agonia?

Non era la morte a turbarlo, piuttosto l'abbandono. La disfatta avrebbe sepolto il suo corpo, ma l'anima? In che modo avrebbe sostenuto tutta quell'assenza?

Oh John, avrei così tanto voluto esplicitarle ogni goccia di sapere sino a lambirne le sue labbra...

Una porta come macigno, a separarli. Cinque minuti di ineffabile rovina, ad allontanarli.

Urlerò per salvarle la memoria. Lei continuerà a smentirmi?

Conclusione, inevitabile.

Non avrò il piacere delle sue lacrime. Ma, nei suoi pensieri, piangerò ogni notte.

A meno che…

Gli occhi lampeggiarono in un eccesso di euforia, l'ultimo sprazzo di irrazionalità prima del volo.

Soffiò cenere incandescente nello sguardo del suo nemico, distraendolo lesto e magistrale. Ne avvolse le spalle quasi in un abbraccio di odio implacabile, pronto allo slancio.

Un anfratto circoscritto di tempo, il suo sguardo verso la soglia, un varco di luce ambrata.

Era lì. Per salutare ciò che restava. Era lì. Per davvero.

È riuscito ad udirmi?

I suoi occhi marini immobili, concentrati, preventivi, ineluttabili. Sarebbe accaduto, necessariamente, inesorabilmente. Avrebbero perso. Anche con uno scacco di scoperta. ''E, per inciso, matto''

Si incontrarono per quella che fu la fine. Unica. E per sempre.

Addio, amore mio. Nella pipa lascerò sprazzi del suo viso, placando il mio animo in volute di aspro fumo che il mio palato non assaporerà mai.

Calò le palpebre serrando le ciglia.

Inspira. Fa piano, Watson, il buon Dio atten-

E giù.

A strappare lembi appuntiti d'acqua.

 

«Da quando è così melodrammatico, Holmes?»

«È lei ad aver perso lo spirito giusto, amico» parlò l'investigatore con lo sguardo perso al di fuori della finestra, il violino poggiato sulle cosce scoperte e la poltrona contro le sue spalle.

John sbuffò sonoramente, intrecciando le dita dietro la schiena e passeggiando indeciso sulla moquette che felpava i suoi passi.

«È lì fermo da due ore a parlare, solo, con il suo violino. Non c'è più nulla da vedere, ormai, non crede?» si fermò al centro della stanza, inalando odori dal retrogusto acido e fastidioso.

Un misto di scotch e sudore.

«Credevo che in questi anni avesse imparato qualcosa in più, dal sottoscritto. C'è sempre da vedere, Watson» biascicò irritato l'altro, picchiettando le dita sulle corde di tanto in tanto.

«E la smetta di torturarsi le dita. Sto meditando» continuò, lasciando interdetto il suo compagno di (dis)avventure che si ritrovò a sorridere celato, nuovamente stupito da quella sua spiccata capacità di cogliere ogni più piccolo movimento o spostamento senza direttamente osservarlo, come riuscisse a sentire uno schiaffo sul viso ogni qualvolta l'aria si muovesse.

O, più semplicemente, era ormai così saturo della presenza di John da aver rilegato le pagine delle sue abitudini in quel cervello che spacciava per enorme soffitta.

«Ci sono!» un urlo trionfante, che rinnovò la vitalità di Sherlock balzato dalla poltrona, in un fermento estatico.

John lo osservò scettico, notando subito dopo la totale assenza dei pantaloni. Per un attimo vagò in apnea, provato dalla consapevolezza di vedere per la prima volta il suo amico totalmente nudo, ma sospirò di sollievo appena notò il bianco della stoffa sulle natiche, che ne copriva la forma tonda e morbida in un attillato tentativo. Deglutì più volte, sfiorandosi la gola in agitazione.

«Venga qui» squillò Holmes con sguardo malizioso, braccando il polso del dottore nella sua capiente e calda mano.

Si scontrarono per istanti che parvero inverosimili, ritrovando nascosto da qualche parte quel ricordo che faceva parte di un passato non molto lontano, ancora vivido nelle straziate membra di entrambi.

C'era sempre quella memoria, al di là della pupilla, in ogni breve occhiata, in ogni leggera rimembranza. Erano collegati da un filo invisibile talmente spesso da coinvolgerli in una tacita intesa d'amore infernale che non lasciava scampo a niente. E a nessuno.

