Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Camelia Jay    10/01/2012    4 recensioni
Circondata dal buio e dai libri, Keira si rifugia in camera sua per evitare i suoi problemi, come l'assenza della voglia di studiare, il difficile rapporto con i genitori, la rottura irreversibile con l'amica Lydia e il cuore spezzato e disilluso a causa di un amore non sbocciato da ambo le parti.
Quasi nella stessa situazione si trova Blake, suo coetaneo e vicino di casa, così simile alla ragazza da essere l'unico in grado di comprenderne le emozioni, ma allo stesso tempo il solo in grado di farla ragionare davvero. Infatti, riuscirà a convincere Keira a tornare a condurre una vita normale.
Ma ecco che, appena sembra essersi ristabilito l'ordine, per Keira è ora di fare le valigie, e si ritrova affrontare la rigida e severa zia che la tiene sotto regole troppo strette. Confortata solamente da Blake, sempre più assente, e dalla materna vicinanza della signora Rush, per Keira subentra poi un nuovo problema: un problema di nome Logan.
Mi bastò allungarmi di pochi centimetri prima che le mie labbra venissero a contatto con le sue, aderendo perfettamente, in un gesto repentino e inaspettato. Non volevo più aspettare.
Non era la prima volta che baciavo qualcuno, ma quel bacio in particolare aveva un sapore… buono; così tanto che mi stupii. Con un flebile sospiro poi, entrambi e contemporaneamente, ci tirammo indietro. [...] Fu un attimo. Un attimo che pensavo mi avrebbe dato delle risposte, che pensavo avremmo preso entrambi così, un po’ per scherzo, un po’ per curiosità. Quanto mi sbagliavo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Spazio iniziale che l'autrice esige si concede di prendere: vorrei, prima che vi addentriate nel nuovo capitolo, vorrei ringraziare tutti. Sì, tutti, anche chi in questo momento non è qui e non sta leggendo. Perché ogni pezzo di questa storia è stato ispirato da qualcuno e da qualcosa che ha detto o fatto. Può ispirarmi chiunque: sono stata ispirata dalle mie amiche, che mentre parlavano magari io stavo zitta ma loro mi avevano appena dato una meravigliosa idea, e sono stata ispirata persino dalla statua di Garibaldi a Bologna e da un barbone. Sono stata ispirata da una cassiera del MacDonald, sono stata ispirata dagli Skillet, che mi hanno suggerito il titolo della storia. E chissà, magari uno di questi capitoli è stato ispirato a qualcuno di voi che un giorno ho incontrato per caso per la strada. Non si sa mai! Ergo, grazie a tutte quelle persone che non lo sanno, ma hanno contribuito a rendere utili i miei viaggi nell'iperuranio. E ora, buona lettura ;)




[Capitolo Cinque]
[Insinuazioni impetuose]
 



Spensi la sveglia e mi rimisi a dormire, il lunedì successivo. Tuttavia, Catherine non tardò ad irrompere nella mia stanza spoglia, strillando e lanciando ordini a destra e a manca.
Non credo di essermi mai tuffata così rapidamente giù dal letto prima di allora.
Alle sette e venti avevo già terminato di prepararmi, un bel po’ di tempo in anticipo rispetto al solito – la zia mi metteva fretta, oltre a svegliarmi presto.
A quell’ora, la donna mi comunicò che stava uscendo di casa e che sarebbe tornata tardi, a causa di un impegno lavorativo che l’avrebbe trattenuta. Io, da brava bambina e non dalla scapestrata quale ero, avrei dovuto recarmi alla fermata dell’autobus in orario e andare a scuola senza fare storie né tentare di fregarla: lei se ne sarebbe accorta.
Io, tranquilla, feci finta di star per uscire di casa a mia volta finché Catherine non se ne andò, e dalla finestra vidi la sua automobile sparire dal mio campo visivo dietro l’angolo. In seguito, controllai l’orologio e notai che mancavano ancora una ventina di minuti prima del bus.
Scrutai il letto della mia nuova camera. Dio, ero ancora stanchissima. Quelle otto ore di sonno sembravano non essere servite a nulla. Be’, se mi riposavo ancora dieci minuti, non sarebbe accaduto nulla, giusto? Non aveva senso aspettare l’autobus al freddo, quando avevo il calore confortevole del mio materasso.
Mi buttai così di nuovo sul mio letto disfatto da una notte in cui mi ero rigirata parecchie volte e, senza nemmeno alzare le coperte, chiusi gli occhi.
Oh mio Dio, che bello potermene stare sdraiata, sola, come se fossi l’ultimo abitante sulla Terra, impossibile da disturbare. L’unico rumore percepibile era quello delle lancette di un orologio. L’unica cosa di cui ero consapevole era il mio respiro. Tutto ciò di cui m’importava, ce l’avevo lì a portata di mano, adesso. Sentivo che non mi sarei mai mossa da quel punto, se solo avessi potuto. E senza che me ne accorgessi, il tempo stava letteralmente volando.
Trasalii nello stesso istante in cui ricordai, molti minuti più tardi, che dovevo andare a scuola.
Pochi secondi dopo mi ero già catapultata fuori di casa, ricordandomi appena di prendere lo zaino. Corsi a perdifiato attraversando il parcheggio lì vicino, ma una volta che controllai l’orologio a polso, mi resi conto che non ce l’avrei mai fatta ad arrivare in tempo alla fermata dell’autobus. «Merda!» esclamai, fuori di me, e calciando l’aria. Mi misi le mani tra i capelli, e mentalmente incominciai a disperarmi, facendomi fantasie drastiche e pessimiste su cosa mi avrebbe fatto la zia al suo ritorno. Perché, anche se fossi stata bravissima a nascondere la mia assenza, prima o poi l’avrebbe comunque scoperto.
