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Autore: Eralery    19/01/2012    12 recensioni
L’ultimo anno è sempre quello più intenso, perché sai di non avere altre possibilità.
Se vuoi una cosa, è la tua ultima occasione per prendertela. Il massimo dei voti, la ragazza che ti piace ormai da una vita, la coppa del Quidditch. Se vuoi una cosa, prendila e basta, non pensarci troppo su, fallo e basta, perché là fuori non la potrai più trovare.
Là fuori c’è solo caos, desolazione, guerra e morte.
Capitolo 5:
«Tutto questo qui» le spiegò, indicando il campo con un movimento del polso e della mano. «per me è importante. E stare qui, sulle tribune, non può farmi stare bene».
«Ma… è solo un gioco, Potter. Solo un gioco» farfugliò, perplessa, e poi lui scosse la testa.
«No, Evans, per me non è solo un gioco» sorrise laconicamente, e mentre la ragazza faceva per ribattere, riprese: «Per me è un ricordo».
«Diventerai il Cercatore migliore di tutti, figlio mio»
Capitolo 7:
« Ma quelli non sono i miei calzini? » s’informò, allibita.
« Sì » rispose tranquillamente Sirius, come se avere un paio dei suoi calzini fosse la cosa più naturale del mondo.
« E perché tu hai i miei calzini? »
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Mary MacDonald, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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primo capitolo revisionato

AVVISO:

questa storia è incompleta e non verrà finita. La versione revisionata e definitiva è ora in corso e la potete trovare: QUI: Sotto La Pelle.




Un grazie ad Annagiulia,
Un grazie a Silvia,
Un grazie ad Anna,
Un grazie a Marilisa,
Un grazie a Veronica.
E dovrei ringraziare tanta altra gente,
ma ora me ne sfuggono i nomi.

Reaching for something in the distance

Capitolo 1: Last Year.

Hogwarts esiste se noi continuiamo a crederci;
esiste per farci crescere e farci capire cosa sono l’amicizia e l’amore. 
Hogwarts esiste semplicemente per farci sognare.

Dopo giugno con il suo venticello un po’ caldo, luglio passò lento, sfociando poi in un caldo agosto e poi, finalmente, arrivò settembre.
Era strano come tutto le sembrasse diverso, estraneo.
Niente le sembrava più come prima. Forse per il pericolo imminente e nascosto, forse per paura, forse solo a causa di Hogwarts, che ormai rappresentava la sua idea di casa.
Lily guardava fuori dal finestrino posteriore dell’auto mentre la sua mente pensava alle misteriose stragi e alle sparizioni sempre più frequenti tra i babbani, ignari che, sotto il loro naso, una guerra imperversava, riempiendo il mondo magico di terrore da quasi cinque anni. Non riusciva a sopportare l’idea che, forse, un giorno avrebbe potuto sentire il nome di qualcuno a lei caro alla tv, tra i morti o tra gli scomparsi. Non si sapeva, poi, quale dei due casi fosse quello dal tasso più elevato, ma probabilmente quasi si equivalevano.
Con le restrizioni per salvaguardare i mezzosangue, Lily, non aveva ricevuto né inviato notizie.
La sola idea che fosse successo qualcosa alle sue amiche e lei non ne fosse al corrente la terrorizzava. 
«Lily… Lily? Tesoro, siamo arrivati!» la voce dolce della signora Evans la riscosse dai suoi pensieri. La ragazza annuì e scese dalla macchina per prendere il baule che il padre aveva tolto dal portabagagli.
«Forse è meglio se ci salutiamo qui» disse la rossa tenendo gli occhi bassi, ben attenta a non guardare i genitori negli occhi.
Il padre le mise una mano sulla spalla, lo sguardo pieno di sospetto misto a curiosità. «Tesoro, c’è qualcosa che dovresti dirci?» la voce del padre era calma, tranquilla. Loro non sapevano niente della guerra: Lily non glielo aveva detto, consapevole che se lo fossero venuti a sapere non avrebbero permesso che tornasse ad Hogwarts quell’anno.
«No! Ma vi pare?» la ragazza si sforzò di scoppiare in una finta risata che sapeva solamente di nervosismo, cercando di non far trasparire la preoccupazione e l’ansia che in quel momento l’attanagliavano.
«Sicura?»
La rossa annuì.
«D’accordo, piccola, allora noi andiamo».
La madre la strinse in un abbraccio stretto e colmo di affetto. «E’ stato bello averti con noi questi mesi. Anche Petunia l’ha detto».
Lily si astenne dal commentare e si limitò al fingere un sorriso; sapeva bene che la sorella non la sopportava: la credeva un mostro, e i suoi tentativi di farla ricredere sembravano non aver sortito alcun effetto.
«Mi mancherete» mormorò infine Lily, staccandosi dalla madre per salutare l’uomo.
«Anche tu, principessa» sorrise lui, guardandola trascinare il grosso bagaglio e sparire nel caos di King's Cross.

