Crossover
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Autore: Registe    09/01/2012    5 recensioni
Prima storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
In una Galassia lontana lontana (ma neanche troppo) l'Impero cerca da anni di soffocare l'eroica Alleanza Ribelle, che ha il suo quartier generale nella bianca citta' di Minas Tirith, governata da Re Aragorn e dal suo primo ministro lo stregone Gandalf. I destini degli eroi e malvagi della Galassia si intrecceranno con quelli di abitanti di altri mondi, tra viaggi, magia, avventure, amore e comicita'.
In questa prima avventura sulla Galassia si affaccia l'ombra dei misteriosi membri dell'Organizzazione, un gruppo di studiosi dotati di straordinari poteri che rapisce delle persone allo scopo di portare a termine uno strano rito magico da loro chiamato "Invocazione Suprema"...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 7 - Attesa


Where Nothing Gathers

La sala dei troni nel Castello dell'Oblio




Controllò a fondo il proprio respiro, ripassando a mente tutti i passaggi. La stanza dove si trovavano al momento era la solita anticamera bianca, immacolata, che sembrava illuminata come se mille candele fossero state accese per magia. E, di sicuro, molta magia era impregnata nelle mura di quel castello.
Non era difficile per lui percepirla, un intreccio di incantesimi arcani che sfuggivano persino alla sua comprensione; un luogo davvero affascinante, pieno di segreti, il posto adatto per colui che un giorno avrebbe trovato il modo di governare le galassie e le dimensioni.
Gli piaceva. Quindi doveva essere suo.
A tutti i costi.
Ma in quel momento Kaspar sapeva di non potersi distrarre troppo: da come era apparso quel Marluxia era probabile che quei fantomatici membri dell’Organizzazione li osservassero da lontano, scambiandosi commenti, decidendo cosa farne di loro come se fossero dei burattini con cui trastullarsi. Ma Kaspar non avrebbe mai accettato di essere una marionetta, mai. Doveva essere rapido, prima che la sua vittima si svegliasse; erano rimasti per ore in quel ristorante, il mercenario e lui, e per quanto avesse provato a farlo cadere nel sonno più profondo la sua spada sembrava deflettere anche quel tipo di incantesimi, perciò aveva temporaneamente rinunciato alla sua vendetta. Adesso, però, avrebbe rimesso a posto le cose.
Quello sporco ed insolente soldato aveva parlato anche troppo e si era immischiato con lui, il più grande stregone della galassia, ed aveva permesso che quel deviato essere che perdeva petali lo derubasse del suo prezioso bottino. E Zachar aveva ascoltato la voce di quell’Auron, non la sua!
Avrebbe punito anche quell’ameba idiota quando sarebbe stato il momento giusto, ma per ora gli serviva viva e con gli incantesimi ben pronti.
Nella stanza non vi era nessuno, ed al momento non percepì tracce di incantesimi di divinazione rivolti verso di loro, segno che forse anche lo sguardo dei padroni del Castello era altrove. Chiamò nella mano sinistra una Lama di Luce, un frammento di energia non più grande di un pugnale elfico, ma aveva gli occhi puntati sulla spada del nemico.
Lentamente fece il giro del suo corpo addormentato, pregustando la faccia di quel signorino dai capelli rosa quando avrebbe scoperto che il suo mastino preferito era stato vittima di uno “spiacevole incidente notturno”. E se avesse osato mettere fuori il suo nasino alla francese o la sua ridicola falce fucsia avrebbe carbonizzato lui e tutte le sue piantine ……
Avvolse con calma la Lama nelle pieghe del mantello, facendo attenzione che nemmeno un raggio di luce violacea toccasse la sua vittima, cercando di mascherare al meglio qualsiasi emissione di energia. Il piano non sarebbe fallito.
Quell’uomo avrebbe imparato cosa volesse dire sfidare lui, Kaspar.
“Che cosa stai facendo?”.
Per la sorpresa perse la concentrazione, e nel sobbalzare la Lama di Luce smise il contatto con la sua mente, svanendo in una serie di spruzzi colorati e lasciando un alone spiacevole sulle pieghe del mantello. Trafisse con lo sguardo colei che si era permessa di rovinare il suo piano. “Zachar, chiudi il becco! Quello che faccio sono affari miei!”.
