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Autore: Secret Whispers    05/01/2012    1 recensioni
Questa fanfiction è la prima classificata del contest Il natale che vorrei organizzato dal Secret Whispers GDR Forum.
"Un natale decisamente fuori dall'ordinario."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La fiction che segue è la prima classificata del contest “Il Natale che vorrei” indetto dal Secret Whispers nel mese di Dicembre 2011.
L'autrice, Adaralbion, ha acconsentito che la sua opera fosse esposta su questa pagina.


Titolo: Meri Kirihimete
Autore: Adaralbion
Avvertimenti: accenni di yaoi
Genere: yaoi
N.d.A(facoltativo): ho deciso di inserire le informazioni relativi a fandom e pairing in fondo alla fanfiction per una lettura più libera, soprattutto nella prima parte.




Meri Kirihimete

Oltre le trame della coperta, filtrava un filo di luce appena sufficiente a rassicurarlo sul fatto che non era stato sepolto vivo, come inizialmente aveva pensato, svegliandosi ed aprendo gli occhi.
Il perchè, poi, un pensiero tanto orribile gli avesse attraversato il cervello ancora avvolto dalle nebbie del sonno, non trovò appiglio tra le pareti dei suoi pensieri, ma semplicemente scivolò via in un sospiro caldo, ignorato, mentre al di là della coltre, flussi di ombre indistinte davano a quel mondo fatto di lenzuola e calore notturno, un tocco magico ed invitante che gli impediva di avere anche solo la minima voglia di alzarsi di lì.
Non ci pensava, a dire il vero: si limitava a restarsene inerme, disteso, a fissare gli occhi assonnati contro la coperta, e per lui la giornata avrebbe anche potuto finire lì.
Avrebbe volentieri chiuso le palpebre ancora una volta, avrebbe continuato a dormire, e al rinnovato risveglio di nuovo avrebbe fissato quelle coperte sotto le quali si era come nascosto, rannicchiato, in un universo sicuro e soffice dal profumo familiare, che non lasciava alcuno spazio a ciò che esisteva là fuori.

Quante volte, nell'arco della sua vita, aveva potuto permettersi tanta pigrizia?
Se lo chiese girandosi su un fianco, mugolando involontariamente a labbra serrate per il sordo dolore dei muscoli indolenziti, e si rispose quasi immediatamente, tanto la risposta era ovvia, scontata ed infine tremendamente breve: mai.

Nemmeno una volta.
Non per quanto gli permetteva di ricordare la sua memoria intontita dal sonno.

Eppure, si disse, ma senza la sicurezza propria di coloro che possono permettersi di avere il beneficio del dubbio, almeno nella sua infanzia e durante quel preciso periodo dell'anno, doveva esserci stato un giorno in cui non aveva fatto altro che svegliarsi, valutato che aveva ancora sonno, e si era rimesso a dormire.
Si fissò su quel pensiero a lungo, lo sguardo ancora immobile sul cuscino, viaggiando al ritroso nei propri ricordi, di anno in anno, fino ad arrivare al primo vero ricordo che conservava di sé e... no.
La risposta fu quella. Secca ed indiscutibile, dallo stesso amarognolo e patetico sapore del “mai” precedente.

Sbuffò. Sonoramente, stringendosi ancora di più su sé stesso mentre richiudeva gli occhi e serrava i denti, trovando involontariamente il perchè a quella sensazione che aveva avuto appena si era svegliato: sepolto vivo, impossibilitato a muoversi, ma non per colpa di una bara troppo stretta, di una morte troppo precoce. Ciò che gli andava stretto, terribilmente, era...

