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Autore: Vattelapesca    21/01/2012    3 recensioni
Ho scritto tante cose, ma questa è la mia prima FanFiction in assoluto. Ero curiosa di provare.
La guerra è finita ed il mondo magico è finalmente libero. Ma il dolore per i caduti sembra qualcosa destinato a non finire. Dal primo capitolo: E lui, Harry, in prima fila assieme a tutta la famiglia, addirittura prima di zia Muriel, non poteva sentirsi più estraneo. Era a mille miglia di distanza da tutto e da tutti, dal pianto disperato di Molly Weasley, dallo smarrimento sulla faccia pallida di Lee Jordan, dal dolore soffocato di Fleur e Bill, da quello puro di George, dalle mani intrecciate di Ron e Hermione e dal viso duro di Ginny che lo fissava fiera con gli occhi lucidi di lacrime.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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12.What they died for
 
“Per le mutande di Merlino, Hermione, ti vuoi dare una calmata?!” sbottò Ron esasperato.
Da quando si erano svegliati – o, per meglio dire, da quando Hermione li aveva buttati giù dal letto ad un'ora improbabile – la ragazza non aveva fatto altro che girare per la casa come uno spioscopio impazzito, controllando i bagagli ogni due minuti e urlando ordini ai due poveri amici, che, a detta sua, stavano rallentando la partenza. Harry e Ron sapevano che quello era il modo che Hermione aveva per gestire l'ansia di rivedere i suoi genitori, e l'avevano lasciata fare. Schemi organizzativi e tabelle di marcia erano sempre stati una prerogativa della ragazza, sopratutto a scuola, quando dava inizio ai programmi di ripasso anche mesi prima degli esami. Ma era evidente che la situazione le stava sfuggendo di mano. Era la quarta volta che svuotava completamente la sua borsetta di perline nella convinzione di aver dimenticato qualcosa. Alla fine avevano capito che era venuto il momento di fermarla. O, almeno, di provarci.
Hermione si fermò di botto in mezzo al corridoio, “Ma io sono calmissima!” strillò con voce acuta. Troppo acuta.
“Lurida feccia! Traditori del vostro sangue! Sporchi mezzosangue schifosi! Fuori da questa nobile casa! Fuoriiiiiiii!”
Ron imprecò sonoramente, guadagnandosi una risposta a tono dalla Signora Black, poi si precipitò davanti al ritratto, seguito da Harry. Per la terza volta in quella mattina, riuscirono a chiudere le vecchie tende tarmate, zittendo l'adorabile madre di Sirius.
“Hermione, Ron ha ragione. Penso che tu sia un po' troppo agitata. Andrà tutto bene.” disse Harry con calma voltandosi verso la ragazza.
“Oh, non è affatto detto! Non se voi due continuate a non aiutarmi!”
“E in cosa ti dovremo aiutare?! E' tutto pronto da giorni.” protestò Ron.
“Beh, per esempio, mi è venuto in mente: avete portato i vestiti giusti? Insomma in Australia è Inverno, ma il clima può variare di molto! A sud fa molto più freddo che a nord, anche se mai come qui in Inghilterra. E forse noi dovremo viaggiare per tutta la nazione! Insomma, ci avevate pensato?”
“Neanche un po', in realtà.” ridacchiò Ron.
“Visto! Lo sapevo! E poi pretendete che io stia calma!” si inalberò Hermione. Harry lanciò un'occhiataccia all'amico, che non sembrava aver più tanta voglia di ridere.
“Va bene, va bene! Stavo solo scherzando! Adesso calmati, per favore.”
“Ronald Weasley, se mi dici un'altra volta di calmarmi, giuro che io...” cominciò Hermione agitando un dito per aria.
“Adesso basta.” la interruppe Harry. “Stare a discutere qui porterà solo a far risvegliare la Signora Black. Prima di tutto, andiamo in cucina. E poi partiamo dalle cose fondamentali, Hermione. Nel caso non te ne fossi accorta, non ci hai ancora detto come arriveremo in Australia.”
Hermione aprì la bocca, forse per rispondere, forse per replicare, ma Harry le fece ancora segno di andare di andare in cucina e lei fu costretta a muoversi.