«Lily!».
La rossa si girò rapidamente, ma non fece in tempo a girarsi del tutto che un uragano dai capelli castani l’abbracciò di slancio, facendole quasi perdere l’equilibrio, mentre la sua borsa rovinava a terra.
«Sì, Mary, sono viva!» esclamò Lily, ridendo apertamente come non faceva da tempo.
La ragazza si staccò completamente da lei e le sorrise raggiante, e Lily si sentì finalmente bene, a posto con se stessa. Mary le era mancata, le era mancata tanto. Erano migliori amiche, e rivederla dopo due mesi era una sensazione bellissima. Voleva recuperare i mesi persi, di quello era certa.
«Ci mancava solo il contrario» la rimbeccò la bruna, con il sorriso che le si era incrinato pericolosamente.
Lily sapeva quanto l’amica odiasse parlare della guerra, più che altro perché aveva paura di perderla da un momento all’altro, o almeno così le diceva. E lei ne era certa, poiché provava la stessa cosa. Perdere Mary sarebbe stato sicuramente un brutto colpo, lei che era così disponibile e dolce nei suoi confronti, come in quelli della maggior parte delle altre persone - esclusion fatta per alcuni Serpeverde che era meglio non nominare mai in sua presenza.
Osservandola bene, Lily non si sorprese di vederla leggermente cambiata. Si era alzata un altro po’ e aveva tagliato i capelli, che ora le arrivavano sopra la metà schiena. La pelle si era un po’ scurita, ma sostanzialmente era rimasta chiara come al solito.
«Scusa, non volevo» mormorò appena, chinandosi a raccogliere la borsa che le era caduta.
Il sorriso tornò sul viso dell’amica, che le strizzò l’occhio e la trascinò verso il treno, per occupare il loro solito scompartimento – il terzo del quinto vagone.