“Buongiorno, mi amor!” una voce suadente dal tono squillante lo fece sussultare, mentre il soffice mondo in cui era immerso si faceva improvvisamente più pesante: si inclinò su un lato, poi sull'altro, prima che una risatina divertita e roca gli scivolasse direttamente in un orecchio e la sua mente abbandonasse quell'analisi sulla propria esistenza, lasciando i pensieri sospesi tra un battito cardiaco e l'altro “Che fai? Vuoi giocare a nascondino?” un soffio leggero che si infranse contro le coperte, mentre veniva avvolto da braccia e gambe che conosceva molto bene anche se non poteva sentirle contro la pelle.
Si scostò di scatto, alzando un braccio per spingere via l'intruso ridacchiante, e con lui anche le coperte dalle quali emerse, capelli scompigliati e sguardo severo “Non chiamarmi in quel modo!” fu la prima cosa che disse, fissando Jared negli occhi, i suoi verdi e minacciosi, anche se cerchiati da scure occhiaie.
Lo sguardo del suo interlocutore, ed il suo sorrisetto divertito ed onnipresente, fecero una piccola virata ad osservargli il petto, la pancia scoperta e poi, un po' più giù, il bordo del lenzuolo che copriva il resto del suo corpo il quale, ne prendeva coscienza solo in quell'istante proprio mentre lui lo guardava come se potesse davvero scorgerlo attraverso la stoffa, era completamente nudo, e poi tornarono a prestare attenzione alla sua espressione infastidita. Lo vide sorridere più ampiamente, soddisfatto, e poi l'osservò sporgendosi in sua direzione, eliminare la distanza tra sguardi e respiri, fino a raggiungergli le labbra con un pungente ma soffice bacio al quale non riuscì a ritrarsi “Ma se ti piace quando ti chiamo così...” fu la sua risposta, mormorata a fior di labbra con un tono talmente saccente – perchè era la verità, ed entrambi lo sapevano – che le guance di  Cesar avvamparono di un rosso acceso, andando ad illuminargli il volto di un imbarazzo vero e cocente.
Di nuovo si ritrasse, poggiandogli una mano sulla spalla per spingerlo via, mentre con l'altra afferrava  la coperta e, come la più pudica delle vergini, si copriva fin sotto il collo “No che non mi piace! Non osare dire il contrario!” rispose acido, distogliendo lo sguardo affinchè Jared non scorgesse nelle sue iridi verdi, la verità nascosta dietro a quelle menzognere risposte.
Non che ne avesse bisogno in realtà, di guardarlo negli occhi per sapere che mentiva: lo conosceva fin troppo bene da sapere dove andare a puntare, quando farlo e, soprattutto, come. Ma a Cesar piaceva, e forse non era nemmeno una questione di “piacere”, più che altro gli “faceva comodo”, per un fattore di orgoglio del quale purtroppo non riusciva quasi mai a liberarsi, credere di essere ancora inespugnabile come la più sicura delle fortezze.
Peccato che avesse calato il ponte levatoio da un bel po', e che Jared di quella fortezza avesse conquistato non solo il mastio centrale, ma anche ognuna delle torri, combattendo sì, ma entrando sotto invito dalla porta principale.
E questo era ormai un dato di fatto conosciuto da entrambi “Mi amor..” continuò dunque Jared, imperterrito e testardo, sfrontato a tal punto da non temere di essere messo a tappeto da un pugno ben sferrato, avvicinandosi di nuovo a Cesar fino a raggiungergli il tenero lobo dell'orecchio con le labbra schiuse. Una mano si era staccata dal materasso su cui l'aveva poggiata per mantenere l'equilibrio, ed era andata a posarsi sulla schiena ancora nuda del ragazzo, per donargli una carezza a pieno palmo, calda e avvolgente, che lo fece sussultare “..mi raggiungi di sotto?” domandò roco “La colazione è quasi pronta” aggiunse, posando poi un bacio sul suo collo teso e pulsante, perchè quelle semplici ed insistenti attenzioni, avevano già fatto accelerare il cuore di Cesar ad una velocità frenetica.
Il ragazzo non rispose, me si strinse di più il lenzuolo al petto, serrando tra i pugni la stoffa di seta delicata, pretendendo di ignorarlo, imponendo a sé stesso di mantenersi saldo. Una chiusura totale ad ogni gesto che l'altro gli riservava, ma era la loro routine, che si protraeva in quel “rapporto” dallo stesso istante in cui era cominciato, quindi Jared si limitò a sorridere e a lasciar scorrere ancora le dita su quella schiena cosparsa di brividi, fino ad abbandonarne i lidi soffici ed alzarsi, lasciando la stanza poco dopo e Cesar nuovamente solo a fare i conti con l'imbarazzo e il cuore lanciato ad una velocità folle contro la cassa toracica.