“Non credo proprio! Tu …… tu stavi pensando di assassinare Auron ……?”
Stupida oca.
“No, gli stavo solo rimboccando le coperte …… certo, idiota, e se fossi rimasta al tuo posto avremmo un seccatore di meno di cui occuparci!”.
“Auron è una brava persona e non ti devi permettere di toccarlo neanche con un dito!”.
Cosa?
Non era sicuro di aver sentito bene ……
Da quando in qua quella gallina osava rivolgersi a lui in un modo simile? Non aveva mai questionato un suo ordine, aveva sempre obbedito a qualsiasi suo desiderio e adesso credeva di poter alzare la testa solo perché in quel castello tutti la consideravano un’Invocatrice sacra e intoccabile? Di colpo tutto l’odio che aveva accumulato su quel soldato si riversò su di lei: “Zachar, non so cosa ti stia passando per la testa, ma se ti sento ancora ribattere un mio ordine io ……”
“Cosa mi faresti, sentiamo?”.
Non aveva mai sentito un simile tono di voce dalle sue labbra: lei sapeva soltanto piangere, lamentarsi, implorare e guaire ai suoi comandi, invece in quel momento gli sembrava di star parlando con la sgualdrina mutaforma in persona. Un gelo improvvisò calò nelle sue ossa, ma ormai le sue guance erano livide per il furore: “Oca, stai al tuo posto e restaci! Non sei e non sarai niente senza di me o non ti ricordi?”.
Al diavolo quell’Auron, al diavolo i membri dell’Organizzazione, al diavolo tutti!
Perché Zachar si comportava come una bambola difettosa, cosa le passava per la testa?
Più i secondi passavano più non riusciva a comprenderla, più vedeva quegli occhi verdi riempirsi di odio, gli stessi occhi che aveva visto pieni sempre e solo di lacrime e di ammirazione.
“IO ti ho salvato dagli intrallazzi del Trio Destroyer in cui TU e la tua stupida ingenuità vi eravate lanciate! Saresti MORTA mille volte, lì ed al torneo, se IO non fossi intervenuto!” se quella ragazza credeva di poter alzare la testa si sbagliava di grosso ……
“Tsk. Adesso non inventarti storie …… mi avrai anche salvata dal Trio Destroyer una volta, ma nel torneo me la sono cavata da sola! Se fossi stata ad aspettare il tuo aiuto sarei finita carbonizzata al primo Sciame di Meteore di Endimion!”.
“ZACHAR, TU VANEGGI!”.
“Io? No di certo!”.
Lo stava sfidando …… ma cos’aveva quella benedetta ragazza nella testa? Intelligente non lo era mai stata, ma non si sarebbe mai permessa di controbattere la sua opinione …… e stava mentendo, ne era certo, ma quando mai quell’idiota sarebbe riuscita ad eguagliare Endimion con le sue forze ……
Il piano di far fuori quel mercenario era solo rimandato, ma doveva almeno sistemare quella situazione, Zachar gli serviva docile, obbediente e soprattutto con tutti i ricordi al loro posto; si alzò dal posto dove stava ancora chinato e con un paio di passi decisi si portò dritto davanti a lei, usando tutta la sua altezza per intimorirla. Ma evidentemente non bastò.
“Stai dicendo una marea di sciocchezze, Zachar! E’ da quando siamo in questo Castello che non ti riconosco più!”.
“Forse sono io a non riconoscere più TE! Perché volevi uccidere Auron?”.
Si era montata la testa, ma anche le sottigliezze più evidenti non balzavano ai suoi occhi “Lui ed i suoi padroni mi hanno seccato, ed intendo dar loro una bella lezione!”.
“E credi sul serio di potercela fare?”.
Questa poi …… non ha mai dubitato di me nemmeno per un secondo, eppure ……
Il gelo gli prese le ossa ed il sangue, mentre sentì la collera che montava in lui come un fiume in piena; davanti ai suoi occhi ormai vorticava solo l’immagine di lei, con gli occhi quasi più vividi del solito ed i capelli come una corona di fiamme. Dall’espressione severa e distaccata capì che da lei non avrebbe tratto nient’altro, almeno per quella sera; e, cosa ancora peggiore, il suo piano era saltato e non avrebbe trovato con altrettanta semplicità un momento propizio per incenerire quel mercenario. Ma almeno doveva svegliare quell’ameba e ricordarle chi fosse il realtà.