«Sherlock...» un sussurro di sbocciata malinconia, gli occhi del citato calarono inesorabilmente arcuando le labbra in un'espressione dalla dolcezza infinita. Se solo avesse potuto (voluto) vederla... Ma non c'era tempo. Non c'era un tempo, per loro. Non ci sarebbe mai stato. Né in quell'epoca, né in una possibile e futura.

«Guardi» preciso e suadente, trascinò Watson verso il sole pomeridiano di Londra che rotolava accalorato senza degnarsi di un minimo sguardo verso di loro, troppo imponente per la ragione umana.

«Quanto egocentrismo...» osservò John, provocando uno sguardo interrogativo al compagno, che scosse sconsolato il capo chinandosi all'altezza dell'apertura.

«Lì» indicò frettoloso, direzionandosi verso il tetto dell'abitazione a loro di fronte, sul cui apice trotterellava vispo un uccello dalla piccola statura.

«Un merlo?» ipotizzò dubbioso.

«Diamine, mio caro, è uno storno, dallo Sturnus vulgaris. Una femmina, bell'esemplare. Apertura alare 37 centimetri, non peserà più di 70 grammi. Ha perso il suo nido» constatò assumendo la solita espressione risoluta di cui si serviva per spiegare casi di straordinaria importanza.

«Non riesco a capire» confessò l'altro facendo un passo indietro, in un gesto istintivo che gli provocò uno strano timore interiore. Nello stomaco si librarono leggeri tremori, e stette lì a guardare Holmes per minuti interminabili, immobile come ghiaccio, confuso e amareggiato senza un apparente motivo, muovendo i piedi sul posto, irrequieto, in una danza illogica e impacciata di cui non riusciva a spiegarsi.

«Cos'è che la turba, dottore?» sinuoso, John immaginò la lingua del suo compagno muoversi nel palato per disegnare quei fonemi, e quasi ne soffocò preso dall'istinto animalesco che continuava a prosciugare aria e saliva.

Perché Holmes, perché?

Si portò una mano al petto, stringendo la stoffa della camicia candida, e chiuse gli occhi espirando ed inspirando.

Ce la puoi fare John, ce la puoi fare. Una volta, due, tre.

Tuttavia il cuore continuava a pulsare matto e incoerente, passionale.

L'investigatore attraversò a grandi falcate lo spazio che li separava, ritrovandosi al cospetto dell'amico ancora perso tra il respiro che non trovava conforto nella calma. Gli occhi beatamente chiusi gli donavano un'aria innocente, quasi buffa, tenera. E non riuscì a resistere.

Mosse la mano creando geroglifici nell'aria, per poi posarsi fine su quella di Watson. Quest'ultimo spalancò gli occhi, in iperventilazione, inghiottito dalla consapevolezza di volere quell'uomo ora e subito. I suoi baci, la genialità affinché potesse defluire anche nella sua carne, l'irruenza e la delicatezza di cui non si sarebbe mai stancato. Il calore, la voglia impetuosa, la musicalità dei loro gesti, l'armonia!

A dispetto della Chiesa, che anneriva quell'amore classificandolo come blasfemo.

A dispetto del sole, e della pioggia, che non si spegnevano a vicenda.

A dispetto degli sguardi altrui, la cui importanza rasentava il vuoto.

A dispetto del sudore e della morte, che li aveva inesorabilmente separati.

A dispetto della fede, lì impettita e ritta che gli circondava l'anulare sinistro.

A dispetto di...

«Signor Watson, sua moglie è fuori ad aspettarla» Mrs. Hudson, con tempismo perfetto, interruppe il loro scambio millesimale di bisogni, sciogliendoli repentini da quella congiunzione di dita, sangue e sogni.

John si portò una mano al viso e scosse con violenza la testa, quasi con quel gesto potesse scrollarsi di dosso tutto quell'amore...

Con mani vacillanti prese la sciarpa poggiata sulla poltrona, se l'avvolse intorno al polso e, dando le spalle ad Holmes, chinò la testa ancora sconvolto.

«Io...» un tentativo vano di spiegazione, la voce era così flebile che solo Sherlock sarebbe stato capace di coglierla.

«Faccia un buon viaggio» conciso e tagliente, lo congedò senza alcuna pietà.

Watson corse via, annaspando e salutando la domestica. Watson corse via, il cocchiere sorridente e la voglia di rimanere. Watson corse via, Mary fiera e la necessità di  urlare. Watson corse via, con lo spirito a brandelli e la testa poggiata contro il petto di Sherlock Holmes.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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