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Autore: darkronin    20/01/2012    6 recensioni
Abbiamo sempre solo immaginato cosa possa aver pensato il Re dei Goblin di tutta l'avventura che vede Sarah protagonista nel risolvere il labirinto.
Ho voluto tentare di rendere concrete tutte le sfacettature e allusioni che lui -e gli altri personaggi- mostrano di questo mondo all'interno della storia originale.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tela di diamante'
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Ed eccoci arrivati all'ultimissimo capitolo. In realtà volevo fare in modo di stare nei 13 capitoli ma il primo introduttivo ha sballato i conti...In ogni caso le ore non erano comunque 13 ma non importa: mi piaceva l'idea.

Dunque, prima di lasciarvi alla lettura vi dico solo una cosa. Noterete che ho cambiato un po' le cose rispetto al film. Nulla di grave: avrei voluto lasciare per ultima la scena incriminata (capirete) ma finiva un po' a schifio...quindi ho preferito lasciare il finale originale e rendere tutta la parte conclusiva un po' più verosimile, come spiegherò più avanti. Perché tutta quella nostalgia dopo solo 5 minuti dalla fine di tutto mi è sempre sembrata un po' strana e forzata...ma si sa che per esigenze varie nei film si condensano mille discorsi in una frasetta e anni in un fotogramma. E io ci tenevo a mostrare la nuova Sarah e la sua probabile reazione dopo tutta questa storia.

Spero non vi disturbi troppo...sennò, saltate a piè pari :)

Buona lettura.

DR







14. Epilogo











Il salto di Sarah sembrò durare molto più di pochi istanti. Attorno a sé le pareti di quella sala erano in frantumi e galleggiavano in un vuoto cosmico oscuro. Si rese conto di non aveva alcuna via di fuga. Eppure, nonostante la situazione si fosse fatta spiacevole proprio in quel momento, non era angosciata. Per un attimo, la curiosità per il nuovo luogo ebbe la meglio sulla sua urgenza e la spinse a studiare bene quel posto nel tentativo disperato di imprimerselo nella memoria. Sotto un arco, ancora miracolosamente in piedi, la figura di Jareth fece timidamente capolino, illuminando le tenebre tutt'intorno. Era, stranamente, vestito di bianco, con un mantello leggero e lanuginoso che ricordava il manto di qualche animale. Qua e là qualche lunga penna sbucava rigida dall'insieme. Guanti e stivali erano anch'essi chiari e il medaglione che gli pendeva al collo sembrava aver cambiato la propria composizione: era, ora, un falcetto dorato con incastonato un disco argentato.

Dammi il bambino” disse lei non appena lui comparve sotto l'arcata.

Jareth avanzò a passi misurati, sicuro, quasi annoiato da quella richiesta, sempre la stessa. “Sarah bada a te, sono stato generoso fino a questo momento. Ma so essere crudele.” l'ammonì, per nulla sorpreso di quella distruzione, quasi fosse stato lui a crearla per toglierle ogni via di fuga. Nonostante tutto, il suo viso appariva tirato e stanco e Sarah ebbe l'impressione che sotto i begli occhi si fossero disegnate delle pesanti occhiaie.

Generoso? Cosa hai fatto di generoso?” chiese lei con tono di scherno nella voce, interrompendo la sua recita: quell'uomo la esasperava. Le sembrava di avere a che fare con un bambino troppo cresciuto.

Tutto. Tutto!” Replicò lui, furente, le labbra, ora dorate anch'esse, piegate in una smorfia. Subito, però, si addolcì “Tutto quello che hai voluto io l'ho fatto. Tu hai chiesto che il bambino fosse preso e io l'ho preso.” Spiegò cominciando a girarle intorno come un rapace che attende la morte della preda agonizzante “Tremavi davanti a me e io mi facevo più terrificante. Ho sovvertito l'ordine del tempo e ho messo sottosopra il mondo intero e tutto questo io l'ho fatto per te. Sono stremato dal vivere in funzione di quello che ti aspetti. Questo non è generoso?” Domandò alla fine, fermandosi nel suo circolare erratico.