Il suo viso non mostrava quell'emozione: ogni linea espressiva che l'attraversava sembrava immobile, corrucciata ed infastidita, ma il rosso acceso delle sue guance, che spiccava luminoso e bollente appena sotto agli occhi chiari, di un verde intenso e vivo divenuto liquido e luccicante, tradiva tutta l'emozione che gli galoppava tumultuosa nel petto. Serrò le palpebre con forza e si ributtò giù tra coperte e lenzuola, col volto premuto contro i cuscini.
Non riusciva a credere di reagire ancora in quel modo e solo perchè Jared lo sfiorava, dopo quello che avevano fatto solo poche ore prima, in quello stesso letto nel quale lui si ostinava – invano – a cercare rifugio.
Un rifugio che non esisteva in realtà, non lì, e lo sapeva fin troppo bene dato che aveva accettato l'assurda idea che l'altro gli aveva proposto qualche giorno prima, spuntandogli di fronte dal nulla, mentre stava passeggiando per le vie di Pamplona illuminate a festa.

Era quasi Natale, dopotutto, e così in ogni strada della città erano state montate le classiche luci che attraversavano le carreggiate da un lato all'altro come fili cosparsi di stelle multicolori, e i negozi avevano addobbato le vetrine con neve finta e alberelli anch'essi addobbati di luci e fili abbaglianti.
Tutto sembrava più magico in quel periodo dell'anno, anche se le temperature si erano abbassate di molto e Cesar, sensibile al freddo, aveva dovuto abbandonare le sue classiche mise attillate, per imbacuccarsi fin sopra la testa con indumenti pesanti, guanti, sciarpa e cappellino a coprire la zazzera castana, compresi.
Forse per questo non si era accorto di essere “pedinato”, impegnato com'era a tentare di impedire al freddo di congelargli il naso, e si era ritrovato Jared di fronte all'improvviso, come se quest'ultimo fosse caduto dal cielo proprio davanti ai suoi occhi: il che non era certo da escludere, dati i precedenti.
Non aveva fatto in tempo a meravigliarsi della cosa però, nè a ragionarci troppo su, perchè si era ritrovato quella proposta sussurrata a solleticargli l'orecchio infreddolito, mentre lui lo stringeva forte a sé.  
Magari non aveva avuto l'intenzione di scaldarlo con quel gesto improvviso, quell'avvilupparsi di braccia forti e decise intorno al suo corpo, ma c'era riuscito perfettamente, anche se poi era arrivata la doccia di brividi di quelle parole.
Cesar aveva sussultato, sgranato istintivamente gli occhi che teneva fissi nel nulla della strada gremita di gente alle spalle di Jared, e poi aveva spinto lui via per guardarlo negli occhi e comprendere, con un'altra scarica di brividi che gli attraversava le vertebre del collo, che non stava scherzando.

Ci aveva ragionato quanto?
Uno.
Due minuti?
Ma ci aveva ragionato, poi?
Non aveva importanza: ricordava di aver annuito a rallentatore al di là della sciarpa che malamente celava allo sguardo interessato e forse speranzoso di Jared, un rossore che non era di certo dovuto al freddo, ed ora si ritrovava lì, in quel letto dove avevano fatto l'amore non una volta, ma tutta la notte, ininterrottamente, fino alle prime luci dell'alba quando lui era crollato. Sfinito. Sazio. Lontano dalle luci natalizie delle strade. Lontano da Pamplona.

Riemergendo dai propri ricordi e dal cuscino, girò lentamente la testa per fissare lo sguardo verso la porta aperta che dava sul corridoio: dal piano inferiore arrivavano attutiti, i passi di Jared che si muoveva, probabilmente, su e giù per la cucina. Stava davvero preparando la colazione per entrambi: che strano lato di lui veniva a scoprire, un lato estremamente comune, ordinario, quasi banale, ma della banalità Cesar non aveva mai nemmeno sentito l'odore, non con Jared né nella sua intera vita. Così, dopo un profondo respiro per darsi coraggio, mosso anche dalla curiosità di vedere Jared destreggiarsi tra i fornelli, si decise ad alzarsi per scivolare giù dal letto e recuperare dalla valigia ancora chiusa, un paio di boxer puliti che indossò con lentezza snervante, ancora intontito da tutti quegli assurdi eventi che si erano susseguiti repentini fino a portarlo proprio lì, a quell'istante in cui muoveva un passo verso la porta, poi un altro, ed uscendo si ritrovava a scendere le scale per arrivare al piano inferiore.

