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Autore: Kaeru    08/04/2004    0 recensioni
A Kanagawa arriva una ragazza. Nel suo passato c'è un grande dolore. Riuscirà Mitsui a ridarle la serenità perduta?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hisashi Mitsui
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: i personaggi appartengono a Takehiko Inoue tranne la famiglia Terashima, e poche altre persone che sono miei ^__^

Disclaimers: i personaggi appartengono a Takehiko Inoue tranne la famiglia Terashima, e poche altre persone che sono miei ^__^. Io non ci guadagno niente a parte un po’ di divertimento.

Note: tra le virgolette singole ‘…’ ci sono i pensieri; tra le virgolette doppie “…” ci sono i discorsi; tra le barre / … \ ci sono i bisbigli. Buona lettura!!!                                                             

 

Una nuova vita!

by Kgchan

 

‘Eccomi di nuovo a scuola. Dopo aver perso un anno.’

“Ragazzi vi presento una nuova compagna. Presentati alla classe.”

“Buongiorno il mio nome è Kimizu Terashima, ho 19 anni e mi sono trasferita da Hokkaido. Piacere di fare la vostra conoscenza.”

“Bene Sig.na Terashima, può andare a sedersi vicino a Mitsui. Dove c’è l’unico banco vuoto.”

Kimizu si accomodò e la lezione cominciò.

/ Ho sentito male o hai detto di avere 19 anni? \ le chiese il suo vicino di banco, Mitsui.

/ Hai sentito benissimo. \

‘Chissà che cosa inizieranno a pensare adesso che sapranno di avere una ripetente in classe.’

/ Adesso mi sento meglio. \

/ E perché? \

/ Perché almeno non sono l’unico studente più grande di un anno. \

/ Sei anche tu un ripetente? \

/ Già. \ disse sorridendole. / Cos’hai fatto per essere bocciata? \

/ Sono stata assente dalle lezioni per quasi tutto l’anno. E tu? \

/ Ho avuto un problema con uno. Sono finito all’ospedale. Be’ siamo finiti entrambi all’ospedale in realtà. In ogni modo quando sono tornato a scuola non ho studiato abbastanza per recuperare i sette mesi persi. Questo per farla breve. \

/ E’ in quello scontro che ti sei procurato quella cicatrice sul mento? \

/ Sì. \

Continuarono a chiacchierare per il resto della mattina facendo amicizia. Durante la pausa pranzo Mitsui la invitò a pranzare con lui e i suoi amici. Lei accettò.

Si diressero verso la terrazza. Il loro luogo di incontro. C’erano già tutti.

“Ehilà Micchi. Da quand’è che hai la ragazza? Ed è pure carina. Cosa ti sei inventato per conquistarla?”

“E piantala idiota. Non è la mia ragazza. È una mia nuova compagna di classe. E in ogni caso ti ho già detto mille volte di non chiamarmi Micchi.”

Rispose al rossino che aveva parlato.

Poi si rivolse a Kimizu.

“Terashima loro sono i miei amici, nonché compagni di squadra. Ah, forse non te l’ho detto. Io faccio parte della squadra di basket della scuola. Ragazzi lei è Terashima Kimizu.”

Ad uno ad uno i ragazzi e le manager si presentarono.

Quel gruppo di ragazzi le piaceva molto.

Da Sakuragi e Rukawa che litigavano sempre, al capitano della squadra Miyagi che corteggiava senza successo la manager Ayako, proseguendo per Haruko che tentava di far da paciere tra tutti.

Si trovò subito a suo agio soprattutto con Ayako e Haruko che le avevano subito detto di chiamarle per nome.

Dopo le lezioni pomeridiane Mitsui le chiese se volesse andare a vedere i loro allenamenti, ma lei rifiutò dicendo che doveva tornare subito a casa.

 

A casa.

“Sono tornata.”

“Kimizu, ciao.”

“Ciao mamma. Ryo dov’è?”

“Sta giocando con tuo padre in salotto.”

Kimizu li raggiunse.

“Ciao papà. Ciao Ryo, tesoro mio.”

“Ciao figliola.”

“Ha fatto il bravo oggi?”

“Sì, è stato un angioletto.”

“Bravo il mio ometto.” Disse Kimizu prendendo in braccio Ryo, un bimbo di otto mesi e mezzo.

“Com’è andato il primo giorno di scuola?” si informò la madre.

“Bene. Ho conosciuto un gruppetto molto simpatico. Sono tre ragazzi e due ragazze. Fanno tutti parte della squadra di basket della scuola.”

“Anche le ragazze?”

“Sì. Sono le manager della squadra.”

“Sta attenta.”

Kimizu capì perfettamente dove la madre volesse andare a parare.

“Vado a cambiarmi.” Disse con tono stanco.

Dicendo questo andò in camera sua.

Mentre si vestiva pensava.

‘Capisco che mamma sia preoccupata. Ma a volte esagera. Oddio posso anche capirla. Non è stato facile accettare quel che è successo. Ma anche per me non lo è stato.’ Lo sguardo le cadde su una collana posata sul suo portagioie. Un ricordo di Hiro. Uno dei pochi ricordi tangibili. ‘E non lo è tuttora.’

Si ricordava ancora quando gliel’aveva dato. Stavano insieme da un mese. Avevano deciso di festeggiarlo cenando da soli a lume di candela in un ristorante. Però entrambi avevano speso tutti i loro soldi per i regali. I genitori di Hiro erano fuori, così decisero di festeggiare a casa di lui. Cenarono in salotto. La luce delle candele rendeva l’atmosfera magica. Finito di mangiare si scambiarono i regali. Lei gli aveva regalato un orologio che lui voleva da tempo, mentre lui le aveva regalato quella collana con il ciondolo. Un angelo. Le aveva detto che le avrebbe portato fortuna e l’avrebbe protetta. Dopo lo scambio di regali iniziarono a coccolarsi. Però, forse a causa del troppo vino bevuto, si lasciarono andare alla passione. Fu il giorno più bello della vita di Kimizu.

Un paio di settimane dopo erano andati a fare un giro in macchina. Erano entrambi molto felici. La giornata era stupenda. Il sole era alto nel cielo e il vento soffiava leggero tra i capelli.

Poi all’improvviso quella banda di motociclisti. Li circondarono con le loro moto e iniziarono ad importunarli. Finché ad un certo punto non li buttarono fuori strada. L’auto finì contro una collinetta. A causa della velocità si cappottò più volte, finché non si fermò. Quando Kimizu aprì gli occhi si sentì confusa per alcuni attimi. Fortunatamente la macchina non si era fermata sottosopra ma per il verso giusto sulle quattro ruote. Grazie alla cintura allacciata lei si fece soltanto alcuni graffi e tagli a causa dei vetri rotti, ma niente di grave.

Sentiva un suono continuo di clacson. Prima ancora di slacciarsi la cintura si volse verso Hiro per vedere se stava bene. Rimase shockata da quello che vide. Hiro era immobile con la testa sul volante. La parte del viso che Kimizu poteva vedere era interamente ricoperta di sangue. Le braccia gli ricadevano ai lati del corpo esanime.

Iniziò a chiamarlo e scuoterlo. Dapprima piano. Poi sempre più forte. Ma lui non si muoveva. In quel momento arrivarono i proprietari del casolare lì vicino che avevano assistito a tutta la scena.

Le chiesero se stava bene. Lei rispose di fare qualcosa per Hiro. La fecero uscire dall’auto mentre due uomini cercarono di far rinsavire il ragazzo. Fu tutto inutile. Era già morto.

In pochi minuti arrivò l’ambulanza. Nel momento in cui le dissero che Hiro era morto lei cadde in uno stato di shock. Si era accasciata al suolo e continuava a fissare Hiro.

Quando i medici le porsero domande per accertarsi della sua salute. Lei non riusciva ancora a parlare. Osservava quegli uomini estrarre il suo Hiro dalla macchina, adagiarlo su una barella e coprirlo totalmente con un telo nero.

La portarono all’ospedale. Furono chiamati i suoi genitori. Anche la polizia tentò di parlare con lei, ma niente la smuoveva. Si trovava in uno stato catatonico.

Poi 36 ore dopo averla ricoverata per accertarsi della sua salute un medico entrò nella sua stanza e parlò davanti a lei con i suoi genitori.

Si ricordava ancora perfettamente quel discorso. In quanto fu proprio quello che le ridiede la lucidità.