Quando entrarono, vi trovarono già le loro tre compagne di stanza: Claire Carpenter, Alice Walker e Miriam Moore.
Alice leggeva un fumetto – probabilmente babbano, visto che i personaggi non si muovevano –, Claire guardava fuori dal finestrino e Miriam era in piedi e frugava nella sua borsa, con un sorriso enorme stampato sulle labbra.
«Ehi» salutò Mary, lanciando lo zaino sul sedile più vicino.
«Ce l’avete fatta, finalmente!» ridacchiò Miriam con voce leggermente acuta prima di abbracciarle entrambe e scoccar loro un bacio su tutt’e due le guance.
«Ma se siamo in orario perfetto!» protestò Lily con le sopracciglia aggrottate.
«Sì, okay, va bene» tagliò corto Alice, ridendo. «Sedetevi e chiudete la porta, ora, i ragazzini del primo anno quest’anno sono veramente chiassosi. Eravamo così anche noi, alla loro età?, così piccoli e rumorosi?»
«Ti rendi conto di star parlando come una vecchietta, tesoro, vero?» le chiese Miriam con un ghigno.
Alice la fulminò con un’occhiata ed evitò di ribattere, limitandosi a sospirare, rassegnata.
«Non ne ho idea, ma credo di no» disse Claire, parlando per la prima volta. «Sono veramente piccoli. Per il ‘chiassosi’… beh, dipende dal soggetto. Alcune persone sì, altre no».
«Sei stata illuminante, cara» le sorrise Miriam.
Alice borbottò qualcosa d’indistinto che attirò l’attenzione delle altre.
«Che?» chiese Lily, inclinando la testa di lato.
«Niente, mi era venuta in mente una battuta infelice» rispose, ma le altre le dissero di spiegare e così aggiunse: «Sapete com’è. ‘Illuminare’, ‘Lumos’…».
Mary scoppiò in una sonora risata, seguita a ruota da tutte le altre, e si appoggiò alla spalla di Lily con gli occhi lucidi. Le guance di Alice, nel frattempo, avevano assunto un colorito rosso a dir poco acceso. In confronto, tra poco, i capelli rosso scuro di Lily impallidivano.
In lontananza, sentirono l’orologio del binario battere le undici in punto e il treno iniziò a muoversi lentamente, sferragliando sui binari. Ben presto la stazione fu solo un puntino minuscolo che si allontanava sempre di più, mentre il treno correva lungo la strada che Lily, dopo sette anni, aveva imparato a riconoscere quasi del tutto.
La rossa osservò le amiche in silenzio, mentre loro prendevano a chiacchierare del più e del meno. Solo in quel momento si accorse di alcune pallide occhiaie che segnavano gli occhi di Claire, che sembrava veramente stanca.
«Tutto bene, Claire?» le chiese con dolcezza, attirando la sua attenzione.
Gli occhi scuri della ragazza erano palesemente stupiti, e chiese:
«Sì, perché?».
«Le occhiaie» disse appena Lily, e riuscì perfettamente a scorgere il lampo di spavento che passò per gli occhi dell’amica. Che le stava succedendo?
«Oh, quelle. Non è niente, non sono riuscita a dormire bene, nient’altro. Sta’ tranquilla» sorrise Claire con noncuranza.
Lily la guardò ancora un altro po’ prima di lasciar cadere il discorso, leggermente stranita, e prestare attenzione alla discussione delle altre. Stavano parlando di dolcetti e ragazzi, dal poco che aveva ascoltato.
«Anche Davies, quello al settimo anno di Tassorosso, è carino» stava dicendo Alice, con un alzata di spalle.
«Già» concordo Miriam con la solita voce trillante e allegra. «Ma tu hai già Frank, quindi ci proverò io».