L'intero viaggio era stato organizzato completamente da lei. Appena avevano deciso di partire, Hermione aveva cominciato a procurarsi libri e cartine geografiche che studiava regolarmente ogni sera. Loro l'avrebbero aiutata volentieri, ma, ogni volta che le chiedevano qualcosa, lei rispondeva che era troppo occupata e che ci avrebbe pensato da sola. L'avevano lasciata stare, perché non c'era nessuno più bravo di lei in queste cose ma, adesso, al giorno della partenza, stava di fatto che loro due non sapevano quasi nulla di cosa li aspettasse.
“Allora?” la incitò Harry una volta che si furono seduti.
“Ci ho pensato a lungo. Materializzarsi sarebbe stato impensabile, ad una tale distanza. Per non parlare delle scope, così ho deciso che prenderemo una Passaporta.”
“Hai intenzione di creare una Passaporta non autorizzata?” fece Ron alzando un sopracciglio.
“Certo che no.” rispose scandalizzata Hermione.
“E allora come hai fatto? Ci vuole un sacco di tempo per avere l'autorizzazione dal Ministero!”
“ Beh... diciamo che aver salvato il mondo magico ha i suoi vantaggi, ecco.” rispose sbrigativamente lei abbassando lo sguardo. Harry non riuscì a trattenere un sorrisetto.
“E dov'è questa Passaporta?”
“Non è da nessuna parte. Dovrò crearla io. Mi hanno dato una determinata finestra oraria. L'autorizzazione sarà valida dalle dieci alle undici. Quindi, se partiamo alle dieci, arriveremo a Sydney otto ore dopo, ossia alle sei di pomeriggio.”
“Otto ore dopo?” chiese Ron aggrottando le sopracciglia.
“Il fuso orario, Ron! Anche se il nostro viaggio durerà meno di un secondo, ciò non vuol dire che...”
“Ho capito, ho capito.” la interruppe il ragazzo alzando le mani, come in segno di resa.
“Quindi.” intervenne Harry. “Visto che adesso sono le otto e trenta, abbiamo ben un'ora e mezzo di anticipo, dico bene?”
“Beh, sì! Ma non potevo di certo rischiare di fare tardi!” esclamò Hermione per giustificarsi.
“Ci mancherebbe.” sussurrò Ron.
“Non importa, visto che devo comunque fare un'ultima cosa, prima di partire.” li informò Harry con il tono di voce più calmo che gli riuscisse. Ovviamente, proprio come aveva previsto, vide gli occhi di Hermione spalancarsi prima che lei protestasse contrariata. “Oh, Harry! Ma cosa stai dicendo?! Con tutto il tempo che hai avuto, proprio oggi? E poi si può sapere cosa dovresti fare di così tanto importante?”
“Tranquilla, non devo andare da nessuna parte. Si tratta solo di aspettare una... consegna, diciamo.”
“Una consegna di cosa?” chiese Ron, curioso.
Harry inclinò un angolo della bocca in un mezzo sorriso. Era venuto il momento di raccontare tutto.
In realtà, non c'era un vero motivo per cui Ron e Hermione non avessero dovuto saperlo fin da subito. Ma Harry aveva sentito che che era una cosa da fare in solitudine. Così aveva deciso di aspettare che tutto fosse finito per mettere al corrente i due amici di quanto aveva fatto.
L'idea gli era venuta quando, mentre ripulivano la casa, Hermione aveva restituito il ritratto di Phineas Nigellus Black alla sua postazione originaria, dopo un anno passato in giro per la Gran Bretagna all'interno della borsetta di perline.
Ovviamente, prima di agire in alcun modo, aveva chiesto via gufo il permesso alla McGrannit,che glielo aveva accordato volentieri. Così si era recato da solo in quel negozietto a Diagon Alley, uscendone con un foglietto di pergamena su cui – a detta del negoziante – sarebbe apparso il giorno della consegna. Era stato così che , quella mattina, sulla carta si era vergato un messaggio che diceva:
 
Gentile Signor Potter,
il suo ordine è stato, come da lei richiesto, terminato prima del 2 Agosto. Un fattorino passerà a consegnarle il pacco questa mattina dalle ore nove alle ore dieci.