«Cos’hai da agitarti tanto?» udii una voce nota alle mie spalle.
Ricordai solo allora che io e Logan adesso abitavamo ad un piano di distanza. Quando mi voltai e lo vidi con le chiavi della propria auto in mano, il mio cuore si colmò di speranza. Non ero mai stata più contenta di vederlo. «Io… ho perso l’autobus!» mi affrettai a dire, arrivando direttamente al punto.
Vidi Logan buttare un momento lo sguardo sulla sua auto, la stessa che mi aveva scortata a casa non molto tempo prima, e farmi un cenno. «Okay, ti do uno strappo» mi disse solo, con estrema naturalezza.
Mi sentii un po’ approfittatrice ad accettare per la seconda volta un passaggio da lui, specie dopo che mi aveva persino pagato le ciambelle il sabato precedente. Ciononostante, non ci diedi molto peso, e pensando alla zia e alla minaccia che rappresentava, non esitai a seguirlo, ringraziandolo a dovere.
Salii per la seconda volta sul sedile anteriore della vettura.
«Ci incontriamo di nuovo» mi disse Logan dopo che fummo partiti.
Ora che ero più tranquilla, mi abbandonai allo schienale, del tutto rilassata. «Aha. Siamo coinquilini, in fondo, cosa credevi?»
«Sì, lo so. Solo che è un po’ strano: non ci siamo quasi parlati per tutti questi primi anni del liceo, e adesso improvvisamente abitiamo nello stesso palazzo.»
«Già» dissi, concisa e determinata a interrompere il dialogo.
Mi ero sfogata con lui due sere prima, e ciò gli era bastato per farsi un’immagine del tutto sbagliata di me: solo perché ero stata loquace una volta, non significava assolutamente che lo fossi sempre. Eppure non l’aveva ancora capito, e continuava a cercare di conversare. Be’, forse anche io mi ero sbagliata, sul suo conto, non sentendo quasi la sua voce quando lui mi aveva riportata a casa dopo lo scontro con Lydia e il suo ragazzo.
«Che brutta faccia» constatò poi lui. «Zia Catherine ti ha fatto il quarto grado, l’altra sera?» scherzò, provocando la mia irritazione.
«No. Hai intenzione di chiedermi altro o posso iniziare a pensare a come superare la giornata senza essere disturbata?» risposi. Bruscamente, come era mio solito fare quando ero infastidita.
Peccato che fosse un vizio che non riuscivo a togliermi. Lo facevo con Blake, con tutto il bene che mi voleva; lo facevo e mi sentivo malissimo subito dopo. E adesso lo stavo facendo anche con Logan, che avrei solamente dovuto ringraziare per l’aiuto che mi stava offrendo. Che stupida, che ero.
«Scusami. Ho risposto male. È che sono stressata.»
«Non importa. Capita anche a me.» Con la mano destra, iniziò a maneggiare qualche tasto dello stereo. «Mi è venuta voglia di musica.»
«Bene, siamo in due» dissi io. Finalmente; la prima bella idea della giornata.
 
Non parlai con Blake, se non per qualche breve frase, durante la giornata scolastica, ma approfittai del viaggio di ritorno in autobus per dirgli tutto ciò che stava succedendo.
Accanto al finestrino, con la fronte appoggiata alla sua spalla, risposi a tutte le sue domande.
«Come mai non ti ho vista in autobus questa mattina?»
«Mi ha dato un passaggio Logan Rush.»
«Chi? Cosa? E perché era lì da casa tua?»
«No, in realtà ero io ad essere nella sua zona.»
E allora ero partita in maniera fluida con la mia spiegazione. Non mancai di esprimergli quanto stessi male in quel momento, di quanto ardentemente desiderassi tornare a casa, e poterlo vedere di nuovo. Già, perché, a parte a scuola, non potevo più sognarmi la sua compagnia.
«Sul serio?» mi mormorò poi lui, incredulo.
«Sì» risposi con un sospiro di rassegnazione. «La zia ha detto che mi concede una telefonata al giorno a un amico, o a chi voglio, più una da fare a casa; ma credo che quest’ultima me la potrei risparmiare.»
Dal seggiolino di fianco al mio, Blake mi strinse a sé, forte, con tutto l’affetto che riuscì a trasmettermi. Era in quei momenti che potevo sentirmi il più vicino possibile alla felicità che mi sembrava così lontana e negata. «Su, Keira. È tutto okay. Se ti demoralizzi adesso, sarà sempre peggio. Perché invece non provi ad andarle incontro, forse così il tempo in cui ti terrà con sé si accorce…»
«Scherzi?» lo interruppi di scatto. «Ancora con questa storia del cercare compromessi? Ma non hai un consiglio migliore da darmi?»
Lui non rispose. Sospirò e basta, con un’espressione serena, ma dura allo stesso tempo. E allora capii che l’avevo fatto di nuovo. Avevo risposto male a Blake, che cercava di darmi dei consigli e di tirarmi su di morale, solamente perché ero nervosa. Mi scusai, ma non penso che fosse servito a molto. «Mi telefoni, questa sera?» mi chiese poi, dopo un paio di minuti di quiete imbarazzante, nonostante fossimo amici da una vita e ormai ci fossimo abituati ai lunghi silenzi.
«Certo» gli risposi, con un tono che voleva essere più dolce. Ma non so se vi riuscii.
