Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: Lusty_Archivio    22/01/2012    19 recensioni
« Kakaroth ». La sua voce era opaca e tremula come il suono fischiante di un vento lontano, ed altrettanto impalpabile. « Sarò io ad ucciderti. Nessun'altro ».
[Mirai!Goku x Mirai!Vegeta]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Goku, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Blatereggiando.

Boh. Non so bene perché questa fiction esiste, ma avevo voglia di scriverla. La domanda è stata: ma Mirai!Goku non se lo caga di striscio nessuno? Perdonate la scarseggiante raffinatezza. E quindi eccomi qui. Non ho molto da dire in proposito, anche perché questa è stata una storia che mi è uscita totalmente di getto tra ieri ed oggi, ma che mi sono sentita in bisogno di pubblicare. Io lo dico sempre, non sono in grado di scrivere cose tristi perché sistematicamente mi rattristo pure io, ma per un volere puramente masochistico oggi ho voluto fare lo strappo alla regola e darmi a depressionaggio (wut?). I personaggi sono Mirai!Vegeta e Mirai!Goku, e la fiction è ambientata nel periodo della morte di Goku per malattia cardiaca. Presupponendo che la malattia in questione non sia stata un infarto improvviso – perché se così fosse mi crollerebbe tutta la storia, e sarebbe cosa poco carina, LOOOOOL. Bene, ho finito. Ho scritto questa storia ascoltando la splendida “Say Goodbye” degli Skillet (dalla quale ho rubato gentilmente una strofa), quindi ve la consiglio come sottofondo per leggere. Grazie come sempre a tutti coloro che commenteranno. Alla prossima!

 

Disclaimerchemidimenticosempre » Dragon Ball © Akira Toriyama.


 

 

 Ephemeral

 

 

 Fece lentamente il suo ingresso nella stanza, accompagnando il lento cigolare dei cardini della porta che si richiudeva alle spalle con un paio di passi leggeri, felpati e, avrebbe detto un qualsiasi osservatore, solo un poco titubanti. Ammoniaca e medicinali propagavano un fetore incommensurabile lungo tutta la camera, costringendolo ad un odore pizzicante e fastidioso che gli faceva venire mal di testa e salire il disgusto fino alla gola. Detestava quell’odore, ma al momento non era nemmeno in grado di prestarvi reale attenzione, a dirla tutta.

Era passato parecchio tempo dall’ultima volta che si erano trovati da soli – soli e in condizioni normali, senza essere l’uno dinanzi all’altro tra le polveri di una radura deserta sordida di sangue e sudore o tra i detriti di una parete rocciosa crollata sotto la violenza dei loro colpi –, e Vegeta si sentiva stranamente inibito in ogni movimento, come se dentro di lui albergasse il costante, spiacevole presentimento di essere totalmente inadeguato a quella situazione, di stare sbagliando qualcosa – anche se, fondamentalmente, quel “qualcosa” esulava dalla sua comprensione.

Le spiegazioni all’origine di quella sensazione avrebbero potuto essere molteplici, ma probabilmente la pura, semplice ed altrettanto inconcepibile verità era che all’infuori della bolla di frenesia ed adrenalina all’interno della quale si rinchiudeva durante i suoi scontri con Kakaroth lui si sentiva disperso, confuso e sperduto, un po’ come un naufrago inghiottito dall’immensità dell’oceano. E l’oceano all’interno del quale era intrappolato, al momento, si condensava in un intangibile, opprimente silenzio, una cappa pesante di artificiosa quiete che gli si avviluppava addosso e pareva stringere forte, sempre più forte, stroncandogli il respiro come un cappio legato attorno al collo.

Sibilante e maligna come una serpe una considerazione che sapeva di rimprovero svettò istantanea nella sua testa, riaffiorando dal liquido viscoso all’interno del quale erano caoticamente ammassati i suoi pensieri: non dovresti essere qui a perdere il tuo tempo con un terza classe, principe. Vegeta chiuse gli occhi, sospirando pesantemente con un cipiglio infastidito, mentre quella frase molesta continuava ad echeggiare debolmente nel cranio, disperdendosi nel remoto della sua testa. Forse è proprio questo stupido di terza classe il primo a non doversi trovare qui, fu la sua frustrata risposta alla vocina sibilante. O forse nel posto sbagliato lo siamo entrambi, aggiunse poi, stringendo i pugni, così forte da sentire le unghie penetrare nei palmi.

