Salve!
^^ Per
cominciare, vorrei chiedere perdono a tutti per l’orrendo
ritardo con cui ho
postato il capitolo (vi prego, non uccidetemi), ma
l’ispirazione fa davvero
brutti scherzi, e nonostante ultimamente ne avessi davvero tanta, era
tutta
orientata verso un altro fandom. Detto questo, spero immensamente che
questo
capitolo vi possa piacere. Sto gettando le basi per arrivare alla
conclusione
della storia che, come avrete forse intuito, comincia a volgere al
termine.
Prima di lasciarvi al capitolo, vorrei ringraziare love_dreams,
0duBhe0 e Pluto90,
per i commenti al capitolo
scorso. Ringrazio anche chi legge soltanto, chi ha inserito la storia
fra le
preferite, le ricordate o le seguite…o tutte e tre insieme!
XD Buona lettura!
Kitsune
Un
altro
viaggio
“Di
questo passo, saremo arrivati a destinazione entro questa
sera, mio signore”.
L’uomo
fu soddisfatto e felice per quella notizia: prima
fossero arrivati a destinazione, meglio sarebbe stato per tutti quanti.
Il malcontento
generale, infatti, era palpabile nella fredda
e pungente giornata autunnale. Tutta la scorta era innaturalmente
compatta,
troppi sguardi vagavano intimoriti verso gli alberi della foresta.
Davvero
insolito, per dei guerrieri allenati proprio per l’arte del
combattimento.
Ma Mamoru non li
biasimava. Evitava di impartire troppi
ordini, desiderava solo arrivare alla tenuta di Takemaru indenne,
insieme alla
sua adorata figlia. Sapeva che i suoi soldati erano estremamente
valorosi,
altre che perfettamente addestrati, ma fino a quel momento avevano
sopportato
anche troppo, tanto che a volte lui stesso si stupiva di non aver
subito ancora
una diserzione. Ciò dimostrava solo quanto quegli uomini gli
fossero fedeli e
pronti ad obbedire in qualsiasi istante.
Perché
Mamoru avrebbe sfidato chiunque, anche il più
coraggioso fra gli uomini, a non temere l’eccessiva vicinanza
di quel mostro,
di quella figura che in quel momento si muoveva agilmente fra gli
alberi,
silenziosa solo come un abile assassino potrebbe essere. Il solo
sostenere
quello sguardo gelido e ambrato era una vera e propria prova di forza,
che a
stento lo stesso Mamoru aveva superato.
Tuttavia il
demone gli era necessario per la protezione di
Izayoi. Il colloquio che aveva avuto qualche giorno prima aveva sancito
fra
loro una sorta di tregua. Mamoru difficilmente avrebbe dimenticato quel
dialogo.
“Protezione?”
disse
Taisho, e in quel momento il consueto sguardo impassibile si
velò di una certa
diffidenza.
Il
vecchio annuì con un
sospiro. “La situazione di Izayoi è molto
delicata” disse, con un vago tono di
accusa che il daiyokai riuscì a cogliere, ma che non
commentò. “L’inverno
arriverà prima di quanto possiamo immaginare, e sia a lei
che al bambino questo
non fa bene”.
Il
demone fece finta di
non capire. “Dove vuoi arrivare col tuo discorso,
vecchio?”
“Detesto
ammetterlo”
continuò Mamoru, “ma ho bisogno del tuo aiuto. Sai
meglio di me quanto sia in
pericolo mia figlia a causa dei demoni, quindi sai anche che nessuno
meglio di
te sarebbe in grado di proteggerla”.
“Su
questo non ci sono
dubbi” rispose il daiyokai con freddezza. “Quindi
vorresti assoldarmi per
salvaguardare la vita di Izayoi. Quindi anche la tua vita” concluse,
con un
pericoloso sorriso che fece correre un brivido freddo lungo la schiena
del
vecchio padre.
