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Autore: Claire Marie Blanchard    24/01/2012    8 recensioni
“Tu, Josephine, sulla macchina vieni con me. Più su, vola via con me.”  
Ripensai a quelle parole per tutto il tempo che trascorsi su quel pezzo di legno che mi teneva a galla. Su quello stesso pezzo di legno che mi sollevava da quel tappeto d’acqua.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rosalinda Dewitt Bukater
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi della storia e i diritti della stessa, appartengono tutti a James Cameron, autore e regista del film.
Tuttavia, io non ho nessun diritto a riguardo.


Il tappeto



“Tu, Josephine, sulla macchina vieni con me.
Più su, vola via con me.”

Ripensai a quelle parole per tutto il tempo che trascorsi su quel pezzo di legno che mi teneva a galla.
Su quello stesso pezzo di legno che mi sollevava da quel tappeto d’acqua.
Un tappeto freddo, gelido.
Un tappeto mortale, che portò via la vita a mille e cinquecento persone.
Gente come noi, come me e te… gente che amava; gente come Cal, che odiava; gente come Tommy, o come Fabrizio… gente che, invece, sperava.
Gente che aveva in comune solo una cosa: l’incubo che il Titanic fece loro vivere, in quella notte di metà aprile.

Ti feci una promessa, la notte dell’incubo.
Ti promisi che sarei sopravvissuta, che sarei morta da vecchia, nel mio letto, dopo aver vissuto una vita meravigliosa.
Una vita che, però, non poteva includere anche te. Lo sapevo benissimo questo.
Era anche per questo che provavo solo freddo. Avevo freddo nell’anima, non solo in tutto il corpo.

Non posso dire di aver condotto una vita orrenda, dopo di te. Ma sono sicura che la vita insieme a te sarebbe stata la migliore che si potesse mai vivere.

Ricordo di aver ripetuto quelle parole, poco prima di dirti addio per sempre. Poco prima di darti il mio ultimo bacio, il mio ultimo saluto, e affidarti a quel tappeto. O meglio, a quell’abisso che era il sotto. Quell’abisso che ti ha portato alla morte.
Non posso pensare all’Oceano Atlantico, senza pensare a te.
Non posso pensare a quell’immenso letto d’acqua, senza pensare che si tratta, in realtà, della tua tomba.


Ci sarebbero tante cose che vorrei dirti, se solo tu fossi qui… con me.
Vorrei che tu sapessi che ho imparato a bere della birra da quattro soldi… sono andata sulle montagne russe, fino a vomitare…
Ho cavalcato come un vero cowboy lungo la spiaggia, sopra le onde… proprio come avresti voluto insegnarmi tu.
Proprio come mi hai insegnato a sputare come un uomo… sai, mi è servito su Cal, la notte del naufragio. Saresti stato fiero di me, se solo mi avessi vista... se solo mi avessi potuta vedere… se solo ti avessi dato più fiducia, invece che accorgermi tardi della tua innocenza riguardo a quel dannato gioiello.
L’unica cosa che non ho fatto, ma ci è mancato davvero poco, è stata quella di masticare tabacco come un uomo.
Quello ho preferito evitarlo… semplicemente perché solo l’odore del tabacco mi dava la nausea.




Per quanto mi faccia male ricordare, non posso che ritenermi fortunata, perché ho avuto modo di conoscerti. Di conoscerti veramente.
Il giorno dopo avermi salvato la vita dal mio gesto insano – sul ponte – conobbi il vero te stesso ed il tuo dono, guardando ed ammirando i tuoi meravigliosi disegni.



<<Lei ha un dono, Jack, davvero: sente le persone. >>
<<Sento lei… >>


Ed era vero. Tu riuscivi a percepire cosa provasse qualcuno, solo guardandolo negli occhi; capivi esattamente i suoi stati d’animo. Proprio come facesti con me; capendo subito che mi sentivo intrappolata in una prigione mascherata da matrimonio e senso del dovere.
Riuscisti a capire subito che la vita che mi aspettava, la vita che avrei dovuto vivere con Cal, consisteva in una gabbia dorata, ricca di bocconi amari da ingerire, di inutili sensi di colpa e di rammarico verso me stessa.