 
Letto il messaggio, Harry aveva subito mandato un gufo alla McGrannit, invitandola a prelevare il pacco quando meglio credeva durante la sua assenza.
 
 
Fu a pochi minuti prima delle dieci che un ragazzino smilzo e lentigginoso comparve davanti ai numeri udici e tredici con un pacco piatto sotto il braccio. Dalla finestra, Harry lo vide guardarsi confuso intorno, alla ricerca del numero dodici che mai avrebbe trovato. Forse, si disse Harry, stava pensando che qualcuno gli avesse tirato uno scherzo.
Quando uscì di casa il fattorino lo guardò ancora di più stralunato. Un po' perché era spuntato fuori da nulla, un po' perché non capita tutti i giorni di fare una consegna al grande Harry Potter.
Nell'ingresso, Ron ed Hermione lo aspettavano. La ragazza stava battendo il piede a terra in modo nervoso, di sicuro preoccupata di far tardi. Ma, quando vide il pacchetto, smise immediatamente.
Entrambi si erano dimostrati assolutamente d'accordo con l'iniziativa di Harry e si vedeva che la curiosità li stava rodendo.
“Che facciamo?” chiese Ron “Lo... lo apriamo?”
“Immagino di sì.” rispose Harry, la gola incredibilmente secca.
Hermione gli fece un segno di incoraggiamento e lui cominciò a scartare con movimenti lenti il pacco. Alla fine tra le mani aveva un piccolo quadro rettangolare. All'interno della cornice nera e lucida, Severus Piton sedeva su una poltrona, riposando ad occhi chiusi.
“Pensate che stia davvero dormendo?” chiese in un sussurro Hermione.
“Non penso lo sapremo mai.” rispose piano Harry, anche se era piuttosto convinto che Piton stesse facendo finta, esattamente come facevano tutti gli altri ritratti nell'ufficio del Preside, ad Hogwarts.
“Comunque.” riprese il ragazzo, schiarendosi la voce. “Volevo dirle che qualcuno la verrà presto a prendere per portarla ad Hogwarts. Starà lì assieme agli altri Presidi. Ho... ho pensato che fosse giusto così. E' stato un grande Preside, ed anche gli altri dovrebbero saperlo.”
Poi tacque, sentendo che le parole esaurirsi. Non sarebbe stato in grado di dire altro. Non quel giorno. Rinvoltò il quadro nella carta, cogliendo per un attimo – ci avrebbe giurato – il lampo nero dello sguardo di Piton, e poggiò il pacchetto sul tavolo della cucina, dove la McGrannit, o chi altri lei avrebbe mandato, avrebbe potuto trovarlo.
Poi, dopo che ebbero salutato Kreacher, Hermione prese una bottiglia vuota di Burrobirra e, colpendola lievemente con la punta della bacchetta declamò “Portus!”. Aspettarono che la Passaporta indicasse loro l'imminente partenza, poi posarono le dita sul vetro illuminato d'azzurro, pronti. Harry sentì un forte e familiare strappo all'ombelico e poi fu tutto buio.

***
 
 
Uno sbuffo di vapore si disperse nell'aria, insinuandosi tra la folla vociante. In quella tersa prima mattina di settembre, la locomotiva dell'Hogwarts Express sembrava più fiammante che mai. Una marea di studenti occupava la lunga banchina con i carrelli carichi di bauli e gabbie. Sopra gli schiamazzi dei gufi ed il miagolio dei gatti, si poteva udire il vociare confuso dei ragazzi, frenetici nell'aggiornarsi a vicenda dopo mesi di distacco.
Anche in quella confusione totale, non furono poche le teste che si girarono, quando Harry Potter attraversò la barriera del binario 9 e tre quarti. Accanto a lui, Hermione e Ginny spingevano due carrelli e Ron si guardava intorno con un'espressione corrucciata e le mani affondate nelle tasche. Avvicinandosi al treno, Harry poté notare come la folla si apriva attorno a loro in concerto di bisbigli.