Sarah lo guardò scettica. In realtà, pensò confermando il suo scetticismo, non solo le sue richieste, come rendergli il fratello, non l'avevano minimamente scalfito; non solo lei non gli aveva chiesto nulla di tutto quello che lui aveva ritenuto opportuno fare per compiacerla, ma stava cercando di imbrogliarla. Ancora una volta. Al di là del fatto che lei non l'avesse mai temuto eccessivamente - l'aveva odiato, quello sì, ma nemmeno nei cunicoli delle segrete le era sembrato una minaccia concreta...forse solo al loro primo incontro con quel serpente..- prima si spaventa una persona e solo in seguito quella può tremare di paura: operare al contrario avrebbe rivelato solo meschinità e grettezza. Ma soprattutto, aveva fatto inutilmente cose che non c'entravano nulla. Come sovvertire il tempo, ad esempio: l'aveva fatto unicamente per gratificare il suo misero ego messo alla prova da una ragazzina. Si era una ragazzina, lo sapeva benissimo, e lui, dopo averla platealmente ignorata, si abbassava a giocare con lei ma solo per complicarle la vita...un bambino viziato e prepotente. Ecco cos'era quell'uomo incoronato Re.

Inoltre nessuno gli aveva chiesto di soddisfare le proprie, impossibili, aspettative sugli uomini. Un tentativo, a suo avviso, fallito comunque clamorosamente.

Non doveva lasciarsi distrarre da tutto quel candore: lui non era puro come non era affatto sincero.

Come se nemmeno l'avesse ascoltato, quindi, lei continuò con la sua messinscena. Quel libretto era stata la chiave di tutto: aveva dato il via alla vicenda e l'aveva aiutata nel momento di maggior bisogno. Quindi, forse, poteva esserle utile per chiudere quella faccenda. Forse non bastava aver trovato Toby, averlo raggiunto...c'era qualcosa che le sfuggiva. E sembrava anche che lui lo temesse.

Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per questo castello, oltre la città di Goblin, per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte come la tua e il mio regno...”

Aspetta...” disse, infatti, lui, alzando una mano tra loro, interrompendola e chiedendole ancora attenzione: sapeva dove sarebbe andata a parare. Poteva concederle tutto. Tutto ma non quelle parole “Aspetta, Sarah.” quasi la pregò “Guarda quello che ti sto offrendo: i tuoi sogni...” nella voce un misto di tristezza per un dono tanto prezioso gettato via, come se lei non ne capisse l'importanza: l'aveva già rifiutato una volta e distrutto una seconda.

E il mio regno altrettanto...” continuò lei imperterrita, senza calcolarlo. Aveva deciso che lui mentiva, mentiva e basta, quindi tutto quello che le avrebbe detto sarebbero stati tentativi per sviarla dal suo proposito. E lei non poteva permetterselo.

Erano molto simili, loro due. Forse altrettanto fragili. Anche le loro volontà, quindi, non potevano non essere che egualmente prevaricatrici. Ma, al momento, Jareth si sentiva morire dentro: il comportamento glaciale di lei lo aveva demoralizzato al punto da renderlo la larva di se stesso. Pur sapendo a cosa andava incontro, il suo carattere determinato e la resa dei conti imminente che le imponevano una scelta, non riusciva a farsi forza. “Ciò che ti chiedo è così poco” L'interruppe ancora, supplichevole, sperando che lei tornasse sui suoi passi “Lascia solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri” le propose ambiguo, soddisfatto della proposta a cui non avrebbe potuto e dovuto rinunciare. “Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che ti dico e io diventerò il tuo schiavo.” La sfera del patto e dei sogni era sospesa sulla punta delle sue dita, in mezzo a loro. Dentro di sé, il Re pregava che lei accettasse. Ormai non per vincere, e men che meno perché si innamorasse di lui. La voleva. Come aveva sempre saputo, lei era la persona adatta, dal temperamento determinato e aggressivo, colei che aveva disperato di trovare e che era, invece, infine giunta. Lei, lei e nessun'altra era degna di accompagnarlo. Se inizialmente l'aveva desiderata solo perché forse era la persona che aveva atteso e in un secondo momento lo aveva intrigato coi suoi continui dinieghi e con la sua caparbietà, ora era cosciente che il filo rosso del destino li legava. Forse avrebbero potuto anche amarsi in condizioni meno particolari. Doveva convincerla a restare perché non aveva mezzi per obbligarla.

