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Autore: redseapearl    04/01/2012    9 recensioni
5^ classificata (su 31 storie) al contest [One shots only] Yaoi is the way! indetto da Hariken e Silyia_Shio!
Quel Natale si prospettava essere privo di sorprese.
Ricordo il comandante Rester che si avvicinava a me con aria contrita, un segno premonitore di qualcosa di sgradito, specie considerando che eravamo al 24 Dicembre. “Abbiamo un problema.”
Mi bastò decifrare l’espressione del suo viso per capire che pur avendo usato il plurale in realtà il mio collega voleva dire che io avevo un problema.
Non avevo programmi per quel Natale, ma di certo non mi sarei mai aspettato che avrei dovuto trascorrerlo in compagnia di Near.
{GevannixNear}
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Near, Stephen Jevanni
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Nave in bottiglia

 

 

 

 

 

 

Il Natale non ha mai suscitato un grande fascino su di me, e in particolare questo senso di distacco con tutto ciò che c’è di bello in questo periodo si è esacerbato da quando ho iniziato a lavorare nell’FBI. Diventare un membro della squadra investigativa capeggiata da Near poi ha segnato definitivamente la mia indifferenza per tale festività.

Non ci sono vacanze quando si lavora per il detective numero uno al mondo. Ogni giorno è identico all’altro: Pasqua, Natale, Capodanno o anche una semplice Domenica non esistono più, come se Near li avesse cancellati dal calendario con il bianchetto, lasciando un quadrato vuoto da riempire con il lavoro. E’ un po’ come svegliarsi ogni mattina sapendo che è Lunedì.

Ma forse sto esagerando. Paradossalmente, la cosa bella di lavorare per Near è anche la cosa più brutta. Lui non si occupa di ogni caso che si sente in televisione o che monopolizza l’attenzione dei media per qualche giorno. Lui sceglie solo quelli che accendono maggiormente il suo interesse. Non ho mai avuto la presunzione di comprendere la sua mente geniale, ma credo che lui reputi le indagini solo un valido diversivo ai suoi giochi più consueti: un semplice passatempo per scacciare la noia dalle sue giornate altrimenti ripetitive come un disco rotto. Di conseguenza, possono capitare periodi in cui trascorrono anche mesi senza che ci sia nulla da fare, ma quando Near decide di occuparsi di un’indagine allora tutti noi ci trasformiamo in un esercito di burattini guidati dalle sue piccole mani: l’efficienza deve essere all’ordine del giorno.

I ritmi di vita diventano serrati. L’alternanza del giorno e della notte non scandisce più le ore di sonno e quelle di veglia.

Quel Natale si prospettava essere privo di sorprese. Il mio regalo l’avrei trovato forse in un bar, sul fondo di un bicchiere. La mia famiglia era lontana e quando ero poco più di un ventenne preferivo spogliare una bella sconosciuta, solitaria come me, piuttosto che scartare un pacco adornato da un fiocco: solitamente la sorpresa che trovavo sotto la biancheria intima era molto più appagante di qualche inutile portafoglio o una cravatta di dubbio gusto che mia madre mi faceva recapitare puntualmente ogni anno. A volte mi chiedevo se lei mi conoscesse davvero, essendo quelli i classici doni che si facevano ad un perfetto estraneo: oggetti neutri che ogni uomo usava. Mi rispondevo sempre di no e che se per i miei genitori ero diventato uno sconosciuto dovevo incolpare me stesso e la mia prolungata assenza da casa.

Ricordo il comandante Rester che si avvicinava a me con aria contrita, un segno premonitore di qualcosa di sgradito, specie considerando che eravamo al 24 Dicembre. “Abbiamo un problema.”

Mi bastò decifrare l’espressione del suo viso per capire che pur avendo usato il plurale in realtà il mio collega voleva dire che io avevo un problema.

“Di che si tratta?”

“Pare che l’impianto di riscaldamento del palazzo si sia guastato e che la ditta che doveva occuparsene sia andata in ferie e potranno mandare qualche operaio solo il 27.” Il palazzo in questione era l’edificio in cui dimorava Near e che veniva adibito a Quartier Generale durante le indagini di L. “Chiaramente per motivi di sicurezza non possiamo chiamare un’altra ditta. Per cui Near non può restare qui in questi giorni: congelerebbe.”

La premessa del comandante mi fece intuire quale sarebbe stato l’epilogo. “E quindi dove andrà?”

“Concorderai con me che non possiamo lasciare che sia Lidner ad ospitarlo, per questioni di intimità. E in quanto a me, avevo già programmato di tornare a casa da mia moglie e mio figlio1. Per cui…” La frase restò sospesa per un tempo indefinito, come un tappo di sughero che galleggi senza dare segno di voler affondare. Era chiaro ormai che l’unica soluzione al problema ero io.

“Perfetto, me ne occuperò io.” Non avevo programmi per quel Natale, ma di certo non mi sarei mai aspettato che avrei dovuto trascorrerlo in compagnia di Near.

 

 

Durante il tragitto per arrivare a casa mia l’unico suono percepibile fu il ronzio del motore della macchina nell’abitacolo, per il resto solo un silenzio feroce. Near guardava fuori dal finestrino con aria assorta. Non mostrava imbarazzo per l’assenza di un dialogo tra noi, né fastidio per quel trasloco temporaneo. Il suo unico passatempo fu la consueta ciocca di capelli che avvolgeva e svolgeva tra le dita diafane. Mi chiesi cosa pensasse lui di tutta quella storia. Probabilmente per il Natale aveva solo in progetto di costruire un nuovo castello di carte.

Mi feci molte domande in verità. Da piccolo Near aveva creduto all’esistenza di Babbo Natale? E se sì, gli aveva mai scritto una letterina? Insomma, Near aveva mai vissuto un Natale come un bambino vero? Chi poteva dirlo. Forse il suo puerile amore per i giocattoli derivava proprio da un desiderio di rivalsa nei confronti di un’infanzia negata. Magari non aveva mai ricevuto regali per Natale. Magari non gli era mai stato spiegato cosa fosse il Natale.