Alice sospirò e scosse la testa, divertita. «Non cambierai mai. E poi, io stavo solo facendo un’innocua osservazione».
«Dai che stavo scherzando, cara» ridacchiò l’altra, muovendo la testa, i capelli che seguivano i suoi movimenti strani.
Lily sorrise a vederla così: Miriam era sempre stata la più svagata del gruppo, con i suoi capelli biondi lunghi fino alle spalle e il tono spesso trillante, molto trillante. Faceva ridere, a volte, ma lei non se ne curava e tirava dritto restando sempre la stessa. Lily l’ammirava per quello, perché non cambiava mai, nonostante molte persone la giudicassero pazza. Si piaceva così, e, Lily ne era sicura, non avrebbe cambiato niente di se stessa.
«Avete una copia della Gazzetta?» chiese poi, ad un certo punto, dopo aver visto passare fuori dalla porta dello scompartimento un ragazzino di Tassorosso con in mano il suddetto giornale. Una strana sensazione si era fatta largo in lei, e non era solo semplice, pura curiosità. C’era qualcos’altro.
Alice lanciò un’occhiata in tralice alla sua borsa, posizionata sopra la reticella, nervosa.
«Su, Lily, possiamo pensarci dopo ad un giornale?» tentò, sforzandosi di sorridere.
«No» rispose, titubante.
Cos’era successo? Cos’altro era successo?
Alice sospirò e si alzò dal suo posto per aprire la borsa e tirarne fuori una copia un po’ sgualcita della Gazzetta del Profeta. La guardò un attimo con aria indecisa, come se stesse valutando se passargliela sul serio o se lanciarla fuori dal finestrino dello scompartimento. Probabilmente avrebbe preferito la seconda ipotesi.
«Tieni» mugugnò e gliela porse, restia e riluttante.
Lily le lanciò uno sguardo di sbieco e poi si concentrò sul giornale, cercando di ignorare le altre, che la guardavano con la coda dell’occhio mentre cercavano di parlare normalmente come prima. In prima pagina spiccava il titolo “Marchio Nero brilla non molto lontano da Edimburgo. Dove vogliono arrivare?”.
La bocca le si aprì leggermente, mentre leggeva l’articolo. Raccontava che una famiglia di babbani, di cui il figlio era l’unico mago, era stata uccisa nel sonno di quella stessa nottata. Ad Edimburgo. In Scozia. Ed Hogwarts si trovava in Scozia, da qualche parte. Una morsa allo stomaco le mozzò il respiro per alcuni secondi, e lei cercò di digerire la storia assieme al groppo che le aveva serrato la gola in una stretta fastidiosa.
«Che schifo» disse infine, gettando il giornale sul sedile vuoto davanti a lei e guardando un punto imprecisato fuori dal finestrino. La famiglia di Babbani del giornale sarebbe potuta essere anche la sua.
«Per questo ti avevamo detto di non leggerlo, Lils» le ricordò Mary, abbozzando un sorriso. «Almeno il primo giorno dovevi godertelo alla meglio. Mi dispiace».
«Ti dispiace? Ma per cosa? Non dire più niente del genere, non è colpa tua» esclamò Lily e scosse la testa, facendola sorridere dolcemente. «Se loro sono… dei pazzi la colpa è solo di una persona, e non sei tu, Mary».
«Lily, ignorala. È la sua mania da protagonismo, dai» disse Alice, facendo protestare Mary e sorridere le altre, ancora un po’ scosse dall’articolo che Lily aveva appena letto per ridere senza pensare a null’altro.