La fissò un’altra volta, aspettandosi che almeno lei abbassasse la testa.
Ma non accadde nulla.
Sollevò la mano e la mosse con scatto verso la sua guancia.
Non arrivò al bersaglio desiderato.
Tsk. Mi ero dimenticato del cane da guardia .......
La mano di quello schifoso soldato era stretta intorno al suo polso, enorme come una zampa di un orso e non meno mortale. Kaspar era certo che se quel bruto lo avesse voluto gli avrebbe potuto stritolare le ossa in un batter d’occhio; lo fissò con tutta l’ira che aveva in corpo, ma l’altro gli rispose con uno sguardo tagliente come la sua lama “Mia Invocatrice, quest’essere le sta dando fastidio?”.
“Sì, Auron” non aveva mai sentito dalla sua bocca un tono così soddisfatto. Ma l’avrebbe fatta pagare cara a quella scimmiotta, le avrebbe ricordato a chi doveva obbedienza “Però sono sicura che adesso non darà più altri problemi”.
“Se vuole posso rompergli un osso o due. Mi leverei una bella soddisfazione”.
Stupido mercenario, bruto, armadio, cane! Sarò io a “levarmi una bella soddisfazione” quando ti troverai senza la tua bella spada e riceverai il mio Sciame di Meteore dritto sulla tua faccia! Ti farò passare la voglia di trattarmi in questo modo, parola mia!
Lei scosse la testa, e per un secondo su di lei riapparve un’espressione preoccupata “No, Auron. Lui è il mio uomo e non voglio che gli venga fatto del male. Inoltre hai detto che è anche un Intercessore, giusto? Deve restare incolume!”.
Ah, ti preoccupi di me ADESSO, eh?
L’armadio continuò a stringergli il polso, e con uno strattone lo lanciò senza troppi riguardi lontano da lei. Kaspar sbatté la testa contro il pavimento del Castello dell’Oblio ma si sforzò di rimettersi in piedi, di non farsi vedere debole davanti a quei due “Prova ancora a sfiorare l’Invocatrice e compierai l’Invocazione Suprema con un braccio in meno”.
Avrebbe voluto rispondergli, ma per il momento era meglio restare in silenzio. Sarò io a farti a pezzi, schifoso mercenario, e non mi limiterò a strapparti un solo braccio; esploderai nel più bel tripudio di sangue che questo castello abbia mai visto, parola mia!
“No, dai, Auron, dagliele sode! Spaccagli la faccia!”.
E a tempo debito si sarebbe premurato di far sparire anche quello stupido moccioso dalla faccia di ogni dimensione …



La sala riunioni del Castello dell’Oblio era uno spettacolo da far girare la testa se guardata dal basso. Aveva la forma di un cilindro: in orizzontale non era più larga della piazzetta di un villaggio, ma in verticale…beh, si stentava a vedere il soffitto. Anche il trono più alto sembrava solo un puntino lontano, una macchia bianca distinguibile a stento dalla parete ugualmente bianca a cui era attaccata. Ce n’erano tredici, di seggi di quel tipo, tutti infissi alle pareti in una lunga spirale che correva dal soffitto al pavimento come una stravagante scala a chiocciola. L’ultimo, il più basso, toccava quasi terra. Ma in quel momento non era occupato. Così come non era occupata la maggior parte degli altri.
Le uniche quattro persone presenti nella stanza sedevano ai posti più alti, e indossavano tutte lo stesso tipo di soprabito nero con cappuccio con il quale Marluxia si era presentato agli occhi increduli di Zachar e Kaspar.
Sul trono superiore stava allegramente spaparanzata una ragazza dalla corporatura minuta e i capelli biondi, corti tranne che per due ciuffi che dalla sommità del capo si sollevavano fino a ricaderle sulle spalle, simili a due esili antenne. Larxen -perché di lei si trattava-era profondamente intenta a leggere un libro dalla copertina un po’ consunta su cui spiccava il disegno di un uomo barbuto armato di sciabola sullo sfondo verde di una giungla.