Alla fine fu uno solo il quesito che prevalse in me: perché me ne stavo preoccupando? Stavo facendo il mio lavoro, niente più.

Entrati in casa Near diede solo una fugace occhiata intorno a sé, forse in cerca del posto migliore da rivendicare come proprio invadendolo con i giochi che si era portato. Posai le sue due valigie per terra: quella più leggera conteneva i monocromatici pigiami, l’altra, più pesante, molti dei suoi giocattoli.

“Se vuoi farti una doccia il bagno è la seconda porta a destra nel corridoio. Troverai già tutto ciò che ti serve” gli dissi, intuendo le sue esigenze.

Lavoravo per lui da due anni ormai, ma avevo imparato le sue abitudini e le sue piccole manie. Era un ragazzo estremamente pulito, tanto che arrivava a farsi anche due docce al giorno se ne sentiva l’impellente bisogno, nonostante restasse tutto il tempo richiuso nell’edificio. Potevo solo immaginare quindi quanto si sentisse sporco in quel momento dopo aver intrapreso un viaggio in macchina.

“Va bene” mi disse solo, nel suo tono neutro e distaccato. Se si fosse trattata di una qualsiasi altra persona mi sarei adombrato per quel comportamento e soprattutto per l’assenza di un ringraziamento a fine frase, come se fosse una cosa che gli era dovuta per diritto di nascita. Ma davanti a me c’era Near e lui era fatto così.

Era consapevole di non essere autosufficiente e che aveva il disperato bisogno di qualcuno vicino, come un bambino che venga accudito da una balia. Forse questo lo rendeva intimamente fragile e sottomesso, ma non voleva darlo a vedere in alcun modo celandosi dietro un muro di apatia.

Si diresse verso il bagno, soffermandosi durante il tragitto davanti la prima porta a destra. La scrutò come se sperasse di vedere cosa celava semplicemente guardandola.

“No, Near, il bagno è la porta successiva.” Mi fissò, quasi volesse chiedermi cosa c’era all’interno di quella stanza, ma la domanda non affiorò mai alle sue labbra e io non ero tenuto a dargli una risposta.

Lo vidi svanire alla stregua di un fantasma all’interno del bagno. Mi avvicinai alla porta e il suono dell’acqua che scrosciava nella doccia non so spiegare bene il perché ma mi fece provare un senso di sollievo. Quando quella melodia acquatica si sarebbe fermata, avrei dovuto affrontare nuovamente Near e la sua freddezza, ma fino a quell’istante potevo concedermi un momento solo per me e illudermi così che avrei passato i successivi tre giorni da solo, come molti anni passati.

Poggiai la valigia di Near sul letto e mi sedetti sul bordo del materasso. La testa tra le mani mi doleva quasi. Non era la prima volta che ero costretto a passare con quel ragazzo molto tempo, anche soli in una stanza ma questo era diverso, era più… intimo. Near sarebbe stato a stretto contatto con la mia vita e il suo animo indagatore aveva già iniziato a perlustrare la casa, come aveva fatto poco prima.

I suoi occhi grigi come fumo parevano vedere ogni cosa. Mi domandai se sarei mai riuscito a impedirgli di vedere tutto di me.

Gevanni.” La sua voce giunse improvvisa alle mie orecchie come lo schiocco di una frustata. Sollevai il capo di scatto, incrociando quegli occhi che temevo avrebbero visto i miei dubbi, a mio parere nitidissimi, dentro le mie iridi chiare come navi nere in mezzo all’oceano. Non era da me farmi sorprendere impreparato, e assorto come ero tra le mie elucubrazioni non avevo sentito Near avvicinarsi.

Cosa avrà pensato in quel momento?

Sapevo che era un ragazzo di poco meno di vent’anni, ma vedere il suo viso efebico e candido incorniciato dai riccioli bianchi umidi e con indosso il mio accappatoio blu scuro, troppo grande per lui tanto che ne strascicava almeno trenta centimetri per terra, mi fece tenerezza.

Sì, tenerezza.

Ai miei occhi si presentava la figura di un bambino e il contrasto dei colori tra la spugna e la sua pelle, come  una perla incastonata in una conchiglia, non faceva altro che enfatizzare la mia insensata idea di purezza.

Ancora una volta c’era solo silenzio tra noi e il suo sguardo su di me che lo trafiggeva come un dardo.

“Scusami, avevo dimenticato di darti un asciugamano pulito” gli dissi, sebbene anche lui avrebbe dovuto chiedere venia per aver impropriamente preso il mio accappatoio senza permesso, ma ero consapevole che non lo avrebbe fatto.

“Non importa” mi rispose solo.

“Ti lascio vestire.” Mi alzai, sovrastandolo con la mia figura decisamente più imponente, tanto da oscurarlo con la mia ombra per un paio di secondi. Mi avviai verso la porta. “Puoi dormire nella mia camera da letto in questi giorni. E se hai bisogno di qualcosa sarò di là” dissi rivolto alla sua schiena.

“Grazie” e si chinò verso la valigia per aprirla ed estrarre uno dei suoi consueti pigiami bianchi.

Quando uscii richiusi la porta, ma una strana smania si impossessò di me. La socchiusi solo, lasciando uno spiraglio di luce sottile eppure sufficiente a scorgere Near all’interno della stanza.

Ancora mi chiedo perché lo feci. Forse era semplice curiosità anatomica. Avevo sempre visto Near chino per terra con indosso vestiti decisamente troppo larghi per lui, come se nascondesse qualcosa sotto il tessuto. Da bambino ero sempre stato avido di scoperte e parte di questa mia ingordigia l’ho mantenuta in età adulta, ma da tempo avevo imparato a controllarla. La semplice presenza di Near destava quella mia parte più infantile e mi ritrovai così a spiarlo come un adolescente che sbirci attraverso una finestra una donna che si spoglia.

