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Autore: _Marika_    11/01/2012    1 recensioni
Bicchieri rossi, lampadari distrutti, giocatori di football, champagne scadente, danze esotiche, vestitini leopardati, baci, risate, lacrime.
Nuovi incontri.
Cos'altro potrebbe accadere questo venerdì sera?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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T.G.I.F.

Prologo.

 

L'alcool mi bruciò in gola, rassicurandomi. Se questa festa si fosse rivelata un fiasco assoluto, almeno avrei potuto concedermi il sacro oblio della sbornia.

Mi appoggiai il bicchiere rosso alle labbra e osservai il mondo esterno da sopra il bordo di plastica.

Tipica festa americana.

Da quando ero arrivata lì, in Ohio, nemmeno un mese prima, non ci avevo messo molto a capire che tutti gli stereotipi che in Europa abbiamo dell'America sono tutti -tutti- veri.

Il bicchiere rosso che avevo in mano ne era un esempio lampante.

E quella festa?

Dai, c'era perfino un'intera squadra di football in divisa, più stereotipo di così!

E il nerd grassoccio, occhialuto e svenuto sul divano? Un classico senza tempo.

Mi guardai intorno, esaltata dalla circolazione alcolica nelle mie vene.

Nerd a parte, c'erano un sacco di bei ragazzi.

Donna mi aveva detto di tenermi alla larga dai giocatori di football, e così avrei fatto: non sarebbe stato intelligente disdegnare un consiglio fatto da un'autoctona.

Un ragazzo andò a sbattere contro un tavolo il quale, dopo un momento di incertezza su due gambe, cadde a terra con un gran fracasso rovesciando bibite e ciotole di patatine. Il ragazzo guardò il tavolo rovesciato con uno sguardo vacuo, gelatinoso. Si guardò attorno circospetto e si accorse che l'avevo visto: mi fece una strana smorfia, stringendo gli occhi a due fessure. Poi sembrò dimenticarsi di me e se ne andò barcollando.

Nessuno aveva notato il tavolo. D'altronde, con la musica a quel volume, avrei trovato più strano il contrario.

C'erano ovunque festoni, palloncini, glitter, coriandoli; tavoli ricoperti di bottiglie vuote e di bicchieri rossi; il pavimento era tutto appiccicoso.

E gente, tanta, tantissima gente.

Non avrei mai voluto essere nei panni dei genitori di quella ragazza, quella che aveva dato la festa.

Perché prima o poi sarebbe arrivata la polizia, ovvio. Mica succede solo nei film.

La tipa in questione era una barbie bionda e abbronzata che indossava una maglietta verde con su scritto BITCH e un paio di shorts inguinali.

Un po' da zoccola, forse. Ma chi potevo giudicare, io, con addosso un vestitino leopardato con tanto di push-up in vista che mi strizzava le tette? Proprio nessuno.

Bevvi ancora, inebriata. Cos'era quella roba, gin? Mmm.

In mezzo alla sala era precipitato il lampadario, ma nessuno si era fatto male e il fatto era stato così liquidato come di scarsa importanza. Intorno vi ballavano una trentina di persone, tra cui la barbie padrona di casa, marcata stretta stretta da due fusti a petto nudo.

Decisi che avevo aspettato abbastanza. Donna non mi aveva imbucato a quella festa perché facessi da tappezzeria. Dovevo trovarmi un uomo, diceva.

Bene, era il momento di buttarsi.

...forse però prima avevo bisogno di un altro bicchiere.

Me lo versai, lo ingoiai e partii all'attacco. Ma per poco non inciampai su un fagotto scuro che scoprii essere una persona. Una ragazza con un capellino da baseball, capelli argentati e pantaloni a cavallo basso. Mi assicurai che respirasse e poi la scavalcai.

Aggirai il lampadario, e mi infilai nel vivo della festa. Un nerd con la maglietta di Star Wars mi lanciò un'occhiata speranzosa; lo ignorai.

Un ragazzo mi adocchiò, e mi fu subito addosso. Era carino, era afroamericano e non puzzava di sigaretta, ma metteva le mani in posti un po' troppo privati per i miei gusti.

Lo scaricai con un sorriso prima che gli venisse in mente di procreare lì davanti a tutti.

Lui aveva borbottato qualcosa che sembrava un “what's up, girl?”, ma io avevo continuato a sorridere e me n'ero andata.

Ero italiana, potevo fare finta di essere scema.