Poi scesi dal bus.
E, al contrario di tutte le altre volte, non ero insieme a lui.
 
Quel pomeriggio, sul tardi ma prima di cena a causa della volontà della zia, avevo telefonato al mio migliore amico, ma non c’era molto di più da dire di quello che non gli avessi già comunicato in precedenza. Avevo paura che se avessi continuato ad esprimergli il mio dolore, ripetitiva, avrei finito per annoiarlo, e non avremmo concluso niente. Invece, quel poco tempo che potevo passare parlando con lui, volevo servisse a qualcosa. Dunque lo avevo fatto parlare di tutto quello che voleva lui, senza freni, anche se qualche volta non esitava a chiedermi come stavo.
Dopo venti minuti, Catherine era venuta da me e mi aveva fatto cenno di interrompere la chiamata: dovevo tornare a studiare.
Non credevo di aver mai studiato tanto come quel giorno. E, di giornate come quelle, me ne aspettavano ancora parecchie. Ma il solo pensarci mi faceva venire il mal di testa e lo sconforto, dunque decisi di tentare almeno di concentrarmi sui libri di testo.
A fine cena, Catherine mi concesse di nuovo di fare un giro fuori. Me lo meritavo, avendo passato il pomeriggio dedicandomi allo studio.
Uscii e mi sedetti su un muretto appena davanti al palazzo, che contava i dodici piani. Era autunno, dunque faceva già abbastanza freddo, e per di più le giornate si accorciavano man mano. Erano le nove di sera, e faceva già buio pesto; riuscivo già a scorgere intorno a me i fiochi coni di luce arancione dei lampioni. Mi strinsi dentro la mia giacca per non rabbrividire, e il mio sguardo si perse nell’ammirare l’ambiente circostante, la mia mente che vagava.
“Liddy…” Mi meravigliavo ancora di pensare a lei. Anzi, in quel momento mi sembrava quasi di averla davanti, che mi ascoltasse. Sarebbe stato meraviglioso. Peccato che quella Lydia ormai non esistesse più. “Mi manchi davvero tanto. Cosa non darei, pur di poterti sentire ancora ridere con quella tua risata squillante. E adesso, come se non bastasse, mi manca anche Blake. Ero così abituata ad averlo vicino, che ora la sua distanza ha aperto una voragine dentro di me. Sento che vederlo a scuola e fargli una telefonata di pochi minuti al giorno non mi basta. Ma stavo pensando, Lydia, può esistere davvero l’amicizia tra maschio e femmina? Ricordo che ne parlammo, una volta. Tu ti sorprendesti nel sapere che il mio migliore amico era un ragazzo, eri stupita perché eri convinta che stessimo insieme. Be’, lo devo ammettere, io per lui provo un affetto incontrastato. Ma non è quel tipo di affetto, giusto?”
Sussultai. Ripensai a quel bacio rubato che mi ero concessa per mera curiosità. Ultimamente mi capitava di pensarci, ma ero ancora sicura che si trattasse solo di quello che era, non poteva essere altro. Solo un’altra volta, in passato, era accaduto un episodio del genere. Avevamo quindici anni, e avevo tentato di baciarlo. Però quella volta era stato più che altro un gesto di sfida, Blake mi aveva detto che io non tenevo veramente a lui, che non lo volevo; avevo cercato di dimostrargli il contrario, baciandolo. Alla fine, a pochi centimetri di distanza, mi aveva fermato. «Te lo ripeto ancora una volta: tu non mi vuoi. Okay? È solo la tua impressione. Io ci sono sempre per te, anche se non mi controlli; fattene una ragione.» Quelle erano state le sue parole. Ed io mi ero offesa a morte. Ma era qualcosa che era accaduto molto tempo prima…
“Naa… Lydia, io e Blake siamo amici da una vita. Se doveva nascere qualcosa, sarebbe sbocciato prima, non credi? Sì, certo, ammetto che se dovessi scegliere di baciare un ragazzo qualsiasi sceglierei di nuovo lui, ma è semplicemente perché è l’unico che conosco. È solamente una questione di circostanze. Davvero, non serve preoccuparsi. Tre me e Blake non c’è assolutamente nulla, sì, è proprio così”.
«Già, impossibile…» dissi tra me e me, scuotendo la testa.
«Che fai, parli da sola?» Qualcuno che parlò dietro di me mi costrinse a voltarmi, sobbalzando dalla sorpresa.
«Logan» dedussi, con voce incolore. Non potevo starmene un attimo in pace, evidentemente: lui doveva sempre spuntare fuori dal nulla.
Il ragazzo, coperto dalla giacca, mi raggiunse, posizionandosi in piedi di fianco a me. «Come mai qui fuori?» mi chiese.
«Affari miei.» Avrei potuto chiedergli la stessa cosa anch’io, ma il mio interesse per la questione rasentava lo zero.
«Capito.» Probabilmente anche lui voleva dirmi che era venuto fuori per fare un giro, o prendere una boccata d’aria, ma non lo fece, avendo quasi certamente compreso che non me ne fregava assolutamente niente. «Come va?»
«Da cani.» Ormai non c’era più speranza che potessi tornare ai miei pensieri.
«Wow. Va così male con Catherine? A vederla così, dall’esterno, non sembra male come donna. Forse un po’ fredda…»
«Altroché» affermai, senza volermi spingere più in là di una o due parole alla volta.
«Cos’è, sei in astinenza da libri?» scherzò poi, ridacchiando – e dava davvero l’impressione di quello che non sapeva che cosa dire. Ma io non ci trovavo assolutamente nulla da ridere.