Le ricerche di tesori nascosti hanno affinato la mia l’abilità di aprire ogni tipo di serratura. Purtroppo, nei cassetti dei miei genitori l’unica cosa interessante che trovai fu un pacchetto di condom che all’epoca non sapevo cosa fossero e non potevo certo chiederlo a mia madre: sarebbe stato come confessare il mio misfatto. Mio padre era un semplice pescatore e spesso stava via settimane in mare aperto prima di tornare a casa infestandola con il suo odore di pesce e salsedine, ma ai miei occhi appariva come un marinaio di una nave in pieno stile Corto Maltese. Leggevo il fumetto di un marinaio che approdava su isole sconosciute e trovava tesori inestimabili e navigavo con la mente al giorno in cui sarei stato abbastanza grande per imbarcarmi io stesso e dar vita a quelle avventure d’inchiostro.

Ma i miei sogni si infransero come onde su di uno scoglio quando il destino, attraverso i miei genitori, mi fece percorrere una strada ben diversa da quella dell’avventuriero di mare. Tutto ciò che mi era rimasto di quelle illusioni di bambino era la passione per le navi in bottiglia. Chissà, probabilmente era tutto collegato al fatto che possedevo una certe destrezza con le dita frutto di anni di cacce al tesoro.

Sbirciai. Mi sentivo un maniaco ad essere sincero, ma il desiderio era più forte della vergogna e così, furtivo e con il respiro quanto più flebile possibile per non dare segno della mia presenza, osservai il corpo di Near che lentamente si palesava a me.

L’accappatoi scivolò dalle spalle ossute e poi lungo le braccia esili, mentre ogni singola, visibile vertebra della schiena veniva denudata. Infine, Near si svestì completamente, lasciando che i miei occhi ammirassero la curva appena accennata del suo fondoschiena e le gambe sottili ma inaspettatamente dritte, nonostante l’innaturale posizione a cui le sottoponeva ogni giorno.

Non era un corpo sensuale, anzi, era magro, forse troppo, e i muscoli non erano tonici o delineati, ma nel complesso presentava una certa armonia. Se Near avesse presentato un fisico più scolpito, o anche semplicemente diverso da quello che potetti vedere, di certo mi sarebbe parso innaturale.

Si vestì flemmaticamente, come se si trattasse di un’operazione tediosa che doveva compiere di malavoglia, simile ad un bambino che è costretto dalla mamma a rimettere a posto i giocattoli che ha sparpagliato in giro. Il riscaldamento era acceso al massimo e la temperatura della casa non dava quindi a Near nessuna fretta: sicuramente non sarebbe stato auspicabile per me se il detective numero uno al mondo si fosse raffreddato perché avevo voluto risparmiare sul riscaldamento.

Lo spogliarello al rovescio finì e io mi allontanai silenzioso come un gatto chiedendomi per l’ennesima volta a cosa mi era valso tutto ciò, cosa ci avevo guadagnato. Forse era la semplice soddisfazione di poter dire, o almeno pensare, di aver visto la parte più intima di Near, anche se la nudità del corpo valeva ben poco in confronto a quella dell’anima.

E Near non era certo il tipo di ragazzo da mettere a nudo il proprio Io, specie davanti ad un semplice sottoposto come me.

 

 

Per tutta la serata Near restò rinchiuso nella mia camera da letto. Non sapevo se fosse già andato a dormire o meno. Ero consapevole solo del fatto che era tardi, l’una di notte per essere precisi, e io rimpiangevo di non aver acquistato un divano letto a suo tempo al posto di quello scomodo a due piazze su cui ero costretto a passare la notte. E tutto solo perché non avevo mai contemplato l’idea che un giorno sarei stato costretto a cedere il mio letto a qualcun altro e risparmiare qualche dollaro mi sembrava saggio.

Come dipendente di Near non avevo una grande vita sociale per cui non invitavo mai un amico a stare da me e se invece conoscevo una donna non andavo certo a dormire sul divano.

Ad ogni modo non credo che sarei riuscito a prendere sonno quella notte anche se mi fossi trovato in mezzo a mille soffici cuscini.

Ero nervoso, semplicemente. L’impalpabile presenza di Near nell’altra stanza mi agitava non solo perché avevo la sua responsabilità ma anche perché ogni cosa che fosse successa in quei giorni sarebbe stata memorizzata da lui e giudicata. Era come trovarsi in servizio ventiquattro ore su ventiquattro sotto stretta videosorveglianza.

Inoltre come un’istantanea sputata da una macchina fotografica rivedevo il corpo nudo di Near nitido davanti ai miei occhi e una morsa di gelo mi attanagliava lo stomaco per il mio spregevole gesto. Avevo violato la sua intimità e continuavo a farlo ogni volta che dipingevo con la memoria la sua schiena bianca come l’alabastro.

Decisi che era inutile sprecare tempo ed energia per cercare una inesistente posizione che mi avrebbe conciliato il sonno. Mi alzai e mi sporsi nel corridoio per vedere se la luce nella mia camera chiusa in fondo al corridoio fosse accesa. Nessuna cornice gialla contornava il legno della porta, per cui dedussi che Near stava dormendo. Tuttavia mi mossi piano e senza fare rumore. Mi diressi verso l’unico luogo in cui avrei trovato pace dai miei tormenti, il mio personale sancta sanctorum.

Vivendo solo non mi ero mai premurato di chiudere a chiave la porta: ormai era da tempo infilata nella toppa, sporgendo come un chiodo inutilizzato da un muro. Non sospettavo che Near fosse tanto curioso e sfacciato da perlustrare la casa, ma era meglio prendere qualche precauzione.

I cardini ben lubrificati non emisero il minimo cigolio quando rotearono.

E, infine, potei emettere un sospiro di sollievo quando mi trovai davanti alla mia collezione di navi in bottiglia. Quando ero malinconico e criticavo il mio lavoro le vedevo come i relitti dei miei sogni infantili. Rinchiuse nelle loro prigioni di vetro sembrava che urlassero come anime dannate all’Inferno; e poi mi rendevo conto che a gridare era solo la mia di anima. Se invece mi sentivo irrequieto, come quella notte, trovavo nella loro silenziosa compagnia il conforto del mio spirito più fanciullesco.