Il secondo trono era occupato da un ragazzo dai capelli rosso fuoco, seduto a braccia conserte e dall’aria palesemente annoiata. Ogni tanto girava pigramente la testa in direzione degli altri troni, chiaramente aspettando qualcosa o qualcuno, e allora le piccole gocce blu che aveva tatuate sotto gli occhi sembravano accendersi lievemente dei riflessi delle pareti bianche. Vexen sedeva sul terzo trono, chinato in avanti su un fascio di fogli che stava pian piano riempiendo di una scrittura fitta e decisamente incomprensibile. Colui che Mu e Auron ritenevano il più saggio e potente tra i membri dell'Organizzazione era un uomo alto, di età indefinibile, con il viso magro e affilato incorniciato da due curiosi ciuffetti. Il resto dei capelli, di un biondo chiaro come la sabbia, gli ricadevano lisci dietro le spalle. Lo sfregare della sua penna sul foglio e il fruscio delle pagine del libro di Larxen erano gli unici suoni udibili nella stanza.
L’ultima persona sedeva isolata dagli altri, sul sesto trono a partire dall’altro. Era un ragazzo giovanissimo, un adolescente di corporatura minuta che sembrava ancora più piccolo e fuori posto accanto all’imponente schienale del suo trono, scolpito a forma di simbolo dell’Organizzazione come tutti gli altri. L’espressione del ragazzo era indecifrabile dietro il ciuffo di capelli d’argento che gli nascondeva metà del viso dai lineamenti delicati.
Narratore: "un look da emo, insomma!"
REGISTE: "Narratore! Già da adesso cominci! Vedi di tacere!"

L’arrivo di Marluxia spezzò finalmente il silenzio. Il Leggiadro Sicario si materializzò al centro della stanza, gettò un’occhiata ai troni, e con un altro sbuffo di oscurità riapparve sul più alto tra quelli ancora a disposizione (il quarto).
“Ah Marly, sembri un albero di Natale!” fu il saluto di capelli-rossi.
Larxen sollevò lo sguardo dal libro e scoppiò a ridere. Non riusciva davvero a decidere cosa fosse più comico in Marluxia, se lo spadone che portava goffamente in cintura, il grosso e pacchiano pendaglio d’oro allacciato al collo, lo scettro in mano o quella miriade di strani oggettini scintillanti che gli sfuggivano da tutte le tasche.
“Sei in ritardo” Vexen ripose penna e fogli e lanciò uno sguardo interrogativo al nuovo arrivato. “Cos’è quella roba?”
“Hai svaligiato un antiquario?”. Capelli-rossi sembrava divertirsi molto a prendere in giro il suo compagno, il quale per tutta risposta sfoderò il più smagliante dei suoi sorrisi: “Potremmo dire che ho svaligiato la casa di un mago. Tutti questi oggetti appartenevano al secondo Intercessore”
“Vuoi dire quello che non sei riuscito a sconfiggere da solo e hai dovuto chiedere l’aiuto di Auron?”.
Amplificata dall’eco, la risata di Larxen percorse la sala come una corrente di scintille scoppiettanti.
Marluxia emise un sospiro teatrale: “Sei superficiale come al solito, Axel. E anche tu, Larxen. Possibile che non riusciate a capire l’importanza di questa conquista?”
“Altre pacchianate da aggiungere al corridoio dei trofei?”
“Sono oggetti magici”. Era stato il ragazzo più giovane a parlare. In tono del tutto neutro, come se la questione non suscitasse per nulla il suo interesse. Marluxia gli rivolse un sorriso ancora più ampio del precedente: “E bravo il nostro Zexion! Mi fa piacere vedere che c’è almeno una persona intelligente qua dentro”
“Eh vabbè, con il suo potere c’ero buono pure io!” fece Axel alzando le spalle.
Vexen sbuffò: “E a cosa servirebbero esattamente?”
Marluxia sollevò lo sguardo verso lo scienziato: “Dritto al punto come al solito” sorrise. “Lo studioso del gruppo sei tu: non vuoi divertirti a scoprirlo?”