Andai a sbattere contro qualcuno. Mi voltai e mi trovai addosso una ragazza dai folti capelli rossi. La scrollai perché si staccasse, ma quella mi fissò, mormorò qualcosa e mi diede un sonoro bacio sulla bocca.

Uhm.

Poi con aria nebulosa veleggiò fino al lampadario, là inciampò e restò per terra.

La parte più responsabile di me mi disse di andare a controllare che stesse bene; e lo stavo per fare quando la musica cambiò e la folla attorno a me cominciò a dimenarsi come impazzita.

Ah, la magia della musica pop.

La voce di Katy Perry rimbombò nelle casse, assordandomi.

There’s a stranger in my bed,

There’s a pounding in my head

Glitter all over the room

Pink flamingos in the pool

I smell like a minibar

DJ’s passed out in the yard

Barbie’s on the barbeque

There’s a hickie or a bruise?

Frastornata, cercai di ricordarmi cosa dovevo fare. Perché vedevo tutto sfocato?

Barcollai fino ad un divanetto e mi ci lasciai cadere sopra.

Ow! What the fuck are you doing?”

Ops. Scivolai di lato, mormorando scuse sconnesse al povero malcapitato sul quale mi ero seduta.

L'alcol cominciava a fare effetto. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. Non dovevo vomitare. Non dovevo vomitare. Non dovevo...

Hey”.

Aprii un occhio. Era il tipo su cui mi ero seduta. “Are you ok?” mi chiese, ridacchiando.

Che sfrontato.

Yeah, I am” risposi. Mi sembrava di avere tutta la bocca impastata. Lui continuò a guardarmi, incuriosito. Mi disse qualcos'altro in inglese, del tipo “you're not from here”.

Chiusi gli occhi, stordita.

No, I'm not” borbottai in risposta “I'm from Italy”.

Lui fece un "ah" convinto, come se avessi detto qualcosa di estremamente intelligente. Dio, mi veniva da vomitare sul serio.

Rimasi lì, immobile e con gli occhi chiusi, a respirare pesantemente. Probabilmente ero uno squallido esempio di esercizi pre-parto, ma al momento non me ne fregava proprio niente.

Risatine.

Ok, cominciavo ad incazzarmi. Con un notevole sforzo di volontà riaprii gli occhi e mi sedetti eretta sul divano per fronteggiare il mio avversario.

Ma le parole mi morirono in gola.

Di lui, mi colpì una cosa. Una sola. E mi strisciò dentro. La mia attenzione fu catalizzata da una fossetta solitaria a sinistra della sua bocca. E rimasi lì così, imbambolata, a fissarlo. A fissargli quella fossetta.

Quanto gin lemon mi ero scolata...?

Rimasi così finché lui non mi passò una mano davanti alla faccia. Riprendere il controllo di me fu tragico, perché mi resi conto di essere ubriaca di stare facendo una colossale figura di merda.

Hey” ripeté lui, sorridendo “Sure?”

Sure?” ripetei, instupidita.

Sure you're ok?”

Oh, yeah, yeah. Sure.” Dovevo avere un accento tremendo, perché continuava a sorridere sotto i baffi.

You're cute” sogghignò. Lo fissai; mi stava guardando in modo strano.

Non feci a tempo a rispondere perché mi ritrovai annaffiata di quello che pareva champagne scadente. Un idiota aveva giustamente pensato di aprire una bottiglia nella mia direzione.

L'americano con la fossetta mi guardò stralunato. Poi cominciò a ridacchiare. Poi fu scosso da risa talmente violente che dovette piegarsi in avanti per il mal di pancia.

Io ero lì, frastornata, bagnata, oltraggiata, e quello yankee rideva di me?

Poi mi parve di vedermi da fuori. Vidi me stessa, con l'abitino leopardato troppo corto e puzzolente di infimo champagne, lo sguardo vacuo da ubriaca, il capelli scomposti, l'espressione a metà tra l'offeso e lo shock anafilattico... e risi anch'io.

Complice l'alcol, risi fino a piangere. La dignità era ormai perduta, scivolata via con le la lacrime e il trucco.

Finito l'imbarazzante scoppio di ilarità lui mi porse una mano e mi aiutò ad alzarmi. Stavo molto meglio.

Last Friday night

Yeah we danced on tabletops

And we took too many shots

Think we kissed but I forgot.

I'm Brian” si presentò porgendomi la mano. Ubriaca o no, non potei fare a meno di guardargli la fossetta. Brian. Lo ripetei stupidamente. Era un bel nome, soprattutto nella pronuncia masticata americana.

Gli strinsi la mano. “I'm Emma”.

   
 
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