Sul tavolino al centro della stanza mi attendeva l’ultima nave che avrebbe fatto parte della mia flotta sottovetro. Mi ero fatto un regalo per Natale e infatti lo avevo ricevuto solo due giorni prima, ma avevo avuto solo il tempo di sistemare tutto il necessario sul piano da lavoro. Poi è sopraggiunto quello che il comandante Rester aveva definito un ‘problema’ e la mia nuova nave aveva dovuto aspettare.

Lasciai la porta socchiusa, così se avessi sentito qualche rumore proveniente dall’esterno, per esempio Near che si alzava per andare al bagno, mi sarei potuto defilare subito e chiudere la porta. Non nascondevo nulla di male, in effetti, ma quella era la mia personale isola che non c’è, un luogo che mi apparteneva e a cui io stesso ero molto legato.

Solitamente preferivo costruire da me i pezzi della nave per poi assemblarli. Dopo quasi dieci anni di pratica potevo ritenermi abbastanza esperto, ma questo hobby richiedeva tempo e io purtroppo non ne avevo mai ultimamente. Per questo ero costretto a ripiegare su dei modelli già pronti, dove l’unico sforzo richiesto era saperli incastrare o incollare, portandoli uno alla volta all’interno della bottiglia con una pinzetta e usando una siringa per dosare la colla.

Accesi la lampada sul tavolo, un modello semplice simile a quelli visti mille volte nei film polizieschi in cui il detective cattivo interroga un criminale puntandogli un fascio di luce sulla faccia per intimorirlo. In questo modo l’unica parte illuminata era il ripiano davanti a me, mentre il resto rimaneva immerso nell’oscurità. Era un effetto suggestivo, tanto che osservando con quell’atmosfera alcune bottiglie sugli scaffali si aveva l’impressione che le navi al loro interno fluttuassero nel vuoto, poiché la resina blu o verde scuro che raffigurava il mare si mimetizzava con l’oscurità di pece.

Non avevo un orologio nella stanza. Era un lavoro che richiedeva pazienza e tranquillità, l’idea di avere un oggetto che scandisse il tempo non si sposava con il mio desiderio di quiete. Per cui non avrei saputo dire quanti minuti, se non ore, trascorsi chinato su quella bottiglia in cui, pezzo dopo pezzo, plasmavo la mia creazione.

Avevo terminato lo scafo e lo guardai da ogni direzione per assicurarmi che non ci fossero imperfezioni, che tutti gli incastri combaciassero o che non si fosse sbavata un po’ di colla, ma il lavoro era perfetto anche se non potevo vantarmi di ciò data la sua semplicità.

Un flebile cigolio alle mie spalle mi mise in allarme e due secondi dopo udii per la seconda volta quel giorno l’improvvisa voce di Near che disse solo: “Gevanni”.

Mi girai all’istante per assicurarmi che non fosse il frutto della mia immaginazione nutrito dalla stanchezza e dalla tensione accumulata e invece non fu così.

Near era sulla soglia, in piedi con una postura ingobbita, e mi osservava con la curiosità di un bambino piccolo che guarda il proprio padre farsi la barba, meditando di imitarlo per gioco.

Near” riuscì solo a dire, catapultandomi verso di lui e ostacolando la sua vista con il mio corpo. La sola fonte di luce era alle mie spalle e la mia ombra si proiettava su di lui minacciosa. Probabilmente avevo l’aria di un bambino colto con le mani nella marmellata. Chissà cosa avrà pensato di me in quel momento. Io mi sarei dato dell’idiota. Non era da me farmi sorprendere così facilmente, ma il mio capo era più silenzioso di quanto mi fossi aspettato: ai piedi portava solo i calzini bianchi e neanche il fruscio degli abiti mi aveva avvisato del suo arrivo. “Hai bisogno di qualcosa?” gli chiesi, cercando di recuperare la mia compostezza ormai perduta.

Lui si limitò a fissarmi il petto, forse desiderando di renderlo invisibile per guardare oltre. Si portò la mano ai capelli come faceva sempre quando ragionava su qualcosa. “No” e ritornò in camera da letto senza aggiungere altro.

Avrei voluto chiedergli perché era uscito, ma la sua freddezza quasi inumana congelava anche le mie parole. Lo osservai finché non si richiuse nuovamente la porta della stanza alle spalle. Solo in quel momento mi accorsi che avevo il fiato corto.

Che stupido!

Diedi un’occhiata al tavolo da lavoro ma non riuscivo a mettere bene a fuoco le immagini. Ero stanco, sebbene in più di un’occasione per lavoro avevo svolto compiti più massacranti e ad orari impensabili. Non dimenticherò mai quella volta in cui ricopiai l’intero Death Note durante la notte di vigilia dello scontro finale tra Kira e Near. Tanto caffè e una doccia ghiacciata furono tutto ciò che mi occorse per essere pronto e attivo il giorno seguente.

Chiusi la porta a chiave, anche se una serratura chiusa non vale a molto quando il contenuto dello scrigno è già stato scoperto. Mi accasciai sul divano, cercando di scacciare tutti i pensieri che affollavano la mia mente rumorosi come ragazzini in un lunapark, anche se parlare al plurale era sbagliato.

Sostanzialmente fu Near il mio solo pensiero prima di addormentarmi e fu lui che vidi per primo quando mi svegliai il giorno successivo.

 

 

Mi resi conto che era la mattina del 25 Dicembre, il momento che tutti i bambini e non solo aspettano con trepidazione per scartare i regali. Immaginai Near in una tipica situazione familiare, anche se non potevo figurarmelo mentre scendeva le scale di corsa per fiondarsi sotto l’albero alla ricerca del pacco con su scritto il suo nome. Il mio dono sotto l’abete quell’anno era proprio lui, avvolto da una carta bianca come la neve.

Era seduto al centro del soggiorno. Davanti a lui si ergeva una fila di domino appena iniziata e questo mi fece supporre che non era lì da molto, esattamente come un pacco regalo che un genitore ripone nel cuore della notte, mentre i bambini dormono cullati dal tintinnio delle campanelle delle renne di Babbo Natale.