«Come diamine fai a saperlo?» domandai meravigliata, con diffidenza.
Lui parve perplesso. Si mise una mano tra i capelli, aggiustandosene qualcuno che gli era andato davanti agli occhi. «Me l’hai detto tu sabato sera. Sai, in mezzo alle tante altre cose…»
«Oh. Vero.» Ora che ci pensavo, mi infastidiva non poco sapere che adesso lui era a conoscenza di così tante cose su di me. Cos’altro gli avevo detto, dei miei fatti privati?
«E comunque si vede che hai l’umore a terra» cercò di fare lo psicologo della situazione. Assunse anche il tono di quello cui importava qualcosa, ma io non gli credei.
Forse, se gli avessi rivolto una frase più lunga, anzi che di soli due vocaboli, si sarebbe accontentato e mi avrebbe lasciata in pace. Trovavo il suo tentativo di socializzare molto irritante. Decisi così di tentare. «Sì, mi manca poter avere un bel romanzo sottomano prima di dormire. Mi manca un racconto da consultare mentre sono stesa sul divano. Mi manca un libro da leggere quando voglio estraniarmi dalla realtà.» “Va bene così?!”
Lui mi fissò, probabilmente stupito dalla serietà delle mie parole e dal modo in cui le pronunciai. «Be’, pensandoci, forse io non sembro il tipo da possedere certe cose, ma ho qualche romanzo che credo…»
«Zia Catherine li troverebbe subito! Sai, non sono così facili da nascondere» mi alzai di scatto, inviperita sia per la sua insistenza che per la consapevolezza che la lettura di un romanzo nella stessa casa della matrona era un sogno ben lungi dall’essere realizzato, per ora. Gli voltai le spalle, decisa ad andarmene. E non importava se lui mi avrebbe definita misantropa, irascibile, o qualsivoglia aggettivo gli fosse venuto in mente. Poi però, all’improvviso, mi balenò uno strano pensiero in testa. «Che cos’è questo, un tentativo molto cretino di provarci con me?»
Mi mettevo ad insinuare certe cose proprio nei momenti meno opportuni, nelle situazioni in cui avrei semplicemente dovuto essere più cordiale e stare zitta.
Vidi Logan ancor più sorpreso, e anche io mi resi conto che ciò che avevo detto non aveva nessuna base di fondamento, ma era solamente il frutto del seccatura che stavo provando. «Ma che diamine stai dicendo?» La nota scherzosa che c’era prima nella sua voce era del tutto svanita. «Bah. Ma che ti passa per la testa?»
Logan mi sorpassò, dirigendosi di nuovo verso l’entrata. Lo vidi sparire insieme alla speranza di poter recuperare all’ultimo secondo. Ma cosa c’era da recuperare?
D’un tratto mi vergognai per l’errore che avevo commesso. Intanto ero stata brusca ancora una volta, abitudine che dovevo decisamente perdere. In secundis, come avevo potuto anche solo concepire una cosa del genere? Logan Rush che ci provava con me? Era più probabile che mia sorella Gwen si lasciasse col suo fidanzato storico – e in tutto il tempo in cui erano stati insieme, mai una volta in cui li abbia sentiti litigare.
Ero stata una perfetta idiota. Insomma, Logan era uno dei migliori amici di Douglas, per quanto ne sapevo, ed era abbastanza carino da avere sempre qualche ragazza che gli ronzava intorno. Conduceva una normale vita da liceale della sua età: partecipava alle feste cui nessuno mai mi invitava, beveva tutto l’alcool che io nemmeno osavo elaborare nella mente, frequentava un numero di amici così ampio che superava anche quello dei miei semplici conoscenti – anche se per quello non ci voleva molto.
Ero sfigata? No, io non sentivo di esserlo. Vivevo in un modo, fino a pochi giorni prima ero una piccola reclusa nella mia stanza, ma non mi ero mai reputata neanche per un secondo una sfigata. Io penso che chi è “sfigato” sia consapevole, almeno un po’, di esserlo. Non che fossi contenta di essere senza amici, ma ero orgogliosa di essere me stessa. Pensavo che il fatto che nessuno volesse mai simpatizzare con me, fosse perché nessuno vedeva mai oltre la mia apparenza. Ero una specie di anonima, se non emarginata, cui raramente qualcuno si avvicinava… ma ero convinta che non fosse colpa mia.
Dunque, non ero io, era lui. Sì, era lui che sapeva che io non ero il tipo che potesse piacergli, dato il suo stile di vita sì diverso dal mio. Ecco perché avevo sbagliato completamente nella mia insinuazione spontanea.
Be’, comunque, non me ne importava più di tanto. Logan non era, per me, la simpatia personificata, quindi sapevo che non era una gran perdita averlo allontanato da me.
Ma c’era da dire che lui mi aveva fatto dei favori, in precedenza. E inoltre, speravo che in futuro avrebbe potuto farmene altri! Come avrei fatto se avessi perso di nuovo l’autobus? Oh, dannazione, dovevo trovare un modo per riconciliarmi – da come lo pensai sembrava che fossimo amici per la pelle… – con lui.
Detestavo ammetterlo, ma avevo sbagliato io ed ero io che dovevo rimediare.
Osservai la luce tremolante di un lampione che illuminava un pezzo di strada dal quale passava ancora qualche automobile.
“Domani, Keira, domani”, pensai, in uno sbadiglio.
 
«Keira!»
«Uff…» sbuffai leggermente, senza farmi però sentire da Catherine. Ancora non mi ero abituata a quel suo tipo di regime, e facevo fatica ad alzarmi.