“Vostra figlia non ha riportato gravi ferite. Ha solo degli ematomi e dei piccoli tagli dovuti ai vetri infranti dell’auto. Il fatto che non parli e non reagisca è dovuto allo stato di shock dovuto sia all’incidente sia alla morte del suo amico. Ci vorrà un po’ di tempo, ma tornerà a dialogare non appena avrà superato lo shock. Per il resto come ho detto vostra figlia sta bene. Ed anche il bambino.”

“Il bambino?” chiese la madre.

“Non lo sapevate? Be’, può darsi non lo sapesse nemmeno vostra figlia. Facendo gli accertamenti abbiamo scoperto che vostra figlia è incinta di un paio di settimane.”

“Aspetto un bambino?” aveva chiesto Kimizu con un filo di voce.

“Kimizu!” disse la madre felice che lei cominciasse a reagire, ma stupita dalla notizia appena ricevuta.

Sapere di stare aspettando un bambino le ridiede un po’ alla volta la forza per vivere.

Una volta la madre le aveva chiesto cosa volesse fare con il bambino. Assicurandole che qualunque decisione avesse preso lei e il marito l’avrebbero appoggiata ed aiutata.

Kimizu non ebbe bisogno di pensarci a lungo. Quel bambino era nato dall’amore che c’era tra lei ed Hiro. Lui non c’era più, ma le aveva lasciato una parte di sé. Decise che avrebbe avuto il bambino e l’avrebbe cresciuto anche da sola se fosse stato necessario.

Esattamente come la madre le aveva promesso, i suoi genitori le stettero molto vicino.

Quando il bambino era nato aveva deciso di chiamarlo Ryohiro. Mettendo insieme il nome che sarebbe piaciuto a Hiro per suo figlio, ovvero Ryo, e il nome stesso di Hiro.

Era un bambino bellissimo e i nonni gli erano molto affezionati.

Ripensando agli eventi del passato Kimizu non aveva potuto fare a meno di piangere. Si era sdraiata sul letto stringendo la collana.

“Avevi detto che l’angelo mi avrebbe protetto… Ma a quale prezzo… Perché te ne sei andato?… Non ho potuto nemmeno dirti che aspettavo un figlio… Saresti stato un padre stupendo… Ne sono sicura… Hiro…” Pianse ancora a lungo.

 

“Che fine ha fatto Kimizu?” domandò il padre alla madre.

“Sono passata di sopra per chiamarla ma ho sentito dei singhiozzi. Credo stesse piangendo. Ho preferito non disturbarla.”

“Chissà quanto le ci vorrà per superare la perdita di Hiro.”

La moglie prese tra le sue la mano del marito, dando e ricevendo sostegno con quel gesto.

 

Il resto della settimana passò tranquillamente. Kimizu consolidava le sue nuove amicizie, ma ogni volta che le chiedevano di andare a bere qualcosa insieme dopo la scuola, o anche solo di assistere agli allenamenti lei rifiutava sempre.

Arrivò il sabato.

La madre di Kimizu le chiese di andare a fare un po’ di spesa. Lei obbedì. Colse l’occasione per far prendere un po’ d’aria anche al piccolo Ryo.

Mentre stava tornando a casa con diverse borse della spesa incontrò Mitsui.

“Ehi, ciao Terashima. Sei andata a fare spese?”

“Mitsui?!? E tu che ci fai qui?”

“Stavo tornando a casa. Che bel bambino! Come si chiama?” domandò abbassandosi per fare una carezza al bimbo.

“Ryohiro.”

“E’ un bel nome. Quelle buste della spesa sembrano pesanti vuoi una mano?”

“Non importa, posso cavarmela da sola. Non disturbarti.”

“Nessun disturbo.” Disse prendendole di mano le borse.

“Grazie.” Gli disse sorridendo.

“Per così poco.” In quel momento Ryo iniziò a piangere. “Sono arrivato al momento giusto a quanto pare.”

“Già. Su piccolino non piangere. Ci sono io con te.” Disse prendendo in braccio Ryo che smise subito di piangere.

“Ti è molto affezionato a quanto vedo.”

Lei non rispose. Si limitò ad annuire.

Si incamminarono. Mitsui spingeva il passeggino, mentre lei teneva in braccio il piccolo Ryo.

Si fermarono al negozio di frutta e verdura e Kimizu fece l’ultima commissione chiesta dalla madre.

Mentre aspettavano che il negoziante mettesse la spesa nel sacchetto sentirono la coppia vicino che parlava di loro.

“Che bella famiglia. Eppure sembrano così giovani.”

Mentre si allontanavano dal negozio Mitsui disse: “A quanto sembra gli altri ci vedono come una famiglia.”

“Ti da fastidio?”

“No. Non mi dispiacerebbe avere una moglie così carina.”

“Non sempre le cose vanno come si vuole.”

Mitsui rimase stupito dall’astio con cui pronunciò quelle parole. “Ho detto qualcosa di sbagliato?”

Lei lo guardò un attimo. Non si era resa conto di aver parlato a voce alta. “Scusami. Non era mia intenzione essere scortese.” Gli disse con un sorriso tirato.

Mitsui non volle indagare oltre.

Nel frattempo erano arrivati a casa di Kimizu.

“Ecco. Io abito qui. Grazie per l’aiuto.”

“Figurati. Ti aiuto a portare dentro la spesa.”

“Non preoccuparti. Posso fare da sola ades…” non fece in tempo a finire la frase perché sua madre, che l’aveva vista arrivare, era uscita.

“Kimizu, hai trovato tutto?”

“Sì mamma.”

“Buonasera signora.”

“Buonasera.” Disse guardando la figlia con aria interrogativa.

“Mamma, lui è Mitsui, il mio vicino di banco e giocatore della squadra di basket della scuola. Mitsui, lei è mia madre.”

“Piacere.” Disse educatamente Mitsui.

“Mi ha aiutato a portare le borse.” Spiegò la ragazza.

“Sei stato molto gentile. Posso offrirti un tè per ringraziarti?”

“Accetto molto volentieri.”

Mentre la madre di Kimizu lo faceva accomodare la figlia gli lanciò un’occhiataccia.

Il gruppetto si diresse in salotto dove trovarono il padre di Kimizu che prese dalle braccia della figlia il bambino. Gli fu poi presentato Mitsui. Il Sig. Terashima, Kimizu e Mitsui si sedettero, sulle poltrone in salotto a parlare.

Poco dopo Ryo ricominciò a piangere.

“Che c’è tesoro? Tranquillo. Hai fame?” gli disse cullandolo. Poi si rivolse alla moglie che era in cucina a mettere in ordine la spesa.

“Intanto che sei in cucina potresti preparare il biberon per Ryo?”

“Subito tesoro.”

Pochi minuti dopo la signora Terashima arrivò con il biberon.

“Vuoi che lo allatti io?” gli chiese la moglie.

“No, ci penso io.”

Gli mise il biberon vicino alla bocca ma il piccolo non volle mangiare.

“Probabilmente ha il pannolino sporco. Dammelo lo vado a cambiare.”

Mentre la madre cambiava Ryo. Il padre di Kimizu e Mitsui stavano parlando di basket. Suo padre era un grande appassionato.

Pochi minuti dopo la madre tornò tenendo in braccio un Ryo ancora piangente.

“Aveva il pannolino sporco?” domandò Kimizu.

“No. Era pulito.”

“Che cos’ha allora?” chiese alzandosi dalla poltrona preoccupata.

“Stai tranquilla. I bambini spesso piangono senza un motivo particolare. Forse vuole solo la sua mamma.”

Mentre la Sig.ra Terashima diceva queste parole Mitsui assunse uno sguardo confuso.

“Su Ryo, va dalla mamma.” Disse la Sig.ra passando alla figlia il nipotino che come si trovò tra le sue braccia smise di piangere.

Mitsui non ci capiva più niente. “Mamma?”

Kimizu lo guardò come se si ricordasse di lui solo in quel momento.

“Ecco… Mitsui, ti presento Ryo. Mio figlio.”

Mitsui non sapeva che dire.

I genitori di Kimizu decisero di lasciarli soli per spiegarsi.

“E’ per lui che hai perso un anno di scuola?”

“Sì.” Lo guardò un attimo negli occhi. Poi decise di raccontargli tutto.

Gli parlò di Hiro. Del suo incidente. Di quella banda di motociclisti. Della scoperta di essere rimasta incinta. E della sua decisione di crescere quel bambino da sola.

