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Autore: Cassandra Morgana    06/01/2012    0 recensioni
Raccolta di Missing Moment su "Il bacio dell'aspide". Ogni shot è dedicata ad una vera o presunta coppia presente nella storia-madre.
- Bonus Track 1 (Andrea/Gabriele): restare soli alla casa dello studente nel week-end sotto Natale non è particolarmente piacevole. Tranne nel caso in cui qualcuno non abbia avuto la tua stessa idea.
- Bonus Track 2 (Andrea/Giulia): ambientata qualche mese prima degli eventi narrati nella storia madre. Isa prova a combinare al suo amico Andrea un appuntamento (non troppo) al buio.
- Bonus Track 3 (Andrea/Giulia/Sara): missing moment dal sapore più agro che dolce. Breve sipario su quanto Andrea dovesse apparire str... nel periodo pre-"conversione", e su come Gabriele abbia lentamente maturato il risentimento nei suoi confronti e il desiderio di distruggerlo. Threesome accennata.
- Bonus Track 4 (Alex/Isa): CRACK-PAIRING dichiarato. Isa ci prova con Alex per dispetto a Elena. Non mettendo in conto un filo di attrazione inconsapevole e del tutto imprevisto.
Genere: Angst, Erotico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Threesome | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il bacio dell'aspide ~ la serie'
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Il bacio dell’aspide – Bonus Track

 

 

Bonus Track 1

 

Titolo: “L’uomo che non deve chiedere mai”

Genere: Introspettivo, Romantico, Erotico

Pairing: Andrea/Gabriele

Rating: n.c.17 (per il finale)

Warning: tanto slash; inizia angst, naviga un po’ nel comico-fluff e termina nel p0rn

Riassunto: Restare soli alla casa dello studente nel week-end sotto Natale non è particolarmente piacevole. Tranne nel caso in cui qualcuno non abbia avuto la tua stessa idea…

Dedica: a Ichigo ? Regalino di Natale con qualche giorno di ritardo ;))

 

 

Natale 20091

 

La porta della stanza chiusa a doppia mandata, Andrea si gode i momenti che precedono l’esodo natalizio, quando il silenzio sovrasta ogni altra percezione, come il freddo del vetro su cui ha incollato il naso. Cullato dall’alternanza pioggia-sole-grandine, scruta fuori dalla finestra, la casa dello studente che si svuota ogni minuto che passa.

L’unica, quella mattina, ad averlo degnato di qualcosa in più di un’occhiata casuale, è stata Isa, incurante dei passati dissapori, con una fredda stretta di mano e un “buone vacanze” biascicato di fretta.

Imprevedibile Isa. Forse una parte di lei spera ancora di approfittare dell’assenza di Loria per riavvicinarsi quatta quatta al suo boccone prediletto. Forse è persino in buona fede. Ma uno sguardo apatico e una risposta ancora più distaccata hanno chiuso lì la parentesi.

Sorride, Andrea. Anche Loria è partita: l’ha baciato sulle guance e si è avviata con poco entusiasmo giù per la discesa dai marciapiedi scivolosi di pioggia, fino alla fermata. L’ha lasciato lì, con un vuoto in fondo al petto destinato a diventare voragine.

- Contenta di stare via per un po’?

Sopracciglio inarcato, occhiata scettica.

- Sai che palle…! Il tempo di liberarmi, e sono da te.

Mentre era ancora con lei, sua madre ha buttato il carico da undici con una telefonata improvvisa, e lui di nuovo, come sopra: irremovibile. La parte difficile, come sempre, è trovare le parole giuste. Ci ha provato, ma poi le labbra hanno iniziato a tremare, un nodo alla gola e la voce malferma.

Si tratta solo di preservare la pace in casa sua ed evitare piazzate controproducenti in pieno pranzo di Natale. Evitare il faccia a faccia con suo padre e qualche buon pretesto per saltarsi alla gola. Quale soluzione migliore, se non evitare direttamente di presenziare quale ospite sgradito? Sua madre sarebbe stata anche felice di rivederlo dopo mesi. E Adele. Ma è già tanto che suo padre abbia accettato un pranzo in amicizia con la ex-moglie per il bene della piccola. Manca solo lui, la causa di tutto.

- Mi dici almeno che scusa invento?

- Di’ che ho fatto tardi… – le ha sussurrato, tagliando corto – Accampa una scusa.

Perché il Natale è la tipica festa da trascorrersi in famiglia, mamma papà e Adele, e il sorriso di sua madre sarebbe stato radioso, il volto di suo padre disteso mentre aiuta la piccola a scartare i doni, senza il figlio cattivo che turba l’atmosfera e rovina la giornata. Il pazzo con l’unica ambizione di fare il clown su un palcoscenico e vendere il proprio corpo per un posto al sole.

Del resto, suo padre l’aveva messo in chiaro, che non lo vuole tra i piedi. All’epoca di Neri e del gran casino che seguì. Decreto sempre valido, l’eventualità di giungere ai ferri corti una conclusione troppo verosimile per scartarla.

Forse solo Loria ha intuito il problema. Non ha fatto domande, ma l’ha capito al volo, che neppure lui è felice di “staccare”. E sono rimasti così, immobili accanto alla porta e restii a congedarsi.

- Non posso fare altrimenti, Andre, davvero. Avrei voluto restare con te…

E lì ha dovuto farsi violenza per resistere all’implulso di stringerla a sé e non lasciarla andare. Si è risolto a un sorriso agrodolce per non farle pesare la situazione: se la caverà. Magari alla fine salterà tutto, oppure suo padre annuncerà improrogabili impegni di lavoro, tanto per non correre rischi di sorta, e a quel punto Adele sarà tutta per lui. Se poi riuscisse a trascinare Elena con sé almeno per una sera, sarebbe un uomo felice.

E invece eccolo lì, da solo, a rabbrividire contro il vetro e a guardare giù in strada.

 

Il secondo incontro-non incontro della giornata si è presentato come una massa di capelli ossigenati e un ticchettio di tacchi da “oh, guardate chi arriva!”. Giulia detta “Barbie” e la sua mascella quadrata e le mani troppo lunghe. Troppo lunghe addosso a lui.

Si è defilato dietro un pilastro, lontano dalla sua portata; senza fiatare, ha atteso il via libera.

