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Autore: vallikina    25/08/2006    23 recensioni
[Elisa di Rivombrosa] Un breve racconto, scritto di getto, su come avrei voluto finisse la mia fiction preferita.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole splendeva orgoglioso sul giardino e sul palazzo di Rivombrosa, che si stagliava elegante e fiero contro il cielo blu. Alcune papere festeggiavano la primavera nella vasca rotonda al centro del parco, immergendosi a testa in giù nell'acqua trasparente, come piccoli sottomarini, emmettendo i loro pigolii allegri.
Dalla scalinata, Elisa osservava quella scena, con una mano sugli occhi per ripararsi dalla luce accecante del mezzodì. I lunghi capelli erano acconciati con eleganza sulla nuca e un aggraziato abito azzurro la rendeva ancora piu nobile, affascinate, aristocratica, senza però perdere mai quel giuzzo passionale nello sguardo, quel lampo birichino che dopo anni di tristezza era ritornato nei begli occhi verdi. Elisa aveva la bellezza di una Venere e la dolcezza di una madre premurosa, non era algida nè altezzosa e questo aveva attirato l'attenzione di molti uomini, dopo la morte di suo marito Fabrizio, avvenuta in un tragico duello.
Ma per lunghi mesi era rimasta sola nel suo dolore, sola contro le difficoltà economiche e contro la terribile malattia che si era abbattuta su Rivombrosa, colpendo anche diversi membri della servitù. Aveva lottato per sua figlia , si era costretta ad andare avanti solo per lei. Ma nel suo cuore, qualcosa si era rotto, sgretolato come un vaso andato in frantumi, senza possibilità di tornare come prima: quante notti aveva pianto, sentendosi preda di una desolazione sconfinata.

Il suo grande amore era morto e nulla aveva piu davvero ragion d’essere per Elisa.
Solo quel debole filo la teneva dritta, come un’esile marionetta nelle mani del destino.
Qualcosa che le sussurrava di andare avanti, le impediva di piegarsi su se stessa, le consigliava di farsi forza, che un futuro c’era, che non era tempo per lei di morire.
Come una premonizione, o forse una speranza, un tenue legame alla vita che le prometteva un avvenire sereno.
E infatti, dopo quei lunghi mesi che erano divenuti anni, Elisa adesso era di nuovo innamorata.


Il capitano Grey vide Elisa che osservava il giardino e le si fece incontro, leggero come il vento che lambiva Rivombrosa.

La raggiunse e le mise le mani sugli occhi. “Indovina chi sono!” esclamò, con la sua voce profonda, dal lieve accento inglese, inconfondibile.
Elisa sorrise dolcemente. “Credo sia il capitano Grey!” rispose, voltandosi e trovandoselo davanti.
“Brava signora contessa... oramai mi conosci bene, insomma. ”sussurrò, carezzandole il volto pallido.
Lei chiuse gli occhi a quel contatto tenero. Christian era un uomo dall’aspetto piuttosto rude ma era capace di una dolcezza quasi adolescenziale, ben diversa dall’impetuosità passionale di Fabrizio.
Rendendosi conto di star pensando al marito morto scosse istintivamente la testa, allontanado certi ricordi del passato.
Oramai il suo presente era Christian.
“Elisa... sono passati diversi mesi da quando io e te abbiamo... insomma abbiamo cominciato ad amarci. Vorrei sapere se per te... questo significa qualcosa... ”mormorò, guardandola dritto negli occhi chiari, lui coi suoi scuri come la notte.
“Certo che significa qualcosa, Christian..."
Già ma che cosa? Elisa non ne aveva idea. Poteva davvero dire di amare il capitano Grey?
"Ma per adesso, preferisco che le cose rimangano così" aggiunse, senza saper bene cosa volesse dire. Temeva che Christian le proponesse il matrimonio, e lei non si sentiva pronta ad un passo del genere, nonostante gli volesse molto bene e lo desiderasse anche.
“Ma io ti voglio, Elisa! ” si spazientì, stringendo le mani a pugno. ”Non capisci, quanto ti amo? Ormai Fabrizio è morto da 5 anni! Non puoi vivere la tua vita nel suo ricordo. ”fece, amareggiato dall’ennesimo rifiuto.
Quella donna gli incendiava il sangue nelle vene ma non si decideva mai a diventare davvero sua, a essere sua moglie! Tutta quella storia cominciava a dargli i nervi...
Non aveva intenzione di dividere Elisa con un morto ancora a lungo! Elisa alzò il mento, orgoliosamente.
“Christian, mi dispiace. Ma se per te è un problema aspettare... conosci il modo di andartene da questo palazzo.”
Lui abbassò lo sguardo sorridendo debolmente. Poi si porto le mani ai lati, in segno di resa.
“E va bene, hai vinto tu! La mia Elisa ha un bel caratterino, a volte lo dimentico.” osservò, tornando scherzoso come sua abitudine.
Elisa gli prese una mano nelle sue.
”Christian credimi;io voglio diventare tua moglie. Ma ancora…ancora non me la sento. Ti prego, abbi fiducia in me.” lo pregò, con dolcezza.
“Naturalmente... farei qualsiasi cosa per te, tesoro... ”rispose, prima di chinarsi su di lei e baciarla delicatamente sulle labbra.