Lei lo guardò per un lungo istante. Poi si illuminò, comprendendo ciò che fino a quel momento le era sfuggito e ricordando, insieme, la parte di racconto che non riusciva a fissarsi a mente Era così ovvio! Ma era riuscita a capire il senso della frase, a contestualizzarlo, solo vivendo la vicenda in prima persona. Lui non poteva o non voleva forzarla. “Tu non hai nessun potere su di me!” *





Qualcosa dentro Jareth andò in frantumi. La tristezza, la disperazione, il senso di ineluttabilità avevano preso il posto del rancore e lo avvilupparono come una tenaglia fredda.

Lei aveva vinto la loro sfida. Aveva capito, pochi istanti prima dello scoccare della tredicesima ora, come ragionare nell'Underground, qual'era il suo punto debole e quanto contassero volontà e parole. Se non aveva fatto nulla di tutto ciò, era stata tremendamente fortunata. Però, al momento, parole e sentimenti coincidevano. E aveva ragione. Lui non poteva nulla su di lei. Lei, la sua piccola creatura che era cresciuta fino ad affrontarlo e vincerlo, lei a cui lui aveva donato parte dei suoi poteri, lei, la prescelta per accompagnarlo nel cammino eterno. Lei che ora l'aveva rifiutato, ricacciandolo da sé, dalla sua mente, dal suo cuore. Sapeva che, se lei gli avesse mai rivolto quelle parole, avrebbe sofferto le pene dell'Inferno. Ma quello che aveva solo provato a immaginare non era nulla paragonato a come si sentiva lacerato: sogni, speranze, futuro. Tutto era svanito in pochi istanti. Le lanciò la sfera in un gesto delicato, prima che rovinasse a terra insieme a lui. Glielo doveva. A malincuore l'avrebbe ricondotta a casa con le ultime forze che gli restavano, lei e il fratello, che aveva coraggiosamente e onestamente riconquistato: la sua volontà di vivere, la sua magia, la sua potenza erano defluite da lui insieme a quelle parole.

Con angoscia, si rese conto di chiamare il suo nome. Fortunatamente, lei parve non sentirlo, confusa dal vorticare di drappi che lui si era lasciato alle spalle nel suo disfacimento. La vide correre incontro alla piccola sfera, fragilissima ormai, che scoppiò come una bolla di sapone al contatto con la punta delle sue dita. Un sorriso amaro gli increspò le labbra: aveva forse accettato il suo dono e i suoi sentimenti? Peccato l'avesse fatto troppo tardi, come sempre eccessivamente ligia al dovere per anteporre i propri bisogni.

Un battito di ciglia. Poi un altro. E così come erano arrivati nell'Underground ricomparvero nella villetta. Ma Jareth era spossato da quell'esperienza, che aveva messo alla prova anche lui, la sua volontà e i suoi sentimenti, e non riuscì a riportarla esattamente nel punto di partenza. La lasciò, confusa e incerta, nell'ingresso, ai piedi delle scale. Avrebbe dovuto faticare solo un altro po' per raggiungere il fratello e accertarsi delle sue condizioni mentre lui, esausto, volava fuori dalla finestra aperta, nel cielo ancora coperto di nuvole temporalesche, troppo fiaccato per mantenere la sua forma umana: aveva bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi per ricevere sostegno e per riposarsi. Per un istante folle, pregò che la ragazza uscisse di casa, nella notte, a cercare lui, sicura che il fratello fosse ormai al sicuro.

Ma, com'era prevedibile, dopo un attimo di smarrimento lei corse al piano di sopra, nella stanza dei genitori a controllare la culla dove, a mezzanotte spaccata, avrebbe dovuto trovarsi il fratello se lei non avesse ceduto a desideri egoistici o non avesse sognato tutto. Corse a perdifiato, divorando i gradini due a due, quasi sfondò la porta della grande camera da letto.

Toby giaceva addormentato e sereno nella sua gabbietta di legno laccato. Sarah tirò un sospiro di sollievo.