Forse l’intenzione di quella mantide era augurargli semplicemente di passar buone feste, forse provarci di nuovo con lui o piazzargli qualche domanda impertinente, procurando così al branco un nuovo pretesto per ridere di lui, lo sfigato costretto a trascorrere il Natale lì a fare la muffa.

Nel dubbio, meglio evitare. Lo sa come la pensano. Loro.

Povero idiota… Sta sulle palle a tutti.

Nemmeno la sua famiglia deve sopportarlo volentieri.

Lo credo bene…!

Parole come pugnali. E giù altre risate.

No. La volontà di parlarci e farsi stampare due macchie di rossetto sulle guance, è pari solo alla voglia di prendersi un cazzotto in un occhio. Ha atteso lì, muto dietro il suo riparo provvidenziale, fino allo scampato pericolo.

Poi c’è l’sms equivoco ricevuto la settimana scorsa, che gli ha suggerito un’idea piuttosto chiara delle vere intenzioni di Barbie. Le allusioni a una sana scopata in amicizia modulate in modo tale che il passo successivo si chiama stalking.

Sarebbe stata un’idea niente male, se al posto suo ci fosse stato un altro. Se nella sua testa non ci fosse stato altro pensiero se non pendere dalle sue labbra e sfruttare la situazione per sbugiardare la versione ufficiale che lo vuole gay fino al midollo, gay senza speranza d’appello. E molto, molto sfigato.

Le occhiate maliziose seguite al rifiuto di trascorrere il Capodanno con i vecchi amici, hanno rispettato la prassi del caso, piantandosi come mille aghi sulla sua nuca. Risate e allusioni a seguire.

E pazienza, perché sopravvivrà anche con i fancazzisti dell’Accademia che proprio non riescono a dipanare il dubbio, a inquadrare il suo orientamento sessuale e farsene una ragione. Che preferirebbe farsi frate piuttosto che assecondare le avances di Barbie Machiticonosce, è un’idea troppo sottovalutata. Potrebbero, per una volta, evitare di farne una questione politica internazionale e starsene tranquilli: non attenterà alle chiappe di nessuno di loro.

Quel pomeriggio, pochi minuti dall’inizio dell’ultima lezione, è arrivato Riccardi, e i cavoli hanno rischiato di diventare acidi.

- Hai visto, Giu’? – ha berciato il suo Babbo Bastardo personalizzato, abbastanza forte da farsi udire a tre isolati di distanza – Non ti sei ancora convinta? Gli piace l’uccello, e che cazzo, finiamola qui. Magari non sa nemmeno scopare…

Okay, quando è troppo è troppo. Si è voltato di scatto, fulminandolo. Ora. Basta.

- Sicuro, Riccardi? – gli ha sibilato con voce flautata – Prova a chiederlo a tua sorella: ti dirà l’esatto contrario, ed è una testimonianza molto attenibile.

E, veloce come una freccia, ha raccattato borsa e cianfrusaglie assortite sparse sul banco ed è corso a rifugiarsi nello spazio provvidenzialmente vuoto tra Gabriele e Alexander Thompson. Giusto per evitare che la faida proseguisse oltre e Riccardi ne approfittasse per mettere su una bella sceneggiata napoletana. La rissa tamarra no, ti prego. Posso sopravvivere.

Il quinto esemplare che si è degnato di rammentare la sua esistenza, è proprio lui, l’ultimo acquisto dell’Accademia. Giù nel pianerottolo, gli ha sorriso e augurato buone feste in uno sfarfallio di ciglia pesanti, gli ha affibbiato un abbraccio veloce ed è scomparso tirandosi dietro la valigia.

Andrea l’ha seguito con lo sguardo finché non l’ha visto scomparire l’angolo. No, decisamente. Deve rivedere alcune congetture: è marcatamente effeminato, irrimediabilmente ambiguo, ma non è gay. Ché ché ne dicano Alberti arbiter elegantiarum e Riccardi “se quello non è frocio, giuro che ti regalo un tanga leopardato” – o il truce gruppuscolo del terzo anno che minaccia di fargli lo scalpo per motivi X. Il modo in cui Alex si mangia Elena con gli occhi – sguardo da triglia annesso – è un segnale interessante…

Andrea si stringe nelle spalle, un velo di tristezza. Restano soltanto lui, Gabriele ed Elena, frangia estremista e non allineare al sistema, a rigettare con polemica contrarietà le isterie collettive. Hasta la victoria.

Non è giornata. O forse sì: c’è solo da trovare un pretesto per non morire di noia da lì fino a Santo Stefano, e poi tutto andrà a posto. Più o meno. Tragicomicamente a posto.

 

Osserva fuori dalla finestra. Ancora e ancora. Segue la danza del nevischio nell’aria, il respiro che condensa contro il vetro. E ricomincia da capo, con metodica ossessione, a scandagliare i motivi che l’hanno riportato sui suoi passi. Di solito basta scartare le ipotesi più impraticabili e, se sei bravo, la tua scelta ti apparirà saggia.

Il regalo per Adele giace intonso sopra la scrivania, con la carta dorata e la coccarda rossa, e lui non tarderà un minuto in più del necessario.

La noia filtra sottopelle. Al momento tutto ciò di cui ha bisogno è un diversivo per stasera – la prima di quattro lunghe serate in solitudine. Un aperitivo giù al bar pare un’idea carina: basta cercarsi un tavolo tranquillo, guardarsi un po’ intorno e perdere tempo. Pochi passi e una rampa di scale, e potrà rilassarsi, depennare l’ipotesi dell’eremitaggio stretto e godersi l’atmosfera di intimità, un sapore fresco sulle labbra. Captare qualche voce nel brusio e perdersi in discorsi afferrati per caso.

- Ehi… – un sussurro appena percettibile.

La biondina slavata del tavolo a fianco dà di gomito alla sua compagna di bevute e si sposta i capelli dagli occhi.

- Lo vedi quel tipo? – sibila.

- Eh? – l’altra arriccia le labbra laccate di rosso, il bicchiere stretto tra le dita.

- Morettino, capelli lunghi, tutto solo… – la ragazza bionda scuote la testa.

Andrea per poco non si soffoca con l’aperitivo.

- Okay, ho capito. Uno gnocco di classe. E quindi?

- E quindi? È Andrea Nicoletti! Non lo conoscevi?

- Quell’Andrea Nicoletti?!

- E quanti altri ce ne sono? – la biondina soffoca una risata.

Labbra infuocate strabuzza gli occhi.

