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Autore: _Lightning_    04/01/2012    6 recensioni
Dal capitolo 3: -Se tutto va bene, tra un mese saremo di nuovo seduti qui ad aspettare che Moriarty inneschi la miccia del suo complotto.-
Ci fu una pausa, durante la quale Holmes si accese la pipa con rinnovato vigore. Gli occhi gli brillavano, come sempre durante un caso; Watson poteva quasi scorgere i pensieri che vi sfrecciavano dietro, fondendosi e collegandosi in ragionamenti logici.
-Amsterdam, la Venezia del Nord...- esclamò all'improvviso il detective, con aria sognante.
-Che aspettiamo a partire?-
Genere: Avventura, Generale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Chapter 1
-
Out Of The Scheme
 
 
Sherlock si sentiva piuttosto fuori luogo; cosa che non accadeva spesso.
Dopo aver tallonato Mycroft per i saloni che trasudavano lusso e opulenza da tutti i pori tanto da sfiorare il limite del buon gusto e cadere nel pacchiano, aver fatto una sosta obbligata al sontuoso buffet e aver saputo, intuito o dedotto la vita passata e futura della maggior parte degli invitati, Holmes decise che era arrivato il momento di agire.

Il quadro di fronte al quale si erano fermati doveva indubbiamente essere il pezzo forte della mostra, osservò distrattamente Sherlock mentre prestava a malapena ascolto al fratello che ne decantava lo splendore, la perfezione dei tratti e si addentrava in discorsi di filosofia artistica.
Soffocò uno sbadiglio, mentre annuiva di tanto in tanto per dare l'impressione di essere attento, ma in realtà non era minimamente interessato a quelle opere d'arte: non aveva accompagnato Mycroft alla mostra solo per sentirlo blaterare di questo o quell'artista.

Il suo obiettivo era ben altro.

Con studiata noncuranza svicolò dal raggio d'azione della parlantina di Mycroft approfittando della sua umana necessità di riprendere fiato, e si confuse con un gruppetto di gentiluomini assiepati di fronte a un altro quadro.

"E adesso, al lavoro!" pensò baldanzoso, allontanandosi verso l'ala opposta della mostra e trafugando un cappello e una sciarpa a un'anziana e ignara coppia strada facendo.

A dispetto di qualsiasi norma d'etichetta, si calcò in testa il cappello a falda larga e legò strettamente la sciarpa a ricami floreali al collo; ignorando stoicamente gli sguardi perplessi al suo bizzarro abbinamento, varcò la soglia della sala principale e la attraversò fino a raggiungere un corridoio, nel quale erano evidentemente esposti i pezzi meno preziosi, e dove ciondolavano pigramente un presunto critico d'arte, due perdigiorno evidentemente capitati lì solo per il rinfresco e la guardia addetta alla sorveglianza.
Ostentando la massima naturalezza, si piazzò esattamente di fronte al quadro che a colpo d'occhio gli era sembrato più pregiato, tirò fuori pipa e acciarino dalla tasca e si mise tranquillamente a fumare.
Tirò appena due boccate prima di venire bruscamente ripreso dal sorvegliante, che gli ingiunse di "far sparire quel coso pestilenziale e smettere di affumicare i quadri".
Il critico scosse con disapprovazione la testa al suo indirizzo, mentre gli altri due si diedero di gomito, forse sperando che una rissa movimentasse un po' la serata, ma furono delusi quando Sherlock spense la pipa in fretta e furia profondendosi in scuse e lasciando in sordina il corridoio, per poi eclissarsi nel salone gremito di ospiti.

Soppesò con un sorrisetto di malcelata soddisfazione la chiave del magazzino appena sottratta all'incauta guardia e mentre attraversava la sala cercò con lo sguardo Mycroft, trovandolo visibilmente rabbuiato per la sua assenza improvvisa.
Sherlock si sentì vagamente colpevole mentre sgattaiolava non visto proprio sotto il suo naso, diretto ai magazzini.
D'altra parte, suo fratello doveva aspettarsi un qualche secondo fine dietro quell'appassionata e spontanea offerta di accompagnarlo alla mostra di un suo conoscente altolocato, che probabilmente si credeva un Mecenate, ma in pratica non faceva altro che raccattare opere d'arte di secondo livello spacciandole per rivoluzionarie e aumentava così il suo prestigio.
Altro motivo per il quale Sherlock non vedeva l'ora di uscire di lì.
Mycroft era sicuramente preparato a una sua repentina ritirata strategica, visto che non era la prima volta che si volatilizzava nel bel mezzo di un'esposizione.

"Non sentirà troppo la mia mancanza." si augurò Sherlock, contando di finire alla svelta il lavoro.
 