Amorevolmente gli rimboccò le copertine e, infine, gli cedette il proprio pupazzo, Lancillotto: ormai era grande, poteva separarsi da uno dei suoi molti amici d'infanzia. Ciò non voleva dire che non le importasse più nulla. Ma il viaggio, vero o presunto, nell'Underground l'aveva resa più malleabile e possibilista.

Si chiuse la porta alle spalle, avvertendo un suono ovattato nel vialetto che portava a casa.

La ragazza, esausta, andò a sedersi alla toletta. Osservò le molte cose che affollavano il piano di lavoro. Quell'avventura le aveva insegnato che era tempo di crescere: era il caso che mettesse via i giochi d'infanzia a cui si aggrappava. Anche perché, si disse sorridendo e riponendo il carillon con la ballerina nel cassetto, il sogno che aveva appena vissuto era infinitamente più avvincente ed entusiasmante di qualunque altra sua fantasia. Ripose nel cassetto anche una foto di sua madre, un altro pezzo di passato da cui, forse, era riuscita ad affrancarsi.

Sarah? Sei a casa?” domandò suo padre dal pianterreno.

Trattenne a stento una delle sue solite rispostacce. “Dove vuoi che sia?” avrebbe risposto fino al giorno prima, “Ad accudire il marmocchio!”

Invece, si sforzò di essere gentile “Sì, sono a casa...” disse ad alta voce, per essere certa di farsi sentire, al di là della porta. Aprirla e andare loro incontro era ancora prematuro: cercare di essere più carini era un primo passo. E, ne era certa, sarebbe stata la prima di una lunga fila di risposte simili.





La mattina dopo, Sarah si svegliò di buonora. Scese lentamente le scale che conducevano al pianterreno e, giunta in prossimità della cucina, si prese il tempo necessario per calmarsi. Trasse un paio di respiri profondi, quindi, bussò sullo stipite ed entrò. Lì, attorno alla tavola imbandita, stavano il padre, Karen e Toby. I volti dei due adulti non celarono la sorpresa di vederla comparire a quell'ora tra loro: normalmente aspettava che tutti avessero finito ed evitava quanto più possibile i contatti con chiunque. L'imbarazzo era palpabile da ambo i fronti ma Karen, colse quella mossa come un sotterramento dell'ascia di guerra e ne approfittò. “Vieni cara, accomodati pure...” disse spostando la sedia davanti a sé, tenendo con l'altra mano il bricco del caffè. Ancora una volta, Sarah non rispose al suo solito con un “Ci mancherebbe altro, questa è casa mia”. Intrecciò le dita tra loro più volte finché accettò l'invito docilmente, sorprendendoli. Consumò una ricca colazione (aveva una fame quasi atavica, quasi non avesse davvero mangiato nulla per una dozzina d'ore la sera prima) in compagnia della sua nuova famiglia. Era una sensazione strana. Un tiepido calore le scaldò il cuore. Le sembrava quasi di essere in compagnia dei suoi nuovi, recenti e illusori amici che un po' ne avevano le caratteristiche: Toby balbettava sillabe inarticolate come Ludo, suo padre era un buono a nulla come Hoggle e Karen...Karen cercava la perfezione, si faceva paladina di ogni causa...un po' come Didymus. Sorrise a quel pensiero: se avesse pensato alla sua famiglia come al gruppetto che l'aveva scortata fino al castello, ciascuno con le sue pecche, forse avrebbe imparato a essere più tollerante. Le sembrava quasi di esser stata la protagonista del libro, così come Bastian lo era stato della Storia Infinita. Però il suo era stato un vero viaggio: lei era vera, era viva...la sua storia non era incisa in qualche pagina bianca... Ripensò a dove avesse trovato Lancillotto quando era entrata, la sera prima, dopo il presunto viaggio, nella stanza dei genitori: era sul letto, dove lei l'aveva lasciato mentre raccontava quella storia dell'orrore al fratellino, prima che si stancasse e desiderasse la sua sparizione. E poi, ancora, le mancavano il suo anello e il suo bracciale. Sì...era stato un viaggio vero. A meno che non avesse davvero mai posseduto quegli oggetti e si fosse immaginata il contrario. E anche l'abito medievale della recita del pomeriggio, di quel colore così particolare, un verde tanto chiaro da risultare quasi bianco, l'aveva ritrovato sul letto, dove lei l'aveva buttato appena rientrata. Pensandoci, però, era in quella stessa posizione anche nel sogno che le aveva fatto rivivere la vecchia strega in quella specie di bunker sotto i rifiuti. Quindi...non poteva avere la certezza... scrollò la testa. Lei era una massa di muscoli in tensione, quindi non era la fantasia di qualche lettore. Restava da chiarire se fosse ancora all'interno dell'incubo. Forse, quando aveva fatto esplodere la bolla di sapone aveva cambiato tutto. No...lei ora era lì con Toby. E lui non si era più visto: figurarsi se, dopo quello che gli aveva detto, se ne sarebbe stato buono buono. Sarebbe certamente tornato a sfidarla. Se fosse stato vero. Ma era solo un suo sogno.