Jared lo accolse con un sorriso ammiccante, rivolto forse di più al suo petto ancora nudo piuttosto che alla sua espressione ancora scontrosa. Cesar non corrispose, ovviamente: il fatto che fosse sceso al piano inferiore quasi nudo e con i soli boxer addosso, era dovuto unicamente ad una questione di comodità, dato che faceva tremendamente caldo. Ma curioso il ragazzo osservò la tavola, avvicinandosi, per poi sedersi tutto impettito, fingendo di non essere colpito da tutto ciò che Jared aveva preparato. L'uomo non si offese della sua mancata reazione, di certo non si aspettava che gli sarebbe saltato al collo per riempirlo di baci e ringraziamenti: quel tipo di “effusioni “ l'Emperador glieli concedeva quasi esclusivamente in camera da letto, e di certo non se ne lamentava.
Prese posto di fronte a lui, servendosi del caffè “Allora..” cominciò, dopo aver preso un piccolo sorso dalla tazza fumante “..hai dormito bene?” chiese con non-chalance, cercando di imbastire una conversazione, mentre Cesar si serviva del succo “Discretamente” rispose lui, secco e lapidario, del tutto indifferente a quel tentativo di dialogo.
Jared non riuscì a trattenere uno sbuffetto divertito mentre chinava la testa su un lato “A me è sembrato che tu abbia dormito meglio di 'discretamente', dato il modo in cui russavi” ridacchiò, mentre Cesar lo fulminava “Io, non russo!” sbottò, sottolineando con un tono deciso ed innervosito della voce, quell'”io” iniziale. Jared inarcò un sopracciglio fingendosi offeso “Vorresti dire che invece io si?” chiese, sempre sorridendo “E' una possibilità..” rispose Cesar, snobbandolo volontariamente “Si.. forse hai ragione..” ponderò Jared, arricciando un attimo le labbra per poi tornare a bere tranquillamente il suo caffè, mentre le narici di Cesar si dilatavano quell'appena da far intendere che l'aveva colpito e affondato: 0 a 1 per il russatore folle seduto lì di fronte.
Cercò di non lasciarsi innervosire il più del dovuto, anche se gli rodeva quando Jared rigirava così le situazioni a suo totale favore, facendolo zittire con poco più di due parole. A volte anche meno.
A volte anche solo un bacio.
Prese una fetta biscottata e le diede un morso, guardando altrove.
Jared però non aveva intenzione di lasciarlo estraniare così, dato che tendeva a farlo sempre per mantenere quella che lui ormai aveva catalogato come “finta-aura-di-superiorità-che-cela-solo-una-gran-voglia-di-cazz-ehm-cioè-affetto”, così tornò a parlare “Credo sia normale tu sia stanco, dopotutto il jet lag a volte fa brutti scherzi” buttò lì senza dare troppo peso a ciò che aveva appena detto “Io non soffro di nessun jet lag!” fu la risposta, secca e decisa, con cui Cesar ribatttè repentino, senza quasi dargli il tempo di finire la sua frase.
Come osava continuare a presupporre certe idiozie? Gli piaceva così tanto provocarlo? Si divertiva?
A vedere come sul volto di Jared fosse nuovamente apparso il solito furbo sorrisino da paraculo patentato, probabilmente si “Me ne sono accorto” mormorò infatti, mellifluo, provocante e provocatorio, memore della notte appena passata, mentre allungava una gamba sotto il tavolo, intercettando con le dita del piede nudo, l'altrettanto nudo piede di Cesar che lo fulminò, rosso in volto e si scostò veloce, nascondendo i piedi sotto la sedia “Falla finita!” borbottò, alzando il mento verso l'alto con aria minacciosa  “Ma ho appena cominciato..” si lamentò Jared, ridacchiando divertito per poi sospirare ed appoggiare i gomiti sul tavolo, le mani a sorreggere il volto “...la smetto la smetto... non ti ho mica portato qui per tenerti tutto il giorno chiuso al piano di sopra. Anche se il solo pensiero mi fa venire un certo appetito..” sentenziò fissandolo dritto negli occhi, senza timore.
