Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: CharlieBb    23/01/2012    4 recensioni
[SPOILER 2X03]
Chissà se ci ha pensato, su quel tetto; chissà se ha pensato a te, a cosa avresti provato, a come ti saresti sentito, chissà se quel pensiero lo ha anche solo sfiorato.
Chissà se quelle lacrime erano vere, o frutto della pioggia leggera, o della tua immaginazione, sì, la tua immaginazione.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
There comes a day when we all find out for ourselves that once we have the words to say,
there's no one left to tell.
In many ways I guess I'll never let you go.
[4:00 am, Avenged Sevenfold]




Ero così solo… e ti devo così tanto.

Fa così freddo. Così freddo.
Tutto intorno a te ci sono oggetti, cianfrusaglie, i suoi oggetti e le sue cianfrusaglie; ti circondano minacciosi, vogliono metterti paura, vogliono farti scappare via urlando, vogliono vederti cadere in ginocchio e piangere tutte le lacrime che non hai versato, che hai represso. Perché sei inglese, cristo, e perché non sarebbe decoroso versarle, perché la gente potrebbe parlare.
Ci sono libri sparsi ovunque: per terra, sulla scrivania, sul camino; ricoprono il tappeto come una seconda pelle, pelle dura e rigida priva di qualsiasi emozione, pelle fredda come il freddo che ti circonda e ti gela, dentro e fuori, e ti toglie il respiro.
C’è il microscopio sul tavolo; lo sfiori, lo accarezzi. Accarezzi i punti metallici che un tempo le sue dita hanno toccato, accarezzato, venerato; ci poggi gli occhi, proprio dove lui poggiava i suoi, magari riuscirai a  scoprire qualcosa, a vedere qualcosa, qualcosa che ti sfugge e che lui ha sempre notato, saputo, capito. Ma tu non sei lui, non hai i suoi occhi, i suoi occhi così chiari, analitici, alle volte freddi; non ce li hai, non li avrai mai, non riuscirai mai a vedere come lui, ad avere la sua stessa brillante visione del mondo perché semplicemente non sei lui. Non basterebbe tutto il tempo del mondo a farti diventare come lui, a farti anche solo somigliare a lui, perché lui era -è, non smetterà mai di esserlo- unico al mondo, l’unico consultant detective, l’unico Sherlock, l’unico coinquilino che avresti mai potuto desiderare, sperare di trovare, l’unico amico, l’unica spalla, l’unica luce nei momenti più bui.

La teiera giace inerme e solitaria sul fornello spento quasi aspettasse, attendesse di vederlo tornare, di potergli offrire un tè caldo, di poter fare qualsiasi cosa per lui. Stupida  teiera, cosa potrebbe mai fare per lui? Cosa potrebbe fare che tu non abbia mai fatto, tentato di fare, sperato desiderato agognato di fare?
Il teschio è sul camino, il suo posto, quello dove è sempre stato e forse sempre starà; è lì e ti guarda attraverso le orbite vuote, ride di te con quel ghigno sdentato e tetro, ride delle lacrime che non hai versato, del dolore che si è annidato in un angolo nascosto e buio dentro di te. Ride, e ride, e tutto ciò che vorresti fare è scagliarlo dalla finestra, cristo, perché lui prima di te gli è stato vicino, prima di te ha seguito i suoi ragionamenti, prima di te gli ha riservato mute espressioni di sorpresa; è stato lì prima di te, e ti domandi perché diamine dovresti essere geloso di un teschio, cazzo, ma è così e non sai se puoi cambiarlo.

La sua poltrona, la sua poltrona di pelle. C’è un solco impercettibile, un solco lasciato da lui, dal suo corpo, ma non sarà mai profondo quanto il solco che senza volerlo e senza accorgersene ha lasciato dentro di te, un solco immenso, come un grande buco nero che ti porti dentro, così tanto più grande di te, così incomprensibile, incalcolabile, indelebile, così scuro e così tagliente, così forte nel tuo corpo troppo piccolo e umano.