“Mi fa uno strano effetto saperti mamma.”

Lei sorrise non sapendo che dire. Poi trovò qualcosa da dirgli. Anzi da chiedergli. “Mitsui. Devo chiederti un grosso favore.”

“Dimmi.”

“Non dire a nessuno di questa faccenda. Solo il preside e alcuni insegnanti lo sanno.”

“O. K.! Manterrò il segreto.”

“Grazie.”

“Sì è fatto tardi. Devo andare a casa o i miei inizieranno a preoccuparsi.”

Dopo aver salutato i genitori di lei se ne andò. Quando fu al cancello si voltò a guardare Kimizu sulla porta di casa con in braccio suo figlio. Le sorrise e lei ricambiò. Dopodiché tornò a casa sua.

 

Passò un mese piuttosto tranquillamente. Mitsui aveva mantenuto la promessa di non dire niente. L’amicizia di Kimizu con i ragazzi del club di basket si era approfondita. Soprattutto con Ayako e Haruko. Ogni tanto erano usciti tutti insieme e si era divertita tantissimo. Era anche andata a vedere una partita. Erano tutti bravissimi giocatori. Soprattutto le piaceva il modo di giocare di Mitsui. I suoi tiri da tre punti erano stupendi. Non ne sbagliava uno.

Un giorno, durante la pausa pranzo, un prof. andò in terrazza a cercare Kimizu.

“Mi dica prof..”

“Hanno chiamato i suoi genitori. Hanno detto che il bambino sta male. Ha la febbre molto alta. Lo hanno portato all’ospedale X. Hanno detto di raggiungerli lì.”

“Ryo!” disse in preda alla preoccupazione. Guardò per un attimo Mitsui.

Lui non ci pensò su due volte. Si girò verso Rukawa. “Rukawa prestami la bicicletta. L’accompagno all’ospedale.”

Rukawa gli diede le chiavi del lucchetto.

Vedendo che Kimizu non si alzava, Mitsui le andò vicino.

“Su, coraggio. Vedrai che non sarà nulla di grave. Però Ryo adesso ha bisogno di te. E ha bisogno che tu non ti faccia prendere dal panico.” Disse guardandola negli occhi.

Lei lo fissò un paio di secondi poi annuì e si alzò.

In circa dieci minuti arrivarono in ospedale. Si fecero indicare da un’infermiera dove trovare il bimbo. Poi videro in sala d’aspetto i suoi genitori.

“Mamma, papà. Cos’è successo?”

“Kimizu!” disse la madre abbracciandola. “A Ryo è venuta la febbre alta… Poi sembrava facesse fatica a respirare… Lo abbiamo caricato in auto e lo stavamo portando al pronto soccorso… Non respirava più… Adesso è di là con i medici… Non ci hanno ancora detto nulla.”

Kimizu rimase immobile. Incapace di compiere alcun gesto, soltanto le lacrime continuavano in un moto continuo.

La madre si staccò dalla figlia per guardarla negli occhi. Poco prima che arrivassero aveva smesso di piangere. Ma vedendo quell’espressione sul volto della figlia ricominciò. Era lo stesso sguardo perso nel vuoto di quando aveva avuto l’incidente in cui era morto Hiro.

Mitsui era di fianco a Kimizu. Avrebbe voluto fare qualcosa per calmare la ragazza, ma si rendeva conto di esserne impotente. Seguì l’istinto e prese tra le sue la mano di lei che ricadeva inerte lungo il suo fianco. Quel gesto la fece riprendere. Lei si voltò a guardarlo.

In quel momento arrivò un’infermiera. “Scusate se vi disturbo in questo momento, ma avrei bisogno che uno dei genitori del bambino compilasse dei documenti.” Mentre diceva questo si volse a guardare verso i genitori di Kimizu.

“Vengo subito.” Disse Kimizu.

L’infermiera la guardò interrogativa.

“Sono io la madre del bambino.” Disse intuendo la domanda inespressa della donna.

Al che questa la condusse al bancone della reception.

“Grazie per aver accompagnato qui Kimizu.” Disse il Sig. Terashima a Mitsui.

“Non ho fatto niente.”

“Torna pure a scuola adesso. Altrimenti perderai il resto delle lezioni.”

“Se non vi crea problemi vorrei restare qui. Tanto a scuola non riuscirei a concentrarmi lo stesso.”

“Sei un bravo ragazzo.” Disse la Sig.ra Terashima.

Lui sorrise un po’ imbarazzato.

Pochi minuti dopo Kimizu tornò.

Mentre aspettavano notizie si accomodarono sulle sedie della sala d’aspetto.

Passarono soltanto una decina di minuti, ma a loro erano sembrate ore, quando arrivò un medico per avvertirli della situazione. Tutti si alzarono in piedi.

“Il bambino, a causa della febbre alta, ha avuto delle convulsioni. Che gli hanno bloccato la respirazione. Ha ripreso a respirare, ma…”

“Ma?”

“La mancanza di ossigeno al cervello, seppure per pochi minuti, l’ha fatto entrare in coma.”

“In coma?!?” il tono di Kimizu era disperato.

“Oh mio Dio!” disse la Sig.ra Terashima crollando sulla sedia.

Il marito le fu subito vicino.

Mitsui si avvicinò ancora di più a Kimizu per paura che potesse svenire.

“E’ irreversibile?” domandò la ragazza con un filo di voce.

“Non possiamo saperlo. Le prossime 24 ore saranno fondamentali. Se riuscirà a svegliarsi, ci saranno buone possibilità di completa ripresa. Altrimenti… potrebbe non svegliarsi più.”

Kimizu incominciò a piangere senza più freni. Mitsui la prese tra le braccia e lei vi si appoggiò contro cercando un po’ di conforto.

“Se volete potete vederlo. Uno alla volta. E solo per pochi minuti.”

“Vai tesoro noi ti aspettiamo qui.” Le disse la madre.

Lei si scostò da Mitsui e seguì il medico. Le fece indossare un camice sterile, la cuffia per i capelli e la mascherina. Poi la condusse nella stanza.

Vedere il suo bambino attaccato a tutte quelle macchine la sconvolse, ma si fece coraggio e gli si avvicinò. Lo accarezzò e gli parlò dolcemente. Finché un’infermiera le disse che i cinque minuti erano passati.

Uscì e lasciò il posto alla madre.

Mentre era in sala d’aspetto si alzò.

“Dove vai?” le chiese il padre.

“Vado a prendere qualcosa da bere.”

“Vuoi che ti accompagni?” le chiese Mitsui.

“Come vuoi.”

Mitsui si alzò.

“Tu papà vuoi qualcosa?”

“No, grazie. Ho già bevuto un caffè prima.”

I due ragazzi si allontanarono.

Arrivarono alle macchinette. Mentre bevevano entrambi un caffè, Kimizu notò una piccola cappella.

“Mitsui tu torna pure indietro. Io mi fermo un attimo in cappella.”

“Va bene.” Disse intuendo che volesse rimanere sola.

Al contrario di quello che disse, però, la seguì senza che lei se ne accorse.

La cappella era vuota. Kimizu si avvicinò al crocifisso ed iniziò a parlare.

“Non sono mai stata sicura che tu esistessi. Ho sempre creduto che ci fosse qualcosa di superiore a noi esseri umani, ma non so se questo qualcosa sei tu, Buddha, gli Dei, tutti voi o nessuno di voi.” Mentre parlava le lacrime scendevano dalle sue guance. “Ma qualunque cosa tu sia perché mi fai questo? Ti sei già preso la vita del ragazzo che amavo. Mi hai fatto assistere impotente alla sua morte. Adesso vuoi anche prenderti la vita di mio figlio? Vuoi farmi assistere impotente anche alla sua morte? Perché te la prendi con lui? Non ha nemmeno un anno di vita. Che senso ha nascere, se poi si muore ancora così piccoli. Se proprio devi prenderti una vita, che sia la mia. Prenditi la mia vita e lascia vivo lui. Non posso perdere anche lui. Non lo sopporterei.” La sua voce si spense tra i singhiozzi.

Mitsui aveva sentito tutto. Si appoggiò alla parete esterna della cappella incapace di fare alcuna cosa. In quelle parole aveva sentito tutta la disperazione che Kimizu stava provando.

Poco dopo Kimizu uscì dalla cappella e si diresse in sala d’aspetto. Non si accorse della figura appoggiata al muro.