Prima che Vexen potesse formulare un qualunque tipo di risposta, Larxen intervenne: “Perché dovremmo darli tutti a lui? Non mi sembra giusto!”
“Forse perché tu non ci capiresti niente?” fu la risposta seccata di Vexen.
“Dì piuttosto che li vuoi solo per te! Con la scusa dello studioso ti prendi sempre il controllo di tutto!”
Axel alzò gli occhi al cielo. Ecco che ricominciava. Si sporse oltre il bracciolo del trono e incontrò lo sguardo di Zexion: “Scusa Mr. Fiuto, ma non potresti semplicemente dargli un’annusatina tu?”
Il ragazzo si strinse nelle spalle: “Io sento la presenza di magia. Ma per capire come usarli dovremmo fare un po’ di esperimenti”.
Alla parola “esperimenti” lo sguardo di Vexen scintillò: “Appunto! Ragion per cui è compito mio!”
“Beh, IO non sono d’accordo! E in caso l’Alzheimer te l’abbia fatto dimenticare, nonno, ti ricordo che i numeri sono stati aboliti. La mia opinione vale quanto la tua!”
Vexen rise, sprezzante: “Senti chi parla di sanità mentale!”
Marluxia colse il lampo selvaggio che stava attraversando lo sguardo di Larxen e si schiarì la voce, determinato ad evitare il peggio: “Ho un’altra idea che dovrebbe mettere d’accordo tutti. Ci divideremo equamente gli oggetti, e ognuno cercherà di capire il funzionamento del proprio. Quando l’avremo scoperto decideremo che uso farne. Cosa ne dite?”
Axel non era per niente entusiasta: lo studio non era mai stato il suo forte. Perché doveva essere lui a pagare le spese dei capricci del vecchio e della ragazzina?!
Sfortunatamente per lui, tutti gli altri acconsentirono.
“Bene” disse Marluxia. “Scegliete pure”.
Un gesto elegante e dalla mano dell’Assassino si sprigionò un tralcio di tenera bouganville dai fiori viola intenso. La pianta rampicante serpeggiò pigramente tra le dita del padrone, poi si divise in tanti filamenti, ciascuno dei quali si attorcigliò attorno a un oggetto diverso e lo fece fluttuare fino al centro della stanza, sotto lo sguardo di tutti. Normalmente un elementale dei fiori come lui non sarebbe riuscito a generare una pianta senza un suolo adatto e condizioni climatiche favorevoli. Il Castello dell’Oblio naturalmente permetteva di bypassare certe formalità, e se c’era una cosa che a Marluxia piaceva era proprio fare sfoggio del suo potere.
Gli occhi verdi di Axel passarono in rassegna la singolare sfilata di oggetti con aria sempre più critica. Poiché nessun altro sembrava intenzionato a prendere la parola, si passò una mano tra le punte ispide dei suoi lunghi capelli (Narratore: "questo invece è un look alla Dragon Ball!") e sospirò: “E va bene, a me date il sacchettino sorpresa!”. Il tralcio di bouganville corrispondente sfrecciò in men che non si dica da lui e gli fece cadere in grembo il sacchetto di velluto. Sopra c’era ricamata una K dorata. Axel lo aprì con cautela e al suo interno trovò due pietre sfaccettate grosse come uova di gallina. Evitò di dire che gli sembravano comunissimi fermacarte.
“Io voglio lo scettro!” fece Larxen con un gridolino eccitato. Gli scettri sono il simbolo dei re e degli imperatori, perciò dovevano per forza avere grandi poteri. Magari poteva comandare sulle altre persone! Si immaginò il presuntuoso Vexen inginocchiato a terra a pulire i bagni del Castello mentre lei lo colpiva in testa con lo scettro, e un sorriso estasiato le si dipinse sul volto.
“Io prenderò questa…beh, sembra una chiave” disse Marluxia indicando il monile che aveva tenuto al collo fino a poco prima. “Anche se dovesse risultare priva di poteri, se non altro è elegante”.
Vexen indicò una foglia di bouganville più larga delle altre su cui era adagiata una pila di piccoli frammenti dorati “Non sono monete…” strizzò leggermente gli occhi. “Che cosa…?”