Nessuno dei due sapeva che cosa aveva ancora in serbo il destino... Infatti, non molto lontano da li, un uomo alto e imponente veniva scaricato da una carrozza di zingari nel bosco, svenuto e ferito. Quell'uomo era sporco, denutrito, coi poveri vestiti logori ma chiunque l'avesse conosciuto anni prima non avrebbe stentato ad individuare in lui qualcosa di piu di un mendicante o di uno straccione.
Quello che gli era capitato era un mistero ma in quel bosco, a poche ore da rivombrosa, gli zingari avevano portato il Conte Fabrizio Ristori.

Fabrizio si passò una mano sulla testa dolorante, steso sul tappeto di foglie cadute dagli alberi della foresta durante l'inverno.
Emise un rantolio soffocato, poi tentò di mettersi in piedi, anche se la vecchia ferita che aveva su un fianco si era riaperta e gli impediva alcuni movimenti.
Il carro degli zingari lo aveva buttato giu, ai piedi di quella grossa quercia e se ne era andato in fretta, come se avesse avuto il diavolo alle calcagna. Fabrizio aveva sentito Juan, incitare il cavallo e frustarlo furiosamente, finchè l'anziano castrone non aveva preso a galoppare rapido come una saetta.

E adesso era li, da solo, ferito, forse morente, senza un posto dove andare, senza sapere dove si trovava nè perchè gli zingari lo avevano lasciato li.
Ricordava che alcune notti prima, davanti al fuoco, una donna lo aveva indicato con occhi increduli e aveva sussurrato qualcosa al marito, che al momento di andare a dormire lo aveva colpito con una mazza e caricato sulla carrozza. Che cosa avesse detto a Juan, quella vipera dalla pelle ambrata, Fabrizio non lo sapeva. L'unica cosa che sapeva era che aveva vissuto 3 mesi con gli zingari, diventando quasi uno di loro, fino a quella sera in cui Juan, che riteneva un amico, aveva quasi cercato di ammazzarlo, per poi abbandonarlo come un maledetto sacco in un bosco sconosciuto.

Se avessero voluto liberarsi di lui, bastava dirlo, pensò Fabrizio, alzandosi in piedi con una smorfia di dolore. "Bastava dirlo! ! !" urlò, nella direzione in cui il carro si era allontanato. "Maledetti zingari..." biascicò, aggrappandosi al tronco di un albero. Con passo malfermo avanzò nel folto della foresta, lentamente, a capo chino, come un gueriero ferito a morte in battaglia.
La testa gli doleva maledettamente e con un braccio si premeva la ferita lunga e ampia che aveva su un fianco. Credeva che ormai fosse guarita, invece la caduta dalla carrozza l'aveva fatta riaprire e adesso sanguinava copiosamente.

Camminò per un paio d'ore, aggrappandosi ad ogni albero per sostenersi poi, stremato e vinto dal dolore, si afflosciò svenuto ai piedi di un ippocastano.


Bianca non amava le passeggiate nel bosco e anzi, detestava i rovi che le si impigliavano nel grembiule, trattenendola dispettosi, ma Elisa aveva avuto l'idea di raccogliere fragoline selvatiche quel pomeriggio e Amelia invece di lasciare andare lei, l'aveva dissuasa e chiamato Bianca per quel compito.
La spiegazione era sempre la stessa: le contesse non vagano per i boschi come ragazzine avventate. Per questo c'era Bianca, la povera, stupida Bianca, che macinava chilometri su chilometri per trovare qualche inutile fragolina. Quei pensieri velenosi distraevano Bianca e le facevano perdere per strada buona parte dei frutti appena raccolti, che scivolavano giu dal cesto di vimini.
Bianca non era cattiva; lei voleva molto bene alla Contessa ma talvolta quel senso di protezione materna che Amelia provava per lei la ingelosiva. Da quando era morto il conte, sebbene fossero passati 5 lunghi anni, Elisa non si era mai completamente ripresa. Era come un fiore che dopo una gelata, per quante cure riceva, non rifiorirà mai come una volta.