Mi sentii a disagio.

Mi misi in piedi all’istante, come un soldato che scatta sull’attenti appena vede il suo superiore. Quasi svogliatamente, Near sollevò la testa per guardarmi. Sembrava volermi dire che non occorrevano tutte quelle formalità, ma lui era il mio capo (nonché il mio problema) e io il suo sottoposto e per quel Natale avevo avuto l’incarico di ospitarlo e proteggerlo.

“Buongiorno Near.”

“Buongiorno” mi rispose lui, tornato a posizionare i pezzi di domino l’uno davanti all’altro.

Forse avrei dovuto augurargli Buon Natale, ma non mi sembrava interessato alla festa: l’unica cosa che gli importava era addobbare l’albero, quando ne aveva a disposizione uno, con i suoi pupazzi; niente di più.

Mi diressi rigido come un automa verso la cucina. Il buon profumo del caffè era quello che mi occorreva per iniziare, o meglio, continuare quello che stavo facendo.

Gevanni.” Era la terza volta che Near mi chiamava da quando era entrato in casa mia. Fino a quel momento però non lo aveva mai fatto per darmi un ordine o chiedermi qualcosa, ma solo per attirare la mia attenzione. Tuttavia, dal suo tono di voce mi resi conto che quella volta lo aveva fatto per dirmi qualcosa di preciso e io già intuii cosa. “Può mostrarmi come si costruisce una nave in bottiglia?”

Anche se me lo aveva chiesto in modo quasi gentile, percepii chiaramente l’ordine celato dietro il punto interrogativo. Chiaramente non potei fare altro che rispondere: “Certamente.”

Avrei dovuto immaginare che il mio hobby avrebbe attratto l’interesse di Near come una luce con una falena. Lui amava i giochi di abilità e pazienza e io non avevo fatto altro che servirgli su un piatto d’argento un ottimo diversivo per scacciare la noia di quei pochi giorni natalizi.

Lo feci sedere al mio sgabello, alzandolo un po’ per permettergli di essere perfettamente in linea con il piano di lavoro. Continuammo a lavorare sulla barca che avevo iniziato la notte prima, non avendone un’altra, ma lui parve lo stesso contento. Più che mai in quel momento mi appariva come un bambino che stia per provare un nuovo giocattolo.

Gli spiegai l’ordine con cui costruire l’imbarcazione, gli strumenti che occorrevano e le tecniche basilari. Nel nostro caso lo scafo era già pronto quindi Near avrebbe proceduto con la costruzione degli speroni, degli alberi e delle vele.

Non posso nascondere che mi inorgoglì non poco l’idea di essere il maestro di Near, anche se in una cosa tanto futile come la costruzione di una nave in bottiglia. Il mio allievo ascoltava in silenzio e faceva esattamente tutto ciò che dicevo, anche se durò solo per poco. Infatti, come prevedibile, la geniale mente di Near si mise subito all’opera e spesso anticipava le mie direttive, riuscendo ad intuire quale sarebbe stato il passo successivo.

La sua mano era ferma e la sua precisione quasi chirurgica mentre posizionava i vari pezzi negli appositi incastri. Sembrava proprio che lo facesse da anni e questa sua celerità nell’apprendimento stemperò tutto il mio entusiasmo iniziale.

In tre occasioni soltanto fui costretto ad intervenire per correggerlo.

La prima volta agii d’istinto.

Mentre stava cercando di incollare uno degli alberi al ponte gli afferrai la mano, così piccola e diafana, avvolgendola nella mia decisamente più grande. La sua pelle era liscissima e calda.

Sussultò a quel contatto inaspettato e forse troppo intimo per lui, ma non si ritrasse e lasciò che lo guidassi alla stregua di un burattinaio che manovri la propria marionetta.

“Devi centrare nel modo più preciso possibile la goccia di colla, altrimenti rischia di colare e lasciare un alone” gli dissi. Il mio respiro gli solleticò l’orecchio. Con la coda dell’occhio vidi i muscoli del suo collo pallido contrarsi e poi rilassarsi. Così vicino e da quell’angolazione potei ammirarne meglio la linea elegante e il candore della cute. Non vi era nessun segno che deturpasse quella perfezione e indugiai con lo sguardo sulla scollatura a V del pigiama, lì dove il primo bottone era tenuto libero dalla rispettiva asola e i lembi della camicia erano dischiusi quel tanto che mi permetteva di fantasticare su quel corpo efebico.

La visione del suo corpo nudo si affacciò alla mia mente e mi ridestai da quel torpore che durò appena un paio di secondi. Ritornai in posizione eretta dietro di lui ostentando una calma che non mi apparteneva. Anche lui era assolutamente tranquillo, ma quei piccoli segnali che aveva lasciato trapelare oltre la sua corazza di algidità non potevano ingannarmi.

Attesi paziente il momento propizio: un errore, una distrazione, una piccola imprecisione. Gli afferrai la mano per la seconda volta, aiutandolo ad issare la vela sul pennone più distante dall’apertura della bottiglia.

Near sembrava preparato ad un mio intervento e le sue reazioni a quel nuovo contatto furono più contenute.

Ma fu nel terzo frangente che mi accorsi di qualcosa di insolito. Tutta la sua fermezza di polso parve cedere e il rischio di rovinare il lavoro di un’intera giornata era tangibile tanto che fui costretto ad intervenire prendendogli il polso con un certo impeto. Lui voltò appena la testa per guardarmi. I nostri volti erano così vicini da saturarci i polmoni l’uno del respiro dell’altro. Mi inebriai del suo profumo e osservai nei minimi dettagli le sue labbra pallide. Mi sarebbe bastato allungare il collo per poterle sfiorare con le mie e poi catturarle in un bacio.

Cercai di giustificare il mio gesto veemente. “Stavi per colpire l’albero maestro e se fosse caduto avresti distrutto tutto.” Ma ciò non poteva spiegare a pieno la mia reazione.