Mitsui rimase appoggiato al muro ancora un po’. Dopo alcuni minuti stava per tornare anche lui dalla famiglia Terashima, ma cambiò idea ed entrò nella cappella.

“Non ho il diritto di chiedere nulla. Non ho fatto molto di buono nella mia vita. Ma ti prego… Kimizu è una brava ragazza ed ama suo figlio immensamente. Non portarglielo via. Ha già sofferto abbastanza. Concedile di essere felice. Risparmia suo figlio. Risparmiale altre sofferenze.”

Rimase alcuni secondi immobile, in silenzio. Poi si volse per uscire. Sull’uscio vide la madre di Kimizu.

“Mia figlia mi ha detto che c’era una cappella e sono venuta a pregare.”

Mitsui arrossì. Aveva sentito quello che aveva detto?

“La lascio sola allora.” Disse avviandosi all’uscita.

“Mia figlia è fortunata ad avere un amico come te.” Disse mentre gli passava di fianco.

Lui si fermò e si voltò a guardarla negli occhi. La Sig.ra gli sorrise. Lui ricambiò con un sorriso timido ed imbarazzato abbassando lo sguardo. Poi se ne andò.

“Dov’eri andato?” le domandò Kimizu quando arrivò in sala d’aspetto.

“Scusa. Problemi fisiologici.” Mentre le si sedeva affianco si chiese perché le avesse mentito.

Arrivò l’ora di cena. Kimizu se ne accorse.

“Non devi andare a casa? I tuoi saranno preoccupati.”

In effetti era probabile. A malincuore si alzò per andarsene. Salutò i genitori di Kimizu. Poi mentre stava per salutare la ragazza si fece dare un foglietto e una penna da un’infermiera e scrisse sopra il suo numero di telefono.

“Questo è il mio numero. Chiamami, se ci fossero novità. O se avessi voglia di parlarmi. Chiamami pure in qualsiasi momento. Terrò il cellulare acceso tutta notte.” Disse porgendole il foglietto.

“Grazie. Per tutto.” Disse lei alzandosi sulla punta dei piedi e posandogli un bacio sulla guancia.

 

Quando arrivò a casa i suoi genitori gli chiesero come mai avesse fatto tardi. Lui raccontò tutto.

“Povera ragazza.” Fu il commento della madre. Il padre non disse niente ma diede una pacca sulla spalla del figlio. In quel momento suonarono alla porta.

Erano Miyagi ed Ayako.

Mitsui li fece accomodare.

“Ehi amico. Scusa se disturbiamo. Siamo venuti a riportarti la tua cartella. Oggi siete andati via di corsa e le avete lasciate a scuola.”

“Grazie.”

“A proposito, come sta il bambino?”

“E’ in coma. Le prossime 18 ore sono fondamentali. Se si sveglia ha buone possibilità di riprendersi completamente. Se non si sveglia, invece, potrebbe rimanere in coma permanente.”

Ci fu silenzio.

Mitsui si accorse che oltre alla sua cartella ne avevano un’altra in più.

“Quella è la cartella di Kimizu?”

“Sì. Abbiamo provato a passare da casa sua. Ma non c’era nessuno.”

“Se volete, potete lasciarla a me. Domattina torno in ospedale e posso portargliela.”

“E la scuola?” chiese Miyagi.

“La salto. L’ho già detto anche ai miei genitori e stranamente non hanno fatto obiezioni.”

I due ragazzi gli diedero la borsa di Kimizu e dopo alcuni minuti presero congedo.

Erano le tre di notte e Mitsui ancora non dormiva. Continuava a rigirarsi nel letto. Quando stava per addormentarsi lo assaliva il pensiero che Kimizu potesse aver bisogno di lui mentre dormiva e che, per il sonno, non sentisse il telefono lasciandola sola. Questo lo svegliava completamente. Anche se sapeva che con lei c’erano i suoi genitori.

All’ennesimo tentativo di dormire sentì squillare il suo telefono. Dapprima credeva di aver sognato. Poi capì che era reale.

“Pronto?”

“Mitsui?”

“Kimizu sei tu?”

“Sì, sono io.”

“E’ successo qualcosa?” chiese preoccupato.

“La situazione di Ryo è ancora stazionaria. Ecco…” sembrava stesse cercando di dirgli qualcosa che però non riusciva a pronunciare. “Stavi dormendo? Ti ho svegliato? Che domanda stupida. Ti ho svegliato di sicuro. Sono le tre passate.” Parlava velocemente. Si capiva che era agitata.

“Tranquilla. Non stavo dormendo.” Parlava con tono calmo cercando di tranquillizzarla con la sua stessa calma.

“Come mai non dormivi?”

“Ogni volta che stavo per addormentarmi pensavo che tu avessi bisogno di me.” Rispose sinceramente.

Dall’altro capo del telefono il silenzio.

“Kimizu cos’è successo?” chiese di nuovo, sempre con tono calmo.

“Mamma ha avuto una crisi di nervi. Le hanno dato dei tranquillanti. Adesso sta riposando in una delle camere dell’ospedale. Papà è con lei.”

“Vuoi che venga da te?”

“Io…” si interruppe.

“Tanto anche se rimango qui non riuscirei a dormire e vagherei per casa tutta notte.”

“Vieni, ti prego.” Il suo era un sussurro.

“Sarò lì tra meno di un quarto d’ora.”

“Grazie.”

“Di nulla.” Chiuse la comunicazione e si vestì. Intanto che c’era prese la cartella di Kimizu.

Stava per uscire lasciando un biglietto ai suoi, ma cambiò idea. Si diresse verso la camera dei genitori e bussò piano. Nessuna risposta.

/ In fondo è anche normale alle tre di notte. \ Entrò.

Si avvicinò al padre e lo scosse per svegliarlo.

“Che succede?” chiese intontito l’uomo.

“Papà, sono io. Mi ha chiamato Kimizu. Sua madre si è sentita male e adesso è da sola ad aspettare. Io vado da lei.”

“Anche se vai lì, non potrai fare nulla.”

“Lo so. Ma sempre meglio che stare a rigirarmi nel letto senza sosta e a preoccuparmi sapendola da sola con il suo dolore.”

Al padre quella spiegazione bastò. Ripetendo il gesto di qualche ora prima gli diede una pacca sulla spalle e gli disse di fare attenzione alla strada. Poi si girò dall’altra parte.

Mitsui lo ringraziò ed uscì.

Come promesso arrivò in ospedale meno di un quarto d’ora dopo.

Quando lo vide Kimizu gli andò incontro e l’abbracciò sollevata di non essere più sola. Lui ricambiò l’abbraccio.

Si accomodarono sulle sedie della sala d’aspetto.

“Sono passati da casa mia Miyagi ed Ayako. Mi hanno riportato la cartella e mi sono lasciato dare anche la tua. Tieni.” Disse porgendole la cartella.

“Grazie.”

In quel momento arrivò il padre di Kimizu.

“Mitsui? Ma non eri tornato a casa?”

“Infatti. Ma ero troppo preoccupato e sono tornato qui.”

“Come sta la mamma?”

“Sta dormendo. Io ero venuto qua perché ero preoccupato per te. Per averti lasciata qui da sola. Ma se c’è Mitsui sono più tranquillo.”

Kimizu osservò il volto tirato del padre.

“Papà. Torna pure da mamma. Se si sveglia ed è sola potrebbe preoccuparsi. E magari cerca di riposare anche tu.”

“Non preoccuparti. Io sto bene. Però hai ragione. È meglio che tua madre trovi qualcuno quando si sveglia. Mitsui ti affido mia figlia.”

“Non si preoccupi. Non la lascerò sola.”

I due uomini si scambiarono un sorriso, dopodiché il Sig. Terashima tornò dalla moglie.

Il tempo sembrava scorrere lentamente.

Kimizu e Mitsui chiacchieravano per riempire il vuoto.

“Ti sto stressando la vita vero?”

“No. Stai tranquilla. E poi, se proprio, è più giusto dire che io mi voglio stressare la vita Kimizu.”

Lei sorrise. “L’hai fatto ancora.”

“Che cosa?”

“Mi hai chiamata Kimizu.”

Lui parve riflettere e si accorse che era vero.

“Scusa. Non me ne sono accorto.”

“Non scusarti. Non è una brutta cosa. Vuol dire che mi reputi tua amica.”

“E’ vero. E il fatto che tu mi abbia cercato stanotte sta a significare che anche tu mi reputi un tuo amico.”

“E’ così.”

“Ti spiace se continuo a chiamarti Kimizu?”