Cesar inspirò forte dalle narici, mentre i suoi occhi si dilatavano di più, mostrando tutto lo sdegno di cui erano capaci, e poi veloce sbattè i palmi sul tavolo, alzandosi “Lo sapevo!” ringhiò, senza guardarlo “Basta! Me ne torno a casa!” sentenziò furente, almeno in apparenza, perchè quando si parlava di lui in relazione a Jared, il 90% delle sue azioni e reazioni sdegnate erano, per l'appunto, solo quello: apparenza. Ma l'uomo lo sapeva, inutile precisare ancora quanto conoscesse l'Emperador ormai, e quanto sapesse che quella sua lingua tagliente pronta a sparar dolorose sentenze, fosse docile e calda se coinvolta in un bacio, quindi semplicemente allungò una mano oltre il tavolo e, prima che Cesar avesse il tempo di girarsi e scappare via – perchè era quello che faceva: scappava, ogni santa volta -, serrò le dita intorno al suo polso “Dai che sto scherzando..” tentò di rassicurarlo, trattenendolo “..è ovvio che non ti abbia portato qui solo per quello, come è ovvio che quello mi piaccia un bel po', soprattutto se fatto con te..” sorrise al profilo in fiamme di un Cesar immobile che non lo guardava, vero, ma che lo sentiva fin troppo bene “..ma non pensi che avremmo potuto farlo anche a Pamplona?” gli chiese “Eppure eccoci qui, dopo quasi 24 ore di viaggio in aereo con due scali ed un cambio.. pensi che sia solo il sesso che mi interessa?” chiese ancora.
Cesar seguì in silenzio il suo ragionamento, immobile, lo sguardo fisso sulla parete nella quale si apriva la porta che dava sulle scale: qualche secondo prima aveva avuto solo voglia di raggiungerle, tornare al piano di sopra, prendere le proprie cose ed andarsene ma ora.. ora ricordava solo che la sera precedente, appena arrivati, per salire quella manciata di scalini ci avevano messo mezz'ora e un centinaio di baci.
Sfilò il braccio dalla sua presa, portandolo al petto insieme all'altro, le dita a massaggiare il polso che Jared aveva stretto: non rispose, divorato dal solito conflitto interno che lo pietrificava all'esterno, ma qualche secondo dopo si ritrovò avvolto dalle braccia di Jared, il suo naso sul retro del collo e la barbetta pungete a solleticargli la pelle tra le scapole. Venne sospinto verso la finestra le cui tende erano tirate, e non si oppose mentre Jared le scostava una, mostrandogli il panorama all'esterno “Vedi..” lo sentì respirare caldo contro la guancia, mentre fissava fuori, la spiaggia e il mare, lo onde e il cielo di una azzurro stordente, così limpido da far quasi paura “..pensi che avrei scelto proprio questo posto solo per tenerti a letto tutto il giorno?” era una domanda retorica, niente che pretendesse una risposta se non quella che un sospiro di Cesar diede qualche istante dopo.
Bastava. A Jared bastava quel sospiro per sapere che in fin dei conti l'Emperador comprendeva più di quanto gli permettesse di afferrare il suo orgoglio, così sorrise e gli posò un bacio sul collo “Finiamo di fare colazione..” suggerì “..ti ho preparato anche la pavlova, anche se non garantisco sia buona” una risata roca che fece abbassare lo sguardo a Cesar, ormai del tutto ammansito tra quelle braccia che lo stringevano ancora, e ancora, nonostante cercasse di sfuggirne ogni volta “E più tardi scendiamo in spiaggia perchè passa Papatuanuku! Non vorrai mica perderti i regali vero?” un'altra breve risata, mentre le mani di Jared cercavano le sue, le trovavano, le stringevano “E stasera Hangi! Sono sicuro che non hai mai mangiato del cibo cotto in una buca scava in terra, dico bene?” chiese ancora, rigirando quell'abbraccio per trovarsi con Cesar faccia a faccia, scrutare il suo volto, quegli occhi abbassati che rifiutavano di incontrare i suoi.
Senza smettere di sorridere gli poggiò due dita sotto il mento per fargli alzare il volto, incontrare finalmente il suo sguardo luminoso, l'espressione mista tra lo smarrito e il tragicamente emozionato “Non dirmi che ora stai rivalutando l'idea di tornare su in camera eh?” lo punzecchiò, per farlo reagire dato che era rimasto in silenzio tutto il tempo, imbambolato. Ma Cesar non sbottò come il suo solito, limitandosi invece a sbuffare una piccola risata, mentre socchiudeva gli occhi scrutando al di là delle ciglia.
Era emozionato, euforico, incredulo: tutto ad un tratto e tutto insieme si rendeva conto di aver attraversato il mondo intero in un giorno, di aver abbandonato Pamplona in fretta e furia, un solo misero bagaglio a mano con dentro lo stretto necessario, ed essere finito in capo al mondo, con Jared, in quella che aveva scoperto essere la sua terra natia, la sua casa: la Nuova Zelanda.