Forse.

Forse.

Forse.

Detestava l’insicurezza, e detestava se stesso per esserne al momento così braccato. Dov’era finito il principe dei saiyan di un tempo, quello impavido e disinvolto, quello privo di qualsiasi emotività e compassione? Era persino stanco di chiederselo, avvezzo a quell’incalzante interrogativo il cui tono sconcertato era col tempo gradualmente scomparso. Come tutto il resto.

Si avvicinò lentamente al letto, senza fare rumore. Kakaroth giaceva su di esso, gli occhi chiusi e il respiro flebile, leggero come il battito d’ali di una farfalla, e rimaneva lì, immobile, ad aspettare che quella stupida malattia cardiaca lo portasse via una volta per tutte. Strinse le labbra, rabbioso, pensando quanto fosse assurdo e stupido vedere una vera e propria incarnazione della potenza ridursi così, ad un debole ammasso di carne morente, senza nemmeno essere riuscita a contrastare il proprio nemico. Mentre osservava quel petto alzarsi ed abbassarsi con estenuante, irritante lentezza, non poté fare a meno di chiedersi se, in fondo, bastava davvero così poco per porre fine all’esistenza di un esponente della razza guerriera più forte di tutti i tempi, ad un saiyan. Ciò avrebbe reso la sua natura qualcosa di incredibilmente debole e squallido.

Sospirò frustrato e posò il proprio stanco sguardo sul pallido viso del suo rivale, steso in una serafica espressione che tradiva il lancinante dolore che imperversava all’interno di quell’armatura fatta di muscoli e carne. Le labbra di Kakaroth avevano assunto lo stesso colore spento di una rosa morta, perdendo quella peculiare, odiosa ed onnipresente piega all’insù che le caratterizzava, stendendosi semplicemente in una linea rosata, piatta come l’orizzonte specchiato sul mare. Vegeta si stupì nel ritrovarsi a pensare che avrebbe davvero preferito il consuetudinario sorrisone smagliante che tanto gli ispirava violenza a quell’espressione scialba e vuota, riflettente solo una semplice ed infamante sconfitta.

Chiuse gli occhi e si massaggiò nervosamente le tempie, accomodandosi sulla piccola sedia di legno placcato abbandonata a lato del letto e lasciandosi trasportare dai propri pensieri. Quando sollevò nuovamente le palpebre, levandosi la mano dalla fronte, Kakaroth lo stava osservando con un sorriso debole e sfibrato sulle labbra, come se avesse captato la sua presenza ed istantaneamente si fosse svegliato. 

Sobbalzò, scattando fulmineamente all’indietro come se quelle iridi di pece appena incrociate lo avessero scottato. Aprì la bocca per richiuderla giusto un istante dopo, lasciando solo che del fiato fischiante gli risalisse e precipitasse poi nuovamente giù per la gola. Nonostante la sofferenza che la malattia comportava, nonostante il pallore del volto, il respiro arrancante e gli occhi che faticavano a rimanere aperti, quello stupido lo fissava serenamente, con un sorriso che pareva dire “Tranquillo, va tutto bene”, nonostante bene non andasse affatto. Era come se lo stesse prendendo in giro.

« Vegeta », lo sentì mormorare, con una voce così roca e stentata che sembrava quella di un altro, così flebile che gli parve di averla solo immaginata, « Non credevo saresti venuto qui ».

Si strinse nelle spalle, deviando un’occhiata sprezzante verso la finestra. « Passavo per caso e non avevo niente di meglio da fare ».

