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Autore: lizzysly    05/01/2012    1 recensioni
Un'adolescente, un sogno, un imprevisto che non avrebbe mai immaginato e tutto il suo mondo perfetto crolla, la tristezza e lo sconforto prendono il sopravvento, l'unico modo per rimediare?
Ricreare un nuovo ideale di perfezione, questa volta il modello è il suo corpo, lavorato e torturato, piegato al volersi sempre più magra, più leggera, più perfetta.
Un corpo da non dover nutrire e quando si cede, quando non si ha più il controllo, l'unico mezzo è il rigettare, punirsi.
Mangiando ancora di meno, fino a crollare.
Ora? Ora è tempo di reagire per Maggie.
E' tempo di mangiare di nuovo, di vivere, di sorridere ancora una volta, è tempo di volersi bene.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO Maggie era sdraiata sul suo letto, fissava il vuoto senza pensare a nulla, era spenta, fioca e tanto stanca. Le sue guance eran bruciate da continue lacrime che non finivan più di scendere.
Accanto a lei, sul comodino, vi era appoggiato una tazza  di cioccolata ormai raffreddatasi  e qualche biscotto secco.
Poi i suoi occhi ricominciarono a battere nuovamente come se stesse riprendendo vita, si alzò di scatto e colpì violentemente la tazza  che cadde, frantumandosi a terra con un rumore assordante, attutito dalla moquette.
Iniziò a piangere e, più si asciugava le lacrime più quelle le segnavano il viso.
Si abbandonò a sé chinando  il capo, infine sprecò le sue ultime forze per dare un pugno al mobiletto. Stette in silenzio per qualche minuto poi il telefono cominciò a squillare rompendo quell’atmosfera fredda e pesante della camera, Maggie afferrò l’apparecchio, non conosceva quel numero…
 
 
 
 
   CAPITOLO I
 
Mi sono stufata di tutti e di tutto, non ho alcun motivo di rimanere qui, perché, perché devo soffrire così? È solo una condanna. Gesù, hai due possibilità, o mi aiuti a dimagrire o non mangio più nulla, piuttosto divento anoressica, mi faccio ricoverare. Non posso avere diciannove anni ed  esser così. Non mi senti, non senti il mio dolore, non vedi come sto male? Io ti sto chiamando, ma perché non ci senti, non mi ascolti, non sopporti la mia voce? Forse è una punizione? Forse è una qualche pena da scontare? È perché non prego più? Bene, questa è una preghiera, ASCOLTAMI.
Io non posso più vedere il mio corpo, amo tenermi in forma, amo me stessa, ma non starò bene con me stessa finché il mio corpo non sarà perfetto, voglio esser padrona del mio corpo e del mio cibo. Se vuoi aiutarmi, bene, altrimenti farò da me ”.
Maggie lesse e rilesse quelle frasi scritte qualche anno prima nel suo diario segreto. Ora era diventata grande e il suo sogno si era avverato, ora era magra e padrona del suo corpo.


Quando fai pulizia in una soffitta che non apri da anni, tra scatole e scatoloni, giochi e vestitini trovi sempre qualcosa che ti fa sorridere o che riapre una ferita non del tutto rimarginata.
Accanto al suo diario di adolescente, erano appoggiate le sue prime scarpette da ballerina, ormai tutte rotte e consumate; tolse pian piano la polvere che aveva coperto il color rosa dei nastri. Le guardò portandole al petto. Quanti bei ricordi vi erano scritti, come quello di quando le aveva ricevute…era un giorno qualunque, né Natale né compleanno, un giorno non stabilito. Era tornata da scuola con la macchina blu del nonno, pioveva a dirotto e il cielo era cupo, nuvole grandi come case occupavano la grande cupola azzurra e solare, i tuoni rimbombavano a nord e i fulmini spezzavano il cielo, illuminandolo. Maggie era così paurosa che quel temporale l’aveva  costretta a chiudere gli occhi ad ogni rombo. Una volta aperta la porta d’ingresso, con la sua vocina fioca aveva chiesto al nonno dove fosse la mamma, l’uomo le aveva strizzato l’occhio, inarcando il sopracciglio folto e  marcando il gesto con un sorriso.