Quest’ultimo
strinse i
pugni: il demone aveva capito perché gli desse tanto
fastidio chiedere un
simile favore. Tuttavia non diede alcun segno di cedimento.
“Esatto.
Proprio così”.
Così
ora Taisho si muoveva fra gli alberi, agile e
silenzioso, i sensi tesi a captare qualsiasi minaccia in avvicinamento.
Nonostante molti demoni si fossero avvicinati al suo passaggio, nessuno
di essi
aveva osato attaccare la carovana, dal momento che avevano fiutato
chiaramente
l’odore del Grande Generale.
La
verità era che la notizia della sconfitta di due Generali,
dei quali addirittura uno era rimasto ucciso, aveva già
fatto il giro
dell’intero popolo demoniaco.
La morte di
Minori aveva causato un notevole shock
nell’esercito. La kitsune era conosciuta per il suo coraggio
e la sua determinazione,
ma nessuno avrebbe mai pensato che sarebbe stata tanto stupida da
ribellarsi al
demone più forte in circolazione.
Lo stesso valeva
per Sesshomaru, che in quel momento
risultava disperso più che vivo. Il fatto che Inu no Taisho
avesse combattuto
contro di lui, ferendolo forse a morte, era ciò che
definitivamente aveva
convinto qualunque altro demone a tenersi più che mai alla
larga dal Grande
Generale, per evitare di essere coinvolti e uccisi dalla sua furia.
Inu no Taisho
sapeva che probabilmente nessun nemico si
sarebbe fatto vivo, ma tenne comunque gli occhi aperti per tutta la
durata del
viaggio, continuando a perlustrare l’intera zona intorno alla
carovana.
Il daiyokai
aveva accettato di buon grado quella tregua.
Dopotutto, anche per lui la protezione di Izayoi veniva prima di
qualunque
altra cosa. Inoltre Mamoru era andato contro il suo stesso orgoglio per
proteggere sua figlia. In fondo, molto in fondo, Taisho provava una
sorta di
ammirazione per quel vecchio testardo e invadente.
***
Il sole aveva
ormai ceduto il posto alle tenebre della notte.
Il silenzio intorno alla tenuta era pressoché assoluto:
nessun rumore dalla
foresta vicina, né dall’interno della casa.
Il guerriero se
ne stava in piedi, sulla veranda della sua
stanza, e osservava la luna senza un vero e proprio interesse. Il suo
pensiero
era rivolto alla ragazza che, di lì ad un paio di mesi,
avrebbe preso in
moglie. Il suo arrivo ormai era imminente.
“Takemaru,
signore. Le vedette riferiscono di avere avvistato
dei fuochi in lontananza”.
Il suo braccio
destro, capitano dell’esercito di sua
proprietà, era l’unico che potesse entrare nelle
sue stanze senza chiedere
espressamente il permesso.
“Grazie,
Daisuke” rispose il padrone del castello, senza
voltarsi a guardare il suo interlocutore, “provvedi subito
affinché gli ospiti
vengano accolti il più calorosamente possibile”.
“Mio
signore, anche il…”
“Sì,
anche il demone” lo interruppe Takemaru, voltandosi
infine verso di lui con un mezzo sorriso. “Non vorremmo
essere scortesi nei
confronti di un re, per quanto sia una bestia. Giusto?”
Daisuke non si
scompose, ma uno strano bagliore balenò nei
suoi occhi. “Certo. Ho capito”.
Con un inchino
il capitano si congedò e uscì dalla stanza,
chiudendosi la porta alle spalle.
Il padrone del
castello tornò subito serio e si volse
nuovamente a osservare il cielo stellato. Quella sera avrebbe
finalmente
rivisto la donna di cui tempo prima si era follemente innamorato. Ma
prima di
ogni cosa era necessario osservare il suo nemico. Per uccidere un
demone era
necessario scovare ogni suo punto debole, e questo Takemaru lo sapeva
bene.