- Ma dai…! Quello lì è Andrea Nicoletti?! Il gay? Quello che si sbatteva Neri?

- Shh, piano coi nomi!

Pausa strategica, boccheggiamento stile pesce rosso. Risatina sarcastica.

- Dio, che spreco di roba!

Andrea aguzza le antenne. Per un attimo è tentato di ingollare in fretta il suo aperitivo, pagare e defilarsi in camera sua – e di nuovo, punto e a capo. Ma così il tempo non gli passerà più.

È un certo formicolio in fondo allo stomaco a farlo desistere dal proposito di scappare.

- Ma si è proprio dichiarato? Magari è solo un sospetto, una di quelle storie che mettono in giro… È proprio così?

La bionda annuisce, flemmatica. Si fissa le unghie con nonchalance.

- Bisex, dicono.

- Che fregatura! Non era anche amico di Isa, Alberti… loro? È sparito dalla circolazione.

- Già. È una cosa che si sapeva da un po’. Loro penso di sì. Gli amici lo sapevano.

- Ma non voleva farsi la francesina? O Elena Loria, stanno sempre appiccicati.

- Nah! – la ragazza bionda scuote la testa, decisa – Ai piani alti si fa il nome di Derossi. La sua nuova fiamma.

- Cielo, no! Il fattone, quello con la mamma hippy…?

Labbra infuocate guarda di nuovo verso di lui. Lo squadra da testa a piedi in una lunga radiografia, in cerca di qualcosa che non vada, un capello storto, un difetto di fabbrica. Poi scrolla il capo, delusa.

- Ma guarda che razza di figo… Sprecato.

- Figo quello? – Capelli d’oro sorride, cattiva.

- Beh, dai, ha un suo perché – Labbra infuocate storce la bocca, soprappensiero. Arrampicata sugli specchi in corso – Ma se gli piacciono i cetriolini sott’olio, tanto vale. Non se ne fa nulla.

- A me non piace – un taglio netto.

Oh, perdonami, Riccioli d’oro, ma credo non sopravvivrò a tanta delusione. Morirò di crepacuore.

E per poco non si strozza. Di nuovo quel nodo che gratta in fondo alla gola.

- Cioè… – pausa meditabonda, in cerca di inestricabili verità filosofiche nel fondo del bicchiere – Non è che sia brutto. Ma guardalo: è un nano da giardino. Con una voce irritante.

Okay, la misura è colma. Processare i cavoli suoi per direttissima non va bene. Ma passi “non mi piace, non è il mio tipo”… e chissenefrega. Passi il toto-gay – manca che lo accoppino con una trave del soffitto, e il resto delle opzioni è stato ben vagliato. Ma la sua statura, quella no, non si discute: è nella media italiana. E non ha una voce irritante! È ben impostata. E sexy. Non s’impenna negli acuti come le macchiette gay delle barzellette.

E questa non sa dire come gli è venuta, ma in capo a un secondo è lì, braccia incrociate sul petto, a tre centimetri dal quel tavolo. Con la peggior faccia da suola che abbia mai sfoderato in vita sua, e un sorriso tirato.

Le due sembrano orripilate. Labbra infuocate è un tutt’uno con il rossetto. La biondina finge di trovare interessante la carta del menù.

- No, continuate pure! – sogghigna, perfido – Però stavate parlando di me, e volevo partecipare. Ci sono domande, qualche altro cavolo da buttare in padella, o possiamo passare ad altro?

- Oddio, oddio, scusami! Non volevo offenderti!

Labbra di fuoco sembra mortificata. Salta sulla difensiva. Il potere di un’entrata in scena con i fuochi d’artificio.

L’amica sembra più scafata, incline alla figura di merda calcolata. Dopo lo shock iniziale si è assestata sulla faccia di bronzo di rimando. Lo fissa come una sfida, le sopracciglia che schizzano verso l’alto.

Non è neanche bionda. È più color carta da pacco.

- Beh, avete detto che sono uno spreco… Non è carino.

- No, ma… Non volevo dire questo.

- E cosa, allora? – cinguetta Andrea.

Se non fosse bastardissimo fino al midollo, si limiterebbe a classificare il contrattempo sotto la voce “figure di merda indotte” e girare sui tacchi. Invece continua a sorridere in tralice, gli occhi socchiusi e la faccia da schiaffi delle grandi occasioni.

- Ammesso che io non sia gay, credi che ci proverei con te? – arriccia il naso: ora la frittata è fatta, e tanto vale andare fino in fondo – Potrei non trovare un tuo perché. O essere già impegnato. O puntare alla castità.

- Scusa, Andrea! Noi… – Labbra infuocate punta il dito verso l’amica, tanto per spartire la colpa – Io e Porzia stavamo solo scherzando. Sai com’è… si fa per parlare.

- Interessante – Andrea assottiglia le palpebre, felino – Porzia hai detto? – senza pensarci, porge la mano a Capelli d’oro come una beffarda offerta di pace, prima a lei e poi all’amica – Come quella de “Il mercante di Venezia”?

Annuisce. Fa buon viso a cattiva sorte. Donna intelligente: potrebbe tenergli testa, se lo volesse, e la cosa a quel punto si farebbe divertente. Ma non sembra molto interessata.

- Bene – Andrea si sfrega le mani – Allora posso andare.

Tirate un sospiro di sollievo.

Fruga nella tasca interna della giacca – attimo di panico. Il portafogli giace dimenticato da qualche parte in camera nella fretta. Incrocia lo sguardo il cameriere che l’ha servito.

- Segna. Sto qui tutto il fine settimana.

E imbocca le scale a passi spediti.

- Andrea, aspetta un secondo!

Di nuovo?

La tizia con il rossetto vistoso. E vistosamente sbavato.

- Ti sei offeso?

Ma per favore!

- Guarda, non è un problema! Volevo solo divertirmi un po’…

- Mi dispiace di aver detto quelle cose. Mi sei anche simpatico…

Ahi. Questa oltrepassa i confini dell’assurdo. Perché lui è molte cose, ma non è “simpatico”.

- Ehm… scuse accettate. Ma non c’è bisogno…

- Posso farti una domanda?

Eccola là.

- È vero che sei gay?

E la speranza affondò miseramente nel cesso. Speranza che la rivalutazione del coltivare cazzi propri fosse un discorso recepito.

Calma. Respira.

- Se dicessi , per te cambierebbe qualcosa?

- Beh, sì. No.