Suo nonno Edward era un signore di mezz’età, sempre ben vestito e molto curato in ogni suo dettaglio, per metà scozzese e per metà irlandese, amava la cultura e i campi spaziosi, verdi delle sue terre lontane che aveva lasciato all’età di sedici anni, vestiva però come un uomo dei primi del Novecento; adorava l’ordine e le sue buone abitudini per mantenersi in salute. Ogni giorno, dopo colazione, gli piaceva fare lunghe passeggiate nella campagna aperta, usciva col suo soprabito grigio scuro, la sua camicia bianca sbottonata negli ultimi due bottoni in alto, la coppola in testa tenendo, stretto nel suo non più forte pugno destro un bastone che, secondo lui, non era un aiuto alle sue povere gambe, bensì un anello importante per sottolineare il suo elegante portamento.
Era l’unico uomo completo che Maggie avesse mai conosciuto; oltre ad esser buono e generoso, colto e severo, suo nonno le dava un senso di sicurezza che non aveva mai sentito con nessun’altra persona.
Era stato un membro della marina militare americana e aveva combattuto nella seconda guerra mondiale. Aveva studiato medicina in America e aveva girato il mondo portando il suo aiuto a chiunque ne avesse bisogno.
Si era sposato con una donna incantevole più piccola di soli due anni, che faceva l’infermiera in un piccolo ospedale militare in Europa, lì si erano incontrati per la prima volta.
Passavano ogni istante libero a progettare il loro futuro, a raccontarsi storie che avrebbero raccontato ai loro figli e poi ai loro nipoti, dicevano che avrebbero avuto così tanti nipotini che la loro casa ne sarebbe stata invasa. Li avrebbero viziati e gli avrebbero insegnato qualsiasi cosa sapessero.
Edward e sua moglie Nora avevano avuto però una vita diversa da quella tanto desiderata, erano riusciti purtroppo ad avere una sola figlia, Karen, boccoli neri, occhi verdi e un viso sempre solare.
La bimba era un raggio di luce nei loro occhi, sorrideva sempre, ogni giorno era per lei un momento di gioia, non conosceva dolore, non conosceva pianti; Edward e Nora le avevano insegnato come vivere la vita senza sprecarla, come non arrendersi alle avversità, come lottare con tutte le proprie forze per ottenere ciò che si vuole.
Karen adorava parlare con sua madre, era un libro aperto, non aveva segreti per lei.
Ogni domenica andava a pescare con suo padre, facevano lunghe chiacchierate lungo il fiume.
La piccola donna gli parlava di ciò che voleva diventare da grande e il suo protettore l’ascoltava,  incoraggiandola in tutto ciò che desiderava fare.
Maggie era l’unica nipote dei Tomson, suo nonno l’adorava e la viziava come si era ripromesso da giovane e sua nonna la trattava come una seconda figlia.
La ragazza ricordava bene il viso e il sorriso simpatico del suo Big, così chiamava affettuosamente quell’uomo dai capelli bianchi, bianchi come i suoi baffoni e le sue sopracciglia spruzzate di grigio. Anche se severo gli piaceva ridere e scherzare, tante volte prendeva la sua nipotina e la faceva sedere sulle sue ginocchia raccontandole la storia della sua vita, Maggie però preferiva farsi narrare l’incontro magico tra Big e la nonna Nora, un incontro nato in una caserma militare, dove entrambi lavoravano e aiutavano i feriti di guerra.
Maggie amava sentirlo narrare di elmetti e sabbia negli occhi, fumo accecante e battaglie contro la morte  e il tempo per salvare quei soldati.
Quel pomeriggio di pioggia Maggie non lo dimenticò mai, era entrata in casa stringendo nel suo minuscolo pugno il mignolo di Big, aveva posato la cartella ed era rimasta all’entrata.
“ Ehi sergente, non avanza nel campo nemico? Il suo coraggio deve essere forte per tutta la squadra, lo sa, vero? ” Il sergente di soli sei anni aveva guardato il suo soldato Big sorriderle…all’improvviso la porta della camera, in fondo al corridoio, si era aperta  lentamente e una luce fioca aveva illuminato il muro rosa.
Big  aveva preso in braccio la piccola e l’aveva portata verso la luce, lo scricciolo ero sceso coraggiosamente dalle braccia del nonno ed era entrato nella sua camera.
Sul letto vi era seduta la sua mamma e, di fianco, una scatola tutta rosa confetto con un fiocco rosso. Si era avvicinata pian piano, guardandosi intorno spaesata.
“ E’ per te, tesoro. Su Stella, aprilo…Coraggio! ”
“ Davvero posso, mamma? ” Karen annuì.
La piccola sergente aveva aperto lentamente la scatola, sciogliendo il grande fiocco rosso.
Tolto il coperchio era rimasta a bocca aperta, i suoi occhi eran lucidi e pieni di gioia, sorridevano.
Aveva iniziato a riempire di baci la mamma e il nonno, aveva fatto avanti e indietro per tutta la casa saltando e danzando…

