Titolo: Fifty steps of a Love.
Personaggi: Sirius Black/Mary MacDonald.
Avvertimenti: Raccolta, Flash!, Drabble.
Genere: Introspettivo, Romantico, Malinconico, e forse un po' Drammatico.
Note: mmh. Alcuni pezzi potrebbero non avere senso, per voi, ma spero ce l'abbiamo più o meno tutte. Il banner è stato realizzato da Lights.
Fifty steps of a Love.
Venuto dal sole o da spiagge gelate
venuto in novembre o col vento d'estate
io t’ho amato sempre, non t’ho amato mai
amore che vieni, amore che vai
io t’ho amato sempre, non t’ho amato mai
amore che vieni, amore che vai.
(Fabrizio De André - Amore Che Vieni, Amore Che Vai1)
Un pacchetto di sigarette mezzo vuoto
giace per terra, ai piedi di uno dei due comodini gemelli. Sirius è in piedi,
appoggiato allo stipite della porta, lo sguardo perso nei meandri dell’armadio
che è stato volontariamente lasciato aperto. Un profumo buono – un profumo
conosciuto, amato – esce da quel nascondiglio e si espande per la stanza. Gli è
sempre piaciuta quella dolce fragranza che ricorda vagamente il melone, ma solo
ora riesce a capire quanto sia – fosse –
unica. È un qualcosa di palpabile e non palpabile al tempo stesso, la presenza
di Mary.
Quel profumo è per Sirius come un
allucinogeno – è come se lei fosse ancora lì, con lui.
Un pacchetto di sigarette mezzo vuoto
giace per terra, ma Sirius ha smesso di fumare qualche giorno fa. La voglia di
averla accanto a sé è più forte di qualunque sigaretta; dormire con un suo
vestito premuto contro il naso è un bisogno primario che non riesce a
sopprimere. Sirius ha smesso di fumare ed ha sostituito quel vizio con un
altro, e pensa che quest’ultimo lo porterà presto al limite, ma finché la sente
lì, tutto andrà bene.
La lezione di Storia della Magia è
iniziata da circa un’ora e gli studenti del quarto anno che la seguono sono già
stati sfiancati dalle barbose nozioni storie che il professor Ruf sta loro
impartendo.
Ad un certo punto, dal fondo dell’aula, si
sente il tonfo tipico di qualcosa che sbatte a terra, seguito da
un’imprecazione colorita. Sirius si è alzato in piedi, senza neanche
accorgersene, come se il banco l’avesse scottato, con gli occhi ancora
assonnati per via del sonno in cui era immerso fino a pochi istanti fa. I
compagni trattengono forzatamente le risate, ripensando al «Morgana troia!» del ragazzo dai capelli
neri.
Il fantasma lo guarda per qualche secondo,
prima di ordinargli lentamente di uscire dall’aula.
Sirius obbedisce, le guance leggermente
rosse, mentre James fa finta che gli sia caduta una matita per non farsi veder
ridere dal professore.
Passando, Sirius quasi non si accorge del
sorrisetto – molto simile ai suoi quando capita qualcosa di brutto ai Serpeverde
– dipinto sul volto di una delle sue compagne di Casa, Mary MacDonald. Ma dopotutto
le ragazze sono noiose, perché calcolarle più di tanto? Sono decisamente meglio
le uscite con gli amici.
A
volte si divertono a vedere chi perde la lucidità per primo, e a quel punto si
stappano le bottiglie di Whiskey Incendiario o di Rum e si riempiono i
bicchieri di vetro, facendoli poi incontrare in un tintinnio che sa di loro
poco prima di iniziare.
Anche
ora, mentre Sirius versa un po’ più di alcol nel bicchiere di Mary, che è già
leggermente brilla ma qualcosa ancora riesce a capirla.
«Cosa stai facendo, Black? Non si bara!» lo sgrida, scoppiando a ridere sonoramente
e colpendogli la spalla con un pugno non molto forte.
Il
ragazzo si corruccia e la guarda con un cipiglio frustato. «Ma io non sto
barando affatto! E ora bevi il tuo Whiskey, su, almeno prova a battermi».
«Ah, la metti così, eh? Staremo a vedere!» esclama, portandosi il bicchiere alle
labbra e trattenendosi dal ridere nuovamente; Sirius la imita, nascondendo il
sorriso affettuoso che gli si è dipinto sulle labbra sottili.
E
adesso è rimasto solo poco liquido all’interno della bottiglia e Mary ha la
testa appoggiata al tavolo, i capelli castani che le coprono parzialmente il
volto sorridente.
«Ho vinto io»
si vanta Sirius, avvicinandosi alla ragazza e passandole un braccio attorno
alle spalle ed uno sotto le ginocchia per non rischiare che cada nel – vano –
tentativo di alzarsi.
Lei
sembra contrariata e ribatte: «Non è vero!».
Scoppiano
a ridere entrambi, insieme, mentre Sirius la prende in braccio e si incammina
verso la loro camera da letto. E la battaglia ricomincia, ma non è come quella
di prima.
«C’è stato un attacco ai danni degli Auror di pattuglia! Su, Lyton,
MacDonald, Bones, sbrigatevi: è urgente!» grida il Capo Reparto, mentre due barelle
fluttuano nel corridoio del quarto piano del San Mungo.
Nella
mente di Mary riaffiorano le parole che quella mattina sono scivolate via dalle
labbra di Sirius: «Oggi sono di pattuglia» e il suo cuore sembra perdere un
battito.
Incerta,
muove un passo dopo l’altro, velocizzandosi poco alla volta e finendo con il
correre dietro alle barelle. Si ferma assieme ad esse e finalmente riesce a
vedere i volti dei due Auror e no, nessuno dei due assomiglia anche solo
vagamente a Sirius.
«Non avrai pensato che fossi io uno dei feriti, vero? Sono invincibile,
dovresti saperlo»
ridacchia una voce che conosce bene. Lei si volta così velocemente che Sirius
quasi non se ne accorge. O almeno non se ne accorge finché non si ritrova il
collo stretto dalle braccia della ragazza.
È
seduta in Sala Comune assieme a Lily, studiando per la lezione di Incantesimi
del giorno dopo, quando alle loro orecchie giunge un urlo rabbioso e al
contempo spaventato, proveniente dal dormitorio maschile. Le due amiche si
scambiano uno sguardo dubbioso e rimangono in silenzio per qualche secondo; poi
Lily si alza e si avvicina alla porta della scala chiocciola, aprendola
cautamente.
Mary
la segue, salgono le scale con passo felpato e, arrivate davanti alla camera
del sesto anno, sentono un altro urlo. Appurano che i rumori arrivano dalla
stanza dei Malandrini e, incuriosite, camminano fin lì; aprono la porta e si
bloccano sulla soglia vedendo Sirius, che ha una faccia da assatanato, seduto
sul proprio letto e James che tiene in braccio un gatto e guarda l’amico
ridendo sguaiatamente.
«Voi due! Evans, portatelo via, non voglio più vedere né lui, né quel
dannatissimo gatto!»
grida Sirius, in preda all’isteria,mentre Mary inizia a ridacchiare e Lily si
avvicina a James e al gatto.
«Ma dai, che esagerato: è solo un gatto!» ribatte James, senza smettere di ridere. «Anzi, dovresti
ringraziarmi per il bel regalo di compleanno!».
«Sai dove te lo metto il regalo di compleanno?» ringhia
Padfoot, assottigliando gli occhi.
«Tenete quel gatto, ragazzi, magari è la volta buona che ci liberiamo di
Sirius»
sogghigna Mary ed il viso del giovane Black si trasforma in una smorfia
sbalordita.
«Tu! Traditrice!»
ulula quasi, saltando giù dal letto con un balzo e correndo verso di lei.
Avvolge il corpo esile della ragazza con un braccio e con la mano libera le
scompiglia i capelli, facendola ridere.
Sirius
si chiede il perché di tutti questi matrimoni appena usciti da Hogwarts; gli
altri dicono che lo fanno perché c’è la guerra, ma lui non vuole sposarsi
proprio per questo motivo. E allora, chi è che ha ragione?, chi è che ha
davvero capito come vanno le cose?
Ne
ha parlato qualche giorno prima con James, e quando quest’ultimo gli ha chiesto
perché non avesse ancora chiesto a Mary di sposarlo, Sirius aveva risposto di
non volerla rendere vedova così presto.
«Hai mai pensato che lei possa preferire perderti dopo averti sposato,
anziché perderti con il rimorso di non esserci mai riuscita?» ha ribattuto
James, passandosi una mano sul volto pallido.
Nessuno
deve sapere che quella semplice frase è riuscita a farlo pensare, a fargli
pensare davvero a quell’opzione che, effettivamente, lui e
Mary possono scegliere.
Ma
è troppo tardi, perché nemmeno un mese dopo Mary gli verrà portata via e a lui
rimarrà solo il ricordo di lei ed il rimpianto per non averle mai detto che lui
l’avrebbe sposata subito, su due piedi.
Le
dita pizzicano le corde della chitarra e note, che insieme non formano alcun suono
melodico, rompono il silenzio concentrato del giardino.
Qualche
mese fa, Sirius, frugando nel ciarpame della soffitta della casa che ha ereditato
dallo zio Alphard, ha trovato una chitarra un po’ vecchia. Si è fatto spiegare
da Peter come risistemare quelle corde, che, a causa del tempo che era stata
lasciata a marcire in soffitta, si erano rovinate, e come tenerla tra le mani:
il padre di Peter, da giovane, era stato un componente di un piccolo gruppo di
quartiere, e quando Wormtail aveva compiuto cinque anni aveva preso ad
impartirgli lezioni musicali basilari.
E
nei momenti in cui non ha nient’altro da fare o vuole nascondersi per un po’
dal peso della realtà, Sirius va in giardino con la chitarra dello zio e prende
a intonare qualche melodia inventata sul momento, più per riempirsi la testa di
note che di urli e grida disperate.
Muove
le dita rapidamente, e finalmente riesce a creare una sequenza decente. Ci
riprova e ci riesce nuovamente.
Sorride:
non appena Mary tornerà, quella sera, le farà sentire i suoi progressi e gioirà
del suo dolce sorriso, quando le dirà che l’ha composta pensando anche a lei.