Goku abbassò nuovamente le palpebre, probabilmente troppo stanco persino per abbandonarsi alla solita risata spontanea che seguiva a quelle caustiche frasi. Il sorriso si mantenne appena abbozzato sulle labbra, donando una piega dolce a quel volto innaturalmente granitico e sciupato che pareva tutto fuorché il suo. Vegeta si chiese se magari non avesse rubato una maschera a qualcuno, indossandosela ed ostentandola stupidamente al mondo intero; in una situazione del genere avrebbe potuto fare certamente qualcosa, come balzargli addosso in un urlo di guerra e strappargliela brutalmente dalla faccia, dandogli dell’idiota, dello stupido, del mentecatto e del reietto di terza classe, per tornare poi alla consuetudinaria vita di tutti i giorni, fatta di allenamenti e benaccette scazzottate. Ma una maschera quella che copriva il volto del suo rivale non era, e quella consapevolezza lo faceva sentire frustrato e rabbioso, disgustato dalla vergognosa precarietà della vita che non era poi forse così tanto diversa da quella effimera delle farfalle, e gli faceva stringere i pugni, e serrare le labbra, fino a farle divenire sottili ed affilate come coltelli.

Un fruscìo di lenzuola calamitò la sua attenzione. Lo vide tentare d’issarsi faticosamente contro la spalliera del letto, utilizzando il cuscino a mo’ di appoggio. Pareva fosse sottoposto a chissà quale immenso sforzo fisico. « Gli altri sono andati via da poco. Se fossi venuto un po’ prima— ».

« E invece sono venuto adesso », fu la lapidaria, pragmatica risposta. Non voleva avere niente a che fare con nessuno, benché meno con quella stupida donnetta isterica e il suo piagnucoloso figlio, o la combriccola di perdenti della quale Kakaroth si attorniava. Non l’avrebbe sopportato.

Un paio di occhi stanchi ed opachi si limitarono a fissarlo intensamente, pieni di consapevolezze e cose non dette. Goku mantenne il suo sorriso, conscio probabilmente dei suoi pensieri. Aveva smesso di domandarsi, Vegeta, quando, come e perché fosse divenuto così decifrabile agli occhi di quello che avrebbe dovuto essere il suo aborrito rivale; in quanto nemici avrebbero dovuto essere oscuri l’uno agli occhi dell’altro, muti ed imperscrutabili, eppure quella condizione pareva affliggere solo lui. Perché se Kakaroth era in grado di leggergli nella testa, lui al contrario non aveva la benché minima idea di quali pensieri attraversassero la sua testa bacata, e la cosa lo irritava. Lo irritava mostruosamente. Come in quel momento, mentre lo scemo lo guardava con una stupida piega sulle labbra e un sorriso negli occhi privo di alcuna ragione. Decise che qualsiasi cosa fosse, comunque, non gli sarebbe minimamente importato.

Fece saettare gli occhi verso il muro, rabbioso, senza dire più nulla. Il silenzio aleggiante nella stanza era colmato solo dall’impercettibile gorgoglio della flebo e dai suoni ovattati che giungevano fuori dalla finestra, oltre la quale si affacciava un mondo che rischiava di rimanere senza il suo eroe.

« Sai », esordì Goku ad un tratto, mentre il respiro gli arrancava in gola. « Sono felice che tu sia venuto ».

Vegeta sentì i muscoli irrigidirsi, ma nulla nel suo viso rivelò alcuna traccia d’imbarazzo. Si limitò a scoccargli un’occhiata indecifrabile, stringendosi nelle spalle, mentre sentiva lava liquefargli le pareti dello stomaco.

Goku, abbassando stancamente le palpebre e riaprendole lentamente, continuò: « Un tempo eri un nemico, ma sono felice che tu sia qui, ora », protese debolmente un braccio verso di lui, lasciandolo scivolare sulle lenzuola. « Mi fido di te, Vegeta. So che la Terra sarà in buone mani », Vegeta sentì le gambe tremare un poco, come se un brivido di freddo le avesse attraversate. I suoi occhi pizzicavano, le labbra stavano stoicamente strette, strette tra i denti per mascherare il fatto che tremavano. Goku aprì il palmo della mano, osservandosi mestamente le tremule dita. Sospirò piano, richiudendole in un fragile pugno, « Vegeta, io... », s’interruppe. Guardò Vegeta, e Vegeta guardò lui. C’erano in quello scambio di sguardi decine e decine di cose non dette, taciute ed avvolte in un drappo nero, cose che oramai avevano perso la loro importanza, schiacciate dal peso invisibile dello sconforto. Le parole incespicarono sulla lingua, si arrestarono sulla soglia delle labbra e rimasero lì, silenziose e piene di quell’impotenza che pareva avvolgere tutto in un abbraccio sporco.