Andrea solleva gli occhi al cielo. La situazione è così traballante che l’unico sarebbe metterci una pietra sopra. Oppure tentarsi l’ennesima acrobazia.

- Se ti dicessi la verità, mi daresti un bacio?

- Eh?!

Perfetto. Scioccata. Un manichino avrebbe una faccia più espressiva.

Ma si riprende in fretta: ha fiutato l’affare.

- D’accordo… – miagola – Ma questo significa che non lo sei, se no non mi avresti fatto una proposta simile.

- Chi vivrà vedrà – le sussurra, sibillino.

- E vabbè…

Silenzio. Un attimo e la tipa gli si aggrappa addosso in un tripudio di mani agganciate alla nuca e labbra che indugiano sulle sue con la delicatezza di un aratro – ragazza poco incline alle mezze misure.

Andrea cerca di respirare, di scollegare la mente e prendere la cosa per quello che è: un gioco cretino spinto troppo in là. Perché tra quella cosa che dovrebbe essere un bacio, e quando bacia Gabriele, ci sono anni luce di distanza. Le poche volte che si sono baciati, ciliegina sulla torta di discussioni ben intorcinate su sé stesse. No: non c’è e non ci sarà mai un punto in comune tra i due universi.

Il sapore della poltiglia rossa incollata alle labbra è dolciastro e leggermente nauseante. Se domani si sveglierà con un’eruzione cutanea, saprà a chi dare la colpa.

Okay, basta! Credo di aver bisogno di respirare. Non è colpa mia, mi rincresce, ma vivo di questo.

- E allora? Com’è stato? – sussurra, staccandosi da lei.

Masochista.

- Non c’è differenza – Labbra infuocate si attorciglia una ciocca di capelli scuri intorno al dito indice, civettando.

- Di cosa? – Andrea scuote le ciglia.

- Tra baciare un ragazzo etero e uno gay.

Oddio, oddio, oddio! Andrea distoglie lo sguardo. E una è andata.

Potrebbe scavarsi la sua fossa d’imbarazzo e uscirne quando il mondo si sarà dimenticato di lui e delle sue stranezze. Se non fosse per l’urlo e lo strattone che lo riportano nel mondo dei vivi.

- ‘anvedi ‘sto stronzo! Il bello è che si finge frocio…

Andrea fissa il nuovo arrivato, stordito. L’ha spintonato via che per poco non gli maciullava un braccio.

E un bel giorno salta fuori che ti piacciono i ragazzi, e mezza compagine maschile presente si sente in dovere di coniare nuovi appellativi per descriverti; un giorno fai l’uomo che non deve chiedere mai, e il risultato è lo stesso…

Allora fate tutti pace col cervello e decidete com’è che vi piace. Magari poi il verdetto me lo metto sotto le scarpe. Ma almeno, datemi un indizio…

È l’ultima goccia. A meno che Rossettopazzo non abbia un fidanzato. E se è così, tu, Andrea Nicoletti, sei ufficialmente nei casini.

- Ehm…

Il tizio appena sbucato dal nulla scruta la ragazza da capo a piedi senza battere ciglio, della serie “con te facciamo i conti più tardi”. La mano scivola su quella di lei a marcarne il possesso. Il che fa molto dramma della gelosia. Lo sguardo torna a vagare su di lui, scuro.

- Era uno scherzo. Una scommessa idiota e… beh, è tutto a posto – Labbra infuocate cerca di tirarsi d’impiccio.

Il tipo potrebbe esserne convinto. Magari non del tutto, ma i muscoli della faccia rilassati sono già qualcosa.

- Lo spero bene. Per lui – ringhia.

Si avvicina.

E no, va bene il Natale da solo. Va bene tutto. Ma da solo e col naso rotto per uno scherzo imbecille, no. Perché gli è già successa una cosa simile. Tra amiche troppo esuberanti e fidanzati gelosi. E fa un male cane.

- Volevi schiarirti le idee… con lei? – mormora il tizio.

Che visto da vicino sembra meno pericoloso del previsto. Meno brutto di Riccardi, il nemico giurato.

- No. Era una farsa.

Chiude gli occhi. Magari Coso si accontenterà di affibbiargli qualche innocuo insulto.

Tutto ciò che può fare è modellare il proprio viso in un sorrisetto finto-ingenuo. Non può farci più di tanto, se quella gli si è buttata addosso, cosa che non credeva possibile. Coincidenza, aveva pure un ragazzo, e il suo ragazzo era lì.

Quasi non ha udito i passi, la porta che si apre alle sue spalle. Qualcosa che gli si posa addosso e una sensazione di calore alla spalla, come un tocco magico che lava via la tensione.

- Ciao, Andrea.

Gabriele?!

Eri qui?! Ti sei goduto la terribile commedia degli equivoci?

Bacio sulla guancia come di rito. Sull’angolo della bocca. Molto vicino alle labbra.

Ecco. Va meglio.

Gabriele sembra radioso – no, non è fatto. Si guarda intorno come se cadesse dalle nuvole.

- Che c’è? È successo qualcosa?

Sguardi imbarazzati. Il fidanzato di Rossettopazzo diventa un sospiro di sollievo con le braccia e le gambe, lo sguardo fresco e luminoso come un bambino.

- Niente. Uno stupido malinteso. Va tutto bene.

Meravigliosamente.

Labbra infuocate – non più di tanto, dopo il bacio – accenna un timido saluto con la manina. Poi spariscono entrambi.

E tutto va ancora più fottutamente bene.

 

* * *

 

- Sei un idiota, Andrea! Il padre di tutti gli idioti. Che hai al posto del cervello?

- Okay, okay. Ti confesso che nella parte del cavaliere mascherato non ti ci vedevo così bene… Ma devo ricredermi: ti va da Dio.

Seduto sulla scrivania di Gabriele, vorrebbe buttarla sul ridere. Arginare il fiume di improperi che gli si è riversato addosso, da quando Gabriele l’ha trascinato dentro e si è sbattuto la porta alle spalle. Non ha accennato a smettere.

- Incosciente. Pagliaccio. Coglione e autolesionista. Incommensurabile testa di…

Andrea socchiude gli occhi. Un sorriso grande come il mondo, una calma celestiale che gli inonda il petto. Tutto sommato è anche divertente Gabriele che sbarella e misura a passi furiosi il perimetro della stanza; si prende la testa tra le mani, esasperato.