…“ Quando le vidi lì, in quella scatola, ero così felice che avrei fatto qualsiasi cosa. In fretta e furia le provai, erano lì, ai miei piedi, due piccoli piedini di sei anni. Passai tutto il resto della giornata a guardarle e accarezzarle, le pulii e le strinsi al petto. Ricordo che crollai sul divano con ancora le ballerine ai piedi… mamma mi lasciò dormire lì, con una coperta  sulle spalle ”.
Ogni tanto le piaceva ricordare i bei momenti a voce alta, come se ci fosse qualcuno a cui raccontarli. La soffitta della madre era piena di ricordi, era ora di portare anche loro via con sé, nella sua nuova dimora, un nuovo appartamento al centro, una casa tutta sua e questa volta ci sarebbe rimasta davvero. Una culla tutta da arredare come piaceva a lei; questo nuovo appartamento era molto più grande e più confortevole del precedente, ogni cosa avrebbe potuto sistemarla in modo differente.
Quando tornava in quella casa, i profumi dell’ambiente le ricordavano i momenti passati tra quelle mura ed ora, dopo che anche il nonno l’aveva abbandonata l’inverno appena passato, non riusciva nemmeno più a tornarci in quella villetta, troppi ricordi la circondavano, ogni angolo le ricordava il soldato Big, il suo viso angelico, quei suoi occhi sorridenti. La voce risuonava tra le pareti, la sua risata e le sue parole sagge la facevano sentire sempre a casa.
Dopo una giornata nera a scuola bastava spalancare la porta d’ingresso e urlare:
“ Soldato, rapporto! ” e dalla cucina sbucava un uomo alto, di bell’aspetto, robusto che, con un grembiule tutto sudicio, rispondeva con voce disgustata:
“ Oggi niente pasto caldo ma solo una schifosissima sbobba ”, allora Maggie rideva, marchiandogli un bacio in fronte, insieme aspettavano che Karen rientrasse dal lavoro poi, come una famiglia, chiacchieravano e cenavano intorno alla tavola, raccontandosi la loro giornata.
Il nuovo appartamento era stato appena ristrutturato, bastava solo un tocco deciso e forte, delle tinte particolari, una bella sferzata di luci e colori, una casa che l’avrebbe sempre accolta e fatta sentire felice in ogni momento.
La sala era molto ampia e illuminata dalla luce del sole solo nelle ore più fresche della giornata, la cucina era quasi sempre in ombra, mentre la camera da letto e il bagno erano assolati dalle prime ore del mattino fino al tardo pomeriggio.
“ E’ bello qui, sei stata fortunata a trovarne uno così carino al primo piano ”.
“ Già, piace molto anche a me. Sarà più carino quando lo vedrai la prossima volta; ora è un po’ spoglio ma… vedrai! Con mobili e colori sarà tutta un’altra cosa! ”
“ Stella, non dovresti chiamare gli imbianchini o… chi so io, beh, non…non… ”
“ Dai Karen, il divertimento inizia proprio da qui! E poi ci sarà gente ad aiutarmi, non stare a preoccuparti ”
Mamma e figlia consumarono due panini ciascuna e bevvero due piccole birre, sedute a terra avvolte nelle coperte. Passate le undici Maggie accompagnò a casa la madre.
“ Sarebbe stato fiero di te ” sussurrò Karen.
“ Lo so. Buonanotte Karen ”
“ Buonanotte, Stella ”.