***

 

Remus era appoggiato alla porta dello scompartimento che aveva occupato assieme a Peter e aspettava gli altri due amici, mentre l’altro stava sistemando il baule sulla reticella con un sonoro sbuffo. Sorrise, e nessuno avrebbe potuto pensare che un ragazzo con quel sorriso potesse aver vissuto l’ennesima luna piena nemmeno quattro giorni prima – ma loro non sapevano, loro non sapevano della voglia che aveva di tornare ad Hogwarts, perché per lui Hogwarts era tutto.
Poi, d
alla porta ancora aperta del treno spuntarono due teste corvine che il licantropo riconobbe immediatamente e si raddrizzò. I loro sorrisi, di rimando al suo, furono come due calorosi “Bentornato a casa, Moony”, e furono i più bei saluti di bentornato che ricevette mai.
«Sempre in ritardo, voi due?» la voce calda di Remus li accolse, e Sirius e James si sentirono subito a casa, un po’ come era già successo con il licantropo.
«Ciao anche a te, Moony!» esclamò James, sorridente, e poi caricò il grosso bagaglio accanto a quello di Peter. «Ciao, Wormtail!».
«Ciao, ragazzi!».
«Ehi, Peter!» lo salutò calorosamente Sirius, prendendogli la testa sotto il braccio e scompigliandogli i capelli chiari con la mano chiusa a pugno, divertito.
Dei ragazzini che passavano lanciarono loro sguardi perplessi, a cui Sirius rispose con un’occhiata penetrante e anche leggermente inquietante. Spesso la gente si chiedeva che ci facesse Peter tra loro, ma lui era un buon amico e un’ottima persona, su questo non si poteva discutere – e Sirius e James avrebbero facilmente pestato chi avesse osato dire il contrario.
«Di buon umore, eh?» chiese Peter, divertito, quando Sirius lo lasciò finalmente andare, andando a sedersi sul sedile più vicino alla porta e stese le gambe sul sedile vuoto che aveva davanti, mentre Remus protestava debolmente qualcosa che aveva a che fare con la pulizia e l’igene.
«Decisamente» assentì Sirius, annuendo, solenne. «Quest’estate ho fatto una grande scoperta, mentre ero da James».
«Illuminaci» sorrise Remus.
«Conoscete le moto? Sapete, quelle cose a due ruote che i babbani usano per muoversi» riprese Sirius, e, ad un cenno affermativo da parte degli amici, continuò: «Ecco, quelle. Le trovo fantastiche. I babbani, alla fin fine, non sono così sprovveduti!». Detto ciò, tirò fuori dallo zaino una rivista di moto babbane e mostrò agli amici i vari tipi di moto che comparivano nelle immagini che popolavano le pagine.
«Solo per le moto?» chiese Peter, perplesso, grattandosi una guancia.
«Non sono pazzo!» si lamentò Padfoot, scocciato.
«Sicuro?».
Dopo un’estate intera passata a sentirlo parlare di moto, James si era stufato e aveva iniziato a prendere in ‘seria’ considerazione l’ipotesi che l’amico fosse impazzito.
«Infedeli… Sono un genio, io» esclamò Sirius gonfiando il petto.
«Se lo dici tu» rise Peter, guardando quegli amici che, ora ne era sicuro, non avrebbe mai tradito.



