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Autore: Smollo05    10/01/2012    0 recensioni
Siamo prigionieri di questo luogo. Prigionieri del tempo. Intrappolati nell’unico singolo instante di cui abbiamo memoria: quello che avrebbe potuto salvarci dall’oblio, quello di una decisione fondamentale. La scelta che ci avrebbe fatti ricordare in eterno.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ricordo con precisione i miei primi giorni sull’Isola. Le mie memorie del “giorno zero” erano il frutto di un minuzioso collage di racconti e aneddoti che avrei fatto negli anni a venire. Il mio giorno zero fu il 3 gennaio 1990. Fui trovata in lacrime sulla battigia antistante il Borgo. Non era la prima volta che si trovava un povero diavolo sulla spiaggia- dissero- né sarebbe stata di certo l’ultima. Spinti da quella effimera solidarietà che li lega, volenti o nolenti, tutti gli esseri umani si muovevano sempre per aiutare il nuovo arrivato ad entrare nella comunità e dimenticare il triste posto da cui era giunto. Nessuno si mosse a raccogliere me quel giorno. E’ troppo piccola. Soffrirebbe di meno se lasciata a morire. Chi si sarebbe preso la responsabilità di un neonato per sempre? Portiamola al vecchio- dissero.”Non ne ho mai viste di così minuscole” mormorò quello che mi aveva preso in braccio. Il vecchio era il capo, era stato il primo ad arrivare, il primo a costruire ed il primo a capire. Il vecchio si chiamava Yusuf. Mi guardò con gli occhi di chi ha visto tutto e, suo malgrado, si trova davanti un nuovo enigma. “Le sia dato lo stesso diritto che è stato dato a tutti voi”-disse- prima di rientrare in casa. Così avevo scoperto di avere un diritto e, statene certi, vi avrei fatto leva fino all’ultimo.
Andai a vivere con una donna che imparai a chiamare per nome: Lydie. Imparai a rispondere quando mi chiamava, “Aneh”. Mi carezzò con la mano scura e mi spiegò che voleva dire qualcosa nella sua lingua madre. Volli conoscere il significato della parola “madre”, ma l’africana mi liquidò con un sorriso strano. Vissi bene con lei, oserei dire che tra noi si era creato una specie di legame. Quando le riferii questa mia fantasia, la donna scoppiò a ridere. 
“Non esiste nulla del genere, Aneh”
“Come sarebbe a dire?”
La donna abbassò il viso fino a potermi guardare dritto negli occhi, inginocchiandosi davanti a me . “Sarebbe la fine se ci fossero queste cose: niente funzionerebbe a dovere, la loro esistenza implicherebbe anche una mancanza e sarebbe il caos. Sull’Isola funziona così” e mi premette l’indice sulla fronte. “Tienilo bene a mente!” Ogni nostra conversazione finiva irrimediabilmente così. Ed io lo tenni bene a mente: da quel giorno non ne feci più parola, nonostante continuassi a volere un gran bene alla mia mamma scura. I giorni passavano, diventavano anni e la paura negli occhi di Lydie aumentava. Le chiedevo il perché, mi mettevo a piangere e strepitavo. Dovevo forse essere nera? Dovevo essere più alta, più grande? “No, Aneh, va bene così come sei”- mi ripeteva- ma penso lo facesse più per se stessa che per me. Ma mi bastava. In quei momenti, pensavo perfino che mi avesse mentito riguardo ai suoi sentimenti. Desideravo tanto fosse una bugia.
Imparai ad occuparmi delle faccende domestiche mentre Lydie era via, a divertirmi con i pochi oggetti che la donna mi regalava. Un giorno le chiesi di uscire. Mi guardò come se le avessi chiesto la luna o un orso come animaletto domestico. No, peggio. Richiuse la porta e mi fissò per una manciata di secondi,mordendosi il labbro inferiore: nervosismo. 
“Non è il caso,Aneh!”
“Perché?”afferrai la sua gonna.
“Non riesci davvero a capirlo da sola?” mi prese le mani nelle sue, con una dolcezza di cui non la ritenevo capace. Io scossi la testa, le lacrime mi bagnavano le gote. 
“Sei diversa,Aneh. Come dice il tuo nome. Questo posto è pericoloso per te.”
Non capivo. Mi aveva portato in giro, dapprima al seno, poi sulle spalle. Mi aveva teso la mano, aveva stretto la mia in una presa forte, sicura, salda. Allora perché? Cosa diamine era cambiato? In un lampo divenne vivido il ricordo di Lidye che distruggeva tutti gli specchi presenti in casa, un’ immagine riflessa nella pioggia di vetro. L’ immagine di una bambina spaventata. Io. La verità mi colpì dura e crudele come uno schiaffo, facendomi vacillare sulle gambe malferme. Ero io quella ad essere cambiata. “Sei diversa da loro, Aneh. E sono stupidi, non capirebbero.”. Riflettei. Mi ero accorta dei cambiamenti che avvenivano nel mio corpo e ne avevo trovato tacita conferma nel terrore visibile negli occhi di Lydie. Ma lei mi aveva accettato, ed era questa l’unica cosa che mi importava. “Mi dispiace, Aneh”. Mi diede un buffetto sul capo e si diresse alla porta. Asciugai in fretta e furia le lacrime e attesi alla finestra finché non mi fu più possibile seguire con lo sguardo la figura sinuosa della donna che si allontanava.
Mi impressi il ricordo di lei bene in mente, poi mi diressi alla porta e uscii nella tiepida mattinata di aprile.

   
 
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