#7: Waste – Spreco.
Aspetta
che Sirius si alzi e vada di là, per alzarsi anche lei, e di sentire il rumore
della porta del bagno che si chiude e si guarda attorno, circospetta. Poi
afferra il proprio piatto, contenente una poltiglia non meglio identificabile
che Sirius ha voluto cucinare a tutti i costi per festeggiare un successo della
squadra degli Auror.
Sente
il rumore dello scarico del water e apre velocemente l’anta sotto al lavandino,
che nasconde alla vista degli altri il secchio dell’immondizia. Prende un
mestolo a caso ed inizia a gettare quella roba
dentro al cassonetto.
«Cosa stai facendo?»
chiede Sirius, comparso sulla soglia della cucina. La guarda con
un sopracciglio inarcato e le braccia incrociate.
«Ah. Ehm»
inizia la ragazza, tossicchiando ed alzandosi in piedi, nascondendo il piatto
ormai vuoto dietro la schiena, «Stavo… stavo cercando un detersivo».
Se
possibile, il sopracciglio del ragazzo schizza ancora più verso l’alto. «Ah, ma davvero?
Dammi le mani, Mary, tesoro» la invita con voce affabile.
Lei
scuote la testa, frustando l’aria con la coda di cavallo. «No».
«Mary».
«Pf».
Gli tende una mano e Sirius la stringe con la propria; poi la guarda come a
dire: e l’altra? Mary fa finta di non
notarlo ed inizia a fischiettare sommessamente, guardandosi attorno con aria
innocente.
Sirius
approfitta di ciò e le afferra l’altro braccio, obbligandola a fargli vedere il
piatto. Nasconde un ghigno e scuote la testa.
«Non devi sprecare così il cibo».
«Ma questo non è cib— Aehm. Volevo dire… be’, ecco, l’ho già finito, non
l’ho mica sprecato! Era così buono» tenta, ridacchiando mentre il sangue le
sale alle guance.
Sirius
annuisce e si allontana da lei. «Be’, se è così» apre il forno e ne tira fuori una teglia
piena della cosa misteriosa che prima
abitava anche il piatto di Mary, che sbianca, «Mangiane un altro po’!».
Mary
ringhia, ma annuisce forzatamente e si risiede a tavola. Guarda male la
sottospecie di cibo che Sirius le rifila e pensa che il vero spreco sia mettere
del cibo da cuocere in mano a Sirius.
«Manca ancora tanto?» domanda Sirius e Mary alza gli occhi al cielo, stizzita,
e gli schiaffa una mano sulla bocca, così da bloccare il fiume di parole che
premono per uscirvi.
Il
prete, dietro all’altare della chiesa, alza un calice al cielo e poi ne beve;
Sirius inclina la testa di lato, annoiato e in fondo un po’ divertito dal
comportamento tipico che Mary adotta quando qualcosa le dà fastidio, e guarda
il prete con aria assorta.
Mary
è sempre stata una ragazza religiosa, l’aveva imparato a scuola, quando una volta
che l’aveva sentito sparare un’imprecazione piuttosto colorita gli aveva
scagliato contro uno dei tanti Stupeficium
– anche se poi, dopo un po’, anche lei ci aveva fatto l’abitudine. Un’altra
cosa che gli ricordava sempre la sua fede, era la collanina dorata che finiva
con un ciondolo ovale – sempre dorato – dove alloggiava un’immagine intarsiata
nel metallo. O ancora le varie volte in cui l’aveva sentita chiedere a
qualcuno, lassù, che gli ha insegnato chiamarsi ‘Dio’, di aiutare lei e le
altre persone che le stanno a cuore. A lui in fondo piace lo stesso, forse
anche perché dopotutto si diverte a vederla cercare di mantenere la calma
quando impreca.
Poi
si guarda attorno: la chiesa dove Mary l’ha portato è piccola, ma piena di
corone floreali e un organo che di tanto in tanto intona una canzone che a
Sirius sembra vagamente lugubre; le finestre sono ampie, ma non vi entra molta
luce poiché il cielo quel giorno è coperto da grosse nuvole di panna ingrigita.
Si
gira verso Mary e la vede alzarsi piano, facendo il segno della croce; lei si
volta verso di lui e gli sorride: a Sirius basta quel sorriso per illuminargli
la domenica.
Ci
sono dei momenti in cui anche loro due riescono ad esser seri, per quanto
strano possa sembrare.
Come
in quel momento, sul tappeto del soggiorno davanti al fuoco, mentre guardano
alla tv – Mary l’ha voluta in casa a tutti i costi – un film romantico, troppo
romantico per loro, che, infatti, lo guardano solo per riderci sopra.
«Silente dice sempre che l’amore ci
salverà» dice ad un certo punto Sirius, meditabondo. «Mentre questi film,
nonostante ti dicano che l’amore è quel che c’è di più bello al mondo, ti fanno
capire solo che può facilmente portarti alla rovina più totale. Ci hai mai
pensato?».
Mary si corruccia e picchietta un dito sul
pavimento, perplessa.
«Effettivamente hai ragione. Ma
sinceramente, io mi fido più di Silente che di tipi come questi due,» ed indicò
la televisione, «che non fanno altro che lamentarsi di tutto e cercare un posto
dove appartarsi».
«Guarda che lo facevi anche tu, ad
Hogwarts. Anzi, sono più le volte in cui tu ti sei voluta appartare con il
sottoscritto, cara» la prende in giro, dimenticandosi rapidamente del discorso
semi-serio appena accennato di poco prima.
«Mh. Non mi pare ti desse fastidio»
borbottò allora lei, ghignando. «Anche perché le reazioni del tuo corpo
dicevano tutt’altro. Ma questo era ovvio, dopotutto io sono io».
«E poi James dice che sono io il maniaco, tra noi due! Sarai la mia
rovina, questo è ovvio».
E mentre le passa un braccio attorno alle
spalle per tornare a ridere del film e prendersi in giro, Sirius non può sapere
quanto sia vera la sua ultima affermazione.
A
Sirius piace avere la pelle di Mary a contatto con la propria, lo fa sentire
bene; lo sfregare dei loro corpi è qualcosa di dolce, di tenero: qualcosa che
appartiene solo a loro e che loro soltanto possono comprendere appieno.
A
Sirius piace lasciare dei baci sulla pelle di Mary; anche quando fanno il bagno
assieme si diverte a baciarle la pelle umida e profumata di pulito, magari
soffiandovi contro per farle un po’ di solletico – così, solo per sentire la
gabbia toracica di lei vibrare contro la sua.
A
Sirius piace avere Mary vicino: avere i suoi capelli che gli solleticano il
viso quando dorme accovacciata contro il suo petto; avere le sue dita strette
attorno alle proprie ciocche scure; avere le labbra di lei premute sulle
proprie quando fanno l’amore, stretti l’uno all’altra, e cercano di far capire
al compagno tutto quel che provano.
A
Sirius piace pensare di esserci riuscito.
A
Sirius piace vedere gli occhi di Mary allegri e spensierati – finalmente, dopo
quel che le è successo. A Sirius piace come arriccia le labbra quando litiga
con qualcuno – anche contro di lui: a volte infatti lo fa a posta – e difende
le sue opinioni. A Sirius piace vederla sorridere davvero, anche con gli occhi.
A
Sirius piace Mary, semplicemente.
Mary
stringe le dita attorno al bicchiere con forza sempre crescente e gli occhi
ridotti a due fessure azzurre; ha le iridi color del cielo puntate su Sirius e
Marlene McKinnon, che ballano un lento valzer ai bordi della pista da ballo che
è stata fatta comparire nel giardino di casa Potter per festeggiare al meglio i
neosposi e il loro matrimonio.
Un
ragazzo dai capelli rossi si avvicina a lei, con un sorrisino stampato sulle
labbra carnose, e le chiede: «Dai, è solo un valzer».
Mary
sposta finalmente lo sguardo via dai due e si gira verso Fabian, un po’ più
calma ma anche più irritata a causa di quel sorriso che assomiglia più ad un
ghigno.
«A te non dà fastidio?» replica, cercando di nascondere la
curiosità. «Che
Marlene balli con Sirius, intendo. Lo sai che a lui piaceva, al vostro ultimo
anno».
Fabian
scoppia a ridere sonoramente e le posa una mano sulla spalla coperta dal
vestito a mezze maniche che indossa la ragazza. «Ma dai! Sono passati più di tre anni, non
puoi pensarlo davvero!».
Lei
stringe le labbra e solleva maggiormente il mento verso l’alto, osservando le
stelle, ma lanciando di tanto in tanto occhiate verso il ragazzo e verso Sirius
e l’altra. Poi sente due dita
stringersi attorno al suo polso e si gira verso Fabian, perplessa. Il ragazzo,
in cambio, le sorride ancora e dice:
«Vieni. Dopotutto anche Sirius è un tipo geloso, no? Bene: ripagalo con
la stessa moneta. Che ne dici?».
Le
labbra di Mary si distendono in un ghigno appena accennato e, dopo un attimo di
incertezza, annuisce e si lascia condurre in pista, non troppo vicini a Sirius
e Marlene.
Fabian
è un amico, dopotutto, perciò non dice niente quando lui le poggia le mani sui
fianchi – non troppo giù, né troppo in alto – e inizia ad ondeggiare sul posto,
trascinandola con sé. Non sono una gran coppia di ballerini, ma dopotutto anche
lei fa abbastanza pena, perciò va tutto bene.
Posa
gli occhi azzurri su Sirius, e ne incrocia lo sguardo. Ghigna nello scorgere
gelosia malcelata in quelle iride grigie e pensa: Uno a zero per Mary.
#37: Soliloquy – Soliloquio.
Mary
ha quasi sedici anni ed indossa una gonna solo perché la McGranitt è del parere
che dei pantaloni non siano il vestiario adatto ad una ragazza. Alle partite di
Quidditch sbraita praticamente sempre ai giocatori e improvvisando un balletto
a caso ad ogni vittoria del Grifondoro, coinvolgendo di malavoglia anche
l’amica, Lily. Non cerca che un pretesto per attaccare briga con qualcuno, per
dare il via ad una rissa – e quella ragazza, alla babbana, mena da far paura – o, più semplicemente, per far casino.
