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Autore: Kitsune Blake    18/01/2012    6 recensioni
Questo è l'inizio della storia che tutti noi conosciamo.
E' il racconto dell'amore fra un'umana e un demone, un amore proibito e segreto.
***
Dal capitolo 17:
Varcò la soglia in totale silenzio, e subito il suo fiuto venne invaso da quello che era un inconfondibile puzzo di morte. Era ovunque, era persino impregnato nelle pareti, dove macchie di sangue più o meno vaste si susseguivano lungo i corridoi lunghi e deserti.
Il giovane daiyokai dovette rinunciare a percepire qualsiasi altro odore, visto che l’acre puzza di cadavere aveva ormai preso completamente il sopravvento sulle sue percezioni. Perciò Sesshomaru tese le orecchie, pronte a captare qualunque rumore fuori dall’ordinario, e assottigliò gli occhi ambrati, cercando di intuire movimenti sospetti nel buio della dimora.
[ Storia temporaneamente sospesa per revisione e riscrittura dei capitoli ]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Racconti dalle terre dell'Ovest'
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Salve! ^^ Per cominciare, vorrei chiedere perdono a tutti per l’orrendo ritardo con cui ho postato il capitolo (vi prego, non uccidetemi), ma l’ispirazione fa davvero brutti scherzi, e nonostante ultimamente ne avessi davvero tanta, era tutta orientata verso un altro fandom. Detto questo, spero immensamente che questo capitolo vi possa piacere. Sto gettando le basi per arrivare alla conclusione della storia che, come avrete forse intuito, comincia a volgere al termine. Prima di lasciarvi al capitolo, vorrei ringraziare love_dreams, 0duBhe0 e Pluto90, per i commenti al capitolo scorso. Ringrazio anche chi legge soltanto, chi ha inserito la storia fra le preferite, le ricordate o le seguite…o tutte e tre insieme! XD Buona lettura! Kitsune

 

Un altro viaggio

 

“Di questo passo, saremo arrivati a destinazione entro questa sera, mio signore”.

L’uomo fu soddisfatto e felice per quella notizia: prima fossero arrivati a destinazione, meglio sarebbe stato per tutti quanti.

Il malcontento generale, infatti, era palpabile nella fredda e pungente giornata autunnale. Tutta la scorta era innaturalmente compatta, troppi sguardi vagavano intimoriti verso gli alberi della foresta. Davvero insolito, per dei guerrieri allenati proprio per l’arte del combattimento.

Ma Mamoru non li biasimava. Evitava di impartire troppi ordini, desiderava solo arrivare alla tenuta di Takemaru indenne, insieme alla sua adorata figlia. Sapeva che i suoi soldati erano estremamente valorosi, altre che perfettamente addestrati, ma fino a quel momento avevano sopportato anche troppo, tanto che a volte lui stesso si stupiva di non aver subito ancora una diserzione. Ciò dimostrava solo quanto quegli uomini gli fossero fedeli e pronti ad obbedire in qualsiasi istante.

Perché Mamoru avrebbe sfidato chiunque, anche il più coraggioso fra gli uomini, a non temere l’eccessiva vicinanza di quel mostro, di quella figura che in quel momento si muoveva agilmente fra gli alberi, silenziosa solo come un abile assassino potrebbe essere. Il solo sostenere quello sguardo gelido e ambrato era una vera e propria prova di forza, che a stento lo stesso Mamoru aveva superato.

Tuttavia il demone gli era necessario per la protezione di Izayoi. Il colloquio che aveva avuto qualche giorno prima aveva sancito fra loro una sorta di tregua. Mamoru difficilmente avrebbe dimenticato quel dialogo.

“Protezione?” disse Taisho, e in quel momento il consueto sguardo impassibile si velò di una certa diffidenza.

Il vecchio annuì con un sospiro. “La situazione di Izayoi è molto delicata” disse, con un vago tono di accusa che il daiyokai riuscì a cogliere, ma che non commentò. “L’inverno arriverà prima di quanto possiamo immaginare, e sia a lei che al bambino questo non fa bene”.