Sorrise tranquilla e continuò, più leggera, la sua colazione.





Quand'ebbe finito si prese tutto il tempo necessario per fare ordine nella propria testa, d'altronde era domenica e nessuno aveva fretta. Inspirò a fondo, quindi parlò.

Posso parlarvi un momento? E' una cosa veloce...nulla di impegnativo..” si giustificò subito. Karen e Robert si guardarono perplessi, ma annuirono seri, prestandole tutta l'attenzione che lei sembrava richiedere.

Bene” si disse Sarah “Se Maometto non va alla montagna...allora sarà la montagna ad andare da Maometto.” Incrociò le mani sul tavolo, cercando la calma e le parole giuste. “Ecco...diciamo che volevo chiedervi scusa...a tutti e tre...per il mio comportamento di ieri sera...di...degli ultimi tempi, insomma.” disse ingoiando il rospo. La colpa non era tutta sua, lo sapeva benissimo. Ma se non faceva una prima mossa, non sarebbero mai usciti da quell'impasse.

Dire che gli adulti erano allibiti sarebbe stato un eufemismo: erano senza parole. Tutto si aspettavano fuorché quel cambiamento di atteggiamento così improvviso e integrale. “Ecco sì...e volevo anche dirvi che...d'accordo, per me è difficile...molto difficile accettare questa cosa...” disse, lasciando libertà l'interpretazione. “Ma ho anche capito che la vita va così e io non posso oppormi inutilmente a una situazione che non mi piace e basta: devo imparare a conviverci e a sfruttarla...Ma ho bisogno di tempo. Quindi...” aggiunse prima che chiunque potesse interromperla “...vi chiedo di essere pazienti con me... di lasciarmi i miei spazi, di non intromettervi in questioni personali.” disse guardando la donna, invitandola a star fuori dalle discussioni tra lei e suo padre “Se cercheremo di venirci incontro a vicenda forse sarà possibile migliorare la situazione...” Così dicendo si alzò in piedi e ringraziò della colazione: aveva altri progetti per quella giornata.

Sarah...” cominciò Karen. La ragazza sperò che non volesse puntualizzare quanto lei fosse stata brava e non avesse fatto altro, fino a quel momento, che non andarle incontro. Sperò che capisse cosa le era costato quel gesto. E per impedirle di rovinare tutto la anticipò “Scusami, Karen, ho un bel po' di lavoro che mi aspetta in camera...ti va se ne parliamo più tardi?” Disse indicando il piano superiore. Quella annuì e lei sgattaiolò via veloce. Si era sentita tremendamente falsa nell'essere così gentile con lei. Ma se quello era il prezzo da pagare per un po' di serenità in casa, l'avrebbe pagato volentieri, anche se sapeva che sarebbe stato difficilissimo non perdere le staffe. Quella era una delle lezioni che l'Underground le aveva dato: nulla è dovuto e tutto ha un prezzo.





A una settimana di distanza da quell'avventura, la camera di Sarah, come i suoi buoni propositi, erano ancora nella stessa situazione della sera in cui tutto era finito. Karen e Robert erano usciti anche quel fine settimana e Toby... Toby aveva fatto il diavolo a quattro anche quella sera, ma Sarah aveva cercato di calmarlo amorevole, ricordando l'angoscia con cui l'aveva inseguito su e giù per le scale del labirinto finale. Si era calmato da poco e lei era tornata in camera. Fissò la toletta con sguardo vuoto. A differenza di una settimana prima, sistemare tutto ora non le sembrava più una mossa così intelligente e aveva paura.