“Credi che qualcuno ti chiederà un autografo come l'altra volta?” gli chiese Ginny ammiccando.
Harry storse la bocca, per niente divertito. Durante il periodo che avevano trascorso in Australia la stampa si era a dir poco sbizzarrita. Ogni pochi giorni il Profeta tirava fuori qualche nuova storia a proposito della suo viaggio e nella maggior parte dei casi l'articolo era firmato Rita Skeeter. Ginny gli aveva spedito alcuni di quelli assurdi trafiletti che parlavano di fughe d'amore che coinvolgevano principalmente Hermione e pellegrinaggi ascetici per, a detta della Skeeter, evitare la realtà. Poi, un giorno, aveva superato il limite. Forse perché si era resa conto che i suoi articoli non avevano più lo stesso tiraggio di un tempo, visto che ora tutti erano molto più propensi a crederlo il salvatore dell'umanità, colui che lo ha sconfitto, il Prescelto, o come accidenti lo chiamavano. Comunque, proprio come Harry aveva temuto, la Skeeter aveva cominciato ad insinuare che ci fosse qualcosa d'oscuro sul suo coinvolgimento nel caso Yaxley. Fortunatamente, dopo un paio di articoli che consideravano la sua assenza dalla Gran Bretagna come un'ammissione di colpa, il Ministero, forse per la prima volta nella storia, aveva deciso di prendere dei provvedimenti. Così, adesso – Harry non avrebbe mai finito di ringraziare Kingsley – gli articoli che lo riguardavano all'interno del quotidiano dovevano attenersi ad un numero limitato. E, cosa più importante, non avrebbero più dovuto trattare la sua vita privata senza la presenza di fonti attendibili. I pettegolezzi, aveva detto Kingsley, sono cose da lasciare al Settimanale delle Streghe. Ovviamente, non era possibile pretendere che tutto ciò venisse applicato alla lettera. Il Profeta, sebbene lui avesse più volte dichiarato che non aveva nessuna intenzione di pubblicare una sua biografia, aveva continuato a sproloquiare su di lui. Per non parlare delle centinaia di lettere che riceveva ogni giorno. Sembrava che ogni giornale esistente nel mondo magico – Da Maghi&Streghe a L'Orto del Pozionista, tralasciando il Settimanale delle Streghe, che ad ogni numero gli dedicava almeno cinque pagine – dovesse chiedergli un'intervista. Harry si era ostinato a rifiutare tutte le volte, convinto che, se ne avesse lasciata passare una, allora non sarebbe stato più in grado di fermarli. Hermione – incredibile l'interesse che il mondo magico provava per lei e Ron, adesso – si era dimostrata estremamente concorde con lui, sbarazzandosi delle lettere senza alcun rimpianto. Ron, invece, non era stato così rigido, e, preso dal brivido della fama, aveva accettato un paio di offerte. Ovviamente, se ne era pentito largamente alla pubblicazione. Dopo aver letto il giornale aveva passato tutta la giornata a sbraitare invettive contro la giornalista, che secondo lui si era inventata metà intervista. Harry ed Hermione, dopo aver riso per una buona mezz'ora, avevano conservato una copia di quello scempio per tempi più bui.
Anche in quel momento, nonostante la figura scura dell'Auror che quel giorno li seguiva a distanza, un discreto numero di giornalisti si era radunato sul binario. Harry si era lamentato molto per quella decisione, ma il Ministro era stato irremovibile. Non si trattava solo dei giornalisti, aveva detto.
“E' ancora presto per abbassare la guardia. Pensa a Yaxley.”
Così Harry era stato costretto ad ammettere che la presenza discreta dell'Auror non lo infastidiva più di tanto. Se non altro aiutava a tenere a bada i reporter.
“Beh, penso che per noi sarà meglio andare. Dobbiamo sistemare i bauli e ci sono un sacco di cose di cui mi devo occupare, adesso che....”
“Che sei Caposcuola.” concluse in fretta Ginny. “Sì, lo sappiamo.”
“E tu sei un Prefetto!” le rispose lei “É anche una tua responsabilità.”
“Certo, andiamo.” disse Ginny prendendola sotto braccio.