“No. A patto che io possa chiamarti Hisashi.”

“Per me va bene, Kimizu.”

“Allora è deciso, Hisashi.”

Quello scambio di battute era servito per calmarli. Da quando era rimasta sola dopo la crisi di nervi della madre, Kimizu si era preoccupata moltissimo. Sia per il figlio, sia per la madre. Mentre per quanto riguardava Mitsui era preoccupato per il piccolo Ryo, ma soprattutto per Kimizu stessa. Dopo aver saputo che la Sig.ra Terashima era stata male e lei era rimasta sola la sua preoccupazione era aumentata. Quando si erano visti avevano provato un immenso sollievo entrambi. Ma soltanto adesso, dopo aver parlato di cose banali, si erano sentiti veramente più tranquilli.

La vicinanza l’una dell’altro li faceva sentire più forti.

Chiacchierarono a lungo, ma alla fine il sonno ebbe il sopravvento su entrambi. Entrambi avevano la schiena appoggiata allo schienale della sedia. Ma Kimizu si era addormentata con la testa sulla spalla di Mitsui e lui con la sua testa poggiata su quella di lei mentre le dita delle loro mani erano intrecciate.

Furono svegliati dal rumore del normale andirivieni giornaliero dell’ospedale. Si raddrizzarono e si guardarono in giro.

Di fronte a loro c’erano seduti i genitori di lei.

Imbarazzati si scambiarono un’occhiata e poi si allontanarono un po’, slacciando l’unione delle loro mani.

“Come stai mamma? Ci sono state novità?”

“Sto meglio grazie. Per ora ancora niente.”

“Capisco.” La delusione era evidente sia nel tono della voce, sia sul suo viso.

Mitsui si allontanò per andare in bagno. Nel frattempo guardò l’ora. Avevano dormito meno di un’ora.

Mentre si lavava la faccia vide il padre di Kimizu dietro di lui. Aveva un’aria terribilmente stanca.

“Sta bene signore?”

“Sono solo un po’ stanco.”

“E’ riuscito a dormire un po’?”

“Sì ho dormito un paio d’ore.”

Ci furono alcuni attimi di silenzio.

“In realtà volevo parlarti ragazzo.”

“Di cosa?”

“Volevo ringraziarti, anche a nome di mia moglie, per come stai vicino a nostra figlia.”

“Lo faccio volentieri.”

“Vedi. Io e mia moglie eravamo molto preoccupati per Kimizu. Da quando è accaduta quella disgrazia, sembrava non riuscire ad affezionarsi a nessun altro. Era diventata chiusa con gli altri. Forse la colpa è anche mia e di mia moglie. Volevamo proteggerla dal mondo perché non soffrisse più. Ma forse siamo solo riusciti a soffocarla. A soffocare la sua natura aperta e gioiosa. Ma da quando ci sei tu vicino a lei, a poco a poco sta tornando quella di una volta.”

Mitsui non sapeva che dire, così si fissarono negli occhi in silenzio.

Il resto della mattina passò senza che nelle condizioni di Ryo ci fosse un miglioramento.

Poco dopo l’una del pomeriggio arrivarono Miyagi, Ayako, Sakuragi, Haruko, e Rukawa.

“E voi che ci fate qui?” domandò Mitsui.

A rispondere fu Haruko. “Siamo passati a vedere se la situazione era migliorata.”

“Vi ringrazio. Per ora la situazione è ancora stabile.”

“Tesoro, chi sono questi ragazzi?” domandò la madre di Kimizu che era appena tornata insieme al marito, dopo essere andati a prendere un caffè.

Kimizu li presentò. Mentre la Sig.ra Terashima li ringraziava per essersi preoccupati, arrivò il medico.

“Dottore. Ci sono novità?” domandò Kimizu.

“Sì. Sono lieto di comunicarle che suo figlio si è svegliato, è in ottima salute e sta piangendo perché vuole la sua mamma.” Disse il medico sorridente.

“Sì è svegliato! Si è svegliato!” Kimizu ripeteva questa frase come se non riuscisse a capirne il significato o, forse, ancora incredula.

Poi si girò verso Mitsui e gli buttò le braccia al collo piangendo dalla gioia. Lui ricambiò l’abbracciò.

“Forza. Va da lui.” Le sussurrò all’orecchio.

Lei gli sorride e seguendo il medico andò da suo figlio.

Quando lo vide così vispo le lacrime presero a scorrere ancora più forti.

Dopo aver avuto il consenso del medico lo prese in braccio. Lo strinse a sé ancora incredula.

In poco tempo il bambino si calmò.

Nel frattempo in sala d’aspetto i nuovi arrivati stavano cercando di capirci qualcosa.

“Scusate, posso fare una domanda?” chiese Sakuragi.

“Cosa vuoi sapere?” domandò gentilmente la Sig.ra Terashima.

“Noi pensavamo che il bambino che stava male fosse il fratellino di Terashima. Ma il medico si è rivolta a lei dicendo che suo figlio si era svegliato. Ho capito male io o cosa?”

“Non hai capito male. Ryo, il bambino, è il figlio di Kimizu. Non prendetevela con lei se non ha voluto dirvi la verità. Nella vecchia città quando lei è rimasta incinta ed il bambino è nato, quelle che credeva sue amiche si sono allontanate da lei. Lasciandola sola.” Spiegò.

In quel momento arrivò l’infermiera per avvertire che se volevano potevano andare tutti a vedere il bambino.

Tutti si recarono nella stanza di Ryo. I cinque ragazzi che avevano appena scoperto il grado di parentela tra Kimizu e il fagottino che teneva tra le braccia rimasero un po’ in disparte.

Lei se ne accorse.

“Ragazzi. Vi voglio presentare una persona.” Disse avvicinandosi. “Lui è Ryohiro. Mio figlio.”

I cinque amici si innamorarono all’istante di quel bimbo. Soprattutto le due ragazze che esplosero in un: “Che amore! È bellissimo! Che dolce!”

Anche i ragazzi non furono da meno. “Com’è piccolo.” Disse Sakuragi.

“Ehi Aya, a vedere questo esserino così piccolo, paffutello e bellissimo non ti viene voglia di averne uno tuo?” disse Miyagi.

“Tra qualche anno non mi dispiacerebbe.”

“Se vuoi posso aiutarti io a farlo.”

Come finì la frase si beccò un coppino da Ayako. “Ma perché mi tratti sempre male?”

Tutti scoppiarono a ridere.

Fu poi il turno di Rukawa. “Complimenti. Hai un figlio bellissimo.”

“Grazie.”

Mitsui rimase ad osservare un po’ la scena. Godendosi la vista della felicità di Kimizu.

Senza che nessuno se ne accorse uscì dalla stanza.

Almeno credette che la sua uscita fosse passata inosservata. Infatti poco dopo lo raggiunse Miyagi.

Lo trovò seduto per terra nel corridoio.

“Ehi amico tutto bene?”

“Sì, tutto a posto.” Disse Mitsui asciugandosi in fretta gli occhi.

Quel gesto colpì Miyagi.

“Stavi piangendo?”

“No.”

“E perché non mi guardi in faccia se non stai piangendo?”

“Be’ forse lo sto facendo, ma solo un po’.” Aggiunse con tono burbero.

Miyagi sorrise al comportamento dell’amico. Era pronto a prendere a pugni tutto e tutti, ad affrontare ogni genere di sfida, ma aveva vergogna di farsi vedere piangere.

Senza dire altro gli si sedette a fianco aspettando che si calmasse.

“Ti sembro ridicolo?” gli chiese Mitsui poco dopo.

“No. Mi sembri soltanto un ragazzo che sta sfogando la tensione accumulata fino a poco fa.”

“E’ strano. In vita mia sono state poche le cose che mi hanno coinvolto. Prima il basket, poi il mio rancore verso il basket e poi di nuovo il basket. Ripensandoci la mia vita è sempre ruotata attorno al basket. Ma stavolta…” si interruppe.

“Stavolta ti sei sentito coinvolto in qualcosa di diverso dal basket.” Concluse per lui la frase.

“Già. La vita di quel bambino… Non mi ero mai rivolto al Signore in vita mia. Nemmeno quando ebbi l’infortunio. Eppure ieri ho sentito il dolore di Kimizu e sono entrato nella cappella dell’ospedale a pregare. E non ho pregato per me. Ho pregato affinché Ryo si salvasse, affinché Kimizu non dovesse più soffrire. Non pensavo che l’amicizia coinvolgesse tanto.”

