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Autore: Shari Deschain    16/01/2012    5 recensioni
«Quando hai intenzione di tornare?», continua lui, ignorandoti.
«Cosa?»
«Tornare. A casa. Quando hai intenzione di tornare a casa?», ripete Liam.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Sono dei bambini veri, quindi possederli sarebbe legalmente piuttosto complicato. Non conosco loro, i loro gusti sessuali, né cosa fanno nel tempo libero. Queste non sono altro che illazioni totalmente gratuite.
Note: Partecipa alla Criticombola per il prompt #78 “Una volta in più” e all’iniziativa estemporanea di Criticoni “sbornia”. 
Scritta giusto perché sono stanca di aspettare che i due idioti si decidano a tornare insieme *sbuffa*




Una volta in più






La prima cosa che fai, non appena ti svegli, è sporgerti quanto più possibile di lato e vomitare alcool e succhi gastrici dritto sul pavimento. 

Non il miglior buongiorno che ti potesse capitare, in effetti.
Quando finalmente finisci di svuotarti lo stomaco, torni ad abbandonarti contro lo schienale imbottito della poltrona. Sei rimasto lì tutta la notte, alternando veglia e sonno, alcool e sigarette. Ovviamente adesso sei ridotto ad uno schifo totale. 
A puro titolo di sperimentazione, provi ad aprire un occhio.
Poco al di fuori del tuo annebbiato campo visivo, il mondo sta sorgendo e il sole si sta svegliando. O qualcosa del genere. Non sei molto in vena di dettagli, al momento.
Ti pulisci la bocca con il polsino della camicia, poi allunghi una mano verso il tavolino e cerchi a tentoni qualcosa che non sai bene cos’è fino a quando non la trovi. Ti porti il bicchiere ancora mezzo pieno alle labbra e ingoi in un solo sorso il suo contenuto. Hai smesso di chiederti che cosa stai bevendo circa nove ore fa. Forse anche di più. 
È passata quasi una settimana da quando sei arrivato in questa baracca schifosa di un hotel a cinque stelle, e sono tre giorni che ti bevi sia il pranzo che la cena. Dovresti davvero smetterla.
E dovresti davvero chiamare Sara, tua madre, il tuo agente, un membro qualsiasi della band escluso Liam. 
Sei ragionevolmente certo che basterebbe avvertire anche uno solo di loro. 
“Ehi, tutto okay, sono ancora vivo”, dovresti dire. Non è poi così complicato, pensi.
Poi ti addormenti di nuovo.


Quando riapri gli occhi è già metà pomeriggio. Perlomeno così dice il tuo orologio — da quando hai un orologio, a proposito? 

Scopri di essere ancora semisdraiato sulla poltrona, e pensi che questo non farà affatto bene alla tua spina dorsale. Con qualche sforzo più o meno convinto riesci a metterti a sedere, e proprio in quel momento la stanza prende a girarti intorno. La ignori e ti porti le mani alle tempie, massaggiandole. La testa ti dà un fastidio cane: vibra forte come se fosse un fottuto cellulare. E la puzza di vomito ti fa venire voglia di vomitare di nuovo. 
Ti ci vogliono quasi venti secondi prima di capire che, in effetti, è il cellulare che vibra come un fottuto cellulare, e non la tua testa. Passa qualche altro secondo ancora e ti accorgi che la voglia di vomitare si è trasformata in un sto per vomitarmi addosso. 
Ti alzi e ti dirigi quanto più velocemente possibile verso il bagno, tentando di non barcollare troppo e, soprattutto, di non andare a sbattere contro il mobilio vario ed eventuale che si frappone arrogantemente tra te ed il tuo obiettivo. 
Strada facendo raccatti anche il cellulare, giusto perché il suo continuo vibrare ti sta facendo diventare matto, ma non hai veramente intenzione di rispondere. A prescindere da tutto, questo non è esattamente il momento più opportuno. 
Finalmente riesci a guadagnare il cesso. Abbracci la tazza e ci butti quasi la testa dentro, lo stomaco che intanto si aggroviglia, si tende, e poi si riannoda su sé stesso, regalandoti un’improvvisa sensazione di solidarietà nei confronti di tutti i tuoi vestiti che finiscono in un’asciugatrice almeno una volta al giorno. 
Il telefono continua a vibrare nella tua mano. Metti giù la chiamata e ti pieghi di nuovo su te stesso, pregando solo di non vomitare fuori anche i polmoni.