Il demone fece finta di non capire. “Dove vuoi arrivare col tuo discorso, vecchio?”

“Detesto ammetterlo” continuò Mamoru, “ma ho bisogno del tuo aiuto. Sai meglio di me quanto sia in pericolo mia figlia a causa dei demoni, quindi sai anche che nessuno meglio di te sarebbe in grado di proteggerla”.

“Su questo non ci sono dubbi” rispose il daiyokai con freddezza. “Quindi vorresti assoldarmi per salvaguardare la vita di Izayoi. Quindi anche la tua vitaconcluse, con un pericoloso sorriso che fece correre un brivido freddo lungo la schiena del vecchio padre.

Quest’ultimo strinse i pugni: il demone aveva capito perché gli desse tanto fastidio chiedere un simile favore. Tuttavia non diede alcun segno di cedimento.

“Esatto. Proprio così”.

Così ora Taisho si muoveva fra gli alberi, agile e silenzioso, i sensi tesi a captare qualsiasi minaccia in avvicinamento. Nonostante molti demoni si fossero avvicinati al suo passaggio, nessuno di essi aveva osato attaccare la carovana, dal momento che avevano fiutato chiaramente l’odore del Grande Generale.

La verità era che la notizia della sconfitta di due Generali, dei quali addirittura uno era rimasto ucciso, aveva già fatto il giro dell’intero popolo demoniaco.

La morte di Minori aveva causato un notevole shock nell’esercito. La kitsune era conosciuta per il suo coraggio e la sua determinazione, ma nessuno avrebbe mai pensato che sarebbe stata tanto stupida da ribellarsi al demone più forte in circolazione.

Lo stesso valeva per Sesshomaru, che in quel momento risultava disperso più che vivo. Il fatto che Inu no Taisho avesse combattuto contro di lui, ferendolo forse a morte, era ciò che definitivamente aveva convinto qualunque altro demone a tenersi più che mai alla larga dal Grande Generale, per evitare di essere coinvolti e uccisi dalla sua furia.

Inu no Taisho sapeva che probabilmente nessun nemico si sarebbe fatto vivo, ma tenne comunque gli occhi aperti per tutta la durata del viaggio, continuando a perlustrare l’intera zona intorno alla carovana.

Il daiyokai aveva accettato di buon grado quella tregua. Dopotutto, anche per lui la protezione di Izayoi veniva prima di qualunque altra cosa. Inoltre Mamoru era andato contro il suo stesso orgoglio per proteggere sua figlia. In fondo, molto in fondo, Taisho provava una sorta di ammirazione per quel vecchio testardo e invadente.

 

***

 

Il sole aveva ormai ceduto il posto alle tenebre della notte. Il silenzio intorno alla tenuta era pressoché assoluto: nessun rumore dalla foresta vicina, né dall’interno della casa.

Il guerriero se ne stava in piedi, sulla veranda della sua stanza, e osservava la luna senza un vero e proprio interesse. Il suo pensiero era rivolto alla ragazza che, di lì ad un paio di mesi, avrebbe preso in moglie. Il suo arrivo ormai era imminente.

“Takemaru, signore. Le vedette riferiscono di avere avvistato dei fuochi in lontananza”.

Il suo braccio destro, capitano dell’esercito di sua proprietà, era l’unico che potesse entrare nelle sue stanze senza chiedere espressamente il permesso.

“Grazie, Daisuke” rispose il padrone del castello, senza voltarsi a guardare il suo interlocutore, “provvedi subito affinché gli ospiti vengano accolti il più calorosamente possibile”.

“Mio signore, anche il…”

“Sì, anche il demone” lo interruppe Takemaru, voltandosi infine verso di lui con un mezzo sorriso. “Non vorremmo essere scortesi nei confronti di un re, per quanto sia una bestia. Giusto?”

Daisuke non si scompose, ma uno strano bagliore balenò nei suoi occhi. “Certo. Ho capito”.