“Sei sicuro che si tratti di amicizia?”

“Che vuoi dire?”

“Voglio dire che secondo me il tuo non è un comportamento da amico. Secondo me c’è qualcosa di più. O sbaglio?” Dandogli una pacca sulla spalla si alzò. “E’ meglio che torni in fretta dagli altri, prima che si accorgano della tua assenza.” Disse lasciandolo solo.

Mitsui rimase a guardarlo allontanarsi. Possibile che avesse ragione? Possibile che lui fosse innamorato di Kimizu?

Con questi pensieri tornò dagli altri.

 

Quella sera tornò a casa. Era tranquillo. Kimizu si era fatta mettere un letto nella stanza di Ryo che doveva stare in osservazione un paio di giorni. Anche i suoi genitori erano andati a casa.

Quando arrivò i genitori gli chiesero notizie. Furono felici di apprendere che il bimbo si era ripreso.

Verso mezzanotte il cellulare di Mitsui squillò.

“Pronto?”

“Ciao. Ti disturbo?”

“Tu non disturbi mai Kimizu. E’ successo qualcosa?” chiese subito allarmato.

“No, tranquillo. Va tutto bene. Il fatto è che volevo dirti una cosa.”

“Che cosa?”

“Oggi non ci sono riuscita perché c’era tutta quella confusione. Volevo ringraziarti per essermi stato vicino. Te ne sono veramente grata.”

“Non ho fatto niente. Sono solo rimasto a tenerti per mano.”

“Ti sbagli. Hai fatto molto di più. Sei corso qui in ospedale alle tre di notte. Mi hai rassicurata quando avevo paura. Mi sei rimasto vicino. Il solo saperti al mio fianco mi dava forza. Sei stato la mia fune di salvataggio. Senza di te sarei colata a picco.”

“Sono felice che pensi questo di me. Ma la verità è che sei tu ad essere forte. Non sminuirti.”

“Ti assicuro che non lo faccio.”

“Allora grazie.”

“Di niente.”

“Kimizu.”

“Sì?”

“E’ bello sentirti felice.”

Lei rise al telefono poi gli diede la buonanotte. Lui ricambiò e chiusero la comunicazione.

Kimizu tornò nella camera del figlio. Rimase a fissarlo finché il sonno non ebbe la meglio.

Dal canto suo Mitsui continuò ancora a girarsi tra le lenzuola. Le parole di Miyagi lo avevano sconvolto più di quanto volesse ammettere. Ma ben presto anche su di lui vinse il sonno.

 

Il lunedì seguente Kimizu tornò a scuola.

“Come sta Ryo?” le domandò Haruko quando la vide.

“Bene, grazie. Ormai si è ripreso del tutto.”

“Sono felice di saperlo.”

La mattinata trascorse tranquilla. Ogni tanto Kimizu si voltava a guardare il suo vicino di banco.

Mitsui aveva continuato ad andare a trovarla nei due giorni in cui il bambino dovette rimanere in osservazione in ospedale.

La domenica quando Ryo fu dimesso e tornarono a casa ricevette una telefonata di Mitsui che voleva accertarsi che fosse tutto a posto. Lei gli era grata per tutto l’affetto che le dimostrava.

Dal canto suo anche Mitsui ogni tanto la fissava. Ma i suoi pensieri erano leggermente diversi. Infatti il ragazzo stava cercando di capire se Miyagi aveva ragione dicendo che provava qualcosa di più della semplice amicizia per lei. E stava iniziando a pensare che avesse ragione.

Durante la pausa pranzo come al solito si ritrovarono tutti insieme in terrazza.

Quel giorno Kimizu notò che c’era qualcosa di strano.

“Ayako, Miyagi… che vi è successo?”

I due si guardarono arrossendo poi abbassando lo sguardo chiesero in coro: “Perché?”

“Non lo so. Ho solo l’impressione che ci sia qualcosa di diverso in voi.”

“Be’, nulla di particolare.” Iniziò Ayako. Poi si rivolse a Miyagi. “Avanti diglielo tu. So che stai morendo dalla voglia di farlo.”

“Grazie. Ragazzi… Io e Aya ci siamo messi insieme!”

Tutti scoppiarono in complimenti. I più fini furono di Mitsui e Sakuragi.

“Finalmente ce l’hai fatta! Scommetto che le hai dato un colpo in testa per farla capitolare.” Fu il commento di Sakuragi.

“Secondo me gli ha detto di sì perché era stufa di sentirlo chiedere di mettersi con lei. L’ha presa per stanchezza.” Disse invece Mitsui.

“Grazie tante. Ma che begli amici che siete.” Disse con tono finto – offeso Miyagi.

“Andiamo stiamo solo cercando di capire come hai fatto a farle cambiare idea.”

“E’ molto semplice. Con il mio sex appeal e il mio savoir faire.”

“Certo, come no!” disse Mitsui.

“Ehi Mitsui vuoi che ti mandi ancora all’ospedale.”

“Ti ricordo che non sono stato l’unico a finirci, tappo.”

Sakuragi scoppiò a ridere, Rukawa si limitò a dare dell’idiota ai due ragazzi, Haruko non sapeva se ridere o farli smettere, Ayako li fece smettere a suon di coppini e Kimizu rifletteva.

Quando si furono calmati Kimizu chiese a Mitsui: “Il ragazzo di cui mi hai parlato era Miyagi allora?"

“Esatto.”

“Non lo avrei mai creduto, a vedervi così amici, che fino all’anno scorso vi picchiavate.”

Pochi minuti dopo Sakuragi, Rukawa e Mitsui si alzarono e si allontanarono di alcuni metri da loro per perfezionare uno schema di basket.

“Come vanno le cose tra te e Mitsui?” le domandò Ayako.

“Bene, perché?”

“Tutti ci stavamo chiedendo quando vi sareste messi insieme anche voi.”

“Guarda che ti sbagli. Io e Hisashi siamo soltanto amici.”

“Da come vi comportavate in ospedale ero convinta che ci fosse qualcosa di più che semplice amicizia.”

“Guarda che ti sbagli. Io e lui… siamo solo amici.”

In quel momento suonò la campanella che annunciava la fine della pausa pranzo. Tutti si diressero verso le scale.

Mentre scendevano Miyagi si avvicinò a Kimizu.

“Prima non mi sei sembrata molto convinta. Intendo quando hai detto che tu e Mitsui siete solo amici.”

Lei rimase zitta.

“Forse tu pensi di provare per lui solo amicizia. Anche se io non credo sia così. Ma sei proprio sicura che anche lui provi solo amicizia per te?”

“Che vuoi dire?”

“Quando siamo venuti all’ospedale e dopo che abbiamo visto tuo figlio, non so se te ne sei accorta ma, Mitsui è uscito in silenzio dalla stanza.”

“Sì, me n’ero accorta.”

“Sono uscito anch’io per vedere dove fosse andato. Ti sei accorta anche di questo?”

“Veramente no.”

Miyagi sorrise. “Il solo fatto che ti sei accorta dell’uscita di lui e non ti sei accorta della mia, soltanto pochi secondi dopo, dovrebbe bastare a farti riflettere. Comunque quando l’ho raggiunto lui stava piangendo.”

“Che cosa? Perché?” chiese preoccupata.

“Per il sollievo. Perché tuo figlio era salvo. Perché tu eri felice. Perché il peggio era passato. Un po’ di tutto ciò.”

Ancora silenzio da parte di Kimizu.

“Rispondi a questa domanda: perché le emozioni che provava in quel momento erano tanto forti da farlo piangere. Ti faccio presente che lui non è certo il tipo che piange facilmente. L’ho visto piangere solo un’altra volta. Quando ha supplicato il coach di riprenderlo in squadra. Si era veramente pentito di essere diventato un teppista. Ma il suo comportamento era dovuto al rancore per non poter più giocare a basket per un problema al ginocchio.”

“Rispondendo alla tua domanda credo che abbia pianto perché essendo mio amico soffriva a vedermi soffrire.”

“Su questo non c’è dubbio. Sottolineo soltanto un piccolo particolare. Quando ha pianto per il basket, il basket era la cosa più importante della sua vita. Di conseguenza, se adesso ha pianto per te… cosa vorrà dire?” dicendo questo la lasciò da sola dirigendosi verso la sua classe. Lei rimase immobile fissandolo mentre se ne andava.