***

 

La sua mano scattò, rapida, ed arpionò con forza la maniglia della porta scorrevole. Si sentì un clangore metallico appena accennato che la fece rabbrividire e sobbalzare leggermente ed entrò di corsa.
«Scusate il ritardo!» esclamò con il fiatone, mentre i Prefetti all’interno del vagone puntavano lo sguardo su di lei.
Lily scorse dei piccoli ghigni sui volti degli altri e si guardò attorno con sospetto. Quando i suoi occhi si posarono su James Potter e la sua spilla rossa da Caposcuola, la ragazza credette di essere davvero impazzita. Anzi, no, crebbe che Silente dovesse aver perso il lume della ragione. Chi, sano di mente, avrebbe mai assegnato la carica di Caposcuola ad uno come Potter?
Senza rendersene conto, scoppiò a ridere istericamente, stringendo i fogli che aveva in mano, le nocche pallide e i capelli rossi e scarmigliati che le davano un’aria da folle.
«Potter?» domandò con voce più acuta del normale, cercando di calmarsi.
Sul volto di James si fece largo un grosso, enorme sorriso a trentadue denti. Lily avrebbe voluto cancellarglielo dalla faccia, quel sorriso. Però, si ritrovò a pensare, effettivamente non era come i ghigni che era solito rivolgerle.
«Ehi, Evans» la salutò tranquillamente, tornando poi a guardare gli altri Prefetti. «Dicevo: quest’anno le ronde non le svolgeremo più da soli, ma a coppie, per ragioni di sicurezza. Le coppie sono assortite un po’ a caso per ora, ma non appena verremo a sapere degli orari degli allenamenti di Quidditch delle varie Case li cambieremo, ovviamente».
La Caposcuola lo guardò stranita: davvero Potter l’aveva ignorata? No, non l’aveva ignorata; dopotutto l’aveva salutata.
Ma che mi importa se Potter mi ignora o meno?, si chiese dandosi della scema da sola.
«Gli orari dovrebbe averli Evans» riprese James, rivolgendole lo stesso sorriso di poco prima. «Ce li hai tu, non è vero?».
«Uh? Oh. Sì, ce li ho io» rispose, porgendogli i fogli che aveva in mano e lanciando un’occhiata sbieca alla sua schiena magra. Il ragazzo li osservò un attimo, stupito di averli trovati leggermente stropicciati, vista l’accuratezza che Lily solitamente applicava per ogni cosa.
«Okay» proseguì, iniziando a consegnarli per lo scompartimento, ignorando la smorfia che si dipinse sul volto di uno dei Prefetti di Serpeverde. «Se avete qualche problema con orari o compagno siete pregati di farcelo sapere, in modo da organizzarci al meglio».
Lily si appoggiò alla parete e osservò i presenti nel vagone: due ragazze di Corvonero stavano chiacchierando a bassa voce, facendosi scappare una risatina di tanto in tanto, indicando qualcosa sugli orari; un ragazzo di Tassorosso che sorrideva ad una Grifondoro del sesto anno. Durante il suo giro d’ispezione incontrò due occhi neri e malinconici che la fissavano, ma spostò rapidamente lo sguardo. Notò che Remus sorrideva ed annuiva in direzione di Potter, come compiaciuto; probabilmente vedere il suo amico comportarsi così bene lo rendeva orgoglioso. Effettivamente, per alcuni versi Remus assomigliava un po’ a una chioccia – ma c’era anche da dire che, per quanto fosse carismatico, James Potter aveva un modo di comportasi del tutto particolare, e questo era innegabile.
James tornò accanto a lei e Lily si scostò leggermente, anche se non sapeva bene nemmeno lei perché l’aveva fatto. Perché è Potter e non lo sopporto – pensò, mentre lui le lanciava un’occhiata strana.
«Bene. Sappiamo tutti cosa sta succedendo lì fuori, e non possiamo far finta di niente. Sarebbe bene che collaborassimo tutti, gli uni con gli altri. D’accordo?».
Cori di “sì” e di “certo” anche un po’ stanchi arrivarono alle orecchie dei Caposcuola, che annuirono. Lily teneva gli occhi bassi.
«Abbiamo finito» li liquidò James, girandosi verso Remus e avvicinandosi a lui per parlare. Lily li aspettò in disparte, guardandoli con la coda dell’occhio, nel frattempo che gli altri uscivano lentamente dal vagone e andando scemandosi per il treno. Quando i due finirono di parlare e se la ritrovarono davanti, Potter aggrottò le sopracciglia, perplesso, mentre Remus le sorrise calorosamente.
«Ehi» la salutò quest’ultimo, alzando una mano in gesto di saluto.
«Ciao» rispose la ragazza, ricambiando il sorriso.
«Che ci fai ancora qui, Evans?» chiese invece James, e nella sua voce Lily non trovò la solita nota beffarda ma solo pura curiosità. Se ne stupì. «La riunione è finita più di cinque minuti fa».
Lily spostò il peso dalla gamba destra alla sinistra, mordendosi l’interno guancia. Già, perché era rimasta?
«Dovevo… parlare con Remus» disse rapidamente, sforzandosi di non smettere di sorridere, mentre il sopracitato cercava di reprimere un sorrisetto.
«Ah. Okay. Vi aspetto fuori, allora» detto questo, il ragazzo uscì dallo scompartimento chiudendosi la porta alle spalle. Remus lo seguì con lo sguardo finché James non si appoggiò alla porta, dando loro la schiena.
«Che dovevi dirmi?».
«Oh. Ehm. Ecco, vedi-» iniziò Lily, prendendo a gesticolare forsennatamente.
Remus ridacchiò sommessamente. «Ho capito: era una scusa» disse, facendola arrossire di vergogna.
Beccata.
«Non glielo dirò, tranquilla» aggiunse poi, anticipandola.
Lily distese le labbra in un sorriso caldo e annuì. «Grazie, Remus».
«Ma figurati. Ora usciamo, altrimenti James mi affattura».
Lily tentò di bloccarlo per chiedergli cosa intendesse, ma Remus aveva già aperto la porta, facendo quasi cadere James. La ragazza non riuscì a trattenere un sorriso sardonico.
«Avete già finito?» domandò, stupito.
«Guarda che non tutte le persone si chiudono negli scompartimenti per dare sfogo ai loro istinti ormonali, Potter…» mugugnò lei, infastidita.
James batté più volte le palpebre, preso in contropiede. «No, certo, ma io non intendevo ques-» iniziò, ma venne bloccato precocemente, e lui pensò bene di tacere.
«Non mi interessa» con queste tre parole Lily pose fine al discorso, arricciando leggermente gli angoli della bocca in quello che doveva essere un accenno di sorriso. «Devo andare».
«A dopo» sorrise Remus, chiudendo la porta scorrevole dello scompartimento.
Mentre la ragazza spariva dietro la porta del vagone con uno svolazzo dei capelli rossi, James mormorò appena: «Questo è l’ultimo anno in cui potrò vederla».
Remus gli posò una mano sulla spalla e sospirò.
«La verità non è sempre quella più in mostra» disse, iniziando a camminare.
James si affrettò a raggiungerlo, cercando di capire il senso di quella frase.