Dieci minuti di agonia e poi torni a respirare.

Anche i crampi passano più velocemente di quanto credevi, e dopo qualche altro minuto, a parte sentirti svuotato come se ti avessero risucchiato via l’anima dal naso, concludi di essere, tutto sommato, ancora vivo. 
Sollevato, ti lasci scivolare all’indietro fino ad appoggiare la schiena contro il muro. 
Chiudi gli occhi e respiri quanto più profondamente possibile, aspettando che il ronzio nella tua testa cessi di darti il tormento. 
Quando ti rendi conto che il ronzio è orribilmente simile al ritornello di Cigarettes & Alcohol sei veramente troppo stremato per stupirti. E da una parte è anche confortante sapere che tutti questi rumori sono al di fuori della tua testa. Dentro potrebbero causare qualche problema, effettivamente. 
Sospirando porti il telefono all’orecchio, ed il ronzio si fa più distinto e preciso. Non è poi così sorprendente che tu abbia schiacciato un tasto al posto di un altro, ciò che è veramente scioccante è che il tizio dall’altra parte sia rimasto ad ascoltare dieci minuti di conversazione diretta tra il contenuto del tuo stomaco e la tazza del cesso.
Ma poi riconosci la voce che sta canticchiando ed allora c’è davvero poco di cui sorprendersi.
«… Liam?», ansimi, non sapendo se ridere o piangere.
«Yeah», risponde prontamente tuo fratello, in barba al fatto di essere stato escluso a priori dalla lista delle persone a cui volevi far sapere di essere ancora vivo. 
«Che cazzo—», “stai facendo?” vorresti aggiungere, ma la gola non collabora. 
«Coprivo il rumore dello schifo che stavi facendo con la mia soave voce, ovviamente», risponde comunque tuo fratello.
«Ovviamente», fai eco con ironia.
«Quando hai intenzione di tornare?», continua lui, ignorandoti.
«Cosa?»
«Tornare. A casa. Quando hai intenzione di tornare a casa?», ripete Liam. Ed è veramente ironico che sia lui a chiedertelo, così com’è ironico che sia stato lui a chiamarti, visto che, come al solito, è esclusivamente colpa sua se te ne sei andato.
Anche se, ad onor del vero, in questo preciso momento non te lo ricordi nemmeno il motivo per cui sei arrabbiato con lui. Puoi prendere uno dei tanti altri, comunque. Ne hai una scorta pressoché infinita da parte, giusto? 
«Allora?», sbotta intanto Liam, impaziente. 
E sarà la sbornia, sarà che il bastardo ti ha preso di sorpresa, ma davvero non riesci a ricordarti un solo motivo per cui dovresti desiderare di stargli lontano. 
Ridi. Così, senza motivo, ridi. E la tua voce è più rauca di quanto vorresti. 
«In serata, credo», rantoli infine, prima che lui decida di diventare petulante. 
«Prima fatti una doccia», suggerisce. 
«Naturalmente»
«E lavati anche i denti», aggiunge, in un tono quasi serio. 
Sorridi di riflesso. 
«Liam…», aggiungi dopo qualche secondo.
«Mh?»
«Ti ammazzerò, prima o poi», gli confessi. 
E dentro di te sei abbastanza sicuro che lo farai davvero, un giorno di questi. Un po’ perché ce l’hai sulla lista delle cose da fare praticamente dal giorno in cui ha imparato a camminare, e un po’ perché se non lo ammazzi tu sarà lui ad ammazzare te, in un modo o in un altro. 
Questa volta, comunque, è il turno di Liam di ridere. 
«Anch’io ti amo», ribatte allegramente. «Avverto Sara e la mamma. Stanno diventando pazze. Tu muoviti a portare il tuo fottuto culo da ubriacone a casa», continua. 
Annuisci, senza renderti conto che lui non può vederti. Prima che tu possa aggiungere qualcosa, però, lui ha già riattaccato. 
Liam non ha mai veramente bisogno di sentirsi dire che, ancora una volta, tornerai da lui. 
Lo sa già. 
Lo sapete entrambi. 


   
 
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