Mary raccoglie sempre i capelli in una coda e sorride sempre, anche se spesso
quel suo sorriso si trasforma in uno dei ghigni più spaventosi che Sirius abbia
mai visto sul viso di una ragazza.
James
trova che Mary sia un’ottima amica, ma niente di più; Sirius, invece, pensa che
forse potrebbe essere lei la ragazza con cui non si troverebbe costantemente a
disagio.
Poi
James, Remus e Peter lo richiamano e lui distoglie lo sguardo dalla ragazza, dimenticandosene
poco dopo, perché dopotutto quel soliloquio non ha praticamente nemmeno un
senso – secondo un ragazzino di quasi sedici anni.
#33: Stupidity - Stupidità.
Lo
schiaffo arriva improvviso, doloroso, e il bruciore alla guancia non è per
nulla paragonabile a quello che avverte al petto; ha il viso girato di lato,
Sirius, spostato a causa di quel colpo che non ha visto arrivare. Si rigira
lentamente, gli occhi sgranati, e quasi trema quando vede le lacrime
affacciarsi agli occhi di Mary, minacciando di scenderle lungo le gote già
rosse.
«Sei un cretino»
sibila la ragazza, dandogli un ulteriore smacco morale.
Era
tornato a casa un po’ prima, quel giorno, e l’aveva trovata sul divano a
guardare il fuoco; le si era avvicinato e le aveva posato un bacio sulla
guancia destra, quando lei si era girata verso di lui e gli aveva detto che suo
fratello Regulus era venuto a ‘fare una visita’. Sirius non sa se quel che
aveva provato in quel momento fosse delusione o rabbia – forse entrambe. Ma
Regulus non era venuto per fare del male, solo per parlare con quel fratello
che in realtà non poteva più nemmeno considerare tale; aveva parlato con Mary,
le aveva chiesto di chiamare Sirius, ma lei non aveva potuto fare niente. E
alla fine del suo discorso, dopo il suo “Devi
sentire come sta tuo fratello, cosa voleva”, Sirius aveva risposto dicendo
che Regulus non era più suo fratello.
Aveva
toccato un tasto dolente, ma se n’era accorto troppo tardi.
«Tu… Tu»
riprese Mary, con il respiro affannoso, «tu non sai cosa voglia dire perdere davvero
la propria famiglia. La tua è ancora viva, anche se tu non la consideri più.
Non è tuo fratello, eh? E allora cos’è? Cos’è, Sirius?». Il ragazzo
non china il capo, ma regge il suo sguardo furente, mentre sente qualcosa che, dentro
di lui, va spezzandosi. «Devi
smetterla di fare il bambino, cazzo! Non hai più tredici anni e quello è tuo fratello! E tu sei un bambino,
Sirius, perché se sapessi cosa vuol dire ‘non avere più’» - la
ragazza calca su quel ‘più’ - «un fratello non parleresti così!».
Così
dicendo, scappa su per le scale, i capelli castani che assecondano i suoi
movimenti affrettati. Sirius si passa una mano sul volto e rimane in silenzio,
in quella stanza, con l’eco delle parole della sua ragazza che gli rimbombano
nelle orecchie. Perché aveva detto una cosa del genere? La famiglia di Mary era
stata sterminata in un attacco e lui lo sa. Ed è riuscito a farle del male – a deluderla – premendo su quel tasto.
Si
maledice e sale lentamente le scale; arrivato davanti alla loro stanza, apre la
porta stando bene attento a non fare rumore ed entra: Mary è sdraiata su un
fianco e le spalle si alzano e si abbassavano rapidamente. Lui si avvicina e si
sdraia accanto a lei; Mary si oppone, ma alla fine Sirius riesce comunque ad
afferrarle la mano e a stringerla a sé.
Mentre
Morfeo la chiama, sussurra: «Sei un cretino, Sirius».
Sirius
pensa che la sua voce sia bella anche in quel momento, mentre lo insulta, rotta
dal pianto.
Alcune
cose non si dicono, si nascondono e basta. Lo si può fare per tanti motivi:
perché ci si vergogna di ciò, perché si ha paura delle conseguenze, o più
semplicemente perché non si vuole e basta.
Ci
sono altre cose che tu non puoi dire, nemmeno se lo vuoi con tutto te stesso.
Magari sei obbligato a tenertelo per te, sebbene tu sia consapevole che, così
facendo, ferisci le persone che ti sono accanto. Ma quando la ‘cosa che non
puoi dire’ riguarda uno dei primi che ti ha accettato per quel che sei, che ti
tratta come un fratello, sarebbe davvero ignobile andarlo a dire in giro.
Sei,
come si suol dire, tra l’incudine ed il martello.
Mary
è preoccupata, Sirius lo vede ogni volta quando, le notti con la luna piena, si
siede in Sala Comune e attende assieme a Lily il loro ritorno dalla Stamberga. Nessuna
delle due sa niente, ma nei loro occhi si può vedere chiaramente il nervosismo
sfumare in una delusione – delusione perché pensando di non essere abbastanza
per sapere cosa succede. E sia Sirius che James vorrebbero urlar loro che, se
solo potessero, direbbero tutto. Ma Remus è Remus, un Malandrino, un fratello di scelta: non si può tradire.
Devono solo aspettare che Remus decida.
Ora
sono in Infermeria, i raggi del sole accarezzano il volto del licantropo, che
apre gli occhi. Vedendo le loro espressioni nervose e le loro continue occhiate
alla grande porta, sospira e dice debolmente: «Sono ancora lì fuori, eh? Pot-potete dirglielo. Sono delle
amiche, possiamo condividere con loro anche questo. Non- non se ne andranno urlando».
Mezz’ora e una dovuta spiegazione dopo,
Mary e Lily stanno abbracciando dolcemente Remus, dicendogli che l’importante è
come sei, non quel che sei.
#35: Sarcasm – Sarcasmo.
«Non capisco come io abbia fatto ad
ordinare pizze su pizze quando avevo un tale talento culinario in giro per
casa» dice Mary, praticamente abbarbicata
su Sirius, sarcastica, sfiorandogli il mento con le labbra e lanciando poi
uno sguardo ai piatti quasi intatti che si trovano sul tavolino davanti a loro.
«Probabilmente da piccola ti sei bruciata
la lingua e per questo sei così ignorante, in fatto di cibo».
«Quel ‘in fatto di cibo’ alla fine è per
dare un doppiosenso alla frase, per caso?» indaga allora, ridendo.
«Merlino, poi James chiama me maniaco!».
«Be’, ma James non mi conosce in quel senso» sottolinea allora lei,
scoppiando a ridere quando sente la presa di Sirius farsi più forte.
«E che resti così, donna» borbotta,
abbassando il viso per poterle baciare dolcemente le labbra.
«Non eri tu la donna?».
«Non sei divertente, sappilo».
«Hai ragione, io sono sarcastica e tu sei
un deficiente. Siamo complementari».
«Quel che hai detto non ha senso. Ma va
bene lo stesso» dice Sirius, ponendo fine al discorso con un altro bacio.
«Dai, Lils!»
la prega Mary, congiungendo le mani sotto il mento dell’amica, il capo chino.
«Smettila»
ribatte Lily, ma in realtà si sta semplicemente trattenendo dal ridere. Mary
vuole una ‘bendizione’ da parte sua circa la storia di – con – Sirius, e Lily, non capendo perché, le sta facendo credere di
non averne la benché minima voglia.
«Su, ma che ti costa? Un consiglio, un parere… non sto chiedendo molto,
alla fine!».
Lily
scoppia definitivamente a ridere e scuote la testa, facendo muovere i lunghi
capelli rosso scuro. «Enne.
O. No»
dice, smettendo di ridere. E poi riprende, tenendosi la pancia con le mani.
Mary
si corruccia ed incrocia le braccia al petto, guardandola di bieco. Poi ghigna
e le si lancia contro; allunga le mani verso la vita dell’amica e inizia a
farle il solletico, ridendo nel sentirla dibattersi sotto di sé.
«Così impari, Evans!».
«Basta, basta! Mi arrendo! Avete la mia benedizione, ma ora smettila, ti
prego!».
Le
coperte candide del letto dell’infermeria celano il suo corpo ancora acerbo, le
finestre sono chiuse, non uno spiffero entra o le sferza il volto pallido e
spossato, ma lei ha freddo lo stesso; come una ventata d’aria fredda che le
accarezza la schiena e risale per la colonna vertebrale, facendole rizzare i
corti capelli sulla nuca.
Ha
i capelli raccolti in uno chignon fatto sul momento e gli occhi azzurri
cerchiati da occhiaie marcate e violacee; ha l’aspetto di una persona che non
dorme da giorni, e forse è proprio così.
Lily
è accanto a lei e le stringe forte la mano piccola e tremante; lo sguardo della
Evans è un misto di preoccupazione e dolore, ma al suo interno vi è, nascosto
nel resto, anche rabbia. Sa già che Mulciber gliela pagherà cara, per quel che
ha fatto all’amica. Ha anche ringraziato Potter – se stesse bene, in quel
momento Mary la starebbe prendendo in giro dicendo che quella sì che era una
data da segnare sul calendario -, perché è stato lui a ritrovare la sua
migliore amica in biblioteca, nel Reparto Proibito, accovacciata per terra,
scossa dai singulti, con gli occhi azzurri del tutto sgranati.
Nel
letto davanti al loro, intanto, Remus Lupin si è appena addormentato ed i suoi
amici si sorridono a vicenda; lasciano un pacchetto di Cioccorane sul comodino,
salutano le altre ed escono. Poi Sirius rientra, perché ha lasciato la
bacchetta sul letto di Remus, e decide di avvicinarsi al letto della compagna.
«Sta’ tranquilla, MacDonald. Quel cazzone avrà vita dura, d’ora in poi.
Ah»,
s’interrompe, sorridendole leggermente ed affondando una mano nella tasca dei
pantaloni: ne tira fuori un’altra Cioccorana e gliela mette nel palmo libero. «mangia un po’
di cioccolata. Con Remus funziona sempre».
La
ragazza dai capelli scuri annuisce con aria assente, probabilmente non l’ha
nemmeno ascoltato, e Lily non sa se ringraziarlo o meno; infine, sceglie che
sia Mary a deciderlo, quando si sentirà meglio.