Mitsui si voltò indietro per andare in classe insieme a Kimizu. Vedendola ferma sulle scale le si avvicinò.

“Ehi, tutto bene?”

Lei si voltò di scatto verso di lui. Poi imbarazzata abbassò lo sguardo. “Sì, certo. E’ tutto a posto.”

Lui non sembrò molto convinto ma lasciò perdere.

Durante le lezioni pomeridiane Kimizu non riuscì a concentrarsi. Il suo pensiero era fisso sulle parole di Miyagi. Possibile che Mitsui provasse più che semplice amicizia nei suoi confronti? E lei? Era davvero amicizia quella che sentiva per lui?

Tutto era confuso.

Anche più tardi mentre era a casa continuò a ripensarci.

Mentre stava ancora riflettendo suonarono alla porta. Andò ad aprire. Era Mitsui.

“E tu che ci fai qui?”

“Scusa il disturbo, ma mentre svuotavo la cartella ho notato che il tuo quaderno di matematica c’era finito dentro. Quindi te l’ho portato.” Disse mentre lei lo faceva entrare.

“Potevi ridarmelo domani.”

“Ho pensato che potesse servirti per ripassare.”

“Ripassare?”

“Sì. Per il compito in classe di domani.”

Lei ci pensò un attimo sopra. “Accidenti! È vero! Con tutto quello che è successo mi è sfuggito di mente. E il bello è che alle ultime lezioni ero assente. Oggi mentre parlava non ho capito nulla.”

“Se vuoi posso darti una mano io. In matematica vado piuttosto bene.”

Lei accettò. Lo condusse in salotto ed andò a prendere il libro di matematica in camera.

“I tuoi non ci sono?” chiese Mitsui quando lo raggiunse.

“No. Hanno portato Ryo a fare un giretto.”

Dopo questa spiegazione si misero a studiare. In un paio d’ore avevano già finito.

“Mitsui ti faccio i miei complimenti. Spighi meglio del professore. Mai pensato di lasciare il basket per darti all’insegnamento?” disse ridendo.

“Grazie per i complimenti, ma il basket non lo mollo.” Disse sorridendo.

“E’ importante per te il basket vero?” nel frattempo si erano spostati sul divano.

“E’ tutta la mia vita. O almeno lo era fino a poco tempo fa.”

“Perché? Cos’è cambiato?”

Mitsui stava per rispondere che prima non c’era lei nella sua vita, ma fu interrotto dal campanello.

Kimizu andò ad aprire mentre il ragazzo si passava una mano sulla faccia.

‘Che misero fallimento. Ma proprio ora doveva suonare la porta. Adesso che stavo per dirle cosa provavo?’

Alla porta erano i suoi genitori. Quando lo videro lo invitarono a rimanere a cena. Lui accettò.

Poco dopo la madre si accorse di essersi dimenticata di comprare una cosa.

“Andiamo noi a prenderla. Ti va di fare due passi?” chiese Kimizu a Mitsui.

“Certo.”

I due uscirono di casa.

Mentre stavano tornando furono affiancati da una moto. Istintivamente Kimizu si aggrappò al braccio di Mitsui.

Alla guida della moto c’era Tetsuo.

“Ehi campione! Non sapevo avessi la ragazza.”

“E’ un amica. Kimizu Terashima… Tetsuo Wakanae.”

Rimasero a parlare alcuni minuti. A poco a poco Mitsui sentì che Kimizu si calmava.

‘Se è un amico di Mitsui posso stare tranquilla. E poi non posso avere paura di tutti coloro che vanno in motocicletta.’ Pensava la ragazza. In fondo in fondo lo trovava anche simpatico.

“E quelle? L’altro giorno non le avevi.” Disse Mitsui riferito alle ferite sul viso dell’amico.

“Nulla di serio. Ho avuto un piccolo scontro con Rui.”

“Ancora non gli è andata giù vero?”

“No. Non credo che gli passerà mai.”

Poco dopo Tetsuo se ne andò.

“A cosa ti riferivi prima?”

“Quando?”

“Quando hai detto che a quel tipo non gli è andata giù.”

Ci pensò un attimo sopra. Era giusto che glielo dicesse, ma sapendo ciò che aveva passato a causa di una banda di teppisti non sapeva come l’avrebbe presa.

“Ricordi quando ti dissi che io e Miyagi una volta ci siamo picchiati talmente tanto da mandarci in ospedale?”

“Sì. Lo ricordo.”

“Ecco… Il basket era la mia vita. A causa di un problema al ginocchio dovetti smettere. Mi ricoverai, ma feci la sciocchezza di andarmene dall’ospedale prima che i medici mi dessero il loro benestare. Mi rimisi a giocare. Lo sforzo che feci aggravò le condizioni del mio ginocchio. Dovetti rinunciare al basket. Per la disperazione iniziai a comportarmi come un teppista. Entrai in una banda. All’epoca Tetsuo era il capo. Non sono molto fiero di quel periodo, anzi diciamo che se potessi cancellerei quel periodo. In quei giorni conobbi Miyagi. Lui rappresentava tutto ciò che avevo perso. La possibilità di giocare a basket. Con la banda lo chiamai in terrazza. Iniziammo a picchiarci. Fino a mandarci all’ospedale. L’anno scorso, poco dopo essere usciti dall’ospedale, sono andato nella palestra per vendicarmi di Miyagi. C’è stata una rissa. Alla fine ho capito l’errore madornale che stavo facendo. Per farla breve ho implorato il perdono dell’allenatore e gli ho chiesto di riprendermi in squadra. Mi hanno concesso di tornare. Subito dopo ho lasciato la banda. Anche Tetsuo l’ha lasciata. Per Rui, uno degli appartenenti della banda che ora è diventato il capo, noi due siamo dei traditori. Soprattutto perché con noi sono andati via anche altri ragazzi.”

“Cosa facevate? Intendo come teppisti.” Il suo tono era duro.

Mitsui rimase in silenzio e si appoggiò ad un muretto. La guardò negli occhi poi scosse la testa abbassando lo sguardo. Come se non riuscisse a parlare.

“Hisashi?” lo incitò.

“Di solito andavamo in giro, bevevamo qualche birra, prendevamo in giro le persone che incontravamo. Ma… qualche volta è capitato che facessimo a botte con altre bande…”

“Non è tutto vero?”

“No.” Disse fissando per terra. “Abbiamo anche picchiato ragazzi che non avevano fatto niente di male. Se non capitarci davanti quando eravamo troppo su di giri.”

Mitsui si zittì. Anche Kimizu non disse nulla.

Il silenzio stava opprimendo Mitsui.

“Ti prego dì qualcosa.” Disse alzando lo sguardo per guardarla.

“Non so che dire. Io… ho bisogno di stare un po’ da sola.”

Mitsui riabbassò lo sguardo.

“Lo capisco.”

“Senti… per la cena stasera…”

“Tranquilla. Capisco che non è il caso. Scusami tu con i tuoi genitori.”

Lei annuì.

“Ti accompagno a casa.”

“Non ce n’è bisogno.”

“Kimizu… è buio, è meglio se non vai in giro da sola.”

La ragazza si avviò e Mitsui la seguì rimanendo alcuni passi dietro di lei.

Quando arrivarono a casa di Kimizu, lei entrò senza voltarsi verso Mitsui.

Lui rimase alcuni istanti di fronte a casa sua. Poi si girò e se ne andò.

 

“Sono tornata.”

“Tesoro e Mitusi dov’è?”

“Si scusa, ma l’hanno chiamato i suoi genitori e gli hanno chiesto di tornare a casa.”

“E’ successo qualcosa?”

“No. Non è successo nulla.”

Dopo aver messo a dormire Ryo si chiuse nella sua camera. Cercò di dormire, ma non ci riuscì.

Verso le due di notte era ancora sveglia. Scese in cucina per farsi una camomilla.

Poco dopo la raggiunse la madre.

“Sei tu Kimizu? Avevo sentito dei rumori e sono scesa a controllare.”

“Scusa mamma, non volevo svegliarti.”

“Allora che succede?”

“Nulla. Solo non riuscivo a dormire.”

“Tesoro ti ho fatta io. Ti conosco bene. E quella non è la faccia di chi non ha nulla.”

Kimizu osservò la madre. Poi si decise a dirle tutto.

“In realtà mamma, è successa una cosa. E io non so come comportarmi.”

Le raccontò tutto.

“Capisco. E a te crea problemi il fatto che sia stato un teppista.” Disse la madre dopo aver ascoltato la figlia.

