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Autore: _Misery    05/01/2012    1 recensioni
- Credo proprio di aver bisogno di una cioccolata calda.
Una voce soffice s’alzò alle sue spalle, fluttuando sino a lei. Mary lasciò il letto della povera signora Hoffman (che per quasi due ore non aveva fatto altro che vorticare gli occhi in maniera angosciante), si volse lentamente e ne fissò il biondo proprietario: Gilderoy Allock, cartella numero 22680, ricoverato al quarto piano da quasi tre anni.

Gilderoy Allock/Nuovo personaggio: ovvero, la storia un po' complicata senza eroi, al massimo qualche catetere!
[ temo che aggiornerò tardissimo! ]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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*tossicchia*
Salve!
Che dire, mi sto chiedendo anch'io perché mai diavolo abbia dovuto scrivere qualcosa su Gilderoy Allock/Lockhart (e un mio personaggio, perché Mary Cochalsky è mia e mi rispecchia pure abbastanza, nyah!).
E beh, vi dirò, a parte il fatto che ha un nome fico, non lo so proprio. Per quanto possa essere descritto come fascinoso ma il mio tipo rimane comunque Malfoy Senior, credo che ad un certo punto abbia semplicemente suscitato la mia compassione, anche se sembra proprio che la Rowling lo odi. E avevo quest'idea da un po', per cui che altro fare, se non buttarla giù?
Inoltre Erodiade mi ha consigliato di scrivere una bella long, e non posso darle torto: certo, non avevo proprio in mente di usare lo Smemorato, ma le idee per una bella storia con i Cattivi sono ancora in pieno lavoro della serie avevo intenzione di usare un tipo come Raptor ehm ehm, vedremo, vedremo!
Ma bando alle ciance!







 

Gioventù

Frullobulbi, infermiere & sospiri




 

He doesn't look a thing like Jesus
But more than you'll ever know
The Killers, "When You Were Young"

 






