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Autore: Pseudopolis Yard    08/01/2012    9 recensioni
C'è sempre del lavoro per Morte.
[...]Doveva esserci una qualche forma di ironia cosmica nel fatto che i suoi incontri con lo smilzo piagnucolone si fossero fatti sempre più frequenti, da quella prima sfortunata volta, in maniera inversamente proporzionale al piacere ricavato dagli stessi. Diciassette anni prima era entrato in quella casa a Godric's Hollow (maledetta profezia e maledetta quella vecchia oca che l'aveva pronunciata) con il cuore pieno di speranza, di fiducia nel fatto che ci fosse giustizia a questo mondo, un ordine naturale delle cose: c'erano cose che dovevano succedere e cose che non dovevano succedere. Quel che doveva succedere era: Harry Potter morto, la profezia neutralizzata e Lord Voldemort, tiranno benevolo, che si ergeva sul popolo dei maghi guidandolo verso un'era di prosperità e di pace dove nessuno avrebbe mai fatto mancare una Cruciatus a un Babbano.
Liberamente ispirato alle pagine di J.K.Rowling e Terry Pratchett.
Genere: Comico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Cedric Diggory, Sir Nicholas, Sirius Black, Un po' tutti
Note: Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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“Piacere, Cedric Diggory.”


Cedric Diggory era nato per essere fondamentalmente un bravo ragazzo.
Aiutava sua madre con i lavori domestici, studiava durante i fine settimana, era il migliore nel gioco di squadra e, incredibilmente, era riuscito a mantenersi modesto malgrado tutto ciò. Durante lo Smistamento al Cappello Parlante erano occorsi approssimativamente tre decimi di secondo per strillare Tassorosso... e, be', non c'era molto altro da dire in proposito.
I Tassorosso erano sostanzialmente bravi ragazzi. Gente contenta. Se avevi problemi finivi a Grifondoro, se creavi problemi finivi a Serpeverde, se il tuo problema erano troppe rotelle nel cervello finivi a Corvonero. Quando lo Smistamento esauriva gli studenti problematici, il resto, ecco, andava a Tassorosso.
Il Capo della Casa di Tassorosso era la più contenta di tutti. Era una donna rotonda e felice che aveva un sorriso anche per i cretini; e di cretini, nella casa dei tassi contenti, per qualche ragione ce n'erano tanti. Zacharias Smith, ad esempio, era un affascinante esemplare di imbecille.
Comunque.
Cedric Diggory era nato per essere fondamentalmente un bravo ragazzo. Un bravo studente, un bravo amico, un bravo figliuolo, un bravo giocatore di Quidditch. E anche un bravo Mago, va'. Per far contenti i suoi genitori aveva studiato, studiato, studiato, e tutto quello studio a qualcosa doveva essere servito: perché quando l'ultima strisciolina di pergamena era scivolata fuori dal Calice di Fuoco – l'ultima, cioè, se non si contava la striscia fuori quota di Harry Potter – c'era stato il suo nome scritto sopra.
Essere Campione del Tremaghi aveva i suoi lati positivi e aveva i suoi momenti no. Questo, ad esempio, sembrava essere un momento molto no.
Faceva freddo. Erano in un cimitero. Non sapevano come c'erano arrivati, men che meno sapevano perché. E, oltretutto...
“Ehi, Harry! Quello era un Anatema che uccide! E' stata una fortuna che mi abbia mancato, eh...?”
HEM.
Qualcuno si schiarì la voce proprio alla sinistra di Cedric. Era uno schiarirsi di voce stranamente riecheggiante. Uno schiarirsi di voce molto... come dire?... solenne.
Cedric si girò e si ritrovò a fissare un'imponente figura ammantata di nero, misteriosamente apparsa dal nulla proprio tra lui ed Harry. Era un'apparizione bizzarramente inquietante; d'altronde, un completo costituito da lungo mantello nero con cappuccio e falce annessa non è pensato per essere rassicurante. C'era anche da dire, certo, che tutto sommato poco di quel che avevano visto quella sera, Sfingi, Mollicci, grossi Schiopodi e via discorrendo, era pensato per essere rassicurante; la figura col mantello, tuttavia, sembrava essere qualche gradino più in su sulla scala della non-rassicurazione.
Una mano scheletrica emerse da sotto l'orlo del manto in questione, lentamente, e indicò verso il basso. A quel punto ci sarebbe stato molto da dire e da chiedere sulla figura, sulla mano, sulla falce: ma il gesto, pur molto garbato, risultava in qualche modo più perentorio di un cartello. Era uno di quei gesti ai quali ubbidisci; non perché tu lo voglia: ubbidisci. E basta.
Cedric guardò verso terra.
La forma afflosciata sul terreno, che fino a quel momento aveva aleggiato indistinta ai margini dell'attenzione di Cedric, assunse tutto ad un tratto ai suoi occhi un'importanza pressoché assoluta.
“Oh...”
GIA'.
Era la figura supina di qualcuno dotato di una faccia estremamente familiare: una faccia che Cedric vedeva tutti i giorni, almeno una volta al giorno. Nello specchio.