Stava riflettendo su quella questione quando, con orrore si accorse che una figura umana era stesa, scomposta, sotto ad un albero, a pochi metri da lei. Da dove si trovava non capiva se fosse morto, vedeva solamente un uomo dai capelli scuri, sdraiato a pancia in giu, col volto dalla parte opposta a quella in cui era lei, per cui non riusciva a scorgerne i lineamenti.
Bianca poggiò il cesto per terra e si avvicinò lentamente, guardinga, a quell'uomo vestito di miseri stracci.
Doveva essere un poveraccio ubriacone, pensò. Già, ma cosa diavolo ci faceva laggiu nel fitto del bosco?
Gli toccò una spalla, scuotendolo leggermente."Ehi! Mi senti? Sveglia! Guarda che non è il posto per farsi un pisolino, questo!"sussurrò, piuttosto rudemente.

Quello emise un brontolio sommesso, che a Bianca parve piu sofferente che assonnato."Sei ferito? "domandò, adesso piu allarmata.
Nessuna risposta, solo un altro rantolo strozzato. Presa dal panico Bianca passò dall'altra parte, scavalcando quel corpo possente ma quasi privo di vita. Con due mani gli afferrò il volto, dagli occhi chiusi."Ti prego, non morire! Adesso chiamo aiuto, sai... adesso io..." le parole le morirono in gola, non appena mise bene a fuoco il viso di quell'uomo.
Era sporco, magro, provato e sofferente ma sembrava...
Dio onnipotente sembrava... Bianca rimase a bocca aperta davanti ai lineamenti del moribondo.
La fronte alta, la bella bocca carnosa, gli occhi, che adesso aveva socchiuso, quelle piccole lagune blu e il naso... Gesù... sembrava... ERA il suo naso, cosi come i capelli, lunghi, piu di un tempo, che gli ricadevano fino alle spalle. Non potevano esserci dubbi...
Bianca emise un grido che risuonò acuto nella foresta poi prese a correre a perdi fiato verso il castello, col cuore in gola e la mente sconvolta.
Che cosa diavolo stesse succedendo non lo sapeva. Tutto quel che sapeva era che il Conte Ristori giaceva morente nel bosco."Angelo! ! Angelo devi seguirmi! ! !" gridò Bianca, prendendo il fratello per mano e trascinandolo via dal cavallo che stava ferrando."Ma Bianca! Non posso devo lavorare..." protestò lui, stancamente."Angelo, tu non capisci! Devi venire con me! e deve venire anche Titta! Chiama piu gente che puoi!" supplicò, in preda al panico.
Angelo non capiva l'agitazione della sorella che sembrava sconvolta, per questo era restio a seguirla."Bianca che cosa hai combinato adesso? " domandò, esasperato. Lo sguardo che lei gli lanciò gli diede i brividi."Devi venire con me." insistè, col volto cinereo.
Qualsiasi cosa fosse capitata, sua sorella era terrorizzata. Presero un cavallo dalla stalla, chiamarono Titta e un altro servitore e insieme galopparono verso la foresta."Oh Signore Onnipotente, è... è il Conte!" esclamò Angelo, chino su Fabrizio, ancora riverso nella foresta."Si è lui! Ma come è possibile... era morto!" boccheggiò Titta, incredulo."Se non ci sbrighiamo a portarlo a palazzo, sarà morto davvero, tra poco!"fece Bianca."Portiamolo via!"
Insieme, con grande fatica, riuscirono a caricare il conte sul cavallo. Sembrava un mendicante, portava vestiti poveri e logori, ma era davvero lui. Era il Conte! Il Conte era tornato a Rivombrosa dopo 5 anni.
I quattro condussero il cavallo a passo spedito verso il palazzo, consci di avere i minuti contati. Fabrizio era ferito e respirava a malapena.