I
fuochi d’artificio esplodono nel nero del cielo, sopra i loro sorrisi appena
accennati, colorando gli occhi dei due di mille colori: giallo, verde, rosso,
argento e tanti altri. È come se il cielo fosse una tavolozza di colori, come
se gli occhi loro fossero le mani che tengono il pennello, come se i loro cuori
fossero le tele da dipingere.
Il
pollice destro di Mary accarezza dolcemente il dorso della mano sinistra di
Sirius, che sorride impercettibilmente.
«Hai già espresso un desiderio?» le chiede, cercando di mostrarle tutte le
sue conoscenze sulle usanze babbane. Lei scoppia a ridere e lui si corruccia. «Che c’è?».
«Il desiderio si esprime quando si vede una stella cadente, non un fuoco
d’artificio» gli
spiega, e lui si sente un idiota.
«Eh, vabbe’. Tu esprimilo lo stesso!» l’assilla Sirius, frustrato.
«Okay».
Mary chiude gli occhi e muove le labbra, mentre parole invisibili si dissolvono
nell’aria prima di arrivare alle orecchie di Sirius. Poi il viso di lei si
scioglie in un sorriso, e Sirius pensa che, forse, è quella la stella cadente
che attendeva di vedere.
«Che hai chiesto?»
domanda, curioso.
«Non posso dirtelo, ma non è niente di che. Tutto quel che voglio ce
l’ho già, alla fine»
sussurra appena.
Sirius
annuisce, ma lui ancora non ha tutto: dov’è la certezza che niente cambierà?
Spera che il suo desiderio si avveri e cinge con un braccio le spalle esili di
Mary mentre, davanti ai loro occhi, esplode l’ultimo fuoco d’artificio.
Le
dita di Mary sono intrecciate al filo candido di un palloncino azzurro; ha il
sorriso sulle labbra e gli occhi troppo allegri per una ragazza così coinvolta
nella guerra. E lei lo sa, ma continua a sorridere anche solo per contagiare
gli altri, non solo per sé.
«Ti piace?».
Sirius
sposta lo sguardo dalla vetrina che stava osservando e si gira verso di lei.
Inarca le sopracciglia, divertito, e le chiede: «Cosa stai facendo con quel coso?».
«Pensavo»
risponde, vaga.
«A quello?».
Se possibile, le sopracciglia di Sirius scattano ancora di più verso l’alto;
pensa che tra poco scoppierà a ridere sguaiatamente, ma per ora cerca di
resistere, perché le botte di Mary fanno male – diamine, ricorda ancora il
livido che gli aveva lasciato dopo avergli tirato un pugno al quarto anno!
Mary
scuote la testa, continuando a sorridere. «Nah. Al fatto che, però, assomigliamo a dei
palloncini. Ci hai mai pensato?».
«Sinceramente? Mai».
«Tsk. Questo perché sei un idiota» lo sfotte, riprendendo subito dopo: «Ma vedi, noi
siamo simili ai palloncini più di quanto crediamo, soprattutto in questo
periodo. Loro vengono gonfiati, noi nasciamo; loro vengono legati ad un filo,
così da poter decidere le loro mosse, e noi veniamo educati e cresciuti dai
nostri genitori secondo le loro convinzioni. E poi puff!, basta un nonnulla per farli scoppiare, così come bastano due
semplici parole per togliere a noi la vita». La cosa più disarmante di quel discorso è
il sorriso che ancora persiste sulle labbra della ragazza; Sirius è
agghiacciato dalla piega che ha preso la conversazione, da come la sua ragazza
riesca a collegare cose dolci come un
palloncino ad altre macabre come la guerra.
«Tu non stai bene»
sentenzia infine, fingendo che ciò che Mary ha detto non l’abbia toccato
minimamente.
E
lei sembra non curarsene ed annuisce di buon grado, afferrandogli la mano e
intrecciando le dita con le proprie. Sirius sa che se Mary continuerà a
stringergli la mano a quel modo, non scoppierà.
Stare
con Sirius è come un salto nel vuoto e Mary lo sa bene. E’ un Auror, fa parte
dell’Ordine della Fenice ed è un traditore del suo sangue; lui è tutto, ma non
è un porto sicuro.
Per
certi versi le ricorda i tuffi in mare, quando si deve saltare dall’alto ma
ridi comunque, perché sai che ci sono davvero pochissime possibilità di farti
male; Sirius è un salto, è un tuffo nel buio: non sai come finirà, in quel
momento ridi e basta perché vuoi vivere e vuoi viverlo, ma con lui ci sono tante possibilità di rimanere feriti.
Con
lui è facile cadere e rompersi la testa, ma lei pensa che, in fondo, è meglio
rompersela e poi curarsela piuttosto che fasciarsela prima di cadere. Ma ciò
non cambia le cose: Sirius è un rischio e lo sarà sempre.
Mary
lo sa, ne è consapevole, ma dopotutto in salti nel vuoto le sono sempre
piaciuti.
Mary è sdraiata a pancia in sotto sul suo
letto, in dormitorio, sfogliando una rivista babbana che le ha prestato
un’amica di Tassorosso. Lily, che dall’anno scorso è un Prefetto di Grifondoro,
è dovuta andare alle riunioni organizzative, e in questo l’amica la sta
aspettando per andare a cena.
«Avete visto quant’è bello Sirius Black,
ragazze?» chiede ad un certo punto Vicky Owen, una delle ragazze con cui lei e
Lily dividono il dormitorio.
Mary le lancia un’occhiata di sottecchi,
un po’ perché non vuole ammettere che è vero, un po’ perché sa che sennò dovrà
far parte di tutto il discorso, con
annessi e connessi.
«Guarda che era così anche prima delle
vacanze di Natale, Vicky!» ride Abigail, un’altra ragazza del loro anno dai
capelli biondi e gli occhi scuri.
«Sì, ma prima stavo con Brian, non è che
guardassi molto gli altri ragazzi… Cioè, li guardavo, ovvio, ma principalmente
pensavo a Brian. E be’, pensavo di fare un po’ di amicizia con Black, mh?»
continua Vicky, mentre Mary non sa se ridere o dare di matto.
Da una parte, quel che sta dicendo Vicky
le dà piuttosto fastidio, perché dopotutto non è piacevole sentire le proprie
compagne di stanza parlare così del ragazzo che – l’ha appena scoperto – ti
piace. Dall’altra, però, pensa che forse dovrebbe riderne, perché di piangere
non se ne parla nemmeno.
Mary non si è mai vista bella, al massimo
carina, ma nulla di più. I problemi dell’anno precedente, poi, non hanno
facilitato le cose: l’attacco di Mulciber, le crisi che ha comportato, i pianti
nascosti agli occhi di tutti. Di stare ancora male, per qualunque ragione, non
ne vuole sentir nemmeno parlare.
«Boh, non so. Peter una volta, mentre
parlavamo in Sala Comune – ma te l’ho detto che gli piaccio, a Peter? Comunque
dicevo… Ah, sì, mentre parlavamo in Sala Comune mi ha detto che a Black già
interessa una» ribatte Abigail, meditabonda.
«Ah…» borbotta allora Vicky, ma poi si
rallegra ancora. «E Jason Belby, di Corvonero?».
Nel frattempo, Mary pensa di essere
assolutamente ridicola a trattenere le lacrime solo per colpa di Sirius Black.
Al
massimo, darò la colpa al ciclo. Dopotutto dà fastidio – fa male – anche quello, no?
Alcuni
timidi raggi di un tiepido sole appena sorto s’introducono dolcemente dalle
fessure delle tapparelle, che li filtrano nella stanza, striando il buio di
essa con linee chiare e dorate come la crosta del pane appena tostato – forse
solo un po’ più rosata.
La
mano di Sirius si posa su un fianco di Mary e lo stringe possessivamente, senza
accorgersene. Lei mugugna nel dormiveglia in cui è immersa e sorride
istintivamente; la mano di Sirius è calda sulla pelle lasciata scoperta dalla
canotta bianca, un tocco delicato sulla pelle morbida.
Mary
si rigira sotto il lenzuolo color lavanda e affonda il viso nell’incavo del
collo dell’altro, nascondendo il naso tra i suoi capelli scuri. Sirius si
muove, un po’ infastidito, ed apre lentamente gli occhi; lentamente si abitua
alla flebile luce della stanza e sorride contro la fronte chiara della ragazza.
«Ehi»
sussurra con la voce impastata dal sonno appena concluso. È un capriccio, il
suo: vuole solo vedere ancora i suoi occhi arrossati appena svegli e il sorriso
leggermente ebete che ha stampato in faccia ogni mattina quando si alza.
Mary
apre prima l’occhio destro, poi il sinistro; li strizza e li riapre, e a Sirius
sembra un pulcino spaurito e un po’ tonto.
«Sei un pulcino tonto» le dice, senza riuscire a trattenersi.
Le
labbra carnose di Mary si distendono nel sorriso tipico che Sirius adora
vederle la mattina e ne escono frasi che è solito sentire, come: «E tu sei un
cane demente».
È
solo un capriccio, quello di vederla in certe condizioni, ma se a Mary va bene
così, che problema c’è?
Era un capriccio di entrambi, alla fine.
I
pregiudizi, si sa, sono alla base di ogni cosa. Se in una cosa ci credi, è così
e basta. Se non ci credi, possono dire quel che ti pare, ma tu sei di quel parere
lo stesso.
Che
Sirius sia un idiota, un coglione, un lunatico, un rompipalle e tante altre
cose – che, diciamocelo, non sono poi tanto carine – Mary ne è convintissima.
Con quel suo sorriso demente, quel suo carattere lunatico – prima è felice come
una pasqua, ma nel giro di un minuto ti può mettere il muso per chissà cosa –,
gli occhi di un colore triste come il grigio.
Seduta
accanto a Lily al loro solito banco vicino alla finestra, Mary scrive su un
foglio i pro e i contro di Sirius. Inutile dire che la lista dei contro è
decisamente più corposa dell’altra. Si picchietta la penna sul mento e la
campanella suona; butta la penna nella borsa e prende in mano il foglio, con
l’intenzione di riguardarlo durante la strada per il dormitorio.
