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Autore: _Velvet_    22/01/2012    1 recensioni
"La gente è così priva di senso, a volte. Seguono il gregge, il capogruppo senza nemmeno pensarci. Credono bianco, ma il giorno dopo il capo dice che tutto è stato sempre nero, hanno sempre creduto nel nero.
E loro lo accettano così, senza nemmeno pensarci.
Non lo trovi... spaventoso?"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1, Side A.
Manchester, 15 marzo 1978

 
Non ricordavo come fossi tornata a casa, la notte scorsa. Tutto quello che ora la mia mente annebbiata riusciva a mettere a fuoco era un nome: Ian.
Non ricordavo nemmeno dove lo avessi sentito. Probabilmente ieri, alla festa.  Che volto aveva questo misterioso nome? Era solo frutto della mia testa, oppure esisteva davvero? Dovevo capire chi diamine fosse, se non altro per placare una minima parte di quell’emicrania che già si presentava come un’ospite costante della mia giornata. D’altro canto, però, non potevo telefonare a Karen per chiederle se al suo party per i 18 anni ci fosse stato un tale di nome Ian. Di cui, per di più, nemmeno sapevo il cognome, né l’aspetto fisico.
“Aspetta un attimo, Christiane. Tu ti ricordi come era fatto. O, per meglio dire, ne hai un annebbiato ricordo.” Parlavo a me stessa, come mi era stato insegnato per diminuire lo stress.
Gli occhi. Più azzurri dell’acqua di montagna. Di una bellezza da mozzare il fiato.
“Brava, vedi? Già un passo avanti. Ricordi altro?”
Sì… qualcosa ricordo. Oh, mi sta tornando alla mente. Dio, la mia testa!
Sì, aveva un cappotto nero, lungo fin quasi ai piedi. Scarpe pesanti, nere anch’esse.
E i capelli… corti, corvini. Classico taglio da middle class.
Più di così non riesco a pensare, il mattino.

***

Solo mezz’ora dopo riuscii ad alzarmi da letto. Non era una bella mattinata. Il cielo era di un grigio abbacinante, mi feriva lo sguardo.  La testa mi doleva, anche se la sera precedente non avevo bevuto molto. La mia unica fortuna era di non vivere più con i miei genitori. Dovevo frequentare l’università, che a loro piacesse o meno. Avevo scelto apposta il luogo più lontano possibile da quel paesello dello Yorkshire  dove ero nata. Manchester era perfetta, non troppo affollata, negozi meravigliosi, gente tranquilla, intelligente; gente al tempo stesso così triste.
Forse era per quello che mi ci trovavo così bene. Non ero una ragazza allegra. L’allegria, in un certo senso, mi sfuggiva via, lontano, verso gente che se la meritava forse più di me. Ma c’era un motivo più pesante, sotto. Molto più serio della tristezza adolescenziale. Una cosa talmente profonda che mi impediva quasi di dormire, di fare qualsiasi cosa senza sentirmi sempre un peso sulle spalle.
Non avevo mai raccontato i miei segreti a nessuno. Nessuno sapeva cosa c’era nella mia mente, e non penso che mai nessuno avrebbe potuto capire i miei fantasmi.
All’improvviso, però, mi colpì un ricordo. Un ricordo che forse non era vero, ma invece magari lo era. Mi aggrappai disperatamente alla speranza che lo fosse.
Il ricordo riguardava la festa di Karen. O, meglio, chi incontrai alla festa di Karen.
Sì, di nuovo questo Ian. Sapevo, o almeno una parte di me sapeva, che lui era diverso da quelle figure grigie come me che si trascinavano in miserevoli esistenze condotte per abitudine;  lui probabilmente era diverso da tutti noi.
Sentii l’impulso irrefrenabile di sapere chi fosse questo misterioso personaggio. Sì, dovevo telefonarle.
 