«Keira, subito in piedi! Non battere la fiacca!» squillò. «Oggi devo trattenermi al lavoro più del solito, tornerò per l’ora di cena. Ordinerò del cibo italiano sulla via del ritorno. Al mio arrivo mi farai trovare la tavola apparecchiata e mi dimostrerai che anche se non c’ero hai riempito quella zucca vuota con qualcosa. E credimi, non faccio fatica a capire se mia nipote ha studiato o meno.» Sì, il suo tono appariva molto minaccioso, e infatti lo era, ma quello stava già per diventare la routine. Era tirarmi su dal letto che mi creava non pochi problemi.
Obbedii a tutti gli ordini della zia, e quella per me fu un’altra giornata di scuola come le altre. Incrociai Lydia un paio di volte per i corridoi, accompagnata a braccetto dal suo ragazzo. Tutte le volte, una rabbia difficile da controllare mi saliva infuocata riempiendo il petto. A stento riuscivo a tollerare quel peso.
Avevo sperato fervidamente per tutto il giorno di poter avere qualche minuto per scambiare qualche parola con Blake, ma questi non si presentarono, tranne che nel viaggio di ritorno in autobus. Al momento della separazione, con un vuoto che iniziava a riformarsi nelle mie membra, ero scesa e avevo guardato il mezzo pubblico scomparire dietro la prima curva. Dell’auto di Logan, nel parcheggio sotto il palazzo, ancora non c’era traccia, ma non vi feci troppo caso.
Come mi era stato imposto, mi diedi da fare e, incredibilmente, studiai. Avevo un terrore morboso di mia zia e delle possibili domande a bruciapelo che avrebbe potuto farmi sugli argomenti che avrei dovuto studiare.
Ero intenta a dare una sfogliata al libro di trigonometria, quando il campanello della porta suonò. Mi strinsi nelle spalle. “Diamine, un rompiscatole”.
Non avevo per niente voglia di aprire la porta e ritrovarmi davanti ad un altro essere umano, molto probabilmente sconosciuto dato che in quel palazzo ci abitavano molte famiglie. Tuttavia, non potei ignorare il trillo che si ripeté un’altra volta, e alla fine, restia, andai a controllare.
Davanti mi ritrovai il viso paffuto e sorridente della signora Rush – fui animata da una nota di sollievo – che se ne stava lì a guardarmi con quei suoi due occhi vispi e dello stesso colore di quelli del figlio. «Buon pomeriggio, Keira!» mi salutò affettuosamente, benché ci conoscessimo appena da pochi giorni. «Per caso c’è Catherine in casa? Sai, ho preparato una torta di mele, modestamente, davvero ottima!» esclamò tutta contenta, sventolando una mano dalle dita tozze in aria. «Volevo offrirne un po’ a tutt’e due!»
«Oh» risposi io, gentilmente – la signora Rush mi stava particolarmente simpatica, rispetto alla maggior parte della gente che conoscevo, quindi mi veniva naturale comportarmi come si deve. «Mi spiace, ma mia zia non c’è, ha detto che aveva un impegno e che doveva fermarsi al lavoro più del previsto.»
«Oh no, che peccato!» disse la donnina. «Però tu vieni ad assaggiarla, la mia torta; mi farebbe molto piacere. E poi, con tutto lo studio che tua zia mi ha detto che stai facendo, ti farà bene mettere qualcosa sotto i denti. Magari con una tazza di tè, che cosa ne dici?» mi propose, sempre più fremente d’entusiasmo.
Ma la zia le aveva detto che tutto l’intenso studio era stata una sua idea, e non mia?
Comunque sia, mi emozionai eccessivamente, alle parole “assaggiare la mia torta” e “tazza di tè”. Dio, penso fosse da sabato che non mettevo nulla sotto i denti che contenesse quantità elevate di saccarosio. Il mio organismo ne sentiva un enorme bisogno. Così, gentilmente, accettai l’offerta – di nuovo, dimostrazione che io non ero tipo che faceva molti complimenti.
Appena un minuto più tardi mi ero già accomodata allo stesso tavolo dove l’ultima volta avevo preso il tè insieme anche a mia zia. Ma adesso che lei non c’era, si respirava un’atmosfera decisamente più tranquilla. Almeno, questo valeva per me. La mia felicità raggiunse il picco massimo quando la signora Rush mi servì, su un piattino bianco da dessert, un pezzo di torta enorme e fumante. Di fianco avevo un tovagliolo di carta, sotto una piccola tovaglietta. Mi portò anche una capiente tazza di tè, che preparò anche per sé.
«Sono contentissima della tua compagnia» mi confessò la signora Rush, mentre metteva un cucchiaino di zucchero nella propria tazza e mescolava. «Con mio figlio sempre fuori di casa, il padre al lavoro e nessun animale domestico, la vita da casalinga può diventare noiosa e insoddisfacente. E invece guarda che brava ragazza che sei! Cucinare per te è davvero una gratificazione, guarda come ti stai gustando la mia torta!»
Parve sinceramente appagata del fatto che stessi divorando con voracità la torta, come se non avessi mai mangiato qualcosa di simile prima. In realtà, quella era la miglior torta di mele che avessi mai assaggiato. «È davvero buonissima» non feci fatica a dire, con la bocca mezza piena e le papille in fibrillazione.
Finché si parlava di torte e zucchero, non c’era nulla che poteva infastidirmi. Ripensai alla sera prima, quando avevo risposto male a Logan e, oltretutto, avevo insinuato che ci stesse provando con me. Ancora una volta, mi sentii idiota e in imbarazzo, nonostante la persona oggetto di quel pensiero non fosse in casa. La signora Rush però era così carina, che non potevo pensare di farmi giudicare male anche da lei.