Con un inchino il capitano si congedò e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Il padrone del castello tornò subito serio e si volse nuovamente a osservare il cielo stellato. Quella sera avrebbe finalmente rivisto la donna di cui tempo prima si era follemente innamorato. Ma prima di ogni cosa era necessario osservare il suo nemico. Per uccidere un demone era necessario scovare ogni suo punto debole, e questo Takemaru lo sapeva bene.

E ora avrebbe avuto modo di stare in stretto contatto con lui. Un’occasione del genere era assolutamente imperdibile.

 

***

 

Il freddo pungente era ampliato da un gelido vento proveniente da nord, portatore di bufere di neve. La natura era ormai irriconoscibile: in quelle zone iniziava molto presto a nevicare, perciò ogni cosa era già interamente coperta di bianco, tanto che era persino difficile riconoscere il cielo dalla terra.

Chiunque, in quelle lande, in tali condizioni si sarebbe perso e sarebbe morto di stenti. Chiunque non avesse sangue demoniaco nelle vene.

C’era qualcuno, in effetti, che negli ultimi giorni aveva affrontato quel gelo mortale, per trovare risposta a molti dubbi che da tempo gli affollavano la mente. Un occhio umano non avrebbe mai distinto quella sagoma candida, per quanto enorme, che correva velocissima sul soffice tappeto bianco.

La creatura proseguiva nella sua corsa, sul cominciar della notte, tanto agile e silenziosa che pareva quasi volare, e non si fermò finché non raggiunse la meta prefissata. Solo allora il grande cane argenteo si arrestò, trovandosi davanti ad un palazzo grande e sfarzoso come non ce n’erano nel raggio di moltissime miglia.

A prima vista poteva sembrare anche una corte imperiale, ma ad un’occhiata più attenta si intuiva subito che quel castello, per quanto splendido, non era abitato. La neve infatti aveva ricoperto non solo il tetto, ma anche le ampie verande, rendendo addirittura impossibile l’entrata attraverso alcune porte, completamente bloccate.

Gli occhi dorati del cane bianco rimasero fissi sull’abitazione, mentre tornava alla sua forma umana. L’impassibilità dello sguardo non tradiva in alcun modo i pensieri che passavano nella mente del demone, che per diversi minuti rimase immobile, come fosse in attesa di qualcosa.

O di qualcuno.

Ma il silenzio continuava ad essere il padrone dell’intera montagna.

Sesshomaru non si scompose. Non rimase deluso dal mancato invito ad entrare, e non se l’era mai aspettato a dire il vero. Perciò lentamente, ma senza alcun indugio, si mosse verso l’entrata della dimora abbandonata.

Varcò la soglia in totale silenzio, e subito il suo fiuto venne invaso da quello che era un inconfondibile puzzo di morte. Era ovunque, era persino impregnato nelle pareti, dove macchie di sangue più o meno vaste si susseguivano lungo i corridoi lunghi e deserti.

Il giovane daiyokai dovette rinunciare a percepire qualsiasi altro odore, visto che l’acre puzza di cadavere aveva ormai preso completamente il sopravvento sulle sue percezioni. Perciò Sesshomaru tese le orecchie, pronte a captare qualunque rumore fuori dall’ordinario, e assottigliò gli occhi ambrati, cercando di intuire movimenti sospetti nel buio della dimora.

Ma niente ancora entrò nel suo raggio d’azione. Un fremito attraversò le sue mani artigliate. Il principe non amava attendere troppo, ed era certo di essere nel luogo giusto. Ma la sua sete di sapere era talmente tanta che per una volta fece un’eccezione, e si mise volontariamente alla ricerca del suo obiettivo. Percorse i lunghi corridoi bui, fino ad arrivare alla veranda del cortile centrale. Anche lì, dove un tempo sorgeva rigoglioso uno splendido giardino, tutto era stato lasciato morire: gli alberi erano spogli, marci e colmi di neve, le carpe dello stagno erano morte e si erano congelate all’interno dell’acqua.