Si
ferma sulla soglia della classe e aspetta l’amica. Mentre sta appallottolando
la lista, quella le cade e subito arriva qualcuno a raccoglierla, come se fosse
stato sempre lì – e forse, pensandoci bene, Sirius potrebbe davvero essersi
appostato.
«Tieni. E sbrigati, che sabato è tra due giorni» le dice
semplicemente e Mary si sorprende di pensare che, effettivamente, il suo
sorriso non è tanto ebete. Ed il colore dei suoi occhi – tutto sommato – non è poi così brutto e triste.
Lui
se ne va, regalandole un altro piccolo sorriso, e Mary sente i propri
pregiudizi, le proprie convinzioni sbiadire lentamente, lasciandosi dietro solo
le briciole di quel che ha pensato di lui per sei anni.
Non appena si sente la campanella suonare
con allegria la fine dell’ora di Pozioni, Mary getta alla rinfusa le sue cose
nella borsa e, dopo aver salutato frettolosamente Lily, si precipita fuori,
dietro ad una testa corvina che ben conosce.
«Siriu— Oh, diamine, fermati!» sbotta,
vedendo il ragazzo accelerare il passo. «Non puoi ignorarmi per sempre, okay?».
Il ragazzo si arresta, ma rimane fermo lì,
davanti a lei, dandole le spalle. Poi dice: «Tu dici?» e si gira, ghignando.
La ragazza ricambia il ghigno e ribatte: «Sì,
dico, visto che mi hai appena parlato».
Sirius spalanca gli occhi, rendendosi
conto di aver appena fatto la figura dell’idiota, ma si ricompone in fretta e
ostenta distacco. L’ha delusa, lo sa, lei gliel’ha detto due settimane prima, e
a lui non è andato del tutto giù; così ha smesso di parlarle da quella volta,
da quando lei gli aveva chiesto di uscire e lui aveva detto di no. L’unica vera
ragazza che abbia mai avuto risale a due anni prima: si chiama Claire, di
Tassorosso, e lei lo aveva lasciato dopo tre settimane per mettersi con uno che
a quel tempo faceva il settimo. C’è rimasto male e non gli va di legarsi a
qualcun altro: perché lui lo sa, sa che si legherebbe facilente a Mary, se si
mettessero insieme, e da quando è stato scaricato ha preso l’abitudine a
lasciarle lui, le ragazze, prima di affezionarvisi troppo. Solo che Mary è sua
‘amica’ da un anno, sono già legati.
«Che vuoi?».
«Volevo chiederti scusa. Non avrei dovuto
proporti di uscire» risponde semplicemente lei, abbozzando un sorriso. «Senti.
Mi dispia—».
«Se stai per dire che ti dispiace giuro
che ti Schianto» esclama Sirius ad un certo punto, allargando le braccia. «L’hai
fatto, non ti dispiace, il problema non è quello. Okay?».
«E allora qual è il problema?» chiede
Mary, inarcando le sopracciglia.
«Non voglio affezionarmi a te, okay? Non lo
dico perché… perché sei tu. Cioè, sì, lo dico per questo. Oh, senti, vaffanculo»
finisce con il mormorare a testa china, ma poi la rialza e parla a voce alta e
chiara: «Litigare è inutile, ba’. Vuoi uscire? Usciamo».
E la prende per un braccio, trascinandola
verso il portone di quercia dell’ingresso.
«Ma che… Oggi non si può andare ad
Hogsmeade!» protesta infine Mary, dopo un attimo di stordimento. Ma che sta succedendo?
«Siamo maggiorenni, Mary. E anche io
voglio uscire con te, quindi che si fottesse tutto il resto».
Le
mani di Mary tremano violentemente e stringono in modo possessivo il bordo del
pesante maglione che la ragazza indossa. Ha gli occhi socchiusi e Sirius sa per
certo che lei ha già capito cosa vuole chiederle, ma decide di tentare lo
stesso, perché magari è la volta buona.
Hanno
diciassette anni, stanno assieme da quasi due mesi, tra poche settimane saranno
passati due anni da quello. Perché
lei non vuole aprirsi con lui a riguardo?
«… be’, volevo chiederti se ti andava di
parlarne» finisce Sirius, guardandola con attenzione.
«Parlare di cosa, esattamente?» chiede
lei, con la voce decisa ma al contempo incrinato da qualcosa che Sirius non può
comprendere appieno.
«Di… di quel che è successo in biblioteca
con Mulciber, Mary».
Mary spalanca di scatto gli occhi e Sirius
quasi si spaventa di ciò; la ragazza ha la mascella contratta come se si stesse
sforzando dall’urlargli contro le peggiori cose di questo mondo e quest’altro.
«Non ne voglio parlare».
«Ma, Mary…» inizia Sirius, ma Mary si alza
in piedi rapidamente e, dopo avergli detto che doveva smetterla di insistere,
se ne va a passo veloce. Lui non può che guardarla fuggire per l’ennesima volta
davanti a quella domanda. Ma sa che, prima o poi, riuscirà a far sì che lei si
fidi completamente di lui – perché ci tiene davvero e lui farà di tutto per
farglielo capire.
Ogni
volta che guarda l’orizzonte, una sensazione d’impotenza la coglie
all’improvviso, stordendola leggermente. È l’essere così dannatamente piccola
rispetto al mondo, si ripete ogni volta Mary, ma in realtà ha semplicemente
paura dell’enormità del mondo in cui abita – così ampio e vasto, così pieno di
sorprese felici e drammatiche.
Ha
delle buste in mano, Mary, ed è appoggiata al muro di uno dei palazzi della
Londra babbana, aspettando che Sirius esca dal negozio di accessori
motociclistici in cui è entrato, mentre la pioggia scende dal cielo e le gocce
s’infrangono sull’asfalto. È lì dentro da quasi venti minuti, ma Mary, coperta
dalla pioggia da uno dei balconi del palazzo, non dice niente, perché la mania
di Sirius è divertente – sentirlo ciarlare per ore a riguardo è divertente, in
un certo senso. O almeno lo è, quando Sirius gesticola a più non posso cercando
di imitare i gesti che si fanno quando sei in sella ad una moto – o quando la
fa salire sulla schiena e dice di essere la sua Harley Davidson, facendola
ridere mentre lui corre per il giardino come se dovesse far divertire la
propria bambina.
La
pioggia si fa sempre più insistente e scrosciante e Sirius finalmente esce dal
negozio; non ha buste o un nuovo portachiavi, porta con sé solo il suo sorriso,
e anche Mary si sente felice di riflesso. Perché quel sorriso le piace da
matti, così sincero e leggermente infantile che le dà l’impressione che non ci
siano orizzonti infiniti ed impossibili da raggiungere – perché è questo che
prova quando vede Sirius sorridere così, e le sembra ogni volta di vedere le
scintille volare; forse è l’amore, forse è solo il senso di invincibilità che
le infonde quel semplice incresparsi di labbra.
Sirius
le sorride e la prende per mano, conducendola lungo la strada, stando attento a
non farla bagnare. E poi lei si ferma e lo tira per una manica, facendolo
voltare; fa scivolare i manici delle buste fino al gomito e posa le mani sul
volto di lui, posando le proprie labbra sulle sue. È soltanto un semplice
sfiorarsi, ma lei si sente evadere da quel mondo fatto di urla di persone
innocenti e di orizzonti sempre troppo lontani.
Non
ha paura di pronunciare quella parola, Sirius: potrebbe urlarla davanti a tutto
il mondo senza scomporsi più di tanto, perché ciò non lo intimorisce. Morire
per qualcosa, per qualcuno che ama va
bene; è una cosa che va al di là dell’orgoglio o della voglia di gloria, è un
impulso che ti coglie all’improvviso quando capisci che l’oggetto o la persona
che reclama il tuo amore è in pericolo. Che sia James, che sia Lily, che sia
Mary, che sia Peter, che sia Remus, che sia qualcuno dell’Ordine non ha importanza:
come dice spesso Silente alle riunioni, morire
per salvare l’amore è bello. Il Sirius di undici anni avrebbe timore di
morire, di sentire il proprio cuore cessar di battere e le proprie membra
scontrarsi con il pavimento, ma il Sirius diciannovenne pensa che per le
persone che ama non sarebbe troppo.
Non permetterà che la guerra gliele porti via, le salverà anche a costo di
perire lui stesso, se l’è ripromesso. La guerra non distruggerà l’amore per i
Malandrini, per Mary e per Lily – tutto questo partirà con lui quando giungerà
il momento. Sirius non ha paura della guerra, ma di perdere chi ama. Sirius
darebbe la vita per James, darebbe la vita per Remus, darebbe la vita per
Peter, darebbe la vita per Lily. Sirius darebbe la vita per qualcuno, così come
la darebbe per Mary.
Tempo un anno e mezzo, e Sirius si
chiederà dove si fosse trovato, perché non fosse stato presente quando la
guerra si portò via Mary.
La
teiera che è sul fuoco da tre minuti inizia a fischiare e Sirius chiama ad alta
voce Mary, chiedendole di scendere per fermare l’orribile suono emesso
dall’oggetto che la ragazza si è portata dietro dalla casa paterna. Sirius le
ha detto più volte che non è adatta ad una casa in cui vive anche lui, che è
troppo femminile, con quel suo metallo laccato di rosa confetto ed i fiorellini
a decorarlo, ma lei ribatte sempre che non è vero, che è meravigliosa.
«L’unica cosa che fa bene è il tè» borbotta Sirius, quando la propria ragazza entrò
in cucina con i capelli appena lavati raccolti in una coda fatta sul momento.
«Smettila»
lo ammonisce lei, togliendo la teiera dal fuoco e versando l’acqua calda in due
tazze con già la bustina aromatizzata dentro. «Non lamentarti tanto, visto che poi quel che
fa te lo bevi anche te».
Si
siede sulla sedia davanti a lui, ridacchiando da dietro i vapori che escono
dalla tazza, e lui inizia a bere dalla propria.
«Tsk. È buono, ma c’è di meglio».
«Ma smettila, che è una meraviglia!» ribatte lei, contrariata. «Se non ti
piace, poi, non lo bere. Non mi offendo mica».
«No, no, lo bevo»
dice Sirius, facendola sorride ancora.
Non
lo dirà mai, ma il tè di quella teiera è meraviglioso davvero, come è
meravigliosa la vita assieme a Mary.