La sera della cena, quando brindai al valore di ogni singolo giorno, lo feci sognando di poterlo fare con te, una volta scesi da quella nave.
Ed ero convinta di voler scendere con te, allo sbarco, a New York. Se non ne fossi stata sicura, dubito che te lo avrei detto.
Confesso che, pensandoci adesso, avevi ragione riguardo a quella sera: non credo che mi sarei buttata davvero.
Non mi sarei buttata perché ero una vigliacca, prima di incontrare e conoscere te.
Penso che avrei ceduto al volere folle ed egoistico di mia madre, all’arroganza e alla spietatezza di Cal… ma, soprattutto, avrei ceduto alla mia debolezza.

Ricordi quando volai con te? Sul ponte…
Quella mattina mi avevi aperto gli occhi, sbattendomi in faccia quello che non volevo sentire, perché – come una stupida e sciocca ragazza diciassettenne, piena di frivole sciocchezze per la testa – credevo che la vita sarebbe stata molto più facile, se fossi andata avanti con quel fidanzamento.
Ti dissi che era la mia vita, che stavo bene, che sarei stata benissimo, che non spettava a te salvarmi da quella vita. Ti dissi addio… un addio che, in realtà, non era valido. Non valeva perché non era quello che volevo io, non era quello che volevi tu… non era quello che volevamo e basta.
Tornai da te, dopo che mi resi davvero conto dello sbaglio che stavo commettendo, dopo che ho pensato a tutto quello a cui ero stata costretta per anni… e che, con molta probabilità, avrei dovuto trasmettere alle creature che avrei dovuto mettere al mondo con Cal…
Un pensiero che non poteva regalarmi gioia, ma solo sofferenza.
Fu per questo che ti cercai, trovandoti intento a pensare sul ponte, lasciandoti cullare dalle onde e dal rumore della nave muoversi su quel tappeto d’acqua.

Avevo cambiato idea. Perché, in realtà, io volevo essere salvata da te.
Volevo che tu prendessi in mano le redini della mia vita, guidandomi nella strada giusta, quella che avrei dovuto davvero intraprendere; cambiando la rotta, inseguendone un’altra più adatta a me.


Forse, mi ci avresti portata davvero su una stella… magari, con quell’automobile che ci ha visti uniti in un’unica cosa.
Non ero per niente nervosa, Jack. Tutt’altro…
Sapevo di volerlo fare davvero, perché ti amavo davvero.
Mi era bastato un solo sguardo per innamorarmi di te.
Non sentivo freddo… non avevo i brividi… non mi sono mai pentita. Perché eri tu.


Quando ti dissi di amarti, non lo feci solo per dirti addio, ma anche per ringraziarti. Ringraziarti per tutto ciò che hai fatto per me.
Il mio amore era tutto ciò che potevo offrirti. Ed era, soprattutto, quello che tu mi offrivi tutto il tempo che abbiamo passato insieme; ma su questo, non ho assolutamente nulla da ridire. Anzi, era già molto per me. Molto, se non tutto.



Ricordo quando vidi per la prima volta la Statua della Libertà, a New York. Era il segno che eravamo sani e salvi.
Ma nel mio cuore, non c’era niente di sano e salvo.
Era ridotto in frantumi. Il mio mondo era ridotto in frantumi.
In poco tempo, ho perso tutto: la mia forza appena ritrovata, quell’amore nato per caso… ho perso te.


Perdonami se ho rubato il tuo cognome, dopo il salvataggio.
Non avevo niente di te, e nemmeno tutt’ora. Vivi solo nei miei ricordi.*
Non ho potuto tenere nulla di te, se non il tuo nome.
Vorrei solo che tu sapessi che sono sempre stata orgogliosa di chiamarmi Rose Dawson.
Ne sono sempre stata fiera. Più di quanto ne fossi mai stata chiamandomi Rose Dewitt Bukater.
In fondo, per te, sono sempre stata semplicemente Rose.
Anche quando stavo per fare quell’irrimediabile sciocchezza… ricordo che, quando ci presentammo, per te fu un po’ complicato comprendere come mi chiamassi. E ti capisco… neanche a me è mai piaciuto Dewitt Bukater.
Preferisco Dawson… e non perché, con quel nome, sono scappata dalla mia prigionia. Ma lo preferisco perché io ho sempre saputo che sarei stata tua, sin dal primo momento.