Le due donne si congedarono. Maggie tornò nella sua nuova casa e si sdraiò sull’unico mobile presente nell’appartamento, un comodo letto con accanto il comodino color noce.
Stava per rilassarsi e lasciarsi andare alle piccole ma profonde ore di sonno che l’aspettavano, quando si ricordò di non aver fatto una cosa importantissima… si alzò di scatto e corse in bagno, diede un’occhiata al riflesso nello specchio, poi si avvicinò al water, tirò su la tavoletta e vi si chinò sopra. Tutte quelle calorie consumate in ottima compagnia, stava quasi per dimenticarsi di vomitarle tanto era felice che sua madre fosse andata a trovarla.
Ci mise due secondi, l’indice e il medio avevano già fatto il loro ingresso nella bocca,  erano pronti a spingere più in fondo per liberare quel corpo dalla sporcizia, la sua anima non si sarebbe sentita in colpa per aver danneggiato l’intero sistema. Maggie non si sarebbe sentita in colpa, non si sarebbe sentita sporca, perché è questo che provava quando mangiava; sentiva il suo corpo sporco e le sue arterie ostruite dal cibo, tutto si ammalava.
Vomitò fino a non avere più niente da tirar fuori, prese un pezzo di carta per pulirsi e rimase accovacciata davanti a ciò che aveva rigettato; tirò indietro i capelli legandoli con un elastico, si asciugò gli occhi gonfi e rossi e con tutta calma si alzò in piedi.
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“ Basta, basta. Sta zitta. Non potevo non mangiare, c’era Karen. Lei pensa che sia guarita. Stai zitta, è colpa tua. Se non, se tu non ti fossi fatta… ”
Non finì nemmeno la frase. Concentrò tutta la sua forza nei pugni e colpì il riflesso mandando in frantumi lo specchio. Quando riaprì gli occhi le sue mani erano insanguinate, pianse fino allo sfinimento, poi le pulì e le disinfettò. Con le mani avvolte nelle bende andò a sdraiarsi sul letto, rannicchiata come una bimba in grembo, con il viso rivolto verso la finestra, a guardare la luna in tutto il suo splendore.
Maggie sapeva che l’altra lei sarebbe arrivata quella sera, era un po’ che non si presentava, giusto una settimana, ma prima o poi l’avrebbe ritrovata e allora sarebbe stata più furiosa di prima. La ragazza aveva imparato la lezione, non avrebbe più mangiato e se le fosse capitato avrebbe dovuto liberarsene subito, non come quella sera. La lezione non se la sarebbe fatta ripetere, almeno per un po’.
Cadde in un lungo sonno profondo fino alla mattina seguente, quando venne svegliata dalla luce che filtrava attraverso lenzuoli bianchi che, al momento, fungevano da tende.
Era lunedì mattina, la giornata si preannunciava piena ed impegnativa, sarebbe arrivato l’arredo della sala e nel pomeriggio la cucina, tutto quel gran da fare e le tante persone l’avrebbero fortunatamente distratta.
Si sarebbe messa subito al lavoro, voleva creare la casa più bella che si fosse mai vista, tutto perfetto, colorato, vivace. Voleva vivere in un ambiente solare, dove non si sarebbe mai sentita sola, mai depressa; stava per preparare la casa dei suoi sogni, come l’aveva sempre desiderata.
  
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