Quando Antonio vide il suo paziente, il barattolo di vetro contenente i piccoli animaletti neri che aveva in mano, gli cadde rovinosamente a terra, andando in frantumi."Dove lo mettiamo, Antonio? " domandò Angelo, che teneva il conte per le spalle."Portatelo nella mia stanza! Svelti!"ordinò il medico, attonito. Lui e Titta portarono Fabrizio sul letto di Ceppi ed Anna, rapidi e ancora increduli."Che cosa sta succedendo? Non può essere Fabrizio!"sussurrò Antonio, aprendogli la camicia per scoprire la ferita che l'aveva macchiata di sangue scuro."Invece è lui, Signore. Non ho idea di come sia possibile ma è la realtà! Era nel bosco, ai piedi di un albero, non lontano da qui."spiegò Bianca, passando al dottore i panni imbevuti in acqua calda per lavare il taglio."Che Dio ci aiuti."mormorò il dottore."Fabrizio, non mollare, Stavolta ti terremo con noi, lo giuro sul mio onore."promise, rivolgendosi direttamente a lui.
Fabrizio era privo di sensi e tutto era avvolto da una fittissima tenebra scura.

Amelia rimase a bocca aperta davanti a Fabrizio, ancora addormentato, sul letto di Anna e Antonio. Bianca l’aveva chiamata e lei era rimasta senza fiato vedendo l’uomo che aveva allevato tanti anni prima con amore e che da cinque anni credeva morto.
“Oh Signore, Fabrizio! ”pianse di gioia, mentre gli accarezzava la fronte rovente di febbre, gli scostava i capelli castani dal volto sudato, gli baciava la mano calda.
“E' un miracolo del cielo! ”ripeteva, sotto gli occhi commossi di Antonio e Bianca.
Tutti e tre osservavano Fabrizio che respirava affannosamente, con fatica, ma ormai aveva afferrato la vita e non l’avrebbe lasciata andare.
“Adesso è fuori pericolo.”affermò Ceppi "ma dobbiamo lasciarlo riposare." aggiunse.
“Qualcuno dovrà dirlo ad Elisa.”quella frase riusuonò nel silenzio come una fucilata, con tutta la sua gravità e pesantezza. Angelo era sbucato dalla porta e guardava i tre con un espressione tesa.
“Si, Angelo. Qualcuno deve dirlo ad Elisa e anche ad Anna, a Emilia, a Martino. E soprattutto a Agnese. ”osservò Antonio, greve.
La situazione non era semplice, anzi. Come dirlo ad Elisa? C’era forse un modo non traumatico per comunicarle che il suo defunto marito non era affatto defunto? E Agnese, che aveva già 5 anni, e che non aveva visto suo padre che da lattante? E Martino, che era un giovane ribelle ed ostinato, che aveva sofferto tantissimo dopo la morte di Fabrizio?
Il destino era strano;cinque anni prima aveva catapultato Rivombrosa nella disperazione, adesso invece gli riapriva le porte della felicità.

Elisa vagava nel palazzo con leggerezza, in cerca di Amelia. Fuori la sera aveva ceduto il posto alla notte e alcuni grilli cantavano nel prato.
Indossava la camicia da notte in pizzo bianco, ed aveva i capelli lunghi sciolti sulla schiena, vaporosi come una nuvola color grano maturo.
In mano aveva una candela, per farsi luce sebbene conoscesse a memoria ogni centimetro del palazzo. Scese in cucina ma era deserta. Allora salì al primo piano, ma anche li nessuna traccia della donna. Si arrestò davanti alla camera della cognata e di Ceppi, incerta se bussare per chiederle di Amelia, poi decise di lasciar stare;avrebbe visto la governante l’indomani.
Fece marcia indietro, diretta in camera sua.
Stava percorrendo il corridoio avvolto in un sonnolente silenzio quando notò una luce soffusa e tremula, che proveniva da una porta. Quella stanza era solitamente vuota, serviva per gli ospiti. Chi mai era venuto a castello senza che lei lo sapesse? si domandò, sospettosa.
Forse era stata dimenticata una candela da qualche membro della servitù.
Afferrò la maniglia della porta ed entrò. Elisa vide un uomo sul letto, steso nella penombra, sudato, col petto nudo e ansante. Dormiva profondamente, ma il suo volto era teso, dolente.

Ad Elisa il cuore saltò un battito.

La candela le cadde a terra e rimase nella semioscurità, davanti a quell’uomo addormentato, con le gambe che le tremavno e le lacrime che le scivolavano sulle gote bianche.

Scattò verso di lui, gli posò le mani sulle spalle nude, lo toccò debolmente, come per accertarsi che fosse reale e non un sogno.