Le dita di Vegeta si accartocciarono improvvisamente contro i palmi, scricchiolando come ramoscelli spezzati. Il suo sguardo dardeggiava di un fuoco che nemmeno quel velo intravedibile di lacrime poteva spegnere. « Sta’ zitto », disse. « Sta’ zitto », ripeté con rabbia, e Goku si chiese amaramente se fosse davvero con lui che stesse parlando. Fece quanto gli disse, e tacque, stringendo solo le lenzuola tra le dita e lasciando che il silenzio s’interponesse ancora una volta tra loro, con tutto l’aspro sapore dell’irreparabile. « Piantala di sprecare il tuo dannatissimo fiato, Kakaroth! Piantala col tuo buonismo, piantala con... piantala con tutto! ». Tacque per un istante, riprendendo fiato e seppellendosi il volto nel palmo della mano. Liberò il capo, e, dopo aver esitato per solo qualche fugace istante, riprese la parola, ostentando quel suo peculiare tono distaccato, sintomo di un’imperturbabilità che, forse, non gli apparteneva davvero. « Abbiamo una sfida da concludere, Kakaroth. Devo diventare Super Saiyan e sconfiggerti una volta per tutte. Non me ne frega niente del tuo stupido pianeta e dei suoi stupidi abitanti ».  

Goku rimase per lungo tempo a guardarlo, il sorriso increspato sulle labbra che si era affievolito e, gradualmente, era nuovamente risorto. Avrebbe voluto allungare una mano e toccare il suo viso, nel tentativo di percepire quel turbinio di emozioni che gli stava sconquassando il corpo e che lui orgogliosamente tentava di celare agli occhi di tutti, anche di se stesso, ma Vegeta era troppo lontano anche solo per sfiorarlo. Catene invisibili lo inchiodavano al materasso, e lui aveva perso ogni forza per contrastarle.

Vegeta si voltò e s’incamminò a passo spedito verso l’uscita della stanza, senza aggiungere nient’altro oltre ad un “me ne vado” vibrante di rabbia e frustrazione. Se un saiyan era in grado di sopportare i più atroci sforzi fisici, altrettanto non si poteva dire per quell’opprimente, terribile sensazione che gli stava ora dilaniando il petto. Non era in grado di sostenerla, e la sua debolezza non l’avrebbe mai mostrata dinanzi a lui. Raggiunse la porta e poggiò in uno scatto ferino la mano sopra alla maniglia, provocando un tonfo metallico. Poi, sorprendentemente, s’immobilizzò. Goku, che fino a quel momento si era limitato ad osservarlo mestamente dalla sua bloccata posizione, sgranò debolmente gli occhi.

« Kakaroth ». La sua voce era opaca e tremula come il suono fischiante di un vento lontano, ed altrettanto impalpabile. « Sarò io ad ucciderti. Nessun altro ».

 

Quindi non morire.

 

Goku esitò qualche istante, senza capire. Poi, in un meccanismo naturale che gli animò le labbra, non poté fare altro che abbandonarsi ad un sorriso, sentendo le palpebre farsi pesanti e il respiro raschiare dolorosamente nel petto.

« Certo ».

Vegeta non disse null’altro. In un movimento lento e meccanico abbassò la maniglia ed aprì la porta, richiudendosela velocemente alle spalle.

Si morse il labbro, spaccandoselo, serrando le palpebre per evitare che sudicia acqua salata gli macchiasse le guance.

Fu l’ultima volta che si videro.

 

 

 

 

 

Don’t say goodbye

Cause I don’t wanna hear those words tonight

Cause maybe it’s not the end for you and I

And although we knew

This time would come for me and you

Don’t say anything tonight

If you’re gonna say goodbye

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 19 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Lusty_Archivio