Spazzai via il dolce in pochissimo tempo, e subito dopo presi a bere dalla mia grossa tazza di tè. Il liquido del primo sorso stava ancora scivolando giù per l’esofago lentamente, quando udii un telefono squillare.
La signora Rush, muovendo a destra e a sinistra i suoi fianchi abbondanti, saltellò verso il telefono e rispose. «Sì, pronto?» la sentii dire con la sua voce mielosa. «Oh, salve, signora Shelley! Di che cos’ha bisogno? Oh, certamente, no, no, si figuri, mi fa molto piacere aiutarla. Arrivo immediatamente
La donna mise giù la cornetta mentre io la osservavo di sottecchi.
«Keira cara, scusami tanto, non ti offendi se ti lascio per cinque minuti, vero? L’anziana signora Shelley ha bisogno di aiuto per portare un paio di borse giù dalle scale, siccome l’ascensore si è bloccato. Tu rimani pure qui e finisci il tuo tè, sarò di ritorno in men che non si dica.»
Io acconsentii. Vispa come suo solito, la signora Rush si diresse poi fuori dalla porta e sentii i suoi passi salire le scale, finché non fu troppo lontana.
Con tranquillità e per nulla a disagio, da sola in una casa pressoché sconosciuta, terminai di bere il mio tè caldo, sentendomi così del tutto ristorata dopo una giornata di studio. In seguito mi abbandonai allo schienale della sedia e, senza nulla da fare, mi guardai intorno. Si respirava nell’aria ancora il profumo di torta di mele, infatti questa era proprio in cucina, ancora tiepida, in bella mostra.
Pensai che un paio di porte più in là dovesse esserci il bagno. In attesa che la madre di Logan tornasse, così, decisi di andare in esplorazione a cercare la toilette.
Camminando lungo il corridoio, scelsi a caso una porta e la aprii, sperando di trovarvi il gabinetto. Invece, quando misi a fuoco la mobilia all’interno, capii che quello doveva essere l’habitat di Logan: poster di band non meglio identificate alle pareti, vestiti sparsi sul letto e per terra, grovigli di coperte giacenti sul letto. E una marea di libri sparsi ovunque.
Il mio cuore mancò un battito.
Libri?!” Una vocina nella mia mente gridò a squarciagola, e senza pensarci due volte mi ero precipitata all’interno della stanza, ignorando del tutto le violazioni della privacy.
Mio Dio, libri ovunque. Non ci credevo. Logan me l’aveva detto, ma avevo pensato, nell’impeto del momento, che fosse solo una scusa per provarci con me. Dovetti ricredermi, mentre curiosavo nella sua collezione, sfogliando qualcosa ogni tanto, ma sempre rimettendolo nella posizione dove l’avevo trovato.
La signora Rush sarebbe tornata da un momento all’altro, però. Dovevo affrettarmi ad uscire.
Eppure non ce la facevo: essere di nuovo in mezzo a tutti quei libri mi mancava. Incuriosita, cercai di sfilare un libro dal fondo di una pila posizionata orizzontalmente su uno scaffale. Avevo scelto il fondo perché la cima era così alta che non riuscivo ad arrivarci, e mentre tiravo il volume con forza, non mi accorsi della massa di fogli di carta che vi era nascosta sotto. A forza di tirare sotto il peso degli altri libri, quello che m’interessava si sfilò, ma la catasta di fogli sottostante mi cadde addosso.
Sussultai, nel vedere una pioggia di fogli bianchi volarmi sulla testa, e lasciai cadere il libro per terra.
Improvvisamente mi ritrovai a guardarmi intorno, in quella stanza già disordinata di per sé, in più adesso, sul pavimento, erano sparsi almeno un centinaio di fogli formato A4, tutti stampati a computer. Sentii la preoccupazione salire, e mi morsi un labbro. “Dannazione, questa non ci voleva”.
Mi chinai per raccogliere il tutto, accumulando i documenti tra le mani. Notai poi che, in basso ad ognuno, era annotato il numero di pagina. Questo fu un sollievo per me, e sperai di poter rimettere tutto come prima, precedendo il ritorno della padrona di casa.
Poco dopo avevo già concluso, fortunatamente, e per curiosità diedi un’occhiata alle prime pagine: non c’era titolo al lavoro, e nemmeno autore, ma in alto potei vedere a chiare lettere la scritta “Capitolo primo”. Mi bastò dare poi uno sguardo alle prime righe per capire che si trattava di un romanzo stampato. La formattazione era corretta e precisa, la punteggiatura al punto giusto, e tutto lasciava pensare all’aspetto e alla forma di un romanzo vero e proprio. Sì, non c’erano dubbi, Logan aveva stampato un romanzo su fogli di carta e l’aveva messo lì, da parte, sotto tutti quei libri.
Senza volerlo, mi venne in mente un’idea strana.
“Be’, questo manoscritto anonimo e senza titolo era lì, sotto tutti quei volumi, dimenticato, e probabilmente Logan nemmeno si ricorda che era lì. Mmm… pensandoci, zia Catherine potrebbe facilmente trovare un romanzo, in mezzo alla mia roba, ma…” Dio, che idee che mi venivano, certe volte! “Se si parla di un gruppo di fogli, allora è tutto diverso. Dei fogli sono infatti molto più facili da nascondere. E Logan quasi certamente non se ne accorgerà neanche, se spariscono! Quindi, perché non… prenderli in prestito?”