In preda ad una sorta di delirio prese ad accarezzargli il volto contratto, il volto che aveva tanto amato e che aveva creduto di non vedere mai piu. Lacrime sconvolte le cadevano come un temporale sul viso, il respiro le mancava e tutto intorno a lei sembrava girare vorticosamente.
“Fabrizio, Fabrizio!” gridava, fuori di sé. Credeva di stare impazzendo, di essere precipitata nella follia più profonda. Quello che i suoi occhi vedevano non poteva essere reale! Si inginocchiò accanto al letto, continuando a toccare fabrizio, senza lasciarlo un attimo. E piangeva, piangeva, incapace di frenarsi.

In quell’istante qualcuno comparve accanto a lei.
Elisa non riusciva a distogliere lo sguardo annebbiato da Fabrizio, non riusciva a frenare i singhiozzi.
“Elisa... vi prego, lasciatelo riposare. Domani tutto sarà piu chiaro. ”mormorò Amelia, tirandola per un braccio. Elisa scosse la testa, inghiottendo le lacrime. Si ancorò con piu forza alle spalle del marito.
“No! Non lo lascio, io resto qui! ”urlò, smarrita.
“Elisa... siete sconvolta. Date retta a me, lasciatelo dormire. Non è l’ora giusta per queste emozioni. ”insistette Amelia, prendendola sottobraccio. Frastornata e totalmente disorientata Elisa si alzò, come un’automa, tremante come una foglia d’autunno. Con lo sguardo fisso su Fabrizio addormentato, gli occhi verdi spalancati e vitrei di chi ha appena visto un fantasma, segui l’anziana governante fino alla porta.
Una volta che se la furono chiusa alle spalle, Amelia la guardò greve: "Elisa, sono davvero mortificata. Non sarebbe dovuto succedere cosi. ”Esordì, tenendole le mani gelide.
“Di che cosa stai parlando, Amelia!” mugolò Elisa, fuori di se. Il mento le tremava ed era pallida in volto.
“Oggi Bianca ha trovato Fabrizio nel bosco, a due ore da qui. Vostro cognato l’ha curato, e poi lo abbiamo portato in questa camera. Non sapevamo come dirvelo, abbiamo pensato tutti che fosse meglio aspettare domatina. Purtroppo non sono riuscita ad evitarvi questo trauma. ”
Elisa scosse la testa. "Ma quale trauma! Amelia, è mio marito!” gridò, farneticante. Si voltò di scatto e fece per riaprie la porta, attaccandosi alla maniglia. Ma il tremore rendeva inefficaci i suoi movimenti e Amelia fu lesta nel trattenerle la mano.
“Elisa, no! Andate a dormire, vi prego. Vi ci accompagno io. Domattina, con la luce del giorno tutto avrà una spiegazione logica. ”Elisa si sentì mancare in quell’attimo. le gambe minacciarono di cedere e non potè fare altro che seguire la governante, trascinandosi lungo i corridoi, restando aderente al muro per impedirsi di cadere.


L’indomani Fabrizio si svegliò in tarda mattinata. Alcuni raggi entravano dall’ampia finestra e illuminavano direttamente il suo cucino, puntando dritto nei suoi occhi.
Aveva male alla testa ed era confuso: dove si trovava?
Si guardò intorno;una stanza grande, elegante, un letto signorile, arazzi alle pareti.
Non aveva mai visto quel posto. Ricordava Juan, il carro che si allontanava, quei passi malfermi nel bosco poi il nulla. E adesso era li.
Con lentezza si mise a sedere. Indossava solamente una fascia in vita, sul taglio che si era riaperto, e i suoi indumenti intimi. Dov’erano i suoi vestiti?
Chi lo aveva curato? Storidito, si mise in piedi, e avanzò verso la finestra.
Fuori era bellissmo: un parco, una vasca la centro, le siepi verde brillante;doveva essere un palazzo di qualche signore locale.
E lui era al primo piano, nella camera degli ospiti, probabilmente. Sospirò, pensando che avrebbe dovuto ringraziare il suo salvatore. In quel momento la porta si aprì.
Entrò una donna anziana, dai capelli grigi, le forme rotonde, materne, il volto trafelato.
Fabrizio deglutì;non aveva idea di chi fosse.
“Emhh... volevo ringraziare la persona che mi ha portato qui. Gli devo la vita. Dove mi trovo? ”esordì, leggermente imbarazzato. Vide che la donna cambiava espressione, si faceva sbigottita, sbiancava, sembrava sul punto di svenire. Che cosa mai aveva detto di sbagliato?
“Ma... ma Signor Conte! Voi siete nel vostro palazzo, a Rivombrosa! ”fece la donna, visibilmente sconvolta.
Fabrizo rimase impietrito. Casa vostra? Rivombrosa? Signor Conte? Quella frase non aveva senso, per lui. Non conosceva quel posto, né quella donna, né tantomento ricordava di essere un conte. Tutto quel che sapeva era che si chiamava Fabrizo, ed era un disgraziato senza un soldo. Un giorno, diversi anni fa si era svegliato in una città sconosciuta, mezzo nudo e senza piu un ricordo. Poi aveva preso a vagare senza una meta, per lunghisimi mesi. Infine quegli zingari, l’illusione di aver trovato una casa. Tutto finiva in quella stanza mai vista, davanti a quella donna dal viso ignoto.
“Forse si sbaglia, signora. Io non sono un conte, sono solo un poveraccio. Davvero, mi spiace di aver dato tanto disturbo. Se mi mostra la via d’uscita, me ne vado immediatamente. ”
Amelia si sentì mancare. Con profondo sconcerto dovette prendere atto della realtà;Fabrizo non ricordava assolutamente nulla. Aveva perso la memoria.