* * *

L'aria fredda e umida della notte lo investì non appena mise piede nel curatissimo giardino all'inglese e si lasciava alle spalle le calde luci della villa camminando sul prato bagnato.
Rabbrividì e si strinse nella giacca fin troppo leggera, muovendosi furtivo tra le ombre dei cespugli e degli arbusti illuminati dai lampioni a gas, fino a raggiungere le stalle dove superò cautamente il recinto dei cani da caccia; da lì arrivò al cancelletto che sbarrava il cortile sul retro.
Usando una semplice forchetta sottratta poco prima al buffet, aprì con due abili manovre la serratura arrugginita e scivolò all'interno, facendo attenzione a non far cigolare i cardini.
Il vialetto un po' dissestato seguiva il perimetro della villa ed era illuminato da grandi rettangoli di luce dorata là dove si affacciavano le ampie finestre dei saloni.
Sherlock si tirò la sciarpa fin sopra il naso e si calò la falda del cappello sul volto: preferiva essere scambiato per un ladro o un tipo sospetto, piuttosto che essere riconosciuto subito, visto che quel che si apprestava a fare non poteva definirsi esattamente "legale".
Percorse rapidamente il viottolo, attento a non far scricchiolare troppo la ghiaia: non era del tutto sicuro che i cani fossero rinchiusi.
Arrivato non visto alla siepe di fondo, aprì svelto la porta del magazzino e la richiuse all'istante dietro di sé.

La penombra polverosa era stipata dei teli bianchi sotto i quali erano custoditi i pezzi non ancora esposti, e l'unica luce proveniva da un lanternino morente appeso al soffitto.
Da quel che aveva appreso, quelle dovevano essere le opere meno quotate, che erano destinate a non vedere mai la luce o a essere cedute al rigattiere di turno.
Ignorava su quale criterio le avessero giudicate, visto che anche i quadri attualmente esposti gli erano sembrati croste o dipinti da artisti da quattro soldi, ma evidentemente qualcuno doveva ritenerle ben più preziose di quanto sembrassero per prendersi la briga di farle rubare.

"E se quel qualcuno è Moriarty, mettergli i bastoni tra le ruote è sempre un piacere!" commentò tra sé, alzando appena i lenzuoli per trovare il quadro che gli aveva descritto il suo informatore.

O meglio, la sua informatrice.

Doveva ammettere di essere stato sul chi vive quando Irene gli aveva passato la soffiata di un imminente furto d'arte di cui non si era arrischiata a rivelare l'autore, nonostante Sherlock avesse subito intuito la mano di Moriarty, ma alla fine aveva messo da parte il suo scetticismo.
Il gioco valeva la candela: non si sarebbe mai privato della soddisfazione di giocare Moriarty e inoltre non si era mai tirato indietro di fronte a un rischio, per quanto grande.
Infine trovò quel che cercava, dopo essersi ricoperto di polvere da capo a piedi; sollevò con un ampio gesto il telo, scoprendo uno scorcio di Londra su Hyde Park, proprio come descritto da Irene.
Holmes cominciò ad estrarlo con delicatezza dalla cornice, pensando che dopotutto avrebbe fatto la sua figura nel suo studio a Baker Street: sarebbe bastato sviare le domande di Watson sulla sua dubbia provenienza.
Stava giusto per sfilarlo dalla cornice quando si bloccò, sul chivalà.
Due cose avevano fatto scattare un campanello d'allarme nella sua testa: una scia di profumo Francese decisamente fuori luogo in un magazzino ammuffito e un fazzoletto di pizzo con le lettere I.A. ricamate sull'angolo, abbandonato in bella vista sul tavolo di fronte.
Lo raccolse, guardandolo vagamente confuso.
Colto da un improvviso sospetto, afferrò il dipinto e lo girò; la sua espressione mutò dall'interdetto all'accigliato mentre scrutava con perplessità un disegno infantile a carboncino tracciato sul retro della tela: un omino con una canna da pesca e un pesce sotto la sua barca.
Sotto, vergato in una grafia ben più adulta:

"Who's the fisher, and who's the fish?"

Sherlock arrotolò con lentezza il dipinto, riflettendo.
Aveva messo in conto l'ipotesi di una trappola (non per nulla aveva portato il revolver) e anche quella di una semplice beffa.
Dare un bello smacco al suo orgoglio sarebbe stato tipico di Moriarty... ma non di Irene.
La ladra era indubbiamente lei, visto che aveva anche lasciato la sua firma... ma allora perché avvisarlo del furto?
Poteva averglielo ordinato Moriarty, certo, ma che senso aveva tutta quella messinscena per una semplice burla?
Moriarty poteva anche divertirsi a metterlo in ridicolo, ma di certo aveva altro da fare che scarabocchiare disegnini insulsi e far sfoggio del suo pessimo senso dell'umorismo.
Quel disegno... lo inquietava.
Cosa aveva voluto dire Moriarty?
Troppi interrogativi, troppi elementi fuori dallo schema.

"Fuori schema..."

La soluzione gli balzò davanti, crudele nella sua semplicità.
Non era Moriarty ad aver cambiato schema... era lui che aveva preso in considerazione lo schema sbagliato.