Di norma, la giovane e insignificante Mary Cochalsky, infermiera all’Ospedale San Mungo per ferite e malattie magiche, non amava molto il suo lavoro; e quel giorno, col suo carico di nubi ferrigne e pesanti come pietre, men che mai. Dovette compiere uno sforzo atroce per rialzarsi dai vapori della vasca e costringersi a non guardare il suo alluce destro, nero e tremendamente bisognoso di una pedicure – e ancor più per arrotolarsi in chili di lana, mettere il naso fuori di casa, nel vento che le mangiava la pelle, e avventurarsi sotto la tempesta che nasceva, alla volta del vecchio Purge & Dowse Ltd; prima di addentrarsi nel magazzino, però, tornò a guardare la strada che aveva percorso con il walkman incantato tra le dita. Si sentiva brutta, quella mattina: si sentiva fragile e greve, in ogni caso intoccabile, sbrindellata nella nostalgia di qualcosa che forse non aveva nemmeno mai avuto – o in un tempo troppo lontano, non lo sapeva con precisione –, il che rappresentava, ancora una volta e con suo sommo rammarico, la norma.
In sostanza, Mary Cochalsky era una di quelle persone profondamente malinconiche e abituate a nascondere poi, con un’indifferenza piuttosto annoiata, la propria disponibilità mai ricompensata: entrambi motivi per i quali la ragazza sospirava spesso, anche dopo una risata, e nessuno sembrava capirlo – o preoccuparsene minimamente. Sospirò anche quella volta, nessuno la vide, e s’infilò tra le vetrine luride, accanto al solito manichino dal vestito giallo e agghiacciante.
- ‘Giorno, Seth – disse, prima che il caos colorato e deforme dell’Ospedale la travolgesse; un ragazzo alto, scuro e tanto ossuto da sembrare prosciugato alzò gli occhi dalle cartelle che gli volteggiavano davanti e le rivolse un mezzo sorriso.
- Salve, Cochalsky – fece, appoggiandosi al bancone della sala d’accettazione con entrambi i gomiti; le cartelle ricaddero al loro posto con un tonfo quasi tenero. – Ti trovo… –
- … raccapricciante come al solito? – l’interruppe Mary, già lontana.
- Stavo per dire piuttosto arruffata, veramente – replicò Seth, indicando vagamente i suoi capelli col palmo della mano. – Comunque datti una mossa prima che tutti delirino di nuovo, al quarto piano.
Bella storia che le era capitata, pensò Mary, e non riuscì a deglutire lo sconforto. Due giorni prima, sempre al quarto piano, l’Indicibile Broderick Bode era stato letteralmente stritolato da un Tranello del Diavolo che tutti, lei compresa, avevano scambiato per un innocuo – anche se un po’ inquietante, a dir la verità – Frullobulbo; a Mary e a qualche altra infermiera era poi toccato l’infausto compito di pulire e sistemare i miserevoli resti del poveretto, allontanare i tafani delle varie Gazzette e sostituire la Guaritrice Miriam Strout, sconvolta e muta come un sasso, in attesa che l’Ospedale prendesse provvedimenti definitivi. E tutto appena dopo Natale; deprimente, assolutamente deprimente.
- Buondì, mia giovane e affascinante pulzella – esclamò un tipo smilzo in gorgiera e calzamaglie verdi dalla sua cornice alla terza rampa di scale; Mary non sobbalzò nemmeno più, non dopo tutto quel tempo e tutti quei corridoi.
- Buongiorno anche a te, Bob – mormorò, con un cenno stanco della mano. – Non mettertici pure tu, stamattina. Per favore.
- Sir Robert di Lampton, Guaritore sotto la venerabile Regina Elisabetta – lo corresse lui, solenne. – Acciderba, siamo un po’ giù di morale, eh.
- Infatti – rispose Mary, e anche stavolta era quasi scomparsa alla vista. – Ci si vede, Bob.
- Sei sempre la mia preferita, dolcezza! – le gridò Sir Robert da lontano; ma era la stessa cosa che ripeteva ogni benedetta mattina ad ogni benedetta infermiera, Mary lo sapeva benissimo. Oramai aveva smesso di sperare persino che un ritratto potesse innamorarsi di lei.
Continuò a salire senza pensarci davvero, attenta solo al battito del suo cuore – profondo e pungente come sempre, in effetti –, finché il suo piede destro non atterrò sull’ultimo gradino e qualcosa che rassomigliava vagamente a un’ondata vermiglia l’investì.
- Lottie!
Mary tentò invano di liberare il braccio dalla presa ferrea dell’infermiera Charlotte Seymour, ma l’altra parve non accorgersene e se la trascinò tranquillamente lungo il corridoio.
- Santo cielo, sei davvero in ritardo! – la salutò, gli occhi che scintillavano, neri, sulle guance rosse come i capelli. – Il signor Allock pretende di sapere perché nessuno gli chiede più autografi, e credo che la Hoffman abbia avuto l’ennesimo incubo; ha farneticato di strani tentacoli e fantasmi neri per una buona mezz’ora…
- Be’, dopotutto hanno assistito ad uno spettacolo abbastanza spaventoso – osservò Mary, aggrottando le sopracciglia. – Mi sembra normale che siano ancora un po’… ecco… traumatizzati.
L’infermiera Seymour scosse la mano come se volesse scacciare qualcosa d’invisibile. – In ogni caso, vedi di prepararti in fretta – sbuffò, roteando gli occhi. – Non posso mica badare a tutto da sola, io! Benvenuta nel reparto mentecatti – aggiunse serafica, lasciandola davanti a due grandi vetrate e allontanandosi a passo veloce, la lunga treccia scarlatta che le ondeggiava sulla schiena perfettamente dritta; a Mary parve di sentirle borbottare qualcosa come nonpotevanolasciarmialsecondopianoeradisgustosomaalmenomoltopiùtranquillodiquestopostoinquietantedannazione, ma non ne fu sicura.
S’affacciò ad una delle porte, cauta, come se qualcosa di fetido potesse arrivarle in piena faccia da un momento all’altro. Che sciocchezza.
Il reparto lesioni da incantesimo alternava echi di ronzante silenzio a boati di voci improvvise, senza senso. Mary strinse la vecchia tracolla sbiadita con un fremito, senza accorgersene.
Benvenuta nel reparto mentecatti.
Inquietante davvero. Dannazione.
 

 

*
 

 