Fabrizio si trovava circondato da volti sconosciuti, tutti tesi, tirati, agitati ma anche sollevati di vederlo sveglio e cosciente.
Una donna dai grandi occhi scuri, con i capelli lunghi e neri e il sorriso dolce, un uomo dallo sguardo limpido, amichevole che aveva detto di essere il suo medico, una ragazzina sui 17 anni e infine la servitù di quel palazzo signorile. Tutti lo circondavano, lui seduto su una poltrona di quella camera inonadata di sole. Fabrizio si sentiva imbarazzato;non aveva memoria di uno solo di quei volti.
Niente gli pareva familiare, il buio piu totale. Eppure quella gente sembrava davvero conoscerlo: possibile che dopo 5 anni avesse ritrovato il suo passato?
“Vi ringrazio molto per la vostra ospitalità ma io davvero non... ”cominciò, goffamente. La donna lo interruppe, inginocchiandosi davanti alla poltrona.
“Fabrizo! Davvero non mi riconosci? Sono Anna! Tua sorella... ”disse, rivolgendogli uno sguardo profondo e pieno di preoccupazione.
“Io... io... sono davvero spiacente ma non... ”Fabrizo era mortificato;avrebbe voluto riconoscere quella donna ma niente, nessun particolare risvegliava in lui alcun ricordo. Stranamente quella confusione mentale non lo agitava, non lo sconvolgeva: erano 5 anni che non possedeva memoria del suo passato;ci aveva praticamente fatto l’abitudine ed aveva finito per rassegnarsi: probabilmente non era un passato degno di essere ricordato, si diceva talvolta. Cosi adesso quella situazione piu che angosciarlo lo imbarazzava. Rivolse alla donna un sorriso tirato, poi le prese la mano per farla alzare. Lei lo guardò attonita, poi si gettò tra le braccia del medico che lo aveva curato e che era suo marito, e prese a piangere sommessamente. Fabrizio tossichiò nervosamente;gli dispiaceva esere la causa di quelle lacrime agitate ma non aveva modo di impedirlo;non poteva fingere di ricordare.
“Fabrizio, cercate di riposare ancora, non dovete sforzare la memoria. ”Intervenne Antonio, che teneva stretta la moglie ancora piangente. Lui annui pensieroso, poi gettò uno sguardo a tutti i presenti: l’anziana governante, la ragazzina bruna, alcuni membri della servitù;quei volti, ancora una volta, gli parvero sconoscuti.
Peccato, si disse. L’unica cosa che ricordava, da quando cinque anni fa aveva perduto la memoria, lì non c’era. Fabrizio ricordava confusamente qualcuno, ricordava una donna.
Le nebbie piu fitte ne ofuscavano il volto ma nella sua mente c’erano solo due occhi verdi come pietre preziose, dei riccioli profumati biondo scuro e un sorriso radioso, un sorriso in cui sentiva di esservici perso, molti anni prima. Un sorriso che era stato tutto per lui, che aveva significato la vita stessa. Fabrizio ricordava soltanto Elisa.