L’idea, dapprima così bizzarra, mano a mano cominciava a prendere forma, diventando cosa sempre più plausibile ad avverarsi. Finché alla fine, esasperata dalla mancanza dei miei libri, non decisi: sì, avrei preso in prestito quel romanzo stampato, tanto cosa c’era di male? Bastava solo che, una volta finito, glielo restituissi nuovamente di nascosto, no? Si sarebbe certamente presentata di nuovo l’occasione.
Udii dei passi appena fuori dall’appartamento. La signora Rush, sicuramente.
Ora però dove infilavo tutti quei fogli?
Mi guardai: indossavo una felpa nera, del mio colore preferito, e molto larga. Piegai i fogli tutti insieme, non senza un po’ di difficoltà, e li infilai tutti sotto, premuti tra il tessuto e il mio reggiseno. Me li aggiustai alla meno peggio, in modo che non fosse così palese che nascondevo qualcosa. Uscii dalla stanza appena in tempo prima di sentire il rumore della porta che si apriva. «Signora Rush?» la chiamai. «Scusi, mi potrebbe dire dove si trova il bagno?» mi inventai la scusa più veloce per giustificare il mio essere nel corridoio.
Silenzio.
«Che cosa?!» si sentì dall’altra parte una voce fortemente sorpresa.
Una voce maschile.
Trasalii all’istante quando vidi Logan fare d’un tratto capolino, ritrovandomelo davanti con una faccia che così sorpresa non gliel’avevo mai vista prima. Mi squadrò da capo a piedi come aveva fatto il sabato sera prima. «E tu che cazzo ci fai qui?»
La sua mancanza di cortesia mi aizzò non poco. Tuttavia, pensai che dovesse essere a causa della meraviglia. E forse anche un po’ per come ci eravamo lasciati la sera precedente. «Ehm… ero qui con tua madre. È andata un attimo a dare una mano all’anziana signora Shelley – è così che l’ha chiamata.»
Lui si grattò distrattamente il capo, confuso. «Oh.»
Non disse altro, per il resto. Tutto d’un colpo, era tornato taciturno. Capivo che doveva essere per la sera prima, e sebbene io di imbarazzo non ne provassi nemmeno un po’, potevo comunque percepire la tensione che aleggiava nell’aria adesso. Era palpabile e perfettamente comprensibile. Non tanto per quando avevo creduto che stesse tentando un approccio con me – forse quello era perdonabile e afferrabile come una battuta – ma per il comportamento che ultimamente dimostravo di avere. Non solo con lui, ma anche con Blake.
Mi resi conto dei danni che stavo provocando.
Oggi Logan poteva ignorarmi senza dire nulla, ma magari il giorno dopo sarebbe toccato al mio migliore amico che, stanco del mio perenne nervosismo, avrebbe potuto decidere di tagliare i rapporti con me.
Qualcosa doveva cambiare, finalmente l’avevo realizzato. E non doveva cambiare nel comportamento degli altri nei miei confronti, ma nel mio.
Intanto, però, mentre tornavo a sedermi a tavola davanti al mio piattino e alla tazza vuoti, non mi veniva in mente nulla che potessi dire. Delle scuse semplici sarebbero sembrate troppo tirate via.
Sentii Logan che maneggiava con qualcosa in camera sua. Per un attimo fui assalita dal panico di aver lasciato qualcosa di mio e di compromettente là dentro, ma erano preoccupazioni senza senso, lo sapevo.
Appoggiai i gomiti sulla superficie del tavolo, aspettando che un’illuminazione arrivasse, mentre io me ne stavo lì, completamente passiva.
No, non mi stavo impegnando molto.
Ormai avevo iniziato a sperare in un arrivo parsimonioso della signora Rush, che salvasse la situazione. Poi, senza preavviso, Logan iniziò a parlare. «Scusami, per ieri sera.»
Cosa? Era lui che si scusava? Per un attimo provai soddisfazione nel credere che fossi io ad aver subito un torto, ma sapevo che non era così. In gran parte la colpa era mia. «No, scusami tu, ho reagito male.»
Arrivò a mettersi seduto di fronte a me, sporgendosi in avanti. «Be’, ed io ho contribuito a farti aumentare il nervosismo» rispose, stavolta con una nota scherzosa nella voce, incurvando le labbra all’insù.
Sì, stavamo diventando ripetitivi. Sembravamo proprio due bambini dell’asilo che si chiedevano scusa sotto costrizione delle maestre. Così patetico. «Okay, finiamola con le scuse, va bene?»
Lui annuì. «Ah, e per la cronaca, io non stavo affatto…»
«Lo so» risposi fredda e ferma, pur di non sentire il termine della frase. «Lo avevo insinuato solo… così, tanto per dire. Non lo pensavo davvero.»
Ancora silenzio. Fissai le briciole nel mio piattino come se da un momento all’altro potessero dirmi qualcosa.
«Senti una cosa… mi stavo chiedendo, quindi, se io domattina o nei prossimi giorni dovessi per caso perdere di nuovo l’autobus…»
Logan scoppiò a ridere fragorosamente. «Ma certo. Ti porto io. Anzi, facciamo che domattina ti aspetto nel parcheggio. Così guadagni dieci minuti in più di sonno, se non devi affrettarti per prendere il bus.»
Mmm… nessuno era mai così spontaneamente gentile, con me. Tuttavia, gli fui grata. «Be’, questo non credo: zia Catherine esige che io mi alzi sempre e comunque alle sette meno un quarto. “Devi imparare ad essere mattutina, signorina!”, dice lei.»