E non aveva assolutamente idea di cosa fosse la pavlova, né un Papatuanuku, figurarsi poi se poteva allettarlo l'idea di mangiare roba cotta in terra! Assurdo! Ma nonostante questo, nonostante tutto, non poteva far altro che prendere coscienza dell'importanza di tutto quello che stava vivendo, del significato intrinseco, sconvolgente, finalmente reale: non era più a Pamplona.
Non era più l'Emperador.
In quel momento era solo Cesar Xavièr, in una casa sulla spiaggia di una cittadina non ben nota della Nuova Zelanda in compagnia di un uomo che, bhè, aveva organizzato tutto quello solo per passare il Natale con lui.
Assurdo.
Ma meraviglioso, e magico, più delle luci nelle strade della sua città.
Una cosa che nessuno prima d'ora aveva mai fatto per lui, e chi si sarebbe mai aspettato che sarebbe stato proprio Jared a farlo?
Incredibile.
Ma davvero meraviglioso.
E Cesar ne era sinceramente colpito “Vorrei finire la colazione.. si...” disse, stavolta senza distogliere lo sguardo dal suo, ma parlandogli faccia a faccia “...e poi anche andare in spiaggia. Proverò a mangiare quella cosa dalla buca in terra e poi... magari..” fece una piccola pausa, serrando appena le labbra per l'imbarazzo “..bhè magari si.. si mi va bene tornare in camera..” disse, con un filo di voce, ma senza mai guardare altrove, mentre l'espressione che si dipingeva sul volto di Jared era di puro stupore.
Mai si sarebbe aspettato tanta sincerità da Cesar che, vedendolo così spiazzato, si ritrovò a ridere di gusto, mentre gli scivolava via dalle braccia e tornava verso il tavolo “Che fai? Resti lì tutto il giorno?” lo chiamò, mentre prendeva posto. E a Jared non rimase altro da fare che raggiungerlo, ancora sbigottito da quella reazione, e prendere nuovamente posto di fronte a lui, silenzioso, pensieroso “Ah..” fece Cesar, attirando la sua attenzione e il suo sguardo “..Buon Natale” disse, rivolgendogli un sorriso spontaneo, come non gliene aveva visti mai apparire in volto: luminoso, sincero e vero.
Jared sorrise a sua volta, poi ridacchiò, scuotendo la testa mentre si alzava nuovamente, sotto lo sguardo interrogativo di Cesar che se lo ritrovò al fianco che lo faceva alzare a sua volta “La colazione la finiamo dopo” disse, trascinandolo verso le scale, mano nella mano, senza che lui potesse, o meglio volesse, opporsi “Lo sapevo..” commentò con una risata e lo seguì, spontaneamente, verso il natale che aveva sempre desiderato.
Libero dagli schemi.
Libero degli obblighi.
Libero, con l'uomo che lo faceva sentire tale.


Volta il viso verso il sole e le ombre cadranno dietro di te.
[Proverbio Maori]



Fandom: tratto dalla role Jared X Cesar di Lle e Adaralbion
Personaggi: Jared, Cesar
Breve introduzione: Un natale decisamente fuori dall'ordinario.
Ulteriori info:
In Nuova Zelanda il Natale, per questioni di latitudine, arriva in piene estate.
I Maori (di cui Jared è discendente) celebrano il mese di Hakihea, che secondo la tradizione inizia intorno al 15 di dicembre.
Pavlova: dolce tipico di queste feste, a base di albumi montati a neve e decorato con frutta locale e crema.
Papatuanuku, (Madre Terra): corrispondente maori di babbo natale.
Hangi : tradizionale banchetto natalizio maori, a base di carne e verdure cotte a vapore in una buca scavata nel terreno.
Meri Kirihimete, il titolo della fan fiction, vuol dire Buon Natale in lingua maori.
  
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