“Sì.”

“Tesoro io non posso dirti cosa fare. Però prova a pensare a come ti è stato vicino quando Ryo è stato male. Ti sembra che quello sia il comportamento di un teppista? Tutti possiamo commettere degli sbagli nella nostra vita. L’importante è riconoscerlo e cercare di cambiare. Ed io credo che Mitsui lo abbia fatto.” Detto questo diede un bacio sulla fronte alla figlia e dandole la buonanotte tornò a letto.

Kimizu finì la camomilla e andò anche lei a dormire. Adesso sapeva cosa doveva fare.

 

Il giorno dopo Kimizu si fece trovare sulla strada che percorreva Mitsui per andare a scuola.

“Volevo parlarti riguardo a ieri.” Gli disse quando arrivò.

“Dimmi.”

“Non mi interessa cosa sei stato. Mi interessa cosa sei ora.”

“Sei sicura?”

“Sì.” Mitsui le sorrise.

Stavano dirigendosi a scuola quando un gruppo di ragazzi li bloccò e li trascinò in un cantiere abbandonato.

“Che volete da noi?” chiese Mitsui.

“C’è qualcuno che vuole pareggiare i conti.” Gli disse uno.

“E’ un bel po’ che non ci si vede. Non è vero Mitsui?” disse un ragazzo mentre si spostava da dietro una colonna.

“Rui?!?”

“Vedo che ti ricordi ancora di me.” Disse con un ghigno.

Bastardo!!! dovevi finire in galera!” urlò Kimizu.

“E tu chi sei?” gli chiese Rui.

“Ero la fidanzata del ragazzo che hai ucciso!”

“Di chi?”

“Circa un anno e mezzo fa. A Hokkaido. Tu ed altri ragazzi eravate in moto. Avete circondato la macchina su cui viaggiavamo io e Hiro e ci avete mandato contro una collinetta. La macchina si è cappottata più volte. L’impatto l’ha ucciso.”

“Ah, sì. Mi ricordo qualcosa del genere. Ma non sapevo che fosse morto. Che sfigato!”

La collera di Kimizu salì alle stelle a quelle parole. Tentò di liberarsi dalla presa dei due ragazzi che la bloccavano.

“Che c’è? Come mai sei così agitata?” le chiese mettendole un dito sotto il mento ed avvicinando il suo viso.

Kimizu per tutta risposta gli sputò in faccia.

Quel gesto non piacque molto a Rui che la schiaffeggiò.

Non toccarla!” gridò Mitsui.

“Sai Mitsui. Questa ragazza è proprio il mio tipo.”

“Se solo le torci un capello giuro che ti farò pentire di essere nato.”

“Che paura. Ragazzi! Sistematelo!”

Due ragazzi che finora erano rimasti a guardare si avvicinarono a Mitsui e iniziarono a pestarlo mentre altri due lo tenevano fermo.

Kimizu gridava a quei tipi di smetterla.

“Fossi in te, mi preoccuperei di me stessa.” Dicendo questa avvicinò di nuovo il suo viso a quello di lei. Lei gli risputò in faccia. Lui le tirò una sberla molto più forte della precedente. Tanto che dal lato del labbro prese a scenderle un rivolo di sangue.

Rui avvicinò ancora il suo viso a quello di lei nel tentativo di baciarla. Seguendo l’istinto alzò di botto il ginocchio centrando i suoi genitali.

A quel punto Rui si infuriò davvero. Caricò il pugno. Kimizu chiuse gli occhi aspettando di essere colpita. Solo che non sentì arrivare nulla. Aprì un occhio per capire cosa fosse successo.

Sakuragi aveva bloccato il braccio di Rui ed ora lo stava riempiendo di botte.

Rukawa invece si stava occupando dei due tipi che la tenevano ferma. In pochi secondi fu libera. Cercò con lo sguardo Mitsui e vide che insieme a Miyagi stava fronteggiando quattro scagnozzi di Rui.

Con l’aiuto degli amici Rui e i suoi complici furono messi K.O..

Kimizu corse piangendo da Mitsui che l’abbracciò stretta a sé.

“Tranquilla. E’ tutto finito.” Cercava di consolarla. Poi si rivolse ai suoi amici. “Voi che ci fate qui?”

“Mentre stavo andando a scuola vi ho visti per caso qui nei guai. Sono andata a chiamare i ragazzi e siamo venuti subito qui.” Spiegò Haruko.

Mitsui prese il cellulare da una tasca e chiamò la polizia che in pochi minuti arrivò.

Kimizu spiegò che Rui era il capo della banda che aveva mandato fuori strada l’auto del suo fidanzato uccidendolo.

I poliziotti le chiesero di seguirla per ulteriori accertamenti. Mitsui andò con lei.

 

Due mesi dopo.

“Ragazzi siete stati davvero fantastici! Soprattutto tu Ryota!” disse Ayako.

“Grazie Aya.” Rispose Miyagi.

“E tu Hanamichi sei stato bravissimo! Hai fatto dei canestri incredibili! Sono così fiera del mio ragazzo!” fu il commento di Haruko.

“Harukina mia!” Sakuragi era al settimo cielo.

“I tuoi tiri da tre punti erano favolosi Hisashi!” disse Kimizu.

“Mi piace quando mi fai i complimenti Kimizu.” Le rispose Mitsui.

“E a me nessuno ci pensa?” domandò Rukawa.

“Tranquillo Kaede! A te ci penso io.” Lo rassicurò Asuka, una ragazza dai lunghi capelli rossi. Era la fidanzata di Rukawa, nonché sorella minore di Sakuragi.

“Ragazzi, ma ci pensate? Abbiamo vinto il campionato nazionale! Ancora non ci credo. Mi sembra di sognare.” Disse Mitsui.

“Vieni qua che ti dimostro che non è un sogno.” Disse Kimizu poco prima di baciarlo.

Si erano messi insieme quando finì la faccenda di Rui. Era stato arrestato e mandato in prigione. Non avrebbe fatto soffrire più nessuno come aveva fatto soffrire lei.

“Ehi ragazzi! Ma il vostro treno non parte alle 17?” domandò Ayako.

“Sì perché?” rispose Kimizu

“Sono le 16:30. Se non vi muovete arriverete in ritardo.”

“Dobbiamo muoverci.” Salutarono velocemente tutti e si diressero alla stazione.

Il campionato nazionale si era tenuto in un paesino vicino ad Hokkaido. Kimizu aveva seguito il suo ragazzo e i suoi genitori avevano colto l’occasione per andare a fare visita a dei parenti di Hokkaido.

Presero in tempo il treno. Arrivarono a casa dei cugini di Kimizu dove erano ospiti. Presero il piccolo Ryo e si diressero a fare una visita importante.

Quando arrivarono il cielo aveva iniziato a scurirsi.

Si fermarono di fronte ad una pietra. Era la lapide di Hiro.

“Hiro. Volevo presentarti una persona. Lui è Hisashi Mitsui. Mi è stato vicino quando ne avevo bisogno. Gli voglio bene e lui ne vuole a me e al nostro piccolo Ryo. Sarà sempre tuo figlio anche se Hisashi mi aiuterà a crescerlo. Gli dirò tutto di te e saprà che il suo papà è stata una persona meravigliosa. Ti prego di vegliare su di noi dovunque tu sia adesso.” Disse Kimizu.

“Mi prenderò cura di loro.” furono le parole di Mitsui che prese tra le sue una mano della sua ragazza.

“Era giusto che vi presentassi.”

“Lo so.”

“Certo sarebbe bello se potessimo avere un segno della sua benedizione.” Disse con un tono a metà tra il serio e lo spiritoso. “Forse pretendo troppo.”

In quel momento alzarono contemporaneamente lo sguardo al cielo. Videro una stella cadente.

“Che sia il segno che avevi chiesto?” domandò Mitsui.

“Voglio pensare che sia così.”

Mitsui abbracciò lei e il bambino. Poi riprese la mano di Kimizu tra le sue.

Mentre compiva quel gesto il brillantino sull’anulare sinistro di Kimizu brillò.

Ancora un mese e la loro unione diverrà eterna anche di fronte al resto del mondo.

 

The end.

 

Che ne dite? Vi è piaciuta? Lo so certe parti sono lugubri. Almeno stavolta non ho fatto morire Mitsui. L’altra volta qualcuno non aveva apprezzato molto la scelta della vittima (piccolo riferimento all’altra mia fic