 
Capitolo 1, Side B.
Manchester, 15 marzo 1978
 
In realtà, io ho sempre odiato, in maniera più o meno forte, Karen. Ci eravamo conosciute all’età di 11 anni alla scuola del nostro paesello di origine. Da quel momento lei si era sempre ritenuta la mia migliore amica, seguendomi dopo essermi trasferita per seguire i miei studi. Evidentemente la trattavo in maniera un po’ meno fredda rispetto alle altre ragazze e deve aver frainteso un sentimento di pietà con uno di amicizia.
Provavo pietà per Karen poiché, se possibile, veniva da una situazione ancora più disastrata della mia: sua madre era morta due anni prima, quando aveva solamente 9 anni, giusto in tempo per poter soffrire in maniera quasi adulta. Da quel momento suo padre era diventato ancora più distratto nei suoi confronti di quanto non lo fosse anche prima. Karen quindi viveva in maniera quasi totalmente indipendente. Furono proprio queste libertà a rovinarla per sempre.
Infatti, approfittando della scarsa attenzione del padre nei suoi confronti, aveva iniziato prima a fumare e poi, successivamente, a drogarsi.
Quello che le rimprovero, però, è stato il fatto di aver trascinato giù con sé stessa anche me.

***

La prima volta che provai qualcosa di più pesante di una sigaretta fu 6 anni fa, quando ero un’allegra quattordicenne. Da qual momento la discesa è stata sempre più rapida, finché l’anno scorso ho deciso di piantarla per sempre con le droghe. Sì, ho deciso di trasferirmi qui a Manchester per cambiare aria, per non dover vedere i miei amici ridursi a rottami umani, per non dovermi più nascondere dagli sguardi accusatori dei miei parenti, dei miei genitori.
Ma sono stata fortunata, a scamparla. Non tutti hanno la mia stessa fortuna. Sono sopravvissuta, ma lo devo al fatto di non essermi mai bucata con l’eroina.
Il fatto di drogarsi iniziò, appunto, tre mesi dopo il mio quattordicesimo compleanno. Ricordo anche la data: 27 giugno 1972. Ero seduta in un angolo seminascosto di un giardinetto pubblico con Karen e altri due nostri amici: Martin e Jay. Dopo aver parlato per un po’, Jay cavò fuori dalla sua tasca un sacchettino di plastica pieno di polvere non troppo fine, di colore verde: marijuana. Si rollò una canna e ce la offrì.
Da quel momento usavo le droghe per evadere dalla mia realtà, sempre più opprimente. Provai ogni tipo di stupefacente, fino al giorno in cui i miei genitori si accorsero di ciò che mi stava accadendo: stavo tornando a casa in bicicletta dopo essermi fatta una quantità bestiale di LSD, quando andai a sbattere contro un palo della luce, causandomi una frattura al cranio abbastanza seria, mettendo in pericolo la mia vita. Avevo appena finito il liceo. Ricordo che mi caricarono di peso in macchina appena fui dimessa dall’ospedale. Mi portarono nel nostro mini-appartamento di Manchester che mio padre usava quando doveva recarvisi per lavoro. Dopo un mese, fui assunta come commessa in un negozio di dischi e mi iscrissi all’università.
 Non ho mai più toccato una droga in vita mia.
 
Capitolo 1, bonus track.
Sbaglio, nell’affidare a Karen tutta la colpa della mia distruzione. Ora so che la principale responsabile di tutto sono stata io sola.
Ma non è vero nemmeno questo: io sono stata la conseguenza della mia situazione terribile,  che mi ha influenzato e continua a farlo.
Forse, l’unico periodo relativamente felice della mia esistenza è stato quando assumevo droghe. Almeno non ero costretta a pensare.
 
No, Karen  non merita il mio rancore. Merita la mia gratitudine, per avermi regalato 5 anni di nulla, di oblio, di libertà. La ringrazio per avermi fatto assaporare cosa vuol dire non dover continuamente rispondere delle proprie azioni. Io, semplicemente, non commettevo azioni, quindi non avevo assolutamente colpe.
 
Grazie Karen.

   
 
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