È
seduto su una delle sedie scure di Grimmauld Place n. 12 ed ha in mano una
foto; con le dita ne stringe convulsamente i bordi, che sono rovinati per via
delle troppe volte che è stata maneggiata, accarezzata, sfiorata anche per
sbaglio, guardata, pensata.
Una
ragazza dai capelli scuri e gli occhi chiari ride, nella foto, e salta sulla
schiena del ragazzo che è con lei; assomiglia tanto a lui, e, se dietro la foto
non ci fosse scritto, con la calligrafia elegante di Lily, “Sirius&Mary,
perché al peggio non c’è mai fine”, non riuscirebbe a credere che quello sia
davvero se stesso.
Sirius
sfrega nuovamente il pollice sulla carta traslucida della foto e la ragazza
ride ancora: gli sembra di sentire la risata trillante di Mary lì, vicino a
lui, ma capisce che è solo il suo ricordo ad essere vicino – sempre.
Mary
pesca una carta dal mazzo, la guarda e poi la posa sul tavolo, in cima ad un
altro mazzetto. Sirius legge La Gazzetta
del Profeta e le lancia alcune occhiate di tanto in tanto. La ragazza
strizza gli occhi sulle carte e poi sbuffa, ri-ammucchiandole tutte per
riformare il mazzo originale; poi ricomincia il gioco di prima e Sirius chiude
definitivamente la rivista, andandosi a sedere per terra accanto a lei.
«Cos’è?» le chiede, osservando con aria
critica lo strano gioco di carte.
«Un solitario» risponde Mary, stringendosi
nelle spalle senza staccare gli occhi dalle figure che pesca.
«Uhm. Interessante» conviene Sirius,
schioccando poi la lingua sul palato. «E sarebbe?».
«Un gioco di carte».
«Questo lo vedo… In cosa consiste?».
«Non ci provo nemmeno a spiegartelo,
guarda, è già la sedicesima volta che me lo chiedi» sospira lei, così da
ricordargli tutte le altre volte che gliel’ha chiesto.
«Non esagerare, non sono sedici. Al
massimo saranno—».
«Diciassette, hai ragione» annuisce lei, e
Sirius, come al solito, le mischia tutte le carte, facendola andare su tutte le
furie. «Black!».
L’incantesimo
rimbalza contro lo scudo magico evocato da Mulciber e perde lo scontro; la mano
di Mary, quella che stringe la bacchetta, è ferma, ma, dentro, la sua
proprietaria è tutta un tremolio: la consapevolezza la distrugge da dentro, sa
che sta per arrivare ciò che era ovvio arrivasse, ma nonostante tutto non è
ancora pronta a perdere ciò per cui ha lottato fino ad ora.
Sirius
non è lì con lei, è di pattuglia per l’Ordine – accanto a lei ci sono Lily –
con la pancia di quasi cinque mesi, ormai – e Remus, che lottano anch’essi
contro altri Mangiamorte.
Hai venti anni, Mary, non puoi morire
così, non puoi morire a quest’età –
pensa, cercando di infondersi forza e coraggio.
Mulciber
ghigna e la ragazza sa che no, non c’è niente da fare. Non può sfuggire, non
può fare nulla se non tirare fuori l’orgoglio. E sì, le toglieranno la vita, ma
solo quello. Il suo ricordo rimarrà impresso nelle menti di Lily, di James, di
Peter, di Remus, di Sirius. E le va bene così: in fin dei conti, la sua più
grande paura è venir dimentica. Ma sa che non sarà così e ciò le basta.
Nei
suoi occhi azzurri si fa largo una scintilla e il sorriso di Mucliber si
inclina un poco – non vuole che lei muoia così, con un principio di sorriso,
deve morire chiedendo pietà. Ma lei
non lo fa, non lo farebbe mai.
«Sapevo che eravate valorosi, voi Grifondoro, ma certe volte il vostro
valore raggiunge l’idiozia»
dice Mulciber, lanciando un altro lampo di luce verde acido verso la ragazza.
Mary
evoca un Protego e poi scoppia a
ridere, guardandolo orgogliosamente. «Tu di sicuro ne sai molto di idiozia, visto
che tu sei l’idiozia fatta persona».
È
solo un attimo, mentre lei ride, sprezzante ed orgogliosa, che Mulciber sferza
l’aria con la mano e dalla sua bacchetta fuoriesce l’ennesimo guizzo luminoso e
dalle sue labbra l’ultima sentenza: «Avada
Kedavra!».
Il
lampo passa sotto il suo braccio teso e la colpisce al petto. I suoi occhi si
sgranano, ma conservano al loro interno l’orgoglio ed il valore di prima, che
l’han caratterizzata fino ad allora. L’ultima cosa che sente è l’urlo di Lily,
della sua migliore amica, e poi cade a terra.
«Le han tolto la vita, ma non sono
riusciti a prenderle l’orgoglio3», dirà Lily, vedendo l’amico singhiozzare sulla
poltrona con le mani tra i capelli.
Per un
secondo, Sirius sente un sibilo proprio accanto all’orecchio; non fa in tempo a
girarsi che la risata di Mary riecheggia per il parco. Due bambini si voltano
verso di loro, perplessi, ma poi vengono richiamati dalle loro madri ed essi
corrono felici verso le loro braccia aperte.
«Che fai?» le chiede, avvicinandosi.
«Ti lanciavo una palla di neve, no?».
«Già» commenta semplicemente Sirius, prima
di distendere le labbra sottili in un ghigno appena accennato. «Hai sempre
avuto una pessima mira» aggiunge, e Mary, che nel frattempo gli si è fatta
vicina, gli si aggrappa al collo, facendolo cadere a posta per terra, sull’erba
ghiacciata e ricoperta di neve. «Mary!».
«Mmh» gli borbotta, posandogli un bacio
leggero all’angolo destro della bocca.
«Mmh» le fa il verso lui, portandosi una
mano dietro e raccogliendo della neve; poi, con un gesto rapido, mentre Mary fa
per baciarlo di nuovo, gliela spiaccica sulle labbra, lasciandola basita. «Ti
piace la neve, eh?». Scoppia a ridere, e Mary con lui, mentre stavolta è Sirius
a posare le labbra sulle sue, fredde e gelate per colpa della neve.
Mary
pigia il pulsante della macchina fotografica e un flash acceca per un attimo
James, Lily e Sirius, che, vestiti elegantemente, sono in posa davanti
all’altare pieno di fiori. All’anulare sinistro della sua migliore amica, un
anello nuziale cattura la luce di un sole settembrino; James ne ha uno uguale e
sembra il ritratto della felicità, con un sorriso radioso sul volto. Sirius ha
un braccio sulle spalle dell’altro e fa un sacco di facce buffe, facendo
infuriare Mary, che vorrebbe solo avere una foto normale del matrimonio di
Lily.
«Smettila di fare il giullare, Sirius!» lo sgrida Lily, ridendo. Mary sorride,
felice che lo sia l’amica. «Solo una foto, e poi puoi ricominciare».
«Certo che ce le siamo scelte proprio bene, Prongs. Con un grande senso
dell’umorismo, poi»
ridacchia Sirius, scostandosi una ciocca scura da davanti agli occhi.
Poi
piega le labbra in un vero sorriso e la macchina fotografica emette un altro
accecante flash. I tre si girano verso Mary, che guarda allegramente una
fotografia appena scattata.
«Be’, aveva smesso per un attimo di fare ‘il giullare’» inizia,
prendendo un po’ in giro il modo di parlare dell’amica, facendola ridere
ancora, «perciò
ho scattato. Siete stupendi».
Sirius
sbuffa e borbotta qualcosa che somiglia vagamente ad un «Che traditrice…», mentre la
madre di Lily arriva lì velocemente e le prende la macchinetta.
«Va’ anche tu, faccio io la foto, dopotutto sei di famiglia, ormai. No?».
Mary
annuisce e si mette in accanto a Sirius e sorride, e prima del flash lui le
mormora all’orecchio che a casa gliela farà pagare. Il flash la prende mentre
scoppia a ridere, ma va bene così.
I
genitori lo hanno sempre messo in soggezione – con quei loro sguardi
indagatori, da parte della madre, e intimidatori, dal padre. Anche in quel
momento, mentre la signora MacDonald gli dice che la troverà in balcone con la
sorellina.
Annuisce
e va via rapidamente; sale le scale dell’abitazione ed imbocca la seconda porta
a destra. La camera di Mary ha le pareti di un bianco sporco ed il letto dalle
lenzuola di un pallido color lavanda, lo stesso profumo che aleggia tra quelle
quattro pareti; i muri sono pieni di foto – di lei e Lily, di Hogwarts, della
famiglia, di loro due assieme, di paesaggi che lui non ha mai visto e tanti
altri soggetti – e sul comodino c'è una sciarpa rosso-oro.
Per
sbaglio, mentre avanza nella stanza, quasi inciampa in una borsa lasciata a
terra ed attira lo sguardo delle due ragazze sedute in balcone.
«Sirius? Non dovevi arrivare tra più di
mezz’ora?» chiede Mary, e Sirius
inarca le sopracciglia.
«Non mi vedi da sei giorni e la prima cosa
che mi dici è questa? Ma che ragazza sei, scusa?».
«State insieme?» domanda invece la bambina
di nove anni accanto a lei; ha i capelli biondi, ma gli occhi sono azzurri e
grandi come quelli di Mary, solo che più innocenti.
Mary annuisce con aria allegra e risponde:
«Già, Eleanor».
«Sei Remus Lupin?» chiede ancora, un po’
sospettosa, girandosi poi ancora verso Mary. «Ma Remus non aveva i capelli
chiari?».
Sirius spalanca la bocca, mentre Mary
sogghigna. «No, lui si chiama Sirius. Ora vi lascio un attimo soli, che devo
andare a prendere una cosa in salotto» e così dicendo si alza ed esce,
sfiorando la spalla di Sirius con la propria.
Quando non sentono più i passi di Mary,
Eleanor si alza e gli si avvicina.
«Sei bello» decide infine, guardandolo con
attenzione. «E stai con Mary». Sirius annuisce, scombussolato e incuriosito. «Quando
vi sposate posso fare la damigella?».