Ti siedi sulla tua poltrona, ti ci lasci cadere; sei sfinito, non hai più la forza di stare in piedi, in piedi, lui non starà mai più in piedi, né seduto, né qualsiasi altra cosa, perché adesso è solo un corpo freddo e vuoto chiuso in una schifosa bara di legno e nascosto sotto centimetri e centimetri di terra scura. Puoi quasi vederlo, dalla tua poltrona. Puoi vedere la lapide nera, l’erba verde, la terra sotto ai tuoi piedi e sopra di lui, le altre lapidi di cui non t’importa niente; solo la sua, per sempre, dietro ai tuoi occhi chiusi. Solo il suo corpo che cade, ogni giorno, ogni istante, cade e cade e non smetterà mai di cadere e tu non smetterai mai di vederlo, e non smetterai mai di morire schiantato al suolo insieme a lui.

La sua poltrona è vuota, fredda; è tutto così freddo e ti senti gelare, cristo, saranno accesi i riscaldamenti? Sembra di sì, ma è impossibile, impossibile che faccia così freddo.
E lui ti guarda dalla sua poltrona, dannazione, ti guarda e annuisce, e i suoi capelli sono scuri come sempre, i suoi occhi sono più chiari che mai, la sua pelle è bianca e liscia e così viva. E lui ti rivolge un ghigno, ti prende in giro come sempre; puoi quasi sentirlo, sentire la sua voce profonda che si prende gioco di te, del tuo dolore, perché il dolore è uno svantaggio, perché tutti muoiono, il fatto che si soffra non cambierà le cose, dannato Sherlock, dannato lui, sempre.
È così vicino che se solo allungassi una mano potresti quasi toccarlo. Ma è lontano, è solo un fantasma, solo il suo fantasma che ti perseguita, che non ti lascerà mai andare, e se provassi a toccarlo incontreresti solo la pelle fredda  della poltrona che ti raggelerebbe ancora di più e non ne hai bisogno.

Un sospiro ti esce dalle labbra e Sherlock davanti a te ride. Sei così umano John, così umano.
Così vulnerabile, perché? Non vorresti esserlo, adesso; non vorresti più essere umano, non vorresti essere vulnerabile, o soffrire, o respirare, sì, non vorresti respirare perché fa male, perché non è aria quella che ti entra nei polmoni, sono migliaia di spilli che ti si conficcano in gola e la squarciano, dilaniano, la lasciano sanguinante ed è per questo che non riesci a parlare, parlare, dire il suo nome.

E vorresti parlargli. Vorresti, vorresti davvero, ma sei sicuro di farcela? Coraggio, John, apri la bocca, non è difficile. Parla al suo fantasma, parlagli, digli ciò che devi, perché forse solo così riuscirai a liberarti di lui. Ma è una bugia, oh che bugia!, così grande e così inutile, e allora a che servirebbe pronunciarla ad alta voce se tu sei il primo a non crederci?

Allora ti alzi in piedi. È inutile rimanere lì, inutile, completamente inutile se non riesci neanche a dirgli addio, è per questo che sei venuto qui, no? Dirgli addio, lasciarlo andare, ma tu non vuoi lasciarlo andare, non puoi, non ci riesci, cristo.

Percorri il salotto, quel salotto a te così caro e familiare, quel salotto adesso così freddo; lo percorri e non ti volti indietro, non ti volti neanche quando imbocchi la porta e le scale ma li senti, sì, li senti i suoi occhi fantasma puntati su di te, lo senti sulla pelle il suo ghigno bastardo, ti scava dentro, si piazza dentro di te per non andare più via e non riuscirai mai a cancellarlo, non riuscirai mai a cancellare l’immagine del suo corpo che cade, che vola, vola come se fosse finalmente libero.