“Ehm... uh...” Fu il turno di Cedric di schiarirsi la voce – ma il suono, emergendo da lui, non risultò per niente solenne. “... ah.”
La figura in nero non disse niente.
A Cedric sarebbe piaciuto credere che la somiglianza della sua faccia con la faccia per terra fosse dovuta ad un qualche curioso esperimento con gli Incantesimi di Sdoppiamento; sfortunatamente, era nato per essere un bravo ragazzo, non per essere un ragazzo stupido.
Tutto ad un tratto le possibilità che l'Avada Kedavra l'avesse mancato sembrarono ridursi drasticamente.
“Sono io.”
La figura in nero annuì.
A Cedric ricordò vagamente il professor Piton: e in particolare, il modo in cui questi annuiva (con malcelata soddisfazione, per inciso) quando tu ti accorgevi che la pozione all'interno del tuo calderone non solo non era quella richiesta, ma non c'era più speranza alcuna che lo diventasse. Questa non fu una buona associazione mentale.
Cedric dovette fermarsi e pensarci sopra un istante. L'Avada Kedavra non l'aveva mancato. Ecco, quello non era un concetto che si potesse accettare con la stessa facilità di qualcosa come, che so, oggi piove o hai sbagliato cravatta. La vista del proprio stesso cadavere, decise, meritava almeno un attimo di raccoglimento.
Avrebbe dovuto sentirsene inquietato: dopotutto era il suo corpo, ci aveva convissuto per diciassette serenissimi anni... un tuffo al cuore sarebbe stato ragionevole. Un tuffo al cuore. Uh, ad avercene ancora uno, ecco.
Il fatto era che una parte sempre più grossa di Cedric di minuto in minuto si sentiva sempre meno interessata a quel che era ragionevole e a quel che non lo era. Pensandoci su, sembrava tutto sempre meno... importante.
La figura in nero annuì nuovamente.
E' NORMALE.
Sembrava condividesse con il professor Piton qualcosa di più della capacità di farti sentire cretino con un semplice assenso. Cedric aveva sempre sospettato che l'uomo fosse capace di leggergli nel pensiero – e non era mai stato un sospetto rassicurante.
Si schiarì di nuovo la voce.
“Non sembra così male. Voglio dire... E' stato... Voglio dire... non fa freddo.”
NO.
“Non fa... Non fa neanche male!”
VERO.
“Me l'aspettavo... diverso.”
CAPITA SPESSO.
“Ehm.” Per qualche ragione, sembrava che schiarirsi la voce fosse diventato l'incipit necessario ad ogni sua affermazione. “Uh. Quindi, uhm... tu saresti...”
SI'.
“Oh.”
Un lungo istante di pausa.
“C'è qualcosa, non saprei... che devo fare...?”
NIENTE DI PARTICOLARE. IO SONO QUI PER PORTARTI AVANTI.
Cedric Diggory si guardò le mani: poteva vederci attraverso, scoprì, e continuavano a farsi sempre più trasparenti. Anche il cimitero sembrava offuscarsi gradualmente.
“Be', allora...”
E stava per dire qualcosa sul tono di Si va?, quando il cimitero tornò improvvisamente a fuoco in un'esplosione di luce bianca. Cedric si sentì strattonare indietro e quasi cascò con il sedere per terra.
“Che succede...? Tutto, uh, tutto normale?”
Nel riflesso della luce bianca la Morte in nero sembrava ancora più buia. Sembrava anche, in effetti, vagamente infastidita.
MAGHI. DEVONO SEMPRE COMPLICARE LE COSE.
Cedric sentì il terreno scivolargli da sotto i piedi mentre veniva trascinato indietro, indietro, sempre più indietro, verso la luce: c'era un reticolo di raggi bianchissimi nel mezzo del cimitero, e al suo interno si poteva discernere la figura minuta di Harry e quella di qualcuno molto pallido e dal naso stranamente schiacciato. Tutt'attorno a loro due sembrava in corso una riunione del Club del Mantello Nero.
“E adesso?”
NON C'E' DI CHE PREOCCUPARSI. E' UNA COSA DA POCO.
Cedric si sentì vagamente offeso – dopotutto era il suo trapasso quello che si stava complicando – ma non ebbe il tempo di protestare: uno strattone più forte lo fece schizzare indietro attraverso il cimitero e dritto verso il reticolo.
NON AGITARTI, disse la Morte, rimanendo dov'era. E poi:
CI RIVEDIAMO TRA CINQUE MINUTI.






Note degli Autori: Settecento pagine di Harry Potter e i Doni della Morte e la strage si compie: il lettore è lasciato con un lungo conto delle vittime tra le mani, qualcosa sul genere di ce l'ho, ce l'ho, mi manca, e con una sensazione di perdita inenarrabile.
Ma quello che per noi è un elenco di trapassati, per altri è LAVORO: e se poco si può dire per la morte del quarto personaggio da sinistra della terza scena, per individui di grande importanza si muove LUI, in persona.

Preso a prestito per l'occasione dalle pagine del mai troppo lodato Terry Pratchett, Morte si presta ad una trasferta nell'universo di Harry Potter.
Dopotutto, qualcuno una volta ha detto ha detto che la morte non è altro che l'ultima, grande avventura.

Per gli aggiornamenti, possiamo dirvi solo: vegliate, vegliate, perché non saprete in anticipo né il giorno, né l'ora. E neanche noi, in effetti.
  
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