A quella domanda, Sirius non può che
scoppiare a ridere ed annuire, mentre Mary, da dietro la porta, sorride.
Lo
brucia da dentro: Sirius sente il cuore andare a fuoco ad ogni bacio, ad ogni
carezza scambiata dietro un arazzo per essere sicuri di non essere visti, o in
riva al Lago con la brezza primaverile che sferza i loro volti ed i piedi
immersi nell’acqua fredda.
Sente
un calore all’altezza del petto ad ogni sguardo, perché avere le sue iridi
azzurre puntate nelle proprie è un qualcosa di troppo bello per non aver paura,
anche solo per un istante, di scoppiare da un momento all’altro, di bruciare
come una stella in quel cielo che sono i suoi occhi chiari.
È
lei: è lei che brucia come il sole. E Sirius non può distogliere lo sguardo,
perché quel bruciore lo fa sentire bene.
Ogni giorno è un nuovo fuoco all’interno, è un sole che albeggia nel suo cuore
e non tramonta mai. Se le fiamme dell’inferno bruciassero così, a Sirius non
dispiacerebbe poi tanto andarvi.
«Suoni bene la chitarra» se ne esce un giorno
Mary, uscendo in giardino dalla porta della veranda. «Hai talento».
«Dici davvero?» chiede Sirius, perché
dopotutto lui adora ricevere complimenti.
Mary ghigna: «No», e torna rapidamente
dentro casa, ridendo.
E Sirius sorride, perché magari non è un
talento con la chitarra, ma riesce sempre a farla ridere e questo basta.
Sirius
posa le labbra sulle guance di Mary, privandole delle lacrime che fino a pochi
secondi fa le rigava; è un tocco dolce e delicato che poi va a posarsi sulla
bocca di Mary, che ha gli occhi pieni di lacrime ed una voglia matta di smetterla.
Respirare
è semplice: socchiudi le labbra e aspetti che vi penetri l’aria. Questo lo
sanno tutti, ma ci sono momenti in cui tutto sembra complicarsi, anche qualcosa
di semplice come quell’azione del tutto spontanea. Senti la bocca che ti si
chiude, il respiro farsi affannoso ed un peso nel petto, dove ci sono i
polmoni. Ci sono volte, invece, in cui senti come se il mondo ti stesse cadendo
addosso e vorresti solo farla finita e liberarti finalmente di quel peso che
non fa che causarti dolore.
Ma
ci sono persone che sono come soffi di primavera in giornate afose, labbra che
quando sfiorano le tue riescono a far sfumare tutto, qualunque cosa ti faccia
star male.
Mary
risponde al bacio, aggrappandovisi con tutte le sue forze – cerca di cancellare
l’immagine del Marchio Nero sul tetto della propria casa, usando le labbra di
Sirius come se fossero una gomma. A Sirius va bene, basta che la faccia
smettere di piangere.
Sirius
è la gomma che le serve quando sta male, Sirius è un’ancora a cui aggrapparsi
quando senti che stia andando tutto male. Mary non può non amarlo, e forse lo
amerebbe anche se lui non facesse ciò. Dopotutto, amare Sirius è facile e
spontaneo come respirare.
La
neve cade lentamente dal cielo di un grigio piombo e si posa delicatamente
sull’asfalto di High Street, la via principale di Hogsmeade. Mary è seduta su
una panchina, il collo avvolto in una sciarpa di lana rossa ed in testa un
cappello del medesimo colore; Sirius ha insistito perché lei lo aspettasse
fuori, dicendo di volerle fare una sorpresa. Inizialmente non si è fidata del
tutto, ma poi lui le ha promesso che non avrebbe fatto niente di male ed è
entrato a Mielandia. Ormai lo sapeva mezzo dormitorio Gryffindor che la ragazza
adorava le caramelle.
«Ehi, MacDonald, come mai tutta sola soletta?» chiede una
voce, e a lei si rizzano i capelli sulla nuca.
Più
che odiarla, quella voce le fa paura; ogni volta che la sente, le ritorna in
mente una sera del suo quinto anno, quando era rimasta in biblioteca un po’ più
del previsto e si era imbattuta in Mulciber: lui aveva ghignato e si era
avvicinato, dicendo qualcosa a riguardo del suo fidanzato dell’epoca, Chris
Martin, e sul fatto che lui non la meritasse, sebbene anche lei fosse una
Mezzosangue.
«Non sono sola»
ribatte lei, artigliando con forza l’interno delle tasche della propria giacca.
«A me sembra il contrario» disse lui, gelido. «Per caso eri con Black? Non so se sia peggio quel
Nato Babbano di Martin o Black il Traditore», aggiunse ironicamente. «Tu potresti
avere di meglio».
«Con ‘meglio’ non alludi a te stesso, vero?» chiede Sirius, uscendo in quel momento dal
negozio di dolciumi, le iridi lampeggianti e un ghigno sul volto. Quando fa
così, assomiglia davvero ad un Black, e non più solo per l’aspetto.
Mulciber
digrigna i denti e mormora: «Non sei nessuno, Black, dovresti mettertelo
in testa. Sei solo un traditore, non conti più nulla. Valgo dodici volte più di
te».
La
risata tagliente e sarcastica di Sirius sferza l’aria tesa che si è andata a
creare e Mary rabbrividisce al solo sentirla; poche volte ha visto Sirius così,
e ciò non è affatto piacevole. «Se è così, il mondo sta davvero cadendo in
malora. Cosa direbbero, poi, i tuoi fottutissimi genitori se ti vedessero ora,
a tentartela con una Mezzosangue? E ora,» prosegue, ignorando le ingiurie dell’altro,
«noi
andiamo».
Si
avvicina a Mary e le porge la mano; lei lo guarda un attimo, diffidente, ma poi
lui abbozza un sorriso e lei annuisce e la afferra. Sirius le passa un braccio
intorno alle spalle per averla più vicina e la ragazza sente distintamente
Mulciber affermare: «Vuole
solo una nuova puttana, Mezzosangue, tutto qui». Lei fa finta che la cosa non la tocchi
minimamente e tira avanti, fermandosi lontana dalla vista del Serpeverde.
«Se vuoi solo portarmi a letto dillo subito, Black» sibila.
Lui
scoppia in una risata del tutto diversa da quella di prima e dice: «Merlino, Mary,
ma devi sempre fare così? Guarda che se uno ti sta vicino senza chiedere
niente, non deve per forza avere un secondo fine! Mi è venuto naturale, tutto
qui».
Sirius
intravede gli occhi azzurri di Mary da dietro un cavallino di plastica di una
piccola giostra natalizia; nelle iridi chiare di lei si riflettono i ghirigori
dorati della giostra, mentre armeggia con i pulsanti del giocattolo, cercando
di farlo fermare.
«Quanto manca?»
domanda, corrucciato.
«E che ne so, io?».
«Sei tu che stai trafficando da secoli con quel coso!».
«E per caso noti dei cambiamenti?» chiede retoricamente lei, acida. Si scosta
una ciocca di capelli dal viso e sbuffa sonoramente, rizzandosi a sedere e
posandosi le mani sui fianchi. Ha le labbra strette, come a dover reprimere
un’imprecazione, mentre guarda trucemente la giostra.
Poi
Sirius scoppia in quella sua risata così simile ad un latrato e si alza in
piedi; sorpassa il soggetto dell’ira di Mary e si siede accanto a quest’ultima
e poggia le labbra sulle sue. Della voglia di aggiustare la giostra rimane ben
poco.
#16:
Breaking – Rotto.
Sirius non sa come mai la sua gabbia
toracica continua ad alzarsi e ad abbassarsi ritmicamente, come se stesse
seguendo l’andare di una melodia che un tempo aveva composto la sua vita ed ora
costituiva solo una sorta di marcia funebre per un qualcosa di passato, di
lasciato alle spalle, ma di mai dimenticato.
Sirius è convinto di avere qualcosa di
rotto dentro, nascosto tra le costole, ed è per questo che ogni battito che
rimbomba in quelle cella stretta e sudicia lo fa sempre sobbalzare dallo
stupore e dalla rassegnazione – perché ciò che è rotto ha ancora qualcosa di
integro, sfortunatamente.
E lui sa che è il suo cuore che
continua a scandire il tempo che passa dietro quelle sbarre e sotto le stelle,
che a volte vorrebbe fossero i suoi
occhi, solo per potersi così convincere di poterli ancora vedere. Sa anche che
l’ha amata, che l’ha amata più di qualunque altra cosa; lo aveva capito anche
James, quando gli aveva detto: «Lo so che la ami, si vede. A volte sono anche
invidioso, perché sì, io amo Lily, ma tu sei il mio migliore amico».
Ed il suo cuore rotto pompa ancora
qualcosa, ma non crede sia sangue: ha sempre la pelle fredda e pallida, perciò
saranno ricordi che i Dissennatori gli fanno ancora circolare dentro, così da permettergli di farsi del male
praticamente da solo.
E lui vorrebbe strapparsi il cuore dal
petto e scrivere sui muri neri con quel sangue che sa di ricordi; vorrebbe
ricostruire una vita passata a rincorrere la felicità anche nei periodi più
bui, a chiedere qualcosa ma volerne altre cento4 , passata tra le labbra e gli occhi di Mary e i
sorrisi degli amici.
Ma
se si sforza, a volte può decidere
cosa pomparsi nelle vene: e quando può, opta sempre per quei momenti felici,
per cercare di dimenticare il più a lungo possibile che ormai tutto quello non
c’è più, che è solo un qualcosa di rotto che vive in lui.
#1: Walking – Camminare.
La
vita è come un filo: delicato, fragile, sottile, ma allo stesso tempo è forte,
resiste alle intemperie della vita.
Vivere
è come camminare su quel filo: non sai quando stai per cadere, quanto
poco
basta per perdere l’equilibrio, quanto manca alla fine del filo, quali
ostacoli incontrerai durante la tua camminata, chi conoscerai, chi ti
aiuterà o chi
cercherà in tutti i modi di distruggerti.
C’è
gente che, su quel filo, ci cammina sbattendo i piedi, facendo vedere che non
ha paura di cadere, che quando arriverà la propria ora accetteranno tutto ciò
di buon grado, senza lamentarsi troppo.