Marluxia si strinse nelle spalle. “I pezzi di un puzzle, credo. C’è anche una catena a cui dovrebbero essere legati tutti”.
Zexion fece per aprire la bocca, ma Vexen parlò prima di lui: “Dateli a me”
“Ti passo anche la relativa scatola” disse Marluxia estraendola da una tasca, e spedì il tutto a Vexen via bouganville.
“Oh, Vexy, ma che cattivo!” esclamò Larxen in un tono dispiaciuto palesemente fintissimo. “Guarda che faccia il povero Zexy, mi sa che lo voleva lui! Levare un giocattolo a un bambino, ma non ti vergogni? Sei un mostro!”. Vexen sbuffò, ignorando la futile provocazione. Larxen gli scoccò un’occhiata maligna. “O forse il problema è proprio che ormai il bambino sta crescendo….eh, Vexy?”
Axel rabbrividì, colto di sorpresa dall’improvviso abbassamento di temperatura nella stanza.
“Larxen, HAI OLTREPASSATO IL LIMITE!”
“Basta così!” intervenne Marluxia. “Larxen, finiscila una buona volta!”
“Ehi, perché te la prendi solo con me? IO almeno non mi sono messa a strillare come una vecchietta ister….”
“Ho detto basta”. Axel si trovò costretto ad ammettere che qualche volta Bocciolo di Rosa aveva un suo certo carisma. Larxen lo bersagliò di smorfie e boccacce, ma almeno, per la gioia dei timpani di tutti, stette zitta.
Marluxia era palesemente soddisfatto: “Molto bene. Zexion….”
“La spada andrà benissimo” disse semplicemente il ragazzo. Se il battibecco precedente l’aveva offeso o colpito in qualche modo, non lo dava a vedere. Il suo unico occhio visibile, azzurro come il cielo d’estate, era lo specchio dell’indifferenza totale. Il solito obbediente ramo di bouganville gli consegnò l’arma, e solo allora tutti si accorsero che era avanzato un ultimo oggetto, talmente piccolo da risultare quasi invisibile in mezzo all’intrico di foglie e fiori. Era una semplice pallina dorata. Una biglia.
Larxen storse il naso: “Per quanto mi riguarda quella minchiata se la può pure tenere Vexen”.
Per una volta lo scienziato e la ragazza erano d’accordo. Vexen ricevette la biglia d’oro dall’ultimo tralcio fiorito. Vi era inciso sopra il disegno di un occhio.
Ancora una volta fu Marluxia a riprendere le fila del discorso. Non dovevano dimenticare che lo scopo principale di quella riunione era fare il punto della situazione e stabilire il da farsi.
Secondo Vexen l’Intercessore mago non avrebbe più causato problemi. Al momento era isolato all’interno del gruppo, e poiché il combattimento contro Marluxia e Auron l’aveva indebolito, l’Invocatrice riusciva egregiamente a tenerlo a bada.
“Hanno litigato poco fa. Lui l’ha trattata male, e questo sta accelerando notevolmente il processo di condizionamento. A quanto pare anche l’influenza di fattori esterni ha un grosso peso. Un particolare da tenere a mente”.
“Per me quell’Intercessore è un idiota” commentò Axel. “Se le va proprio a cercare”
“Tanto meglio per noi”.
Marluxia era meditabondo: “Così dunque per ora è lei quella con più chances”.
“Per ora” confermò Vexen. “Ma il percorso è ancora lungo. In ogni caso, l’altra Invocatrice sta per entrare nella seconda stanza. Ne approfitterò per sperimentare…”
“Eh no, stavolta tocca me!”
Tutti, nessuno escluso, lanciarono a Larxen uno sguardo di pura esasperazione.
“Vale la stessa regola degli oggetti, no?” si lasciò sfuggire una risatina. “Una modifica a testa. Dopotutto, siamo in democrazia!”.
“E come speri di farla, la modifica, se non sai nemmeno come funzionano le Stanze?” le chiese Vexen a denti stretti.
“Oh beh…improvviserò, naturalmente!”. Larxen rise ancora, deliziata. L’espressione sconvolta stampata sulla faccia del vecchiaccio non aveva prezzo.