Quando, poche ore dopo, la porta si aprì di nuovo Fabrizio stava scrutando fuori dalla finestra. Sentì dei passi leggeri dietro di lui, si voltò con lentezza.
Davanti a lui c’era una donna, piccola, minuta, e bella come una stella. A Fabrizio bastò guardarla negli occhi chiari per ricordare di aver già visto quel volto. Aveva già visto quello sguardo dolce, aveva già accarezzato quegli zigomi alti, aveva già baciato la pelle trasparente del suo volto. E aveva già assaporato quelle labbra rosse. I capelli erano appuntati sulla nuca, e l’acconciatura scopriva un collo magro e bianco, attorno al quale brillava una collanina di turchesi.
L’abito era chiaro, di un bianco perlaceo che la rendeva ancora piu abbagliante, quasi fosse lei stessa ad emanare luce e non il sole là, alto nel cielo blu.
Fabrizio sentì che il cuore gli faceva un tuffo nel petto;non sapeva chi fosse quella donna, sapeva solamente di averla amata. E l’amava ancora. Adesso lo sapeva;Fabrzio l’amava ancora. Sconvolto da quella rivelazione del cuore avanzò verso di lei e le imprigionò le spalle in una presa forte, tremante ed emozionata. Quella donna era il suo unico ricordo.
“Fabrizo! ”lo chiamò lei, aprendosi in un sorriso raggiante. ”Fabrizio, credevo tu fossi morto... credevo fosse tutto finito”mormorò, stringendoglisi contro.
Lui scosse la testa, abbracciandola stretta.
“Non so come, ma credo di essere a casa, adesso. Adesso che sono con te. ”sussurrò, baciandole il collo flessuoso. Poi le tempestò di piccoli baci teneri la guancia, gli occhi, la fronte, finchè non esplose una passione che credeva dimenticata e la baciò sulle labbra, con un desiderio sconfinato.
In quell’attimo la nebbia che avvolgeva i suoi ricordi si dissolse, svanì come neve al sole.
Ricordava tutto. Il tentativo di ucciderlo da parte di quel verme di Benac, il duello, le spade, uno scambio di persona, qualcuno che lo porta via, lo ferisce, lo addormenta, il risveglio in un luogo sconosciuto, senza nessun ricordo del passato. Non erano riusciti ad ucciderlo ma lo avevano comunque eliminato, per 5 lunghi anni. Poi gli zingari, e... Isabella! Si lei lo aveva riconosciuto, tornando da un viaggio lo aveva trovato al campo, l’aveva subito riconosciuto. E lo aveva fatto portare a Rivombrosa. Certo Juan poteva usare metodi meno cruenti! Pensò Fabrizio scoppiando in un’improvvisa risata.
Lei lo guardò stupita, con una luce felice negli occhi. ”Che cosa c’è, Fabrizio? ”gli domandò, senza staccarsi da lui.
“Ricordo tutto, amore. Ricordo ogni cosa. Elisa. ”Lei sussultò a sentirsi chiamare per nome da lui, a sentir pronunciare il suo nome dall’uomo che amava, con la sua inflessione dolce, tenera, appassionata. Era davvero un miracolo!
“Ti vorrei anche senza un ricordo. ”ribattè lei, riempiendosi gli occhi del sorriso del suo amato Fabrizo. Una gioia sconfinata minacciava di farle scopiare il cuore, non si era mai sentita cosi. Ogni fibra del suo essere vibrava di felicità.
“E invece adesso ho memoria di ogni singolo attimo. E soprattutto ricordo te, anche se non ho mai scordato il tuo viso, le tue labbra... ”sussurrò, poggiandole le labbra contro il collo. Si baciarono ancora e ancora, persi nella beatitudine di qeugli istanti, dimentichi di qualunque cosa non fosse i loro corpi, i loro cuori. Poi, dopo infiniti attimi di dolcezza lui la prese per mano e insieme corsero verso la loro stanza, verso la loro camera. Si chiusero la porta alle spalle e fecero l’amore a lungo, con slancio, passione e con smania di unirsi in ogni abbraccio che l’amore conoscesse.
Per tutto il resto c’era tempo;adesso volevano solamente amarsi.