Harry e Ron le aiutarono a caricare i bauli, poi scesero dal treno per salutarsi.
Erano solo loro, quella mattina. Ginny aveva insistito per non essere accompagnata da nessun altro membro della sua famiglia, visto che c'era già Ron. Avrebbe solo creato scompiglio. La signora Weasley, ovviamente, aveva mostrato un certo disappunto. Aveva sempre accompagnato i suoi figli al binario e aveva intenzione di farlo anche per l'ultima volta, ma alla fine la figlia l'aveva convinta.
“Oh, ma non la potrebbero smettere di scattare tutte queste foto?” si lamentò Hermione con un'occhiataccia ai fotografi.
“Aspettano di vedere se tornerò ad Hogwarts, no?”
“Mi sembra logico che non lo farai, visto che non hai il baule!” protestò lei.
“Non è ancora detto. Potrei sempre saltare sul treno in corsa, ne verrebbe fuori un gran servizio.”
Ginny ridacchiò divertita stringendosi al suo braccio.
Hermione controllò l'orologio della stazione, nervosa. “Allora... noi andiamo.” disse con voce piatta, fissando intensamente Ron. Il quale, però, sembrava estremamente interessato alle sue scarpe.
“Uhm, cosa?” borbottò lui “Sì, si certo.”
Hermione continuò a fissarlo, corrucciata.
Da quando avevano ritrovato i genitori di Hermione, all'incirca a metà Agosto, Ron aveva cominciato ad assumere un atteggiamento sempre più negativo ogni volta che il discorso “Ritorno ad Hogwarts” saltava fuori. Aveva passato tutta la serata precedente a tenere il muso ad Hermione, rovinando le ultime ore che potevano passare insieme. Alla fine, lei era tornata a casa presto, evidentemente indispettita dall'atteggiamento di Ron. Harry aveva deciso di far finta di niente, sicuro che fosse solo uno stato d'animo temporaneo dovuto all'imminente distacco. Era evidente che faceva così perché non voleva separarsi da Hermione, sebbene non lo ammettesse. Quella mattina Harry lo aveva trovato dello stesso identico umore e, adesso, le cose non sembravano star per migliorare.
“Ti scriverò la data della prima gita ad Hogsmeade, così ci vedremo.”
“Certo. Come vuoi.”
“Come voglio?” ripeté Hermione con voce piatta, evidentemente delusa. Prima che Ron potesse peggiorare le cose, Harry si affrettò a salutarla abbracciandola. Poi prese per mano Ginny con l'intenzione di allontanarla un po', ma la ragazza sembrava avere gli occhi incollati su Ron ed Hermione.
“Sto per partire, Ronald.”
Lui la guardò con le sopracciglia aggrottate.
“Beh, ciao.”
Hermione spalancò la bocca come se le stesse mancando l'aria. Qualcosa le luccicò agli angoli degli occhi, ma se erano lacrime fu brava a nasconderle perché,quando rispose, pareva infuriata come una belva.
“Ciao?! Mi dici ciao, eh? Beh, allora ciao anche a te!” poi girò i tacchi con decisione, mormorando a mezza voce aggettivi che definivano Ron in un modo poco lusinghiero.
“Ma sei scemo o cosa?” fece Ginny spalancando gli occhi.
Ron si stropicciò la fronte. “Sono più scemo di un troll.” ammise poi con un sospiro.
“Oh, per merlino, quanto sono stupido.” bofonchiò mentre si lanciava all'inseguimento di Hermione, che stava ormai salendo sul treno.
“Hermione! Aspetta!” le urlò dietro.
“Che vuoi? Non ci eravamo già detti “ciao”?” sibilò lei con gli occhi ridotti a due fessure.
“Non appropriatamente.”
Allora la tirò a sé afferrandole un polso, mentre l'altra mano si poggiava sulla sua nuca. Hermione spalancò gli occhi per un attimo, sorpresa, prima che Ron la stringesse a se per baciarla. Lei gli gettò le braccia al collo sollevandosi in punta di piedi e lui la prese per la vita. Continuarono così a lungo, incuranti della gente che li guardava e dei fotografi impazziti. I bambini li additavano bisbigliando tra di loro mentre i genitori, scuotendo la testa, impedivano a quelli più piccoli di assistere alla scena.