Sesshomaru oltrepassò il triste spettacolo: ora che si trovava nuovamente all’esterno della dimora l’odore pungente si era attenuato, lasciando trapelare una nuova scia che proveniva dalle stanze più piccole, in una zona del palazzo rimasta inutilizzata molto tempo prima.

Fu con un’inspiegabile fastidio che il daiyokai si addentrò in quello stretto corridoio, le cui pareti erano regolarmente intervallate da stanze piccole e spartane, stanze che un tempo erano appartenute ai membri della sua scorta.

Fu un attimo, un infinitesimo frangente. Sesshomaru percorreva l’angusto corridoio buio, in cerca del suo obiettivo. Sapeva di non essere lontano, nonostante l’odore di morte fosse tornato, più intenso che mai. Camminava lento e deciso, degnando di appena un’occhiata le stanze che scorrevano accanto a lui.

Ma ad un certo punto fu costretto a fermarsi, e per la prima volta gli occhi del gelido principe dei demoni si dilatarono dallo stupore, nella sua maschera di ghiaccio. Conosceva la stanza che aveva appena sorpassato, più di una volta l’aveva visitata, in un passato che in fondo non era poi così lontano.

Tornò indietro, per guardare meglio. Il futon impolverato era rimasto intoccato, il braciere non portava i segni di un uso recente.

Eppure, per un istante interminabile, Sesshomaru l’aveva vista. Aveva visto la luce del fuoco che brillava vivida, inondando con la sua calda luce l’intera stanza. E c’era una ragazza dalla chioma lunga e ramata seduta accanto a quel piccolo falò. L’aveva guardato. L’aveva guardato con due intensi occhi verdi come lo smeraldo.

 

***

 

Ci volle almeno un’ora, prima che la lenta carovana arrivasse a destinazione, così Daisuke aveva avuto tutto il tempo che gli serviva per terminare le ultime preparazioni per l’accoglienza: nel giro di poco, tutti i cavalli vennero accolti nelle stalle, e venne dato loro da mangiare. I soldati furono invitati a condividere la mensa con l’esercito, mentre ai loro signori venne preparata una cena ricca e sontuosa come raramente se ne vedevano in quei tempi di carestia.

La portantina della principessa venne adagiata nei pressi della porta principale. Con l’aiuto di Tomoko, Izayoi uscì da essa e respirò finalmente un po’ di aria fresca, dopo un viaggio tanto estenuante. Aveva fame, e aveva anche mal di schiena. Il bambino non le stava certo rendendo la vita facile, con tutti quei movimenti, e Taisho non le aveva fatto visita per tutta la giornata, impegnato com’era nella sua protezione.

Ma le sue aspettative non vennero deluse: non appena la principessa iniziò a dirigersi verso l’entrata principale, ecco che il demone arrivò, elegante come solo lui poteva essere, in una giornata così particolarmente fredda.

“Amore mio” disse Izayoi in un sorriso, poi lo guardò meglio. “Ti senti bene?”

Inu no Taisho la guardò duramente. “Che domande sciocche che fai. Certo che sto bene” rispose. Poi, vedendo che la sua compagna era rimasta stupita dalla sua risposta burbera, tagliò subito il discorso.

“La cosa fondamentale è che tu sia qui sana e salva. Come sto io non è importante”.

Izayoi lo guardò con apprensione. Non aveva sbagliato allora. Lo aveva capito dalle sue parole, parole che per chi non lo conosceva sarebbero potute sembrare solo una mera rassicurazione. Ma la principessa sapeva che Taisho non stava bene. Il demone infatti si informava spesso sulla salute del bambino e sulla sua salute, non curandosi di dormire la notte, per poter vegliare su di lei. E nonostante Izayoi avesse sempre insistito, consigliandogli di dormire, la risposta secca era sempre rimasta la stessa.

“Sciocchezze. Noi demoni non abbiamo bisogno di dormire”.