- Posso, Gabri? Adesso che hai snocciolato tutta l’enciclopedia degli insulti, possiamo parlare d’altro? – cinguetta, angelico.

- Perché, Andrea? Spiegamelo! – Gabriele scuote il capo, con violenza – Mi spieghi perché devo passarmi tre quarti della mia esistenza a farti da balia? A tamponare le tue cazzate? A evitare che qualcuno ti meni per davvero, alla tua ennesima uscita da psicopatico?

Perché è l’unico modo per avere la tua attenzione: la risposta giusta. Ma non può mettergliela giù così, perché l’unico risultato sarebbe ritrovarsi affanculo prima del previsto.

- Ehi! Stavolta non c’entro. Ti giuro che non c’entro niente – sospira: non è una verità a trecentosessanta gradi, ma ci si avvicina abbastanza – Ha fatto tutto da sola. È colpa mia, adesso, se quella non ha capito che stavo scherzando e mi si è buttata addosso? E poi neanche mi è piaciuto, ecco. Contento?

- Sei un cretino!

Lo yogurt scaduto gli fa un baffo.

- Sei geloso?

- No!

Gabriele si avvicina per scrutarlo bene in faccia: di solito fa così quando cerca di capire a che gioco stia giocando – missione impossibile. Non sembra particolarmente seccato, Gabriele: è solo il suo modo di farglielo pesare. Negargli la cosa a cui tiene di più: la sua considerazione. È tremendo nel prendere la sua autostima e farne carta straccia, con quel sopracciglio sollevato e l’espressione a metà strada fra “mio Dio, cosa mi tocca a fare” e “non mi curo di te”.

- Non si direbbe – Andrea sogghigna, e lo scontro ormai è all’arma bianca – Mi è sembrato di capire che ci tenessi molto a far capire a quel tizio che stiamo insieme… – soggiunge.

- Così si metteva il cuore in pace, aveva la prova schiacciante che non ci stavi provando con la sua ragazza, e ti risparmiava una sfilza di rotture.

Preciso come una freccia.

- Non avevo nessuna intenzione di baciarla. Mi ha baciato lei, e neanche mi è piaciuto – ribadisce – Preferisco questo.

Mille di questi.

Si alza in piedi – le gambe leggermente anchilosate.

Il tempo di afferrarlo tra le braccia e cingergli la nuca – i suoi capelli come un formicolio sotto le dita.

Il tempo di chiudere gli occhi e perdersi nel suo profumo così familiare, il naso affondato in quell’incavo paradisiaco tra il collo e la spalla. La pelle deliziosamente ambrata, calda sotto l’attacco a tradimento delle sue labbra.

Okay, Andrea. Calma. Sta’ calmo e respira. Sta’ calmo e non fare cazzate. Non farlo scappare di nuovo…

Dov’è il pericolo? Hai paura di cadere?

L’impulso razionale è sollevare il viso e catturare la sua bocca con un movimento fluido. Le labbra che si dischiudono, che cedono al punto di fusione.

Fa decisamente caldo. Troppo. Con uno strano torpore che si fa largo in tutto il corpo, una nenia incessante dentro la testa. Non sa cos’è di preciso: non è solo il bacio. È la sua presenza così palpabile. Se ne rende conto quando il corpo di Gabriele aderisce al suo, le mani allacciate intorno alla vita.

Piano, così. Rischi di spaventarlo.

Di fugare gli ultimi dubbi – se ancora ce ne sono – che hai perso completamente la testa. Che sei fritto. Di più: bruciato. Perso in fondo al baratro, in quelle iridi affilate che non sono semplicemente scure, semplicemente insondabili. Sono ambra liquida.

E quelle labbra… Ogni volta che le osservi, è come trovare l’incastro ideale e non venirne più a capo. È lo scorrere delle mani sulle sue, è cercare le scintille. La frustrazione di indugiare smarrito intorno all’orlo della maglia senza azzardare una carezza più audace sulla sua pelle nuda, perché poi sarebbe troppo. La tentazione abortita sul nascere.

 

Devo respirare.

 

È troppo dischiudere le labbra e staccarsi piano da lui. Un istante ancora e si perderebbe.

Gabriele gli sorride. È perfetto, con quel canino vampiresco e le labbra sottili, cesellate in un’arte sopraffina. Con quella luce strana in fondo alle pupille e quello schermo tra loro. Che sì, forse Gabriele si lascerebbe anche andare. Fino a un certo punto. Il respiro sotto stretto controllo, l’esplosione di gioia contenuta nella piega delle labbra, nel tremore delle ciglia.

È perfetto così, con quegli aghi di malinconia che gli infila sotto la pelle come ghiaccio. Perché ogni volta è una conquista, è ripartire da zero e rimettere in gioco tutto, ogni conquista solo apparente. E ogni respiro come una vittoria, una meta da sudarsi fino all’ultima goccia di sangue.

- Decisamente non c’è paragone – esala – Sì, la parte del cavaliere di Camelot in difesa dei deboli ti si addice.

Gabriele lo lascia andare. Arretra di qualche passo, sguscia via.

- A te quella del giullare di corte – gli soffia, gli occhi socchiusi come quelli di un gatto.

La più bella dichiarazione d’amore che potesse dedicargli tra quattro pareti di un bianco abbagliante, senza grilli e violini a fare da base. È così, semplicemente perfetto.

- Hai progetti per stasera? – si limita a ronzargli intorno, perché Gabriele ha ripreso a occuparsi dei fatti suoi come se niente fosse – Prepari i bagagli? Vai via anche tu?

Un’occhiata oltre le sue spalle gli offre la panoramica della valigia aperta, vestiti e oggetti random ficcati dentro alla rinfusa.

- Forse.

Andrea allunga le braccia – deve giocarsela, perché un’occasione simile non capiterà più. È sufficiente circondargli la vita con le mani e riprendere a lavorarsi la sua nuca e il suo collo, la pelle che sa di raso. Il lobo dell’orecchio trafitto da un anellino d’argento. La cute si è coperta di brividi da quando ha iniziato a sfiorarlo, a lambirlo con il solo respiro: il segnale che vale la pena di persistere.

Se non ci fosse il cellulare che suona e suona. All’infinito. Che urla e ruggisce melodie astruse, dimenticato in qualche anfratto. Gabriele si stacca da lui; quasi si scusa per l’interruzione. Scivola verso la porta e apre la comunicazione.

- Marina?

 

- Chi era?