Sherlock abbandonò a terra il dipinto, fiondandosi verso la porta, incurante di lasciare tracce del suo passaggio.
Adesso si malediceva per non aver discusso con Watson quell'indagine imprevista e malediceva Watson per aver deciso di rinunciare a quella serata "intellettuale" in favore di una cena con Mary; giurò a sè stesso che appena ne avesse avuto l'occasione avrebbe fuso la fede nuziale già pronta ad essere indossata dal suo fidato compagno.
Confuso da quei pensieri del tutto fuori luogo, correva a rotta di collo sul vialetto, facendo schizzare ghiaia ad ogni passo e aizzando i cani al suo passaggio, scatenando un coro di ringhi e ululati.

Arrivò trafelato all'ingresso della villa, che ora sembrava stranamente cupa e grave, come se l'aria festosa e spensierata di poco prima fosse stata spazzata via da un vento polare.
Entrò a passo veloce, ostentando tranquillità, ma sentendosi in subbuglio.
Si accorse con inquietudine che l'atrio e il disimpegno erano deserti, così come il salone principale; si udiva un brusio concitato dal fondo del corridoio, dove era il salotto privato adibito a galleria.
Si precipitò in quella direzione, mentre il suo brutto presentimento diventava più vivido ad ogni passo.
Anche lì non c'era nessuno, ma voltandosi verso la porta che dava sull'altra sala scorse una vera e propria folla che inondava la stanza troppo piccola; con l'inconscio che borbottava oscuri presagi, varcò la soglia, vedendo un capannello di persone riunite intorno a qualcosa.

O qualcuno.

Invano scandagliò la sala alla ricerca della non trascurabile stazza di Mycroft e fu con un pesante senso di oppressione che si fece largo attraverso il muro umano che lo separava da quel che temeva.
Pur aspettandoselo, ebbe la netta sensazione di essere appena caduto dalla cima del Big Ben e non era sicuro di essere sopravvissuto.

Mycroft era disteso a terra con le braccia spalancate, gli occhi vitrei e stralunati fissi sul soffitto a specchio che ne rifletteva lo sguardo spento.
Sherlock scosse la testa, incredulo e provando la strana sensazione di sapere quel che era successo, ma non averne ancora la piena consapevolezza.

-Mycroft!- la sua voce gracchiante e irriconoscibile risuonò nella sala mentre crollava in ginocchio accanto al corpo, sapendo che il fratello non avrebbe più risposto.

-Signor Holmes!-

Registrò passivamente il suo nome che veniva ripetuto più e più volte, ma non si curò di rispondere; impedì al medico di toccare il cadavere, spinto da non sapeva quale volontà.

-Mycroft...-

Fu in uno stato di trance che gli prese la mano, senza sapere bene il perché, e vide che essa era stretta attorno a qualcosa.
La ragione in quel momento era assente, così fu l'istinto a dirgli di non farsi vedere: sottrasse il piccolo oggetto metallico dalla mano già quasi fredda e sentì qualcosa che gli pizzicava appena il palmo mentre lo metteva in tasca.
Fu con dita tremanti che chiuse gli occhi di Mycroft, per poi alzarsi di scatto.

Senza degnare di uno sguardo i presenti, si avviò a passo pesante verso l'uscita, stordito, ma allo stesso tempo padrone di sé stesso.
Aveva sempre ritenuto di avere un autocontrollo invidiabile, ma in quel momento era una sensazione spiacevole sentire quel dolore sordo alla bocca dello stomaco e un gran freddo nel resto del corpo, senza riuscire a liberarsene.
Di nuovo, un sentore di profumo Francese gli solleticò il naso, ma quando si girò vide solo volti sconosciuti che lo fissavano con un misto di pietà e compassione.

Voltò loro le spalle, turbato, e uscì di nuovo nella notte.

Il vento gelido e tagliente che si era alzato gli schiarì un po' le idee, così frugò nella tasca della giacca e ne tirò fuori l'oggetto che stringeva Mycroft; un proiettile ad ago brillò appena alla fioca luce dei lampioni, come una promessa di morte.
Holmes tirò un sospiro tremolante e si passò una mano sul volto, mentre le parole di Moriarty gli risuonavano in testa.

"Who's the fish, Holmes? Who's the fish...?"

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Note Dell'Autrice:

Ebbene sì, signore e signori... un'altra Long!
Non ho idea di dove troverò il tempo per aggiornare, ma cercherò di districarmi in qualche modo tra le mie (troppe) FF D:

EDIT: L'altro giorno andavo di fretta, così ecco un po' di spiegazioni in ritardo sulla storia, visto che molti mi hanno chiesto delucidazioni :)
Prima di tutto è ambientato a metà tra il primo e il secondo film, per non essere limitata dalla trama; per quanto riguarda il layout della storia... sì, sono tremendamente consapevole che aprendo la pagina ci si trova di fronte a una pappetta informe che deforma la pagina, ma io la visualizzo normalmente! D: Ho torturato fino allo sfinimento il povero editor e duellato a sangue con l'HTML, ma non se se abbia funzionato, visto che io lo visualizzo comunque bene ._. Scusate il disagio! D:

Ringrazio chiunque leggerà o recensirà! ù.ù
Grazie alla mia Beta _ Shadow _ <3

-Light-

 
   
 
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