Così la principessa si arrendeva e gli lasciava fare di testa sua. Ma ogni giorno di più la spossatezza era diventata evidente nel daiyokai, e aumentava così come il suo nervosismo. Infatti Taisho, che aveva sempre tollerato la vicinanza degli altri umani con magistrale indifferenza, ora non sopportava quasi più nemmeno la stessa Tomoko, e se non l’aveva ancora attaccata al muro era solo per evitare di incappare nelle ire della principessa, con conseguente agitazione di quest’ultima.

Izayoi sapeva tutto questo, perché era stato lo stesso daiyokai a riferirglielo.

Perciò la principessa, nonostante fosse evidente che Taisho fosse spossato da quel viaggio lungo, era contenta per lui. Da tempo il demone non si allontanava da lei, e quella missione di protezione sicuramente gli era servita per sfogare tutte le energie represse in due estenuanti settimane di preparazione al viaggio.

Le sue riflessioni vennero però improvvisamente interrotte.

“Avanti, entra. Non vorrai ammalarti”. Era stato il daiyokai a parlare, con un tono addolcito che lei in quegli ultimi giorni raramente aveva sentito.

“Certo. Vado subito” rispose la ragazza, senza abbandonare il sorriso. “ti aspetto dentro”. Detto questo prese a braccetto Tomoko, e le due si diressero verso l’entrata della casa, dove un servo le attendeva per accoglierle, finché il padre di lei era impegnato a sistemare il suo esercito e i suoi cavalli.

Taisho non perse di vista un secondo le sagome scure che stavano entrando nella dimore, ma una voce ad un certo punto lo costrinse a voltarsi.

“E’ un incanto, vero?”

“Che hai detto?” chiese Taisho. Ma la sua era una domanda retorica. Aveva capito benissimo cos’aveva detto l’uomo a pochi passi da lui.

“Avanti” continuò lo sconosciuto, con un sorriso ironico. “Mi hai sentito benissimo. Se anche tu sei uno di loro dovresti anche avere un buon udito”.

Taisho assottigliò gli occhi in uno sguardo pericoloso. “Credo di non aver capito bene il tuo nome”.

“Sono Takemaru Setsuna” rispose l’uomo con grande prontezza. “Ovviamente tu non hai bisogno di presentazioni, Grande Generale Cane”.

Il daiyokai non abbandonò la sua ostilità. “Bene, Takemaru Setsuna, ho solo una cosa da dirti: stai alla larga da me, e soprattutto stai alla larga da Izayoi”.

L’uomo per tutta risposta si mise a ridere sommessamente. “Senti senti, che grinta. Ma sai che si dice. Can che abbaia non morde”.

Gli occhi ambrati del daiyokai scintillarono d’ira nell’oscurità. “Credimi, quel vecchio proverbio non comprende anche me. E non vedo l’ora di dimostrartelo”.

Takemaru rise ancora più forte. “Vieni a prendermi allora. Peccato che se mi uccidessi la principessa avrebbe qualcosa da ridire. Sbaglio o ti ha addomesticato? Devi fare il bravo cagnolino, e startene buono in un angolo com’è giusto che sia”.

Questa volta Taisho sorrise, senza tuttavia che il tremendo bagliore negli occhi ne risentisse. “Potrei anche decidere di comportarmi come si deve, e ucciderti per poi mangiare la tua carne. Da bravo demone, com’è giusto che sia”.

Il padrone del palazzo tornò serio, ma non si era impaurito alle parole del daiyokai. “Ho fatto preparare la cena. Per stasera ho invitato anche te, anche se in genere ai cani riservo gli avanzi. Non accetterò un rifiuto, ma ti avverto che non avrò problemi a cominciare a mangiare, anche senza di te”.

Detto questo, Takemaru lo oltrepassò e si diresse anch’egli verso la dimora, sparendo poco dopo oltre la porta. E Taisho prese una decisione: quell’uomo presto o tardi sarebbe morto, e a ucciderlo sarebbe stato lui stesso.
   
 
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