Se posso chiedere. Perché potresti ridiventare Mister Hyde da un momento all’altro e schiaffeggiarmi una risposta sarcastica.

- Marina? Non dirmi che hai una spasimante… Non mi avevi detto nulla! – lo pungola.

Gabriele scuote le spalle. Sembra indeciso. Andrea lo blocca contro il tavolo, le mani sulle sue e il volto che quasi lo sfiora. Qualche centimetro più giù.

- Andrea! – Gabriele solleva gli occhi al cielo; soffoca una risata – Marina è mia madre.

- Ah… – Andrea impiega qualche secondo a riprendersi.

Non che dubitasse – sa bene che fine hanno fatto i bellicosi progetti delle sue corteggiatrici; e no, non ci sono Isa, Sara o Blanche che tengano. È troppo sfacciatamente bello per passare inosservato, e da qui a spargersi la notizia che a lui piacciono i ragazzi punto e basta, ci sono stati vari episodi esilaranti.

- Chiami tua madre per nome? – incalza.

Gabriele annuisce.

- Le piace così.

- Non smetti mai di stupirmi – ridacchia Andrea, scuotendo il capo – Cosa dice?

- Nulla di particolare… – Gabriele distoglie lo sguardo, sibillino – Le ho detto che l’avrei raggiunta domani sera. Poi… c’è stato un piccolo contrattempo.

- Che genere di contrattempo? – Andrea torna a riprendere la sua postazione sulla scrivania, braccia conserte e sguardo inquisitore: la posa che non lascia dubbi.

Gabriele procede verso di lui con un mezzo sorriso che gli taglia la faccia. Quattro passi e gli è quasi addosso, le mani puntate sulla scrivania, alla sua destra e alla sua sinistra, a chiudergli ogni via d’uscita. Non che abbia intenzione di scappare…

- Un certo amico che rischia di spararsi quattro giornate in solitudine, Natale compreso. A quel punto mi ha fatto “no, ma ci mancherebbe, rimani con lui”. E non c’è stato verso di insistere.

- Dev’essere importante questo amico…

Gabriele arretra, punto sul vivo. È troppo astuto per darglielo a vedere. È una maschera d’acciaio.

- Quanto basta.

- D’accordo. Ma spiegami una cosa: hai un radar? Come facevi a sapere che…?

Gabriele sorride di nuovo. Sarà una sua impressione, ma non l’aveva mai visto sorridere tanto e così a lungo in una sola manciata di minuti. L’angolo della bocca che trema, gli zigomi leggermente appuntiti che si sollevano. E non è mai stato così bello.

Chi ha detto che le cose più belle siano perfette?

- Non pensare, Andre. Le pareti della tua stanza sono fatte di polistirolo. Il resto lo devo a un messaggio di Loria, che mi ha spiegato un po’ di cose. Santa donna.

- Cupido non ne sbaglia una.

Può rilassarsi: ha pensato a tutto lei. Come al solito.

 

* * *

 

- Gabri, tua madre è una forza.

Li ha salutati pochi minuti fa, portandosi via la chioma ramata acconciata in un migliaio di treccine, e un volto che è la copia femminile di quello di Gabriele. Stessi occhi nocciola ben incassati. Chissà quale bizzarra divinità ha deciso di creare lo stesso prodigio in duplice copia. Ecco da chi Gabriele ha preso quell’instancabile mania di destabilizzarlo e non dargliele mai vinte.

Gabriele scuote il capo, sorridendo.

- È stato imbarazzante.

Il momento di leggero “imbarazzo” è arrivato poco prima che madame Derossi togliesse il disturbo.

- Quindi non resti proprio, per cena? – le ha domandato Gabriele, caracollandole dietro fino alla porta.

Lei si è voltata, lo sguardo sibillino e un sorrisetto obliquo, simile e speculare a quello del figlio. Ha squadrato da capo a piedi prima Gabriele e poi lui, immobile al centro della stanza. Ha roteato gli occhi al cielo come a sottintendere qualcosa di malizioso. Poi ha preso sotto braccio il figlio e ha scosso il capo, ammiccando.

- Non essere stupido, sonny! Non è il caso…

A quel punto l’allusione è divenuta chiara come il viso di Gabriele ridotto a un tutt’uno con la tovaglia natalizia.

- Mamma!

- Marina, per te. Non farmi sentire vecchia e stasera divèrtiti. Divertitevi.

E si è portata via la sua scatola magica.

 

- …e poi cucina questi piatti vegan2 che sono la fine del mondo – aggiunge Andrea, proseguendo nella beatificazione di mamma Derossi.

- Ha preferito andare sul sicuro – risponde Gabriele, sciogliendosi da quel lieve nodo d’imbarazzo.

Andrea socchiude gli occhi. Se Gabriele non lo volesse più, potrebbe sempre farsi adottare dalla signora Marina come genero ad honorem e mandare al diavolo il resto.

Non contenta di aver messo al mondo Gabriele, atto per cui la ringrazierà fino alla fine dei tempi, gli ha recapitato lì la cena già pronta – hanno letteralmente raschiato il fondo delle pentole – e consegnato suo figlio su un piatto d’argento. Cosa potrebbe desiderare di più?

- Ti ha anche dato dei buoni consigli.

- Tipo rimandare la partenza e non mollarti qui da solo.

- Non era necessario… Cioè, voglio dire – Andrea si arrotola una ciocca di capelli intorno alle dita, soprappensiero.

Forse così è troppo, e Gabriele avrà il diritto di trascorrersi un paio di giorni in casa propria, tranquillo. Di respirare aria pulita.

- Non preoccuparti – Gabriele solleva gli occhi al cielo; ammicca – Non mi pesa. So com’è fatta mia madre e temo abbia capito tutto. Se facessi i bagagli e me ne rientrassi, mi rispedirebbe indietro come pacco postale. O mi costringerebbe a trascinarti via.

Ha capito tutto. Anche la madre di Gabriele che è stata con loro il tempo di una visita veloce. Tutti tranne loro.

Da una parte c’è Gabriele che tergiversa e si nasconde dietro a un dito. Cambia discorso e prende tempo. Dall’altra c’è lui che si perde in strane domande e giri di parole.

Cosa farebbe una persona intelligente, al mio posto?

Elena tesserebbe la sua ragnatela di affermazioni e negazioni. Stringerebbe le maglie, confondendo l’avversario fino a capire se il gioco vale la candela. E magari al dunque volerebbe via come un elfo dispettoso, per poi riprendere tutto da capo.