Quando si separarono, Hermione era rossa come un peperone. Mentre tentava di aggiustarsi i capelli, esalò con il respiro ancora corto. “Sempre all'ultimo minuto, eh?”
Harry non seppe se Ron avesse risposto, perché un fischio acuto si propagò nell'aria, sovrastando ogni altro suono. Uno sbuffo di vapore più intenso, segno che il treno era stato messo in moto, offuscò per un attimo la sua visuale.
Si voltò verso Ginny, consapevole di avere pochissimo tempo.
“Non saremo così teatrali, vero?” chiese lei facendo cenno verso Ron ed Hermione, che continuavano a scambiarsi brevi baci, nonostante lei fosse già con un piede sul treno.
“Immagina come sarebbe contenta tua madre nel vedere una nostra foto sul Settimanale delle Streghe.” sghignazzò lui posandole una mano sulla guancia.
Poi, lei si avvicinò sorridendo per baciarlo lievemente. Harry chiuse gli occhi, beandosi del suo profumo.
“Attento alle ammiratrici.”
“Credo che me la caverò. Piuttosto, sono le ammiratrici che dovrebbero guardarsi da te.”
“Puoi dirlo forte.”
L'abbracciò stretta mentre le prometteva di scriverle fiumi di lettere. Poi lei salì sul treno con un ultimo bacio e lui rimase lì, a fissare il punto dove un attimo prima c'era la fiamma dei suoi capelli.
Fu allora, mentre Ron si avvicinava a lui con un sorriso mesto, che Harry sentì qualcosa sbattere violentemente contro le sue gambe.
“Mi scusi! Mi scusi!” esclamò una voce nasale. Il ragazzo si voltò, dietro di lui c'era un bambino allampanato e pallido, una zazzera spettinata di capelli castani gli ricadeva sugli occhi estremamente ingigantiti dalle spesse lenti degli occhiali. Era abbastanza alto, ma Harry avrebbe scommesso che fosse uno del primo anno.
“Mi dispiace!” ripeté quello.
“Tutto bene?”
“Certo. Certo.” rispose in fretta mentre tentava di caricare l'enorme baule sul treno.
Al terzo tentativo andato a vuoto, lasciò andare il bagaglio sul marciapiede sbuffando sonoramente. “Accidenti! Perderò il treno!”
“No che non lo perderai.” lo rassicurò Harry avvicinandosi. “Ti aiutiamo noi.”
Lui e Ron caricarono in fretta il baule mentre l'ultimo fischio annunciava che il treno sarebbe partito di lì a pochi minuti.
“Grazie mille signori! Siete stati molto gentili.”
“Di nulla. E' il tuo primo anno ad Hogwarts, vero?”
Quello annuì convinto. “Sì, quando è arrivata la lettera pensavo ad uno scherzo. Non era mai successo a nessuno della mia famiglia. Essere un mago, intendo! Non conosco nessuno, sono tutti figli di maghi, qui.”
“Oh, non è vero. Ci sono un sacco di ragazzi come te. E poi non vuol dire nulla essere nato in una famiglia di maghi o di Babbani.” gli disse Ron con un sorriso.
“Davvero? E se non mi riesce fare magia? Se mi rimandano a casa?”
“Non rimandano a casa nessuno. Anch'io lo pensavo quando sono arrivato ad Hogwarts. Ho scoperto di essere un mago solo quando ho compiuto undici anni ed è arrivata la mia lettera, proprio come te.”
“Davvero?”
“Certo. Ti troverai benissimo, vedrai. Gli amici che conosci a scuola te li porti dietro per tutta la vita.” gli rispose Harry lanciando un'occhiata a Ron.
“Non credo. Mi prenderanno tutti in giro perché sono Babbano. Ma tanto ci sono abituato, lo facevano anche alla vecchia scuola.” rispose il bambino con serena rassegnazione.
Harry sorrise, sapeva che non l'avrebbe mai convinto del contrario. Quel ragazzo avrebbe dovuto scoprirlo da solo.