C’è
gente che, su quel filo, ci cammina con attenzione, con la paura e la
consapevolezza di quanto è facile che esso si spezzi sotto i propri piedi,
facendoli crollare in quel buio che tanto temono.
C’è
gente come Sirius che, su quel filo, ci cammina cercando di allontanare le
altre persone dal buio e dal vuoto, preferendo di gran lunga cadervi loro
piuttosto che lasciar andare i cari.
«Non ti
lascerò cadere, Mary».
#29: Jewel – Gioiello.
Un
oggetto da cui Mary non si separa mai è un braccialetto dall’aspetto non molto
moderno che porta sempre al polso; è d’argento ed è leggero, come ha potuto
scoprire un giorno che la ragazza se l’è stranamente sfilato prima del solito.
È fatto a catena ed è piano di piccoli ciondoli: c’è una stella, una foglia, un
cuore ed un semplice cerchio con una M
incisa al centro. Non sa perché, ma quel tondo gli è sempre stato antipatico,
in un certo senso, ma Sirius non ha mai capito perché: che ha di strano un
cerchio? Cos’ha di particolare? Perché temere
segretamente una stupida figura geometrica? Sirius non è mai riuscito a trovare
la risposta a queste domande.
Sirius non ha mai capito che non
ne aveva paura, semplicemente lo invidiava: il cerchio di quel gioiello non ha
fine, mentre loro, lì, sì.
#50: Defeat – Sconfitta.
Le
urla di protesta dei Grifondoro e gli applausi entusiasti dei Serpeverde
regnano al campo da Quidditch; gli studenti della Casa rosso-oro gridano
qualcosa su un fallo o sul fatto che non poteva essere una coincidenza il fatto
che due dei loro Cacciatori siano ricoverati in Infermeria.
«Ma per favore, è ovvio che non è stato un caso!» grida una quattordicenne dai capelli castani e le guance rosse per
l’indignazione. «E
poi su, anche io so giocare meglio di Dottle!».
La
ragazza accanto a lei ridacchia e scuote la testa dai lunghi capelli rosso
scuro. «Non esagerare, non è stata tanto male, quella Serpeverde…» tenta di
farla ragionare, ma l’amica non sente ragioni e continua a protestare ad alta
voce, mischiando quest’ultima assieme a tutte le altre.
«Tsk! Giocate anche sporco, ma
tanto avete vinto una battaglia, mica la guerra!» continua a gridare, incurante del
fatto che nessuno la stia ascoltando a parte Lily.
«Mary, abbiamo solo perso una partita, dai» prova ancora la rossa.
«Avete finito di urlare come due galline?» chiede Sirius, seduto sul posto davanti al
loro, premendosi le mani sulle orecchie. «E poi tu, Evans, dici così solo perché
Mocciosus è della Casa che ha vinto!».
Mary
riesce a trattenere un sorrisino di vittoria, mentre Lily diventa rossa come i
suoi capelli. Le labbra della MacDonald si distendono in un ghigno e la mano
corre alla bacchetta: ogni motivo è buono per lanciare qualche incantesimo a
degli idioti.
«Stupeficium!»
dice con un tono di voce normale, sotto gli occhi agghiacciati degli altri due.
Mentre cade all’indietro, Sirius pensa che non dirà mai a nessuno che non è
stato solo il Grifondoro a subire una pesante sconfitta, quel giorno.
#41: Nowhere – Da nessuna parte.
Mary
lo faceva sentire bene, come se ci fosse stato un posto per lui anche quando
non c’era.
Ora,
senza Mary, Sirius sente di non appartenere a nessun posto, di non averlo avuto
mai.
È
come essere dovunque e, al contempo, non essere da nessuna parte.
Un
manto di foglie gialle, rosse e di un verde ormai spento formano un autunnale
tappeto sul viottolo che stanno percorrendo; alla loro destra, un fiume scorre
placidamente nel suo letto. Lo scrosciare dell’acqua lungo gli argini
artificiali è un rumore appena accennato ma rilassante che sembra quasi
cullarli in quel loro silenzio.
Sirius
ha le mani nelle tasche e cammina fischiettando un motivetto probabilmente
inventato sul momento; i capelli neri sono un po’ troppo lunghi e un principio
di barba sul viso dalla pelle chiara. Mary cammina in modo strano, camminando
dritta ma virando prima a destra e poi a sinistra – Sirius ha più volte dovuto
afferrarle un braccio per non farla cadere, infatti –; indossa un impermeabile
di un giallo sgargiante che fa quasi male agli occhi e che, sommato alle
calosce nere, la fa sembrare una stramba ape.
«Hai finito di camminare così?» le chiede finalmente lui con un
sopracciglio inarcato.
Sirius
si ferma, mentre Mary continua a camminare come prima come se niente fosse,
replicando: «Smettila
di fare lo scocciato e fai l’ape con me».
«Fare cosa?».
«L’ape».
«Ape, eh? E da quando camminano, le api?». Mary fa per rispondergli, ma prima che
possa farlo due braccia la sollevano per aria facendola ridere e sente Sirius mormorarle
all’orecchio: «Le
api volano, piccolo genio, non camminano».
«Ma io ero un’ape che cammina! Ero unica!».
«Sei sempre unica, perciò smettila di fare l’ape».
«Sei il solito rompiscatole».
«E tu la solita scema».
«Ti amo come l’ape operaia ama i suoi piccoli apini, sai?».
«Mary, le api operaie non fanno ‘piccoli apini’, quella è l’ape regina».
«Appunto».
#36: Sordid – Sordido.
Ha
i capelli sporchi, Sirius: la polvere si è attaccata ai crini scuri – anche un
po’ insanguinati, a dire il vero – e lui non sa come mandarli via.
Gli
hanno sempre detto che Azkban era orribile, ne ha avuto paura, ma solo ora
capisce quanto sia orribile. Non ti toglie solo le facoltà mentali, ma anche la
dignità e una parte di te – quei capelli che Mary aveva tanto amato, che
facevano parte di te e che godevano delle carezze lievi della mano di lei.
Non
gli sono stati tolti ricordi, non gli è stato tolto niente di simile. Ma i
momenti belli e felici sono stati trasfigurati in incubi ad occhi aperti,
mentre i momenti orrendi già di loro sono come amplificati.
Prima
si sentiva male, forte, ora si sente sporco.
Tutti lo considerano un traditore, ma lui non ha mai tradito nessuno, o almeno
non volontariamente. Tutti lo credono un pazzo, ma lui è pazzo solo di due cose
– di rabbia, verso Wormtail, e nonostante tutto d’amore, per Mary, James e
Lily. E per Harry, diamine, per Harry. Sebbene sia colpa sua – sua! Del suo padrino! – se non andrà mai
a comparare la bacchetta con i genitori, se non andrà a prendere per la prima
volta l’Hogwarts Express senza di loro. Harry ha perso tante cose a causa sua,
ma anche lui ne ha perse tante per propria colpa: ha perso Mary, l’opportunità
di salvarla e farla diventare madrina assieme a lui, di regalarle un matrimonio
e, magari, anche un figlio.
E
si sente sporco, Sirius, perché si è macchiato di innumerevoli colpe per cui
non è mai stato punito, mentre adesso è lì, a scontare qualcosa che non ha
fatto.
#49: Victory - Vittoria.
Si
sente leggero, Sirius, mentre perde l’equilibrio e cade nel velo che, da dietro,
lo attende. Si sente leggero, dopo tanto, troppo tempo; è come se quell’anima
spezzata si sia finalmente liberata dall’involucro che la teneva prigioniera.
Finalmente può cercare quell’altra, spezzata anche lei, che l’ha lasciato da
solo quindici anni prima. Finalmente può provare a vincere, a riaverla – senza corpo, solo due anime che non dovevano
separarsi così, che non dovevano separarsi e basta.
«Sirius».
La sua voce, così chiara e allo stesso tempo flebile, gli penetrerebbe nel
cervello; se avesse un corpo, Sirius avrebbe già iniziato a correre, per
stringerla tra le sue braccia. Ma è solo un’anima, impossibile da toccare, e
lei non è da meno.
Voci,
emozioni – niente di corporeo. Sirius si rende conto che le loro anime erano
legate, non loro. Se avesse delle
labbra con cui farlo, Sirius sorriderebbe – ed è sicuro che lo farebbe anche
lei.
«Mary».
Un
altro sussurro, un altro nome.
E
finalmente Sirius si sente completo – sente Mary accanto a sé, la sente dentro,
ed è certo che lei sia lì. Ora c’è solo un’anima, un’anima integra, compatta. E
hanno vinto: ci sono solo loro, insieme.
«Sei sempre stata accanto a me? Mi hai sempre aspettato?».
«Sempre».
1 - la canzone è questa, ma credo sia già parecchio conosciuta. ^^
2 - Flash vagamente ispirata alla canzone "Sparks Fly", di Taylor Swift.
3 - da "Pride (in the name of Love)", degli U2.
SIRIUS/MARY OTP.
Okay, ora che l'ho detto, possiamo andare avanti. Ho lavorato a questa storia per due
mesi, e sinceramente mi piace. A voi no? Shalla, a me piace da matti -
un po' perché loro due sono il mio Otp, un po' perché, comunque, ormai
mi ci sono affezionata molto.
I ringraziamenti, stavolta sono tanti.
Ad Hayley, perché non avete idea di quanto mi abbia confortata e sostenuta. Sei meravigliosa, sverghi.
A
Blankette_Girl, perché è una beta fantastica, e spero che le piacciano
anche le drabble/flash!fic che non le avevo inviato. Ehi, Ale, il 21 ti
sgualcirò a forza di abbracci.
A
Daphne, perché il suo 'Little-Genial-Teen' mi ha aiutata a superare un
po' il problema della bassa autostima. Silvia, smettila però, perché tu
sei una Genial-Teen e basta, okay?
A hug_, ehi, Francesca, te l'ho già detto che ti adoro?
A Wynne, lei, che nonostante sia per Sirius e Dorcas mi sostiene sempre e comunque. Anna, sei di una tenerezza e gentilezza assurda, ti voglio bene.
A Joes e JaneNoir, vi voglio bene, ragazze, senza di voi non sarei qui.
E ovviamente, grazie anche te, perché diciotto pagine non sono poche.
Eralery.