Ancora una volta, rise, stavolta per l’imitazione che avevo fatto di zia Kate.
Ma guarda un po’, avevamo ricominciato a parlare. Che gran conquista.
«Dove hai detto che era, mia madre?» mi domandò poi Logan.
Stavo per rispondere, quando la porta si aprì nuovamente, con tempismo perfetto. La signora Rush richiuse poi dietro di sé, ansimante. «Keira, tesoro, scusami tanto, ma dopo aver caricato le borse in auto la signora Shilley non riusciva a farla partire!»
Scorsi Logan che assunse una smorfia di cui interpretai il significato: “Keira? Tesoro?!”
«Oh, bentornato, Logan, cucciolotto
Lui si diede una sberla sulla fronte, tremendamente in imbarazzo e chinando il capo. Si alzò di scatto. «Ciao mamma, io torno fuori.»
Io ridacchiai, divertita. Logan, scontento di come la madre aveva esordito una volta in casa, uscì nuovamente sbattendo la porta, ma avrei scommesso che sarebbe tornato non appena me ne fossi andata io. Be’, comunque non avevo fretta.
«Ah, che caratteraccio, il mio bambino» commentò la donna scuotendo la testa. «Mi pare di aver capito che avete molte lezioni in comune, dico bene Keira?»
Io annuii. Tuttavia, se mi avesse chiesto di dirle se era simpatico o meno, non avrei saputo cosa dire. A parte qualche recente conversazione, io e Logan non avevamo quasi mai interagito in quegli anni di liceo.
«Dimmi, vuoi un’altra fetta di torta, cara?»
Con la mano sinistra tastai la superficie della mia felpa. Giusto per ricordarmi che avevo ancora dei fogli, lì dentro. L’appetito che avevo perso bevendo la tazza di tè ritornò, e non feci fatica ad accettare, impaziente di mettere un altro pezzo di dolce sotto i denti.
«Oh, aspetta un momento, però» si fermò poi la signora Rush prima di consegnarmi la mia seconda portata. «Ora che ci penso, Catherine mi aveva raccomandato di non rimpinzarti di dolci! Me ne ero completamente dimenticata!»
Zia Catherine. Il mio odio nei suoi confronti saliva esponenzialmente.
Abbassai lo sguardo sul tavolo, delusa.
Credo che la signora Rush abbia provato compassione nei miei confronti, o forse era solo perché voleva vedere di nuovo la soddisfazione nei miei occhi mangiando ciò che cucinava. Infatti, ignorando ciò che aveva detto la matrona, mi mise il piattino davanti agli occhi. «Facciamo così, tesoro: questo sarà il nostro piccolo segreto. D’accordo?» mi disse in modo dolce e comprensivo.
Quanto adoravo quella donna.
Ringraziandola infinitamente, mi fiondai sulla mia seconda merenda del pomeriggio senza indugi e senza sensi di colpa per aver disobbedito.
 
Dopo aver finito di mangiare, la signora Rush mi raccomandò di tornare a studiare, perché era già molto tardi e, involontariamente, mi aveva trattenuta a farle compagnia più del previsto. Non appena varcai la soglia di casa, corsi a nascondere l’ammasso di fogli di carta in mezzo a uno dei miei quaderni di scuola, lisciando per bene le pagine che si erano accidentalmente spiegazzate.
Se stasera avessi acceso la luce dopo che la zia si fosse addormentata, ero certa che non se ne sarebbe accorta e avrei potuto leggere in pace.
“Ho riflettuto su una cosa, Lydia. Sapevo già che la fortuna non poteva essere dalla mia parte, ma non doveva farmi uno scherzo così: sono costretta a vivere con questa vipera che sembra sia stata reclutata da Alcatraz, quando appena al piano di sopra soggiorna quell’angelo della signora Rush. Già desidero ardentemente liberarmi di mia zia, in più con una donna così vicina a me, la mia voglia si intensifica. Perché il destino si prende gioco di me? Perché non ho una zia che mi ingrassa di torta di mele, anzi che una che mi impedisce persino di leggere, che tu sai è sempre stata la mia più grande passione? Perché devo sempre cercarmele da sola, le vie di fuga? Sai che sono pigra per natura. Comunque penso di aver trovato qualcosa che fa al caso mio. Mi servirà a non pensare a quanto mi manchi, Liddy”.
Com’ero contraddittoria. Ignoravo Lydia, poi le dedicavo i miei pensieri.
Ma non potevo fare a meno di pensare che la ragazza che mi aveva tradito e quella che aveva migliorato così tanto la qualità della mia vita negli anni fossero due entità pienamente diverse.
 

 
 
I deliri pensieri di Camelia:
Per quanto riguarda l’episodio accennato da Keira, quello di quando lei e il mio tesoro Blake avevano quindici anni e si erano quasi baciati, ho intenzione di metterlo per iscritto un po’ più nei dettagli, in un futuro flashback ;D si sa, andando avanti nei capitoli… eh sì, perché sono già arrivata a scrivere il tredicesimo, mie care!
Ma che ne pensate di questo capitolo? Secondo voi il mio amore Logan ci stava veramente provando con Keira o aveva ragione lei, dicendo che era troppo senza cervello popolare per badare a una come lei, così anonima, così senz’amici?
Ringrazio tantissimo per le 27 recensioni ricevute finora, per le 10 persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite e per le 15 che l’hanno messa tra le seguite. Grazie mille ^^ Bene, detto ciò, vi lascerei in attesa del prossimo capitolo, e se volete lasciarmi una recensione, anche piccola piccola piccola, ne sarò felicissima :3
Cam

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Camelia Jay