 

***

 

Non è cambiato niente.
Era quello il pensiero che aleggiava nella mente acuta e sveglia di Lily Evans, mentre camminava in mezzo alle tavolate delle quattro Case per raggiungere la sua.
Il soffitto era la copia sputata del cielo scuro di quella sera, e le candele rendevano tutto più suggestivo. Più magico, in un certo senso.
Per una Nata Babbana come lei, tornare ad Hogwarts dopo due mesi era qualcosa di bellissimo. Avere contatti con il suo mondo le era mancato spesso, specialmente quando, a casa sua, non riusciva a sentirsi al posto giusto. Quando si sentiva fuori luogo persino nella casa dove aveva passato l’infanzia, il pensiero di Hogwarts e le sue amiche riusciva a calmarla.
Dopo aver passato in rassegna le persone sedute ai tavoli, riuscì finalmente a scorgere le proprie amiche, che, tranquille, chiacchieravano. Un sorriso le illuminò spontaneamente il volto e le raggiunse. Si sedette accanto a Mary proprio quando il professor Silente si alzò dal suo posto per iniziare a parlare.
«Miei cari ragazzi, so che sarete stanchi e affamati, ma prima di far gioire la nostra pancia dovremo pazientare ancora un po’». Silente sorrise e fece un cenno con la testa alla professoressa McGranitt, che, rigida come sempre, aprì il grosso portone di quercia facendo entrare i bambini che dovevano venir smistati.
«Bicket, Lauren» chiamò la professoressa, quando tutti i nuovi studenti furono entrati.
Una ragazzina dai capelli neri e gli occhi castani si fece largo nel gruppetto fino ad uscirne, per andare a sedersi sullo sgabello. La McGranitt le mise in testa il Cappello Parlante, che rimase in silenzio per qualche minuto, prima di esclamare:
«Corvonero!».
Susseguirono altri due bambini che vennero smistati a Tassorosso, mentre Lionel Bilman finì a Serpeverde, tra gli applausi di quella Casa.
Dopo un po’ Lily fece spazio a Kora Russel, che le si sedette accanto, lanciandole un gran sorriso.
Poco distante, James continuava, di tanto in tanto, a lanciarle occhiate di sottecchi, curioso; il comportamento adottato dalla ragazza, in treno, l’aveva lasciato perplesso, così come la frase ambigua di Remus.
«Ehi, ciao piccolo!» esclamò Mary, sorridendo a un bambino biondo di nome Charles Ribey.
Passarono una ventina di minuti e lo Smistamento volse al termine, stupendo la maggior parte degli studenti più grandi. Quell’anno i nuovi studenti erano solo trentacinque, poiché molte famiglie avevano iniziato ad insegnare la magia a casa, visti i tempi che correvano.  Avevano bisogno di avere i propri bambini vicini.
E dire, invece, che Lily era dell’opinione che non ci fosse al mondo luogo più sicuro di Hogwarts. Lì, tra quelle quattro mura, tutto sapeva di casa, di un posto dove nessuno avrebbe potuto anche solo sfiorarli. Si sentiva al sicuro.
«Bene. Adesso che si è conclusa la cerimonia dello Smistamento direi di passare alle cose importanti, prima di sfinirci con i deliziosi piatti che sono stati preparati» iniziò Silente, serio. «Come ben sapete, il Mondo Magico è in pericolo. Immerso nel pericolo fino al collo, oserei dire, a causa della guerra che stiamo combattendo contro Lord Voldemort» - qualcuno rabbrividì al solo sentirlo nominare, mentre altri, decisamente meno, abbassavano lo sguardo – «e i suoi seguaci. Sono tempi bui, quelli che ci aspettando, ma non date tutto per perso. Voi siete la nostra speranza migliore; solo uniti riusciremo a sconfiggere Voldemort e a ristabilire la pace nel nostro mondo e in quello dei Babbani».
La mano di Mary scattò verso quella di Lily e la strinse con forza, forse troppa, ma quel gesto era stato talmente normale che nessuna delle due se ne accorse. Accedeva sempre che, quando s’intavolava il discorso guerra, Mary scattasse su come una molla e stringesse Lily in un abbraccio di ferro. Una stretta di mano, in confronto a quegli abbracci, non era niente.
«Dalle notizie che ho,» riprese Silente, abbassando di poco la voce, «Voldemort ha dei seguaci anche in luoghi che ora non mi è permesso di nominare, ma che si trovano molto, molto vicini a noi. È un dispiacere immenso per me dover sospettare di tutti quanti, anche di voi; è orribile sospettare anche che tra i miei studenti ci sia qualcuno che lo segue e che crede nei suoi propositi. Ma non riesco nemmeno lontanamente a immaginare che tra voi possa nascondersi un Mangiamorte» - qualcuno sgranò gli occhi e si guardò attorno, come a cercare qualcosa a cui prima non aveva nemmeno pensato - «Ma la strada che prenderete verrà da sé, in base alle scelte che farete, in base a ciò che ritenete più giusto e corretto. In base a ciò per cui volete lottare. E ora, buon appetito!».
Il preside batté le mani e, magicamente, i piatti dorati si riempirono di ricche pietanze.