E ora avrebbe
avuto modo di stare in stretto contatto con
lui. Un’occasione del genere era assolutamente imperdibile.
***
Il freddo
pungente era ampliato da un gelido vento
proveniente da nord, portatore di bufere di neve. La natura era ormai
irriconoscibile: in quelle zone iniziava molto presto a nevicare,
perciò ogni
cosa era già interamente coperta di bianco, tanto che era
persino difficile
riconoscere il cielo dalla terra.
Chiunque, in
quelle lande, in tali condizioni si sarebbe
perso e sarebbe morto di stenti. Chiunque non avesse sangue demoniaco
nelle
vene.
C’era
qualcuno, in effetti, che negli ultimi giorni aveva
affrontato quel gelo mortale, per trovare risposta a molti dubbi che da
tempo
gli affollavano la mente. Un occhio umano non avrebbe mai distinto
quella
sagoma candida, per quanto enorme, che correva velocissima sul soffice
tappeto
bianco.
La creatura
proseguiva nella sua corsa, sul cominciar della
notte, tanto agile e silenziosa che pareva quasi volare, e non si
fermò finché
non raggiunse la meta prefissata. Solo allora il grande cane argenteo
si
arrestò, trovandosi davanti ad un palazzo grande e sfarzoso
come non ce n’erano
nel raggio di moltissime miglia.
A prima vista
poteva sembrare anche una corte imperiale, ma
ad un’occhiata più attenta si intuiva subito che
quel castello, per quanto
splendido, non era abitato. La neve infatti aveva ricoperto non solo il
tetto,
ma anche le ampie verande, rendendo addirittura impossibile
l’entrata
attraverso alcune porte, completamente bloccate.
Gli occhi dorati
del cane bianco rimasero fissi
sull’abitazione, mentre tornava alla sua forma umana.
L’impassibilità dello
sguardo non tradiva in alcun modo i pensieri che passavano nella mente
del
demone, che per diversi minuti rimase immobile, come fosse in attesa di
qualcosa.
O di qualcuno.
Ma il silenzio
continuava ad essere il padrone dell’intera
montagna.
Sesshomaru non
si scompose. Non rimase deluso dal mancato
invito ad entrare, e non se l’era mai aspettato a dire il
vero. Perciò
lentamente, ma senza alcun indugio, si mosse verso l’entrata
della dimora
abbandonata.
Varcò
la soglia in totale silenzio, e subito il suo fiuto
venne invaso da quello che era un inconfondibile puzzo di morte. Era
ovunque,
era persino impregnato nelle pareti, dove macchie di sangue
più o meno vaste si
susseguivano lungo i corridoi lunghi e deserti.
Il giovane
daiyokai dovette rinunciare a percepire qualsiasi
altro odore, visto che l’acre puzza di cadavere aveva
ormai preso
completamente il sopravvento sulle sue percezioni. Perciò
Sesshomaru tese le
orecchie, pronte a captare qualunque rumore fuori
dall’ordinario, e assottigliò
gli occhi ambrati, cercando di intuire movimenti sospetti nel buio
della dimora.
Ma niente ancora
entrò nel suo raggio d’azione. Un fremito
attraversò le sue mani artigliate. Il principe non amava
attendere troppo, ed
era certo di essere nel luogo giusto. Ma la sua sete di sapere era
talmente
tanta che per una volta fece un’eccezione, e si mise
volontariamente alla
ricerca del suo obiettivo. Percorse i lunghi corridoi bui, fino ad
arrivare
alla veranda del cortile centrale. Anche lì, dove un tempo
sorgeva rigoglioso
uno splendido giardino, tutto era stato lasciato morire: gli alberi
erano
spogli, marci e colmi di neve, le carpe dello stagno erano morte e si
erano
congelate all’interno dell’acqua.
Sesshomaru
oltrepassò il triste spettacolo: ora che si
trovava nuovamente all’esterno della dimora l’odore
pungente si era attenuato, lasciando
trapelare una nuova scia che proveniva dalle stanze più
piccole, in una zona
del palazzo rimasta inutilizzata molto tempo prima.