        Del San Mungo, i cui turni estenuanti sconvolgevano puntualmente ogni suo tentativo di organizzarsi una vita decente, l’infermiera Cochalsky amava però qualche piccola cosa – le divise verdi dei Guaritori e del personale, per esempio: Mary poteva indossare il suo colore preferito senza risultare ridicola, o almeno credeva.
Le chiacchiere dei mentecatti, invece, le piacevano un po’ meno.
- Credo proprio di aver bisogno di una cioccolata calda.
Una voce soffice s’alzò alle sue spalle, fluttuando sino a lei. Mary lasciò il letto della povera signora Hoffman (che per quasi due ore non aveva fatto altro che vorticare gli occhi in maniera angosciante), si volse lentamente e ne fissò il biondo proprietario: Gilderoy Allock, cartella numero 22680, ricoverato al quarto piano da quasi tre anni.
- Mi dispiace molto, signore, ma temo che al momento non sia possibile – rispose, avvicinandosi di qualche passo con l’espressione più amorevole che potesse simulare.
Il paziente si scostò improvvisamente dalla foto che teneva in mano e le puntò addosso uno sguardo imbambolato; Mary si chiese se non avesse usato parole troppo difficili per le sue capacità intellettive.
- Oh, e lei sarebbe?
La domanda le arrivò dritta come una spina al petto e lì rimase per qualche attimo, giusto il tempo d’inspirare a fondo.
- L’infermiera Mary Cochalsky, signore – rispose, inespressiva, fissando ardentemente il muro; dovette trattenersi per non prenderlo ripetutamente a testate. Era forse la quarantesima volta che lui glielo chiedeva e lei lo ripeteva: con quel suo sguardo etereo e poco più di tre giorni e cinque secondi, Gilderoy Allock stava lentamente demolendo la sua identità – nonché la sua pazienza.
- Ah, bene, infermiera Mary Cochalsky – esclamò lui, esibendosi in un sorriso a centotrenta brillantissimi denti. – Perché non viene un po’ qui, vicino a me, e non mi aiuta a riordinare le mie foto? – aggiunse, battendo sul materasso con la manina bianca.
Mary esitò, inorridita.
- Sono molto belle, sa? Potrei anche autografargliene una, se vuole.
Il sorriso del signor Allock tornò a riflettersi sulla superficie lucida della foto. Mary avrebbe dovuto badare ai Paciock, mentre Lottie zampillava per i corridoi, ma si accostò comunque al letto e sbirciò dai riccioli dorati del paziente.
- Vede, infermiera Mary Cochalsky? – Allock indicò il suo gemello, che si ergeva tronfio e cartaceo dal tavolo di una libreria affollata. – Questo sono io, proprio io! Non mi ricordo esattamente cosa stessi facendo, ma doveva essere qualcosa di molto importante. Ne sono sicurissimo. A volte – continuò, colpendosi la fronte col palmo della mano – mi chiedo perché la gente mi ami tanto! Devo aver compiuto delle imprese davvero grandiose, per non parlare della mia avvenenza! Non sono bellissimo, infermiera Mary Cochalsky?
Continuava a ripetere il suo nome in modo irritante, come se avesse appena imparato chissà quale affascinante vocabolo; Mary non sapeva se preferirlo adesso o qualche minuto prima.
- Bellissimo, certo, signore – rispose, accennando un mezzo sorriso e riuscendo persino ad assestargli qualche buffetto sulla testa; Allock alzò su di lei i suoi dilatati occhi azzurri, ma era come se qualcosa, da qualche parte là dentro, si fosse improvvisamente accasciato.
- Lei dov’è? – chiese, e gli angoli della sua bocca si piegarono pericolosamente all’ingiù.
Mary ritrasse la mano e la strinse subito nell’altra.
- Come, scusi? – fece, incredula.
- Lei!
- Lei chi?
- Lei. Dov’è?
La ragazza si guardò intorno in cerca d’aiuto (o di una risposta), le labbra strette tra i denti, e si accorse che Charlotte, dall’altra parte della stanza, le stava facendo cenno di avvicinarsi.
- Tornerà presto a trovarla, signore – azzardò, allontanandosi in fretta non appena Allock fu tornato all’estatica contemplazione della propria bellezza; non c’è niente da fare, le donne mi adorano, lo sentì mormorare, tutto soddisfatto.
- Allora? – bisbigliò Lottie, afferrandole il braccio per l’ennesima volta.
- Allora cosa?
Charlotte rivolse gli occhi al soffitto, seccata; sembrava fosse capace di compiere sempre e solo le stesse azioni.
- Come cosa? Volevo chiederti come ti va, Mary – disse, roteando l’altra mano.
- Ah, beh, a questo punto avrei preferito conversare in yiddish con l’Indicibile – mormorò Mary, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro; Charlotte storse la bocca, ma evitò accuratamente di guardarla.
- Comunque devi buttare via tutte quelle cianfrusaglie il più presto possibile – disse, sempre con la bocca incurvata, indicando il signor Allock e le sue pile di foto con un breve cenno della testa. – Ordini dall’alto, sai – aggiunse, accennando stavolta al soffitto. – Quella scema della Strout riempiva questi ment… i suoi pazienti di robaccia, ed è solo colpa sua se Bode è finito com’è finito. Vorremmo evitarcelo di nuovo.
Parlava come se all’improvviso, proprio in quel punto, fosse divenuta Capo Guaritrice; ma sarebbe stato del tutto inutile farglielo notare.
- Perché devo farlo io? – chiese invece Mary, arrossendo senza motivo.
- E perché mai dovrei farlo io? – replicò l’altra, incrociando le braccia e alzando un sopracciglio; più in là, dietro di loro, Gilderoy Allock parve risvegliarsi di colpo e gridò che voleva una cioccolata calda, ancora. Charlotte lo raggiunse col suo sorriso più lezioso.
- E va bene – sospirò Mary, rivolta ad entrambi. – Vedrò che cosa posso fare.
Ma le sarebbe servito qualcosa di più della semplice pazienza, per sopravvivere al signor Allock e alla sua collezione di foulards rosa antico. Qualcosa che aveva imparato ad usare il minimo indispensabile.
         

 

*
 

 

- Miriam! Ho voglia di un cioccolatino, Miriam! Ehi, qualcuno mi sente?
Gilderoy Allock si guardò intorno, tentando invano di scorgere qualcosa oltre le sue lenzuola e l’oscurità, ma nessuno rispose.
 

   
 
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