Prendi la metro, non hai voglia di salire su un taxi. Prendi la metro e ti siedi in un posto qualsiasi chiedendoti se anche lui, chissà quando e chissà perché, si sia mai seduto lì, su quello stesso sedile freddo, gelido; chissà se il suo cappotto lo avrà tenuto caldo. Prendi la metro e lo vedi, lui è lì, seduto sul sedile vuoto di fronte a te, il bavero del cappotto alzato a risaltare gli zigomi, la sciarpa scura a proteggerlo dal freddo che sta invece divorando te. I suoi occhi ti scrutano, chissà se capiscono, chissà se capisce; ti guarda interrogativo, il suo brillante cervello non ci arriva. Sembri triste, John. Perché sei così triste? Non capisce, il bastardo, e chissà se capirà mai, e tutte quelle domande scavano ancora un po’, un po’ più affondo nella ferita sanguinante che ti porti dentro. Chissà se ci ha pensato, su quel tetto; chissà se ha pensato a te, a cosa avresti provato, a come ti saresti sentito, chissà se quel pensiero lo ha anche solo sfiorato. Chissà se quelle lacrime erano vere, o frutto della pioggia leggera, o della tua immaginazione, sì, la tua immaginazione.

Scendi dalla metro e lui cammina accanto a te, alto e magro nel suo cappotto scuro, e ancora non capisce, il freddo non penetra nelle sue ossa come nelle tue mentre rivolge gli occhi al cielo grigio e tu vorresti solo urlare, urlare a squarciagola per far uscire tutto, i coltelli, il sangue, il dolore e sì, il suo fantasma, vorresti che ti abbandonasse, che ti lasciasse in pace. È solo un’altra bugia.

Sembri triste, John. Perché sei così triste? Stupido, stupido, stupido bastardo insensibile ed egoista. Vorresti dirglielo mentre attraversate insieme Piccadilly Circus, mentre il suono della vita rimbomba tutto intorno a voi e tu neanche lo senti, non senti niente, solo il silenzio, un silenzio immenso e senza fine che ti urla nelle orecchie.

Dove stiamo andando, John? Abbiamo cose più utili da fare, casi da risolvere, criminali da assicurare alla giustizia. Dobbiamo trovare Moriarty, John, oh, sì, quell’uomo è un genio ma io posso batterlo. Andiamo a sconfiggere Moriarty, John, tutto questo è solo un’inutile perdita di tempo. Questa tua tristezza è inutile. Smettila di essere triste, non è logico, non è razionale ed è davvero molto stupido. Persino mrs. Hudson riesce a non essere così triste. Basta, Sherlock, per l’amor di Dio basta, deve smetterla di blaterare, di parlare, perché così ti fa male, più male, più di quanto tu possa sopportare. Non senti più niente a parte il freddo, non senti l’erba sotto ai piedi, o il fruscio delle foglie sugli alberi, o i rumori, prima li sentivi, ora non puoi più. C’è solo la sua voce nelle tue orecchie, non esiste altro se non la sua voce profonda che continua a parlare, blaterare, e allora ridi, ridi come non hai fatto mai. Ridi perché sei isterico e vorresti solo dirgli di chiudere il becco ma non puoi, non ce la fai, perché se lo facesse, se stesse zitto allora forse se ne andrebbe e ti lascerebbe in pace per davvero, e saresti solo, non ci sarebbe più lui accanto a te, chissene frega di tutti gli altri. Lui è la tua unica compagnia; la sua voce, i suoi occhi, la sua espressione divertita, incuriosita, qualsiasi espressione abbia dipinta sul viso andrà bene, andrà bene, perché potrai vederla e potrai illuderti che lui sia ancora lì.