Fu con
un’inspiegabile fastidio che il daiyokai si
addentrò
in quello stretto corridoio, le cui pareti erano regolarmente
intervallate da
stanze piccole e spartane, stanze che un tempo erano appartenute ai
membri
della sua scorta.
Fu un attimo, un
infinitesimo frangente. Sesshomaru
percorreva l’angusto corridoio buio, in cerca del suo
obiettivo. Sapeva di non
essere lontano, nonostante l’odore di morte fosse tornato,
più intenso che mai.
Camminava lento e deciso, degnando di appena un’occhiata le
stanze che
scorrevano accanto a lui.
Ma ad un certo
punto fu costretto a fermarsi, e per la prima
volta gli occhi del gelido principe dei demoni si dilatarono dallo
stupore,
nella sua maschera di ghiaccio. Conosceva la stanza che aveva appena
sorpassato, più di una volta l’aveva visitata, in
un passato che in fondo non
era poi così lontano.
Tornò
indietro, per guardare meglio. Il futon impolverato era
rimasto intoccato, il braciere non portava i segni di un uso recente.
Eppure, per un
istante interminabile, Sesshomaru l’aveva
vista. Aveva visto la luce del fuoco che brillava vivida, inondando con
la sua
calda luce l’intera stanza. E c’era una ragazza
dalla chioma lunga e ramata
seduta accanto a quel piccolo falò. L’aveva
guardato. L’aveva guardato con due
intensi occhi verdi come lo smeraldo.
***
Ci volle almeno
un’ora, prima che la lenta carovana arrivasse
a destinazione, così Daisuke aveva avuto tutto il tempo che
gli serviva per
terminare le ultime preparazioni per l’accoglienza: nel giro
di poco, tutti i
cavalli vennero accolti nelle stalle, e venne dato loro da mangiare. I
soldati
furono invitati a condividere la mensa con l’esercito, mentre
ai loro signori
venne preparata una cena ricca e sontuosa come raramente se ne vedevano
in quei
tempi di carestia.
La portantina
della principessa venne adagiata nei pressi
della porta principale. Con l’aiuto di Tomoko, Izayoi
uscì da essa e respirò
finalmente un po’ di aria fresca, dopo un viaggio tanto
estenuante. Aveva fame,
e aveva anche mal di schiena. Il bambino non le stava certo rendendo la
vita
facile, con tutti quei movimenti, e Taisho non le aveva fatto visita
per tutta
la giornata, impegnato com’era nella sua protezione.
Ma le sue
aspettative non vennero deluse: non appena la
principessa iniziò a dirigersi verso l’entrata
principale, ecco che il demone arrivò,
elegante come solo lui poteva essere, in una giornata così
particolarmente
fredda.
“Amore
mio” disse Izayoi in un sorriso, poi lo guardò
meglio.
“Ti senti bene?”
Inu no Taisho la
guardò duramente. “Che domande sciocche che
fai. Certo che sto bene” rispose. Poi, vedendo che la sua
compagna era rimasta
stupita dalla sua risposta burbera, tagliò subito il
discorso.
“La
cosa fondamentale è che tu sia qui sana e salva. Come sto
io non è importante”.
Izayoi lo
guardò con apprensione. Non aveva sbagliato allora.
Lo aveva capito dalle sue parole, parole che per chi non lo conosceva
sarebbero
potute sembrare solo una mera rassicurazione. Ma la principessa sapeva
che Taisho
non stava bene. Il demone infatti si informava spesso sulla salute del
bambino
e sulla sua salute, non curandosi di dormire la notte, per poter
vegliare su di
lei. E nonostante Izayoi avesse sempre insistito, consigliandogli di
dormire,
la risposta secca era sempre rimasta la stessa.
“Sciocchezze.
Noi demoni non abbiamo bisogno di dormire”.