Non ho mai più rivisto mia madre. Né tantomeno avrei voluto rivederla.
Mi ha sempre creduta morta, dopo la tragedia.
Anche per questo, preferisco chiamarmi Dawson… perché è grazie anche a questo nome se lei mi crede morta.
All’iniziò, mi cercò... ma poi, col tempo si arrese. Non mi ha più cercata, dopo qualche anno. Credo che abbia pensato davvero che fossi morta quella notte, insieme alla nave dei sogni**.
Sono rimasta a New York per qualche mese, poi sono andata a vivere nella nostra amata Los Angeles.
Ora capisco perché ne andavi pazzo… non c’ero mai stata lì, prima di conoscerti. Non avevo mai bagnato i miei piedi nell’Oceano Pacifico. Suppongo che per questo, anche per questo, debba ringraziare te.

Sono certa che tu mi stia osservando, da dovunque tu sia. Mi hai sempre osservata… l’ho sempre saputo, dentro di me.
Mi stai vedendo camminare su questa nave, lo so.
Mi dispiace che tu mi veda ridotta così, ma che vuoi farci… ho solo centodue anni, e per quanto siano pochi, cominciano a farsi sentire.
Tranquillo, Jack. So esattamente cosa stai pensando: non morirò buttandomi da una nave a centodue anni.
Mi sto solo reggendo alla ringhiera per poter osservare questo tappeto blu.

Sono certa che questo gioiello si confonderà per bene nell’acqua.
Mi dispiace solo per il signor Lovett; ci teneva davvero nel trovare il Cuore dell’Oceano***.
Ma, dopotutto… credo che sia giusto restituirlo al Titanic.
È stato lì che l’ho indossato. È stato sul Titanic che mi hai ritratta con solo quello addosso, Jack.
Un po’ come i bambini quando nascondono i loro giocattoli sotto al tappeto…
Proprio come ho fatto io: ho nascosto il mio giocattolo sotto al tappeto.

<< Nonna, che ci fai qui? >>
<< Oh, Lizzy… cara, stavo solo osservando l’Oceano…  >>
 << Oh, nonna… avresti dovuto chiamarmi! Vieni, ti aiuto a scendere di lì. >>

Lizzy…
Mi somigli molto, sai? E non parlo solo dell’aspetto.
Anch’io ero diffidente, all’inizio, con chi mi voleva bene.

<< Lizzy… >>
<< Dimmi, nonna… >>
<< Il signor Lovett somiglia un po’ a Jack, sai? Vi ho visti parlare prima, quando lui ha buttato qualcosa in mare. >>

Mi guardi sorridendo… sai benissimo a cosa mi riferivo.

<< Era un sigaro, nonna… un sigaro speciale. >>

Mi lascio accompagnare nella mia stanza, consapevole del fatto che sono nel posto giusto, al momento giusto.
Sì, perché… credo che sia giunto il momento, anche per me, di tornare sul Titanic.
Credo che sia tempo anche per me di raggiungerti, per rivivere quei momenti con te, Jack.
È arrivato il momento di tornare su quella nave.
Quella nave sotto il tappeto.








Note:



* = frase tratta da una battuta di Gloria Stuart (la Rose anziana) nel film ( << Non ho niente di lui. Vive solo nei miei ricordi>> )
** = il Titanic era anche detto “la nave dei sogni”, ma l’ho scritto in corsivo, perché quella notte fu la nave dell’incubo; ho utilizzato un piccolo gioco di parole.
*** = mi riferisco al diamante da cinquantasei carati che Cal regala a Rose sulla nave; diamante appartenuto a Luigi XVI.














I miei pensieri:

Buon pomeriggio a tutti! :)
Immagino che non tutti mi conosceranno.
Scrivo nel fandom di Sailor Moon, ma dato che ho un amore folle per il cinema, e soprattutto, per il “Titanic” di Cameron, mi sono buttata a scrivere qualcosina anche qui.
Non è un capolavoro, anzi, direi che è da buttare, ma sicuramente la modificherò. :)
Come avete potuto leggere, si tratta di pensieri – del tutto inventati – della Rose che, centoduenne, fa mentre – alla fine del film – butta il Cuore dell’Oceano nell’acqua, dopo che Lovett e la sua equipe si sono arresi nelle ricerche.

Non voglio trattenervi su quella sedia (o quel divano) più del dovuto, perciò, ringrazio in anticipo chi recensirà dando un suo parere (che sia positivo o che sia negativo, accetto, rispetto e posso condividere o non) o chi semplicemente leggerà. :)

Vi abbraccio forte.

Manu ;)




P.S. per quel poco che vi può interessare, questa è la mia pagina autore su Facebook: *La stanza di Manu* ;)

   
 
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