***


Si fermò a contemplare la sua Sala Comune con le palpebre leggermente abbassate, i colori caldi della Sala che, sommati al tepore in cui era immersa, facevano venir caldo anche solo a tenere gli occhi aperti.
Passò dei minuti così, ad osservare il via vai di studenti che salivano o scendevano dalle scale a chiocciola, prima di decidersi a raggiungere anche lei la propria stanza.
Salì le scale a due a due e aprì la porta di legno scuro, trovando le sue amiche già impegnate a sistemare le proprie cose.
«Lily, eccoti!» esclamarono Mary e Miriam sbucando fuori dal bagno, sorridendo, la prima con in mano una confezione di quello che doveva essere shampoo.
Si sentì a casa.










La fanfiction è ambientata durante il Settimo Anno dei Malandrini, quando Lily e James dovevano ancora iniziare a frequentarsi. Sinceramente, non penso che lei abbia cambiato idea così, di punto in bianco, ma che abbia cominciato a rivalutarlo verso la fine del sesto anno, anche se è un po' restia ad ammetterlo; per questo motivo, qui possimo già vedere una Lily con dei pensieri un po' contorti, e che sappiamo bene dove la confurranno.
I  ringraziamenti già li ho fatti, ma li rinnovo, perché ci sono state un sacco di altre ragazze gentilissime nei miei confronti e nei confronti di questa storia. Sì, Silvia-Tef, Aras, Francesca, sto parlando con voi, splendori. ♥
Questa, per chi non lo sapesse, comunque, è la seconda 'edizione' - chiamiamola così - di Reaching for something in the distance, ma credo - anzi, ne sono quasi del tutto certa - che sia meglio della prima.
Spero vi sia piaciuto questo primo capitolo, ovviamente ogni parere è il benvenuto e sono pronta a ricambiare ogni recensione ricevuta.
Il prossimo capitolo lo pubblicherò sabato 4 febbraio. ^^
A presto, 
Er.



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