Così
la principessa si arrendeva e gli lasciava fare di testa
sua. Ma ogni giorno di più la spossatezza era diventata
evidente nel daiyokai,
e aumentava così come il suo nervosismo. Infatti Taisho, che
aveva sempre tollerato
la vicinanza degli altri umani con magistrale indifferenza, ora non
sopportava
quasi più nemmeno la stessa Tomoko, e se non
l’aveva ancora attaccata al muro
era solo per evitare di incappare nelle ire della principessa, con
conseguente
agitazione di quest’ultima.
Izayoi sapeva
tutto questo, perché era stato lo stesso
daiyokai a riferirglielo.
Perciò
la principessa, nonostante fosse evidente che Taisho
fosse spossato da quel viaggio lungo, era contenta per lui. Da tempo il
demone
non si allontanava da lei, e quella missione di protezione sicuramente
gli era
servita per sfogare tutte le energie represse in due estenuanti
settimane di
preparazione al viaggio.
Le sue
riflessioni vennero però improvvisamente interrotte.
“Avanti,
entra. Non vorrai ammalarti”. Era stato il daiyokai
a parlare, con un tono addolcito che lei in quegli ultimi giorni
raramente
aveva sentito.
“Certo.
Vado subito” rispose la ragazza, senza abbandonare il
sorriso. “ti aspetto dentro”. Detto questo prese a
braccetto Tomoko, e le due
si diressero verso l’entrata della casa, dove un servo le
attendeva per
accoglierle, finché il padre di lei era impegnato a
sistemare il suo esercito e
i suoi cavalli.
Taisho non perse
di vista un secondo le sagome scure che
stavano entrando nella dimore, ma una voce ad un certo punto lo
costrinse a
voltarsi.
“E’
un incanto, vero?”
“Che
hai detto?” chiese Taisho. Ma la sua era una domanda
retorica. Aveva capito benissimo cos’aveva detto
l’uomo a pochi passi da lui.
“Avanti”
continuò lo sconosciuto, con un sorriso ironico.
“Mi
hai sentito benissimo. Se anche tu sei uno di loro
dovresti anche avere un buon udito”.
Taisho
assottigliò gli occhi in uno sguardo pericoloso.
“Credo
di non aver capito bene il tuo nome”.
“Sono
Takemaru Setsuna” rispose l’uomo con grande
prontezza. “Ovviamente
tu non hai bisogno di presentazioni, Grande Generale Cane”.
Il daiyokai non
abbandonò la sua ostilità. “Bene,
Takemaru
Setsuna, ho solo una cosa da dirti: stai alla larga da me, e
soprattutto stai
alla larga da Izayoi”.
L’uomo
per tutta risposta si mise a ridere sommessamente. “Senti
senti, che grinta. Ma sai che si dice. Can
che abbaia non morde”.
Gli occhi
ambrati del daiyokai scintillarono d’ira
nell’oscurità.
“Credimi, quel vecchio proverbio non comprende anche me. E
non vedo l’ora di
dimostrartelo”.
Takemaru rise
ancora più forte. “Vieni a prendermi allora.
Peccato che se mi uccidessi la principessa avrebbe qualcosa da ridire.
Sbaglio
o ti ha addomesticato? Devi fare il bravo cagnolino, e startene buono
in un
angolo com’è giusto che sia”.
Questa volta
Taisho sorrise, senza tuttavia che il tremendo
bagliore negli occhi ne risentisse. “Potrei anche decidere di
comportarmi come
si deve, e ucciderti per poi mangiare la tua carne. Da bravo demone, com’è giusto che sia”.
Il padrone del
palazzo tornò serio, ma non si era impaurito alle
parole del daiyokai. “Ho fatto preparare la cena. Per stasera
ho invitato anche
te, anche se in genere ai cani riservo gli avanzi. Non
accetterò un rifiuto, ma
ti avverto che non avrò problemi a cominciare a mangiare,
anche senza di te”.