Il capitano Gray dovette arrendersi davanti all’enormità dei sentimenti che Elisa provava per quello che era suo marito. Gli bastò uno sguardo ai due, che scendevano la scalinata abbracciati per capire che doveva andarsene. Uno strano groppo in gola gli impediva di parlare e riusciva solamente a ripetersi quanto quella vicenda fosse incredibile: credeva di aver trovato l’amore, invece era stata tutta una illusione. La voce del ritorno del conte a Rivombrosa gli era arrivata esattamente due ore dopo il suo ritrovamento nel bosco, il giorno prima. Adesso era venuto a verificare di persona: e si, era tutto vero, suo malgrado. In quel momento il redivivo Conte Ristori stava venendo verso di lui, accanto alla bella Elisa.
I due lo raggiunsero, lui con un espressione torva sul volto, lei con il viso contratto, imbarazzato e leggermente impacciata. Lo stava per congedare definitivamente dal suo cuore.
“Mi dispiace, Christian ma... ”cominciò, quando furono a un passo da lui.
“Non dire nulla... io…vi auguro ogni bene”mormorò Christian, sentendosi il cuore espodere. Quelle parole gli facevano male ma aveva dovuto pronunciarle.
“Vattene da qui, Grey. ”gli intimò il Conte, stringendosi contro Elisa con piu forza. Lui abbassò lo sguardo, annuendo tristemente.
“Sicuro. Arrivederci Elisa. Solo tu sai quanto ti ho amata. ”sussurrò, rivolgendole un’occhiata colma d’amarezza. Lei non disse nulla, lo guardò dritta negli occhi scuri, senza battere ciglio, senza sorridere. Sembrava dire: Christian, questo è il mio destino, accanto all’uomo che amo. Lui scosse la testa;quella era la fine. La guardò un ultima volta poi se ne andò, solo come era venuto. A Rivombrosa avrebbe lasciato per sempre un pezzo di cuore.


Pochi mesi dopo.

Agnese giocava nel giardino assieme a Martino, suo fratello. La neve era caduta abbondante e il ragazzino le insegnava a fare un pupazzo di neve, mettendo una carota al posto del naso.
Elisa si strinse contro Fabrizio, guardandoli giocare: Quella pace era un dono del cielo. Fabrizio era un dono del cielo. Il cappotto in pelliccia che portava la riscaldava ma non quanto il corpo statuario del marito, che le accarezzava i lunghi capelli biondi. Chiuse gli occhi, assaporando quegli attimi di pura felicità.
“Sai, amore, a volte ho temuto fosse tutto finito. ”gli confessò, mentre Agnese tirava una palla di neve a Martino.
“Avresti dovuto contuinuare a sperare. ”osservò lui, dolcemente.
“L’ho fatto. Ho sperato per anni. Non ho mai smesso di amarti. ”disse, alzando il viso verso di lui. Fabrizo le baciò la fronte.
“Io ricordavo solamente il tuo volto. La caduta quel giorno di tanti anni fa deve avermi fatto perdere la memoria. Oppure è stato il trauma di vedermi raggiato, allontanato da Rivombrosa. Non sopportavo di sapere che tu mi credevi morto, e la memoria se n’è andata. ”ipotizzò lui, pensoso. Lei gli carezzò il viso, attirando di nuovo la sua attenzione.
“E’ tutto passato. Adesso abbiamo un lungo futuro davanti a noi. E nulla potrà mai piu dividerci. ”promise.
Lui annui, posandole le labbra sulla bocca.
“Nulla... rimarremo per sempre accanto. Per sempre. ”assicurò, tenero.
Agnese corse verso di loro e volle essere presa in braccio dal padre, interrompendo quel momento d’amore.
“Ma adesso non te ne vai piu via, vero papà? ”chiese, con la vocina dolce. Lui rise, baciandole la guancia paffuta.
“Mai piu! ”rispose, intenerito. Sua figlia somigliava tanto alla madre, alla donna che amava piu di se stesso. Si avvicinò anche Martino, che si era fatto un bel ragazzino alto e slanciato.
“Andiamo a mangiare, Amelia ha preparato le frittelle! ”annunciò. Agnese saltò a terra, seguendo il fratello, trotterellando sulle gambette snelle.
Elisa e Fabrizio si si incamminarono dietro ai due bambini, mano nella mano. La neve riprese a cadere, leggera e minuscola come fiocchi di nuvola.
“Ti amo, Fabrizio. ”fece lei, con una luce commossa nello sguardo.
“Anche io Elisa. Ti amo con tutto me stesso. ”, rispose, quando furono davanti alla porta del palazzo.
Insieme entrarono in quella che era la loro casa, Fabrizio al settimo cielo, Elisa custode di un dolce segreto: nel suo grembo, piccola ma forte e vitale, cresceva una vita piccina, preziosa, unica.
Elisa e Fabrizo attendevano il loro secondo figlio che sarebbe nato in una notte di stelle, sette mesi dopo.
  
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