Si fece coraggio e afferrò il librettino rosso che era stato fondamentale in tutta quella vicenda e che non aveva più toccato da quella sera. Lo studiò con reverenza, la copertina sgualcita, i caratteri dorati impressi sul dorso...

Ripose anche il libro nel cassetto, accantonando, con esso, il dilemma se fosse stata un'esperienza reale o meno. Avrebbe rischiato di diventare pazza se ci avesse pensato troppo.

Il suo voler nascondere tutto, non voleva dire, però, che stesse rinnegando i suoi sogni e la sua infanzia: li metteva da parte, pronta a tirarli fuori all'occorrenza, per far spazio a una nuova fase della sua vita. Era impossibile fare tutto in una sera o due: doveva darsi il tempo di metabolizzare quanto stava facendo ed elaborare anche il lutto della separazione.

Addio Sarah...” piagnucolò improvvisamente una voce alle sue spalle. La ragazza alzò lo sguardo e, riflesso nello specchio, vide Ludo. Si voltò di scatto ma la stanza era vuota. Tornò a guardare lo specchio, perplessa: era la materializzazione dei suoi sogni? Di quel libro? Chiudendolo nel cassetto il suo personaggio si era sentito tradito?

E ricorda, giusta donzella, sempre al bisogno di noi....” disse anche Didymus, seduto sul suo letto, scomparendo e cedendo la parola a Hoggle “Già...se avessi bisogno di noi, per qualsiasi motivo...”

Ho bisogno di voi!” lo interruppe la ragazza, gli occhi lucidi, velati dalle lacrime. Non aveva il coraggio di lasciarsi alle spalle tutto. Era spaventata al pensiero di perdere tutto quello che era stata fino a quel momento. Aveva bisogno di qualcuno che l'affiancasse in quel periodo di transizione, che non le facesse perdere la strada, che la guidasse in quella fase di crescita e cambiamento, aiutandola a rimanere sempre la stessa persona.

Davvero?” chiese stupito Hoggle

Non so perché ma di tanto in tanto nella mia vita, per nessuna ragione apparente, io sento il bisogno di tutti voi.” Affrontare i genitori quella domenica mattina le era sembrato un gioco da ragazzi paragonato alla Palude del Fetore eppure ne era stata molto più spaventata.

Davvero? Perché non l'hai detto prima?” sbottò Hoggle indispettito. Sarah si voltò, sospettando un qualche trucchetto dietro le parole del nano.

Lo specchio non gliene aveva dato preavviso, ma in camera sua si erano materializzati tutti gli esseri che aveva incrociato nel suo viaggio, dalle porte del vicolo cieco al Vecchio Saggio e c'erano anche i più pericolosi, dai Goblin ai Firey. Si lanciò con entusiasmo ad abbracciare i suoi tre amici, fendendo quella folla di creaturine che avevano allestito una festa improvvisata, tutta in stile umano con tanto di stelle filanti, musica e cappellini.

Niuno, qui, vuol misurarsi con me a Scarabeo?” domandò Sir Dydimus che fu snobbato da tutti. Hoggle spiegò subito a Sarah che lo scoiattolo era il sette volte campione in carica e che, in una popolazione come quella di Goblin City, dove il 90% della popolazione era analfabeta, il piccolo cavaliere dal complesso di Napoleone aveva gioco facile.

I festeggiamenti proseguirono a lungo finché la ragazza non crollò esausta e felice.

All'appello, quella sera, mancava solo una persona dai glaciali occhi spaiati.

Una persona di cui, a pensarci bene, non aveva trovato alcun riscontro in famiglia... escludendo l'uomo che le aveva portato via la madre. E se avesse solo azzardato, per un momento, a immaginarsi nei panni di lei...sospirò e cacciò il pensiero.

Una persona di cui le era sembrato di scorgere il sembiante fuori dalla finestra ma che subito si era involato in un frullo d'ali.