Non era da Near commettere simili errori. Pensai, o forse sarebbe stato più appropriato dire che sperai, che lo avesse fatto di proposito, solo per sentire ancora una volta il mio palmo ricoprire la sua mano, solo per avere ancora una volta l’occasione di entrare in contatto con me.

“Sarai stanco” aggiunsi, allontanandomi da lui con una certa urgenza. Temevo davvero che i suoi occhi riuscissero a leggere i miei scandalosi pensieri. “Meglio fermarci per ora. Se vuoi riprenderemo domani.” Uscii dalla stanza di gran carriera, senza voltarmi per sapere se Near acconsentì o meno alla mia proposta.

Il sole era tramontato già da qualche ora oltre il profilo dei grattacieli newyorkesi e il cielo si tinse da prima di amaranto, poi sfumò nel porpora, sino a venire interamente coperto da un manto bluastro. La strana alchimia che si era creata tra me e Near parve svanita in quelle ore serali e me ne dispiacque.

Mi abbandonai sul divano come un vecchio stanco e mi afferrai la testa tra le mani.

Cosa mi stava succedendo non potrei spiegarlo a parole.

Dovevo essere impazzito non c’era altra spiegazione perché Near era un ragazzino e io un uomo adulto. No! Non era così. Lui aveva solo l’aspetto di un adolescente ma in verità aveva quasi vent’anni: l’età precisa non la sapevo, così come non conoscevo la data del suo compleanno. Non era un questione di età, non solo almeno. Lui era il mio capo e io il suo subalterno.

Col senno di poi compresi che ciò che provavo in quel momento, ciò che bruciava dentro di me arroventandomi l’anima era desiderio. Puro e ancestrale desiderio.

Near era esile, puro, immacolato e tutto quel bianco accecante sommato alla mia frustrazione per quella situazione mi faceva delirare. Era istinto maschile, nulla di più e io ero abbastanza ferreo da poterlo controllare.

Rimasi a rimuginare per ore forse, prima di decidere cosa sarebbe stato meglio fare.

Avrei dovuto scusarmi con Near per il mio comportamento, forse gli avevo persino fatto male al polso stringendolo tra le dita come una tenaglia. Non si era affacciato neanche una volta in soggiorno e sicuramente non lo avrebbe fatto. Dovevo essere io ad andare da lui.

Mancavano solo tredici minuti allo scoccare della mezzanotte. Presto Natale sarebbe finito, veloce come era arrivato e sarebbe iniziato un nuovo conto alla rovescia in attesa del prossimo. La luce nella camera da letto era spenta ma la porta era socchiusa.

Dedussi che Near stava già dormendo ma andai lo stesso a controllare, tanto per essere sicuro che l’occasione di scusarmi non fosse sfumata del tutto. Aprii la porta lentamente. Come il sipario di un teatro che si alza per mostrare lo scenario retrostante, così mi apparve Near disteso sul letto adagiato sul fianco destro. Chissà cosa aveva pensato di me prima di coricarsi, mi domandai.

Gevanni.” La sua voce che mi chiamava per la quarta volta era flebile.

Ero stato sorpreso e in quel momento più che mai mi sentii a disagio davanti a lui. “Ero venuto a controllare che fosse tutto a posto. Non volevo svegliarti.”

“Non dormivo” chiarì lui, sollevandosi poi a sedere sul materasso per guardarmi.

“Bene, allora” dissi io. Sapevo cosa fare ma le parole non volevano uscire, congelate in fondo al mio stomaco e alla mia dignità.

“Tutto qui?” mi chiese lui.

Quella domanda mi spiazzò.

La risposta era no, c’era molto altro in verità e lui lo aveva di certo intuito. Forse erano i miei sensi ad ingannarmi ma nel suo tono, di solito così neutro, c’era una punta di tendenziosità, come se volesse indurmi a confessare visto che ormai lui aveva capito tutto. Non c’era da sorprendersi di ciò, in fondo Near era il detective numero uno al mondo e io non ero stato tanto abile a dissimulare i miei pensieri. La vera domanda era ‘Qual è il suo parere al riguardo?’.

“Sì, tutto qui” risposi invece di confessarmi. “Buonanotte.”

Feci per richiudere la porta ma non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello di Near che, nonostante l’unica luce che trapelasse dalla finestra era quella dei lampioni per strada, rifulgeva di uno scintillio nuovo per me. Accostai la porta quasi del tutto, ma uno spiraglio rimase aperto, lasciando giusto una fessura appena per permettermi di continuare a mantenere un contatto visivo con lui, proprio come avevo fatto la sera prima la solo scopo di spiarlo.

Non si era mosso ancora. Se ne stava lì, seduto sul letto a guardarmi, richiamandomi a sé con gli occhi grigi come una decorazione a grisaille. Restai incantato su quell’uscio, in bilico tra l’istinto e la ragione.

E poi capii.

Entrai. I miei passi erano sicuri e decisi, le mie gambe ferme e il mio animo era dilaniato tra la pace e il tormento.

Near si lasciò prendere senza opporre resistenza. Anzi, in verità non fece proprio nulla. Si limitò a guardare la mia avanzata e poi le mie braccia lo strinsero, forse con troppa forza mentre con bramosia e soddisfazione gustavo quelle labbra che avevo tanto desiderato prima.

Quella notte Near si concesse a me. Non mi spiegò mai in seguito perché lo avesse fatto o cosa avesse provato. Non avemmo neanche un rapporto completo. Temevo di rovinare tutto e macchiare di dolore quel momento altrimenti perfetto. Ma andava bene così. Nonostante non unimmo i nostri corpi nel modo più carnale, tutt’oggi sento che solo con lui sono riuscito ad avere l’esperienza più intima che abbia mai vissuto.

Perché lui è sempre così ermetico e  il semplice pensiero di avergli sfiorato la pelle anche solo per un secondo per me è stata una grande conquista. Non potrei descrivere cosa sia stato toccarlo persino per tutto il corpo, denudarlo del suo pigiama bianco fino all’intimo e far vagare le mie mani ovunque su di lui.