Isa metterebbe tutto nero su bianco. Giocherebbe su una raffinata seduzione, a carte scoperte, e darebbe di matto se le cose non vanno come dice lei.

Barbie gli sbatterebbe la scollatura sotto il naso – esempio da non seguire, specie se manchi dell’attributo fondamentale.

Alberti farebbe lo splendido.

Alex farebbe gli occhi da cucciolo bisognoso di attenzioni.

Riccardi non pervenuto. Ma lui non rientra nel novero delle persone intelligenti, quindi non fa testo.

Andrea si schiarisce la voce. Diglielo ora. O perdi ancora tempo.

- Mi giri una sigaretta?

- Tabacco?

- Ci mancherebbe altro…!

Sospira. Il coraggio che manca e le parole che si inceppano sul più bello.

E adesso ritenta: obbedisci. Parla ora o taci per sempre.

- Andre? C’è qualcosa che non va?

Quasi sobbalza.

- Assolutamente nulla.

Bugiardo. Hai una faccia su cui potresti cuocerci le castagne, e pure lui se n’è accorto.

- Hai bevuto troppo? Hai gli occhi lucidi.

Acqua.

- Uhm… – solleva gli occhi al cielo, Andrea: ora o mai più – Resti con me stanotte?

Spalanca gli occhi, in attesa di una risposta.

 

* * *

 

La penombra soffusa nella stanza, non hanno fatto che ballarsi intorno da quando il silenzio è calato e la luce è diventata pallida – o forse è un prodotto della sua immaginazione. È il momento in cui l’attesa si misura con il metro di uno sguardo o di una carezza.

L’ombra è così densa che gli sguardi non si allacciano come dovrebbero, e i legami vengono meno. È come una coltre di fumo. Il paradosso di sentirsi più vicini mentre si naviga nel buio.

L’ha baciato come per rassicurarlo, e si è seduto lì al suo fianco, sulla sponda del letto, a misurare le sue reazioni. Lui che continua a giocare con i suoi capelli.

Le magliette scivolano via, e c’è il desiderio bruciante di vederlo nudo – finalmente –, di tastare l’attesa in punta di dita. Ma lo sguardo continua ad arenarsi tra le pieghe del lenzuolo, a fuggire e a tremare in una sorta di incantesimo. Poi è scesa la notte.

Gabriele è strano. Si ravvia i capelli all’indietro e continua a contargli le costole. Ipnotizzante come l’effetto del docciaschiuma alla cannella a contatto con la sua pelle. Come il suo respiro che scandisce i secondi. Ha sempre quell’insolita mania – da che lo conosce. Cerca di assumere il controllo per non farsi toccare e non perdere la lucidità. Lo capisce quando si inginocchia davanti a lui, e la sua bocca lambisce il contorno delle anche, indugia intorno all’ombelico e più giù, a filo dei boxer.

Sei sadico perché lo sai, Gabriele, dannazione, lo sai, che potrei morire per una carezza al basso ventre, improvvisa, a cute scoperta. È come esporre le terminazioni più sensibili, senza un filtro per proteggersi.

Ha sempre pensato alla reticenza di Gabriele come paura di essere toccato. Di farsi male. Ora sembra preoccupato di scalfire lui, scalfirlo fino alle ossa e fargli male. Magari non adesso: tra una settimana, un mese o un anno. Di uccidere le sue difese e lasciarlo sguarnito.

Non è il momento di ribaltare le posizioni, di mettersi sotto i tacchi quelle fisime assurde. Andrea respira profondamente. Non pensa a mostrarsi troppo, all’effetto che può fare. È eccitato ed è giusto che sia così.

La lingua di Gabriele gli brucia addosso; ha iniziato a premere sulla sua erezione, ed è stato come una scarica elettrica.

Forse ha gridato, il respiro gli si è spezzato in gola – non sa bene. Si è morso le labbra e ha artigliato il lenzuolo, ed è sicuro di avere dipinto in faccia lo sguardo di quando sta per cadere in deliquio, vagamente strabico e prossimo all’incoscienza. Gabriele dice che così lo fa impazzire. Infierisce e continua a leccarlo. È il dio del sesso, del preliminare e del durante e del dopo. È stupendo, e lui vorrebbe abbracciarlo, ricambiare quelle attenzioni.

È il ragazzo, l’uomo che ha desiderato prima di rendersene conto. L’ha quasi odiato per la frustrazione di non poterlo avere, di non poter essere come lui. Invece adesso è lì, chino su di lui. Che gioca con le sue sensazioni, che lo tende come una corda e modella il suo respiro come una sinfonia.

Sospira. Lo sente in basso, una sorta di formicolio mentre sfiora la sua apertura. Lo sente quando entra in lui con mezza falange, ed è come smarrirsi, perdere la cognizione del tempo, di prima e dopo, del dentro e fuori di sé, perché lo attacca su doppio fronte, e il piacere diventa furioso.

Okay. Bandiera bianca, o mi consumo.

Andrea solleva la mano aperta in segno di resa. Aspetta. Stop. Fermo così. Respira e trema, il desiderio impellente di abbattere quei paletti immaginari tra loro e fare come Gabriele, che fa magie sul suo sesso proteso ma non si lascia sfiorare, come un gioco a moscacieca.

Gabriele si rialza. Ha il volto accaldato, i capelli umidi che gli piovono sugli zigomi – troppo caldo e troppe stelle, per una notte di dicembre inoltrato Le labbra arrossate incurvate in una strana espressione, lo fissa e attende la sua mossa.

Andrea sospira. Serra le palpebre quando le labbra di Gabriele gli si serrano sulla gola e gli strappano brividi.

Va tutto bene. Meravigliosamente…

Gli cinge le spalle, delicato, lo spinge contro il materasso, lo lascia distendere sotto di lui. È nudo ed è suo, entrambi liberi dall’ultimo schermo dei vestiti.

Andrea socchiude gli occhi, la mente pervasa da un leggero ronzio. Riesce a indovinare i contorni nella penombra, le anche, le spalle. La linea sottile che si inabissa fino all’inguine.  Si piega verso di lui, cavalcioni sui suoi fianchi. In silenzio, segue il contorno delle labbra, delle orbite scure dove si addensa l’ombra. I lineamenti del viso hanno un’impronta fragile, mentre lo sfiora con le dita per assicurarsi che non sia un miraggio. C’è ancora quella leggera cicatrice sul naso – lontano episodio di una porta sbattuta sulla faccia, un pomeriggio di quasi un anno fa lontano come un sogno.