“Certo, come no…IMPROVVISARE!” Vexen fece correre lo sguardo tra gli altri compagni, in cerca di supporto. “E mandare il piano a quel paese, magari! Non è una cosa che possiamo permetterci!”
“Oh, sentite, io francamente mi sono rotto i c…....!”
Marluxia storse il naso: “La tua finezza è sempre incantevole, Axel. Stiamo discutendo di cose importanti, non….”
Carisma o no, questa volta Axel non aveva intenzione di sottostare ai rimproveri di Bocciolo di Rosa: “Dico solo che non ne posso più di tutte queste litigate! Perciò votiamo e facciamola finita: io sto con Larxen”. Al massimo, se proprio non avesse avuto voglia di lavorare, non sarebbe stato difficile smollare la sua modifica a quello stacanovista di Vexen. E comunque la possibilità di infiltrarsi nei ricordi dell’Invocatrice bonazza e della sua amica Quinta-di-Reggiseno non era certo roba da buttar via!
“Francamente credo che Axel e Larxen sappiano poco o niente delle Stanze” disse Zexion nel suo solito tono quieto. “La posta in gioco è troppo alta per rischiare”.
“Io invece mi ritengo assolutamente capace di farlo” affermò Marluxia, infondendo sicurezza in ogni sua parola. “E infatti se non l’avesse proposto Larxen l’avrei fatto comunque io. Dobbiamo restare uniti, ciascuno di noi deve dare il proprio contributo al piano in modo equo. L’unione dei nostri talenti è la nostra forza”.
“I nostri talenti sono diversi” ribatté Vexen, la voce quasi ridotta a un sibilo minaccioso.
Marluxia alzò lo sguardo verso di lui, sorridendo: “Appunto. Non trovi che sia un’affascinante possibilità di sperimentazione? Sei stato proprio tu ad insistere tanto…non tutte le persone in quelle Stanze sono necessarie, possiamo anche permetterci di azzardare un po’….non è forse ciò che spesso fanno gli scienziati?”
Vexen serrò la mandibola, furente, ma non disse nulla. Larxen, inutile dirlo, era raggiante: “Tre a due! Beh Vexy, visto che sei tanto fissato con l’efficienza nel lavoro, io mi metto subito all’opera!” e senza neanche un cenno di saluto sparì in un portale di oscurità.
Un brontolio dello stomaco aveva appena ricordato ad Axel che era quasi ora di pranzo: “Mi sa che la riunione è finita. Ragazzi…a più tardi!” e prima che qualcuno potesse fermarlo si tuffò a capofitto nel suo portale.
Anche Marluxia sollevò una mano e ne evocò uno. Ma non vi entrò immediatamente: “Un’ultima cosa, Vexen. Stavo controllando i movimenti del nostro ‘ospite eccezionale’…”
Lo scienziato lo interruppe seccamente: “Anch’io. E tutto procede secondo i piani”.
Ennesimo sorriso dell’Assassino. Cordiale. Compiaciuto. Pericoloso. “Non ne dubitavo. Ma sempre meglio controllare tutto due volte, non ti pare?” non gli lasciò il tempo di rispondere. “Buona giornata a voi” ed era sparito.
“Idioti”.
Dal suo trono in basso, Zexion osservava lo scienziato che raccoglieva i suoi appunti e brontolava tra sé e sé, del tutto dimentico della presenza di un’altra persona nella stanza.
Appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi, inspirando profondamente. Improvvisamente sembrava stanco, nauseato. Tuttavia si concentrò.
Lo avvertiva ancora.
“A proposito dell’ospite…”
Vexen non staccò lo sguardo dai fogli: “Sì?”
“Lui…non è vivo. Non nel modo che intendiamo noi, almeno”.
Zexion sentì distintamente il sospiro esasperato del suo collega più anziano: “Adesso mi spieghi cosa vuol dire quest’idiozia”.
L’unica guancia visibile del ragazzo si imporporò lievemente: “Il grande scienziato sei tu” disse, sarcastico. “Io ti ho avvertito”.
Uno sbuffo di oscurità eterea e anche il più giovane tra i membri dell’Organizzazione era andato, lasciando Vexen solo nella sala dei troni a bestemmiare perché Larxen aveva incollato gli ultimi due fogli dei suoi appunti con la gomma da masticare.
  
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