Quell'unica persona non aveva la forza per assumere le proprie fattezze umane e non voleva presentarsi a lei se non sotto quella forma. Inoltre, gli era sembrato di non esser stato invitato. La sua condizione di sconfitto gli impediva di accedere liberamente alla sua campionessa, specialmente se questa o qualcun altro tra i presenti, stava facendo uso di magia**. Lui era dunque escluso dai festeggiamenti come dal suo cuore. Ma non lo sarebbe stato per sempre. Quella speranza gli diede la forza di spiccare il volo, per impedirsi di farsi del male nel vederla così serena anche senza di lui mentre una canzone cominciava a echeggiare dall'impianto stereo. “Underground” del Duca Bianco David Bowie, la preferita di Sarah...una canzone che, forse, aveva avuto un qualche ruolo nell'innescare tutta quella vicenda.



E' solo per sempre
Non è poi tanto tempo
Persa e sola

Nessuno può biasimarti
Per essere andata via
Troppi rifiuti
Nessuna iniezione d'amore
La vita può essere facile
Non va sempre alla grande
Non dirmi che la verità fa male, ragazzina
Perché fa male da morire

Ma giù nel sottosuolo
Troverai persone vere
Giù nel sottosuolo
Una terra serena
Una luna di cristallo.***





Tutto stava andando nel migliore dei modi. Ma non sarebbe durato per sempre.



E allora lui sarebbe tornato.



Il destino era già scritto tra le stelle.



Lei... Lo avrebbe richiamato.













*No, non vi sto dicendo nulla di nuovo ma...ai fini del sequel (e per afferrare, forse, il perché delle azioni di Jareth in tutta questa avventura) vi chiedo solo “Quand'è che lei gli dice queste stesse parole la prima volta?”. Riuscite a vederlo, ora, il collegamento con “Ma quello che nessuno sapeva era che il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e le aveva dato certi poteri”? No? Beh, allora ho una scusa per invitarvi a leggere il mio continuo. :)

** E qui faccio riferimento a Hoggle. Secondo me è l'unico altro che ha poteri magici e mi spiego subito: nella scena iniziale, quando, dopo aver fatto entrare Sarah nel labirinto, se ne va offeso, sbatte i portoni dello stesso senza però toccarli; riconosce subito quando c'è in atto una forza magica, da Jareth mascherato nei cunicoli alla pesca stregata. E ancora, sembra quasi che sia lui a dare il via libera alla popolazione dell'Underground, di invadere la camera della ragazza.



*** in realtà, la narrazione si conclude il barbagianni che si alza in volo e solo allora si sente Magic Dance riarrangiata: “You remind me the baby-What Baby?-Baby with the power-What power?- Power of Voodoo- Who do?- You do- Do What?- Remind me the baby”. E' cantata in modo molto dolce e può quasi sembrare il ricordo del dialogo tra il re e i Goblin come anche un nuovo, identico dialogo in cui, però, baby è riferito a Sarah e non più a Toby (d'altronde..lei ha un potere...). Poi attacca con la versione Album di “Underground” (il cui testo non è quello dell'inizio, bensì una richiesta di venir, di nuovo, portati via “Daddy, daddy, get me out of here-I, I'm underground-Heard about a place today-Where nothing never hurts again-Daddy, daddy, get me out of here-I, I'm underground-Sister, sister, please take me down-I, I'm underground-Daddy, daddy, get me out of here ”). Dato che non avevo -volutamente- inserito la canzone all'inizio, l'ho messa qui con l'idea di richiamare una certa ciclicità... Spero perdonerete anche questa libertà...

(cmq giustificherò TUTTO nel sequel)



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Ed eccoci arrivati alla fine.

Spero che il cambiamento apportato alla storia, come preannunciato, non vi abbia infastidito troppo.



Ringrazio tutti per avermi seguita fino a qui. Mi sono divertita molto e spero che sia stato lo stesso anche per voi.

Spero di ritrovarvi tutti anche nel sequel (che ormai ho già cominciato ma) che comincerò a pubblicare solo tra qualche settimana. Ora è tempo di esami...abbiate pazienza: ci hanno aggiunto libri e consegne all'ultimo minuto -_-

Un abbraccio grande a tutti.

A presto

Dark-ronin

   
 
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