Ti voglio. Anch’io saprò fare i miracoli.

Ansima, le sue labbra indugiano sul collo di Gabriele generosamente offerto al suo assalto, la carezza reciproca inguine contro inguine che lo fa trasalire come una lunga scossa, e quasi vede sprizzare le scintille.

Potrebbe fissarlo dritto negli occhi – se la tenebra crescente non foderasse la sua visuale – e scherzare con lui, chiedersi da quando e per quanto tempo abbia desiderato quel momento, vagheggiandolo con la mente. E poi puntualmente arrivava lo schiaffo, la doccia fredda di una realtà da ridefinire.

- Come va, Gabri? – una domanda banale, così, infilata tra una carezza e l’altra, lo sguardo che vaga nel buio per riallacciare il suo.

Come va ora e come andava un anno, un mese fa, e come sarà domani mattina, perché tutto perde consistenza.

Gabriele si limita a sorridere; senza preavviso, la sua mano scivola più in basso fino a sfiorare il suo sesso, sommando il contatto delle sue dita allo strofinio sul ventre.

- Sei sicuro?

Lo dice come se dovesse morire domani, come se non sia possibile tornare indietro. Andrea sospira. Darebbe ciò che possiede, per poterlo osservare dritto negli occhi, leggere nella piega sarcastica delle labbra: l’oscurità ottunde i contorni, ma è come averlo nudo sotto gli occhi e sotto il sole pieno di mezzogiorno. Può indovinare le luci e le ombre sul suo viso dalla sfumatura della voce, dal modo in cui lo tocca e cerca di portarlo al limite.

Chiude gli occhi, la razionalità che si sgretola – il giorno che cede il passo alla luna. Inarca la schiena mentre le dita di Gabriele indugiano dentro di lui, stimolandolo fino al limite.

Avrebbe voluto possederlo lui, entrargli dentro, sentirlo cedere e ansimare sotto il suo attacco. Ma forse è prematuro… Forse è troppo presto, le piaghe sono fresche, bruciano come fuoco.

E allora cedi il passo. Comincia tu. È ciò che ti riesce meglio tra tutte le cose: ti sei svenduto per una promessa evanescente, tempo fa, per il tuo orgoglio tracotante, per un posto in prima fila; ti sei innamorato, ti sei ossessionato, sei stato illuso e poi deluso. È stato così con Neri, che ti ha preso e gettato al vento.

Ora, vinci questa barriera. Vinci la guerra camminando sul filo del rasoio. Dimostragli che ce la puoi fare, che ce la potete fare insieme.

È su di lui e, con qualche sforzo di immaginazione, riuscirebbe persino vedere il suo volto.

La barriera è lì tra loro, l’ha voluta Gabriele, l’hai voluta tu. È l’eco lunga del malinteso, lo strascico di ferite dalla lunga rimarginazione. La bolla d’angoscia che vuoi gettarti alle spalle, disperatamente; la paura di mettere il piede in fallo. Di tergiversare in eterno e impantanarti nel terreno infido dell’equivoco.

Non è nulla di complicato. Lo pensa mentre punta le ginocchia – un passo in avanti –, si piega e si lascia andare su di lui. È sufficiente rilassare i muscoli e ascoltarlo mentre si fa largo nel suo corpo. Adagio. Gli basta sentirlo mentre va alla deriva e urla il suo nome, da qualche parte nella sua mente, e scrolla le anche; sospira e getta la testa all’indietro in una resa. Basta recuperare un barlume di coscienza e oscillare su di lui per dirgli ci sono, sono qui. Tranquillo.

Guardami, Gabriele

Poi è la deriva totale, una cascata di sensazioni, il calore insopportabile al basso ventre che si arrampica lungo la spina dorsale e spegne ogni altra facoltà. Fa quasi male, mentre si tende e muove i fianchi. L’istinto è di piegarsi su di lui, di unire le labbra alle sue prima di rovinare nell’incoscienza, un desiderio annebbiante che fa da cornice. C’è solo la sua bocca a sradicargli i baci, le mani che gli scorrono lungo la schiena, intorno ai fianchi, sulla sua erezione. Il piacere bruciante che gli fa strizzare le palpebre, disperato, come una lunga scossa; la consapevolezza che stanno facendo l’amore, confusi nello stesso sogno.

E non sa quanto sia durato. Sa solo che Elena aveva drammaticamente ragione. E pure la madre di Gabriele, che nemmeno lo conosce. Sa che ha appena avuto l’orgasmo più torrido della sua intera esistenza, e che Gabriele è con lui.

Accoccolato al suo fianco, i capelli bagnati che gli offuscano la vista, lo osserva. Gabriele si solleva a sedere e sorride. Gli scosta i capelli dagli occhi e si lascia andare, la fronte contro la sua spalla. Sospira e lo bacia, lo stringe a sé circondandogli la vita col braccio.

Andrea chiude gli occhi. È buio, e la notte è ancora neonata. Forse domani si sveglierà su un letto di rose, e non conterà più nulla, non i giorni che seguono con le loro strane complicazioni. Nulla, se non la consapevolezza devastante di essere insieme.


 

 

 

 

 

 

1 – ho tenuto conto dei tempi in cui si svolge la storia-madre in cui questa storia si situa. Attualmente dovremmo trovarci verso marzo 2009. Ho fatto un po’ di conti e, pensando alla scaletta che ho in mente, il 31 dicembre 2009 ne “Il bacio dell’aspide” dovrebbe essere successo di tutto e di più (e alcuni sono spoiler anche per me). Questa one-shot natalizia-ma-non-troppo potrebbe tranquillamente situarsi a poco tempo di distanza dai fatti attualmente narrati ne “Il bacio dell’aspide” – sembrerebbe una prima volta tra Andrea e Gabriele – ma così non è. Volevo tenere però l’ambientazione natalizia, tutto qui: insomma, è stata una licenza poetica.

2 – qui ci ho messo io lo zampino, e si sente XD

 

Doveva essere una shot *breve*, invece sono riuscita a creare un papiro come al solito XD (beh, speriamo almeno ne sia valsa la pena).

Ad ogni modo, l’idea mi è stata ispirata da Ichigo, a cui questa storia è dedicata, come regalo non più di Natale, ma della Befana! <33333

 

   
 
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