Lo adagiai sul fianco tenendolo stretto tra le braccia. La sua schiena che aderiva al mio petto e ogni sussulto che mi solleticava il cuore. Molte donne avevano lodato la delicatezza delle mie mani e la destrezza delle mie dita, ma solo in quell’occasione, solo a Near concessi il mio vero massimo, perché lui mi stava dando qualcosa che a nessun altro aveva mai donato prima: era quello il mio vero  regalo di Natale quell’anno.

Gli sfiorai il collo e sentii sotto i polpastrelli il sangue che pulsava nelle vene. Gli toccai il petto e percepii il cuore palpitare a ritmo tribale. Gli solleticai l’ombelico e colsi la sua impazienza. Infine tuffai la mano tra le sue cosce e il gemito di piacere che ne scaturì mi stordì come una potente droga. Ricordo la sua indecisione nello schiudere e poi richiudere le gambe, combattuto tra l’assaporare con la massima intensità quella delizia o mantenere un certo contegno, un virgineo pudore.

Scelsi io per lui e afferratogli il ginocchio lo sollevai fino a far appoggiare la sua gamba sul mio fianco per stare più comodo, mentre io continuavo a dargli piacere con le dita che danzavano senza freni sulla sua intimità e vezzeggiandogli il collo con le labbra. Di tanto in tanto girava la testa verso il mio viso. Nonostante l’oscurità potevo vedere quel velo liquido di goduria che gli annebbiava la vista e in quelle iridi, ora simili a pozzi di tempera grigia, annegavo con tutto me stesso. I suoi ansiti lambivano come una brezza la mia bocca, preludio ai baci appassionati con cui gli mozzavo il respiro, sorridendo dentro di me per la sua inesperienza.

La sua piccola mano si posò delicata come una foglia autunnale sulla mia. Credetti che volesse fermarmi, invece mi lasciò continuare, assecondando ogni mio movimento con appena accennate spinte di bacino, quasi mi stesse mutamente chiedendo di dargli di più. Con l’altra mano stringeva con forza il cuscino, aggrappandosi quasi ad esso neanche fosse l’unico appiglio al mondo da impedirgli di precipitare in un baratro.

Ben presto le mie dita si bagnarono dei suoi caldi liquidi e la sua mano si serrò maggiormente sulla mia. Alle volte sembrava che volesse guidarmi per mostrarmi cosa gli piacesse maggiormente ma poi desisteva sempre lasciando che fossi io a gestire il gioco, fidandosi della mia esperienza.

Le sue geremiadi non erano oscene e neanche altisonanti: erano flebili, quasi Near fosse imbarazzato dall’emettere simili suoni nonostante tutta la situazione. Era il sottofondo migliore che potessi desiderare per quella notte.

Avrei dato qualsiasi cosa per aprirmi i pantaloni e intrufolarvi dentro a forza le mani di Near, quelle mani che avevano saputo stuzzicare la mia fantasia con la loro meticolosità nel costruire un modellino di nave. Ma non potevo costringerlo a fare una cosa simile, sebbene la mia eccitazione premesse vogliosa contro le sue gambe.

D’un tratto lo sentii trattenere il respiro e i suoi muscoli si tesero tutti come corde di violino. Venne inaspettatamente e con un preavviso minimo a dispetto della normalità. Compresi che fino a quel momento si era trattenuto dall’esternare con troppa enfasi le sue sensazioni, le sue emozioni e infine aveva ceduto all’inevitabile non potendo contenersi oltre. Il respiro era affannato e i riccioli eburnei erano incollati alla fronte e al collo dal sudore che gli imperlava anche il resto del corpo.

Lo coprii con la coperta per evitare che prendesse freddo.

Non disse una parola. Pensai che si fosse pentito o che si vergognasse di quanto successo. Non lo avrei mai saputo.

La mattina dopo, quando mi svegliai, lui non c’era accanto a me. Lo trovai nel soggiorno come il giorno prima; ebbi una sensazione di déjà vu. Il suo aspetto era quello solito: la pelle che la sera prima si era tinta di un’adorabile sfumatura purpurea ora era di nuovo pallida, esangue quasi; gli occhi che mi avevano guardato con desiderio ora erano nuovamente vitrei e inespressivi. Solo un piccolo segno rosso che malizioso faceva capolino dal colletto bianco del pigiama testimoniava che quanto accaduto tra noi non era stato un sogno intangibile ma una realtà concreta.

Era stata solo una parentesi, niente di più, e la conferma di ciò la ebbi quando lui mi chiese: “Dobbiamo finire di costruire la nave” con la sua voce monocorde.

 

 

In un certo senso sono sollevato dal fatto che tra me e Near le cose sono rimaste immutate. Lui non fa mai il minimo accenno a quanto accaduto e io ovviamente non mi permetto mai di sollevare la questione. L’impianto di riscaldamento fu riparato e il mio ‘problema’ ritornò alla vita di sempre, nel suo palazzo di vetro e balocchi, richiamandomi al suo cospetto solo quando c’è un lavoro da svolgere.

In certe situazioni solitamente qualcosa cambia nel rapporto tra due persone, anche un semplice sguardo può diventare messaggero di tante parole, e spesso ci si chiede ‘E se quella notte non fosse successo nulla?’. Con Near invece il quesito non esiste, perché con lui è stato davvero come se non fosse accaduto niente.

Mi sta bene, perché mi basta sapere che qualcosa, anche se minima, anche se non saprò mai darle una precisa definizione, si è avverata. Near non solo ha messo a nudo il suo corpo ma anche la sua anima, in un certo senso. Forse voleva solo sentirsi amato, anche se per una notte sola, anche se per un’ora sola. Magari io sono stato l’unico nella sua vita ad avergli fatto trascorrere un lieto Natale e non parlo solo di quanto accaduto nel letto della mia stanza, ma del semplice fatto di avergli dato attenzione e di avergli mostrato qualcosa di nuovo: come costruire una nave in bottiglia… e la gioia di fare qualcosa in compagnia. Non di rado lo vedo cimentarsi nella costruzione del modellino di una barca, anche se lui ha espanso i suoi confini anche a tanti altri tipi di soggetti edili come i monumenti del mondo.