Si allontana da te come se un improvviso briciolo di umanità lo avesse colto, ti lascia solo davanti alla sua tomba, che strano scherzo del destino. Ti lascia solo con le tue lacrime. Non vuole vederle, non vuole sentirle, non vuole violare la tua privacy e allora se ne va, si mette in un angolo lontano, accanto a un albero, e ti guarda e non parla. Non dice niente, respira piano, le sue labbra sono strette in una linea sottile; sembra quasi che stia soffrendo, ma perché dovrebbe soffrire? Lui è Sherlock Holmes, lui non soffre, non prova emozioni, non prova nulla. Ti guarda con i suoi occhi di ghiaccio che sembrano celare una scusa e qualcosa gli scivola sul viso; dev’essere la pioggia, Sherlock non piange, non lo ha mai fatto, e allora perché dovrebbe farlo il suo fantasma? Dev’essere la pioggia, sì, la pioggia fredda che ti cade addosso e sembra voler lavare via il dolore che ti tieni stretto, quel dolore che è la tua ancora al mondo reale, che ti convince che sì, lui ti ha davvero lasciato, non tornerà, era vero, tutto vero, è andato via per sempre.
Per sempre, che brutte parole, niente è per sempre, neanche la morte, o almeno non la sua.

«Ti devo così tanto…»

Non riesci a dirgli altro, non ce la fai e basta. Vorresti dirgli che ti mancherà ogni singolo istante della tua esistenza, vorresti dirgli che ti mancherà persino il suo sparare contro il muro. Vorresti dirgli di tornare indietro, di farlo per te, perché non può davvero lasciarti così, è crudele da parte sua, ed egoista, molto egoista. No, non può farlo. Vorresti dirgli che non sai cosa fare senza di lui, che la tua vita adesso è così vuota, cristo, e tu ti senti svuotato di ogni emozione, del più piccolo anelito di vita che ti animava.
Gli hai detto che eri così solo, prima di incontrarlo, ma non è del tutto vero. La solitudine era devastante, prima che quello strambo strambo detective entrasse nella tua vita, prima che ti sconvolgesse l’esistenza facendoti sentire vivo, vivo sul serio.
Vorresti dirgli che lo -no, non ce la fai, non riesci neanche a pensarlo. È così assurdo, è assurdo che sia successo a te, assurdo che si tratti di lui, non puoi dirglielo, non puoi.

Il suo fantasma ti guarda e non parla, ti guarda e soffre, dannazione a lui, soffre come forse Sherlock non soffrirebbe mai. Perché è Sherlock, perché è fatto così.
E ti manca così tanto da straziarti il cuore, cristo.

Saluti la sua tomba, allora, perché forse è meglio andare. Perché ancorarti a quel marmo nero non ti servirà a nulla, non ti aiuterà, e di certo non riporterà indietro lui.
La saluti, come se pensassi di salutare lui, ma lui non può sentirti, non può vederti. Giace sotto terra, freddo e austero nel suo cappotto scuro, e tutto ciò che vorresti in questo momento è poterlo vedere un’ultima volta, potergli dire addio perché non ne hai avuto l’occasione, perché non ti hanno permesso di gettarti sul suo corpo morto, perché era giusto così.

Sei inglese, dannazione: ricomponiti.

Stai piangendo, John. Perché stai piangendo?, ti chiede e non capisce, non capirà mai. Ma lui è fatto così.
Asciughi quella stupida stupida lacrima sfuggita al tuo controllo e ti incammini verso l’uscita di quel cimitero così bello e così triste, il suo fantasma accanto a te.
Non se ne andrà mai.



Se solo ti voltassi indietro, John… se solo ti voltassi indietro potresti vederlo lì, nascosto da quel grande albero, stretto nel suo cappotto lungo, con negli occhi un dolore che non passerà.
Gli mancherai, gli mancherai così tanto. Ma questo tu non lo sai, e chissà se un giorno riuscirà mai a trovare le parole per dirti quanto in realtà tu sia importante per lui.



Fin


Note dell'Autrice:
Il titolo della storia è preso dalla canzone "Evrything I do", di Bryan Adams.
Ho messo la nota "slash", anche se ad essere sincera io credo che non riesca a definire Sherlock e John. Loro sono più... loro. Amore platonico? Sì, decisamente, ma più forte, secondo me, di quanto si possa immaginare. Ad ogni modo.
Un grazie alla mia fantastica Idra_31 per l'aiuto e il supporto che non mi nega mai. E a Serena, per aver letto in anteprima e aver apprezzato.

A commentare, lo sapete, non vi cadono le dita :)

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: CharlieBb