“Sai, non credo che ti prenderanno in giro. Guarda, ci stanno fissando tutti.” gli fece notare Harry. Effettivamente, tante teste spuntavano fuori dai finestrini e anche i genitori, in piedi sul binario, li guardavano curiosi.
“Già, forse è perché sono strano.” rispose quello mentre il treno iniziava a muoversi.
“No. E' perché Harry Potter e Ron Weasley ti hanno appena caricato il tuo baule sul treno e adesso stanno parlando con te.”
Harry confidava nel fatto che anche un bambino nato Babbano conoscesse la storia del Prescelto, e, infatti, mentre si scostava fugacemente i capelli dalla fronte per fargli vedere la cicatrice, l'espressione di stupore del ragazzo gli disse che non si era sbagliato.
“Buon viaggio!” augurò Ron mentre lo salutavano con agitando una mano. Il bambino ricambiò il saluto con la bocca spalancata, poi scomparve dalla loro vista.
“E così se ne sono andate via senza di noi.” fece Ron dopo un po', mentre il treno sfilava via.
Harry sospirò sonoramente, sovrappensiero.
“Sai, adesso credo di averlo capito.”
“Capito cosa?”
“Quello per cui sono morti.”
Ron sollevò le sopracciglia, invitandolo a continuare.
“Me lo sono chiesto a lungo in questi mesi. Non riuscivo a capire che senso avesse. Mi sembrava solo un'inutile ingiustizia. E invece ora l'ho capito. E' grazie a loro che, oggi, quel bambino è potuto salire sul treno. E' grazie a loro se si sederà in uno scompartimento con altri ragazzi, se verrà smistato dal Cappello Parlante, se mangerà al tavolo della sua Casa, se passerà le serate d'inverno davanti al fuoco caldo della sua sala Comune, se fonderà il calderone durante Pozioni, se sarà bravissimo in Trasfigurazione, se si stringerà le più grandi amicizie della sua vita e se si innamorerà di una sua compagna. E' per questo che sono morti. Perché tutti possano avere queste cose, senza alcuna discriminazione.”
Ron lo fissò in silenzio per un attimo, poi distolse lo sguardo affondando le mani nelle tasche.
“Sembra un bella cosa per cui morire.”
“Già.” rispose semplicemente Harry, osservando l'ultimo vagone del treno farsi sempre più piccolo, fino a scomparire.
Rimasero così a lungo, fissando i binari in silenzio, come per un tacito accordo.
Ancora una volta, pensò Harry, l'espresso per Hogwarts era partito senza di lui.
 


PS:
questo capitolo arriva in un ritardo mostruoso, mi scuso tanto per aver lasciato passare tutto questo tempo. In realtà, continuavo a rimandare un po' perché non trovavo il tempo, un po' perché mi dispiaceva concludere questa storia.
Questo capitolo è nato insieme al primo, e, sebbene nel corso della storia sia mutato, nella mia mente è sempre rimasto una sorta di punto fermo. Era qui che volevo arrivare, è così è stato. Devo dire che sono contenta di averlo fatto. Questa è stata la prima ff che io abbia mai scritto. L'ho iniziata per curiosità e per volontà di provare ma alla fine mi sono divertita tantissimo. Quando pubblicai il primo capitolo, non pensavo che qualcuno l'avrebbe potuto notare. Fui sinceramente stupita quando arrivò la prima recensione. A proposito, ringrazio tanto i primi recensori, scusandomi se non ho risposto. Non volevo essere maleducata, semplicemente, non sapevo come fare!
Così vi saluto ringraziandovi ancora una volta per le belle parole, per i consigli e per le correzioni. Grazie a tutti quelli che mi hanno seguita (mai finirò di stupirmi), ricordata e preferita (qui lo stupore è limitativo).

 

Ah, dimenticavo. Ho cambiato nickname! Quello vecchio è il nome che uso sempre quando devo iscrivermi da qualche parte e non ci voglio star troppo a pensare. Ho deciso di sostituirlo in qualcosa di più appropiato. D'ora in poi, chiamatemi Vattelapesca ;D 
 
E adesso vi saluto... almeno per ora. 
  
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