Ed io non posso fare a meno di sorridere.

Quando il comandante Rester si avvicina a me per parlarmi, talvolta prego che sia per chiedermi di fare di nuovo il ‘sacrificio’ di prendermi cura di Near, ma dopo quel Natale non è più capitata l’occasione. Ma io aspetto, perché la routine della vita di Near non può andare avanti all’infinito. Prima o poi accadrà qualcosa che turberà la sua quotidianità e io sarò qui ad aspettare… e lui lo sa bene.

 

 

 

 

 

 

1 Non ci è dato sapere se il comandante Rester abbia davvero una moglie e un figlio, per cui questa informazione me la sono inventata solo per incastrare Gevanni XDD

 

Note dell’autrice (finalmente arrivo a scriverle)

 

Anche se in ritardo faccio a tutti voi gli auguri per queste feste, sperando che siano state liete! ^^

Questo è stato un parto abbastanza complesso. Un po’ perché la coppia è poco comune e quindi non sapevo bene come muovermi, un po’ perché avendo pochissimo tempo a disposizione in questi giorni ho praticamente scritto si e no un’ora al giorno e quindi ci ho messo quasi un mese per scriverla, infatti doveva essere pronta per Natale e invece siamo finiti all’Epifania =_=””

Era una coppia che mi solleticava da tempo questa e voleva aggiungerla alla mia collana di coppie yaoi su cui ho scritto in Death Note.

L’interpretazione del rapporto tra i due nel suo complesso è molto libera perché sinceramente ho la colossale paura di finire nell’OOC specie se si parla di Near e dato che lui non è un tipo molto espansivo può essere difficoltoso descrivere un dialogo credibile con lui o addirittura una relazione (decisamente con la MelloxNear riesco a giostrarmi meglio). In più il punto di vista è quello di Gevanni per cui lui può al massimo supporre alcune motivazioni di Near ma non può saperle per certo e di sicuro Near non muore dalla voglia di raccontargli tutto. Per questo ho preferito che tutto rimanesse un po’ “sospeso” piuttosto che scrivere qualcosa di OOC su Near: spero di aver fatto la scelta migliore ^^””

Gevanni è davvero appassionato di navi in bottiglia, infatti questa informazione si trova sul volume 13 di death note.  Non so se scriverò altre storie su di loro, a meno che non mi venga un’idea buona ma già per mettere in pratica questa ce ne è voluto quindi se accadrà non sarà troppo presto.

Se mai qualcuno di voi è riuscito a leggere per intero questa shot mi piacerebbe molto sapere il vostro parere, essendo appunto una coppia più rara nel fandom e il mio primo tentativo con loro, per cui pareri e commenti sono accettati più che mai ^^ Grazie e alla prossima fanfic!




Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.

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5^ classificata su 31 storie partecipanti al contest [One shots only] Yaoi is the way! indetto da Heriken e Shio

 

Hariken:

Grammatica: 9/10 

Soltanto un errore nella frase “Near non solo a messo a nudo” dove ci voleva il verbo avere. 

Stile: 10/10 

Assolutamente impeccabile, le descrizioni minuziose ma mai noiose i dialoghi molto ben costruiti e profondi. 

Caratterizzazione dei personaggi: 19/20 

Gevanni resta la persona pacata e professionale che traspariva dal manga e l’utilizzo della sua passione per le navi in bottiglia non fa che aumentare il suo IC, tuttavia ogni tanto l’ho trovato un po’ troppo, diamo audace, ed è per questo che ti ho sottratto un punto. Mentre Near è perfettamente ermetico e viene rispettata molto la sua personalità complicata e il suo approccio estraneo a qualcosa di così naturale com’è il sesso, davvero complimenti. 

Originalità:14/15 

L’idea di Gevanni che, nonostante sia un semplice sottoposto, insegna a Near, il “piccolo” genio, a fare qualcosa è molto buona e si mantiene perfettamente IC nonostante sia qualcosa di davvero bizzarro nel contesto di questi due personaggi. 

Gradimento personale: 6,5/8 

Ho gradito molto questa storia e la delicatezza con cui hai espresso il desiderio di Gevanni verso il proprio e capo, ma soprattutto come sei riuscita a mantenere Near criptico nonostante il momento di grande coinvolgimento emotivo. 

Punti bonus: 4/4 

Totale: 62,5/67

 

Shio:

 

Grammatica: 6,5 /10

Diversi errori con il congiuntivo, lo metti quando non ci vuole ed al posto del congiuntivo imperfetto usi  l’indicativo imperfetto.

Un altro errore sui verbi: potetti, il passato remoto di potere è potei.

Alcune ripetizioni, ma niente d’ esageratamente grave.

Qualche errore di battitura.

Stile: 8 /10

La narrazione è fluida e dà bene l’idea di cosa stia succedendo. Inoltre sei riuscita ad esprimere bene le emozioni di Gevanni

Caratterizzazione dei personaggi: 18/20

Trovo tu sia riuscita molto bene a rappresentare i personaggi ed a rimanere nel pieno IC, ricordandoti anche della passione di Gevanni per le navi in bottiglia. 

Originalità: 10/15

Molto bella l’idea del Natale usata per due anime sole come Gevanni e Near. Ho apprezzato molto anche l’uso del modellino della nave come mezzo d’unione tra i due. Eppure devo ammettere che in fin dei conti, hai narrato una “normale” vita quotidiana quindi, non essendo successo niente di straordinario, non ho potuto darti il massimo del punteggio. 

Gradimento personale:6 /8

Mi è piaciuta molto come storia, sei riuscita a farmi sentire le emozioni di Gevanni come se le stessi vivendo in prima persona ed ho trovato davvero tenero il rapporto flebile che si è instaurato tra i due detective, nonostante il finale lasci un po’ con l’amaro in bocca, ma alla fin fine non potevo sperare in un Sweet Ending visti i personaggi. >.<

Totale:  48,5 /67 

- Punti bonus: 4/4

-Punteggio Totale: 111

 

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Questa storia partecipa alla challenge: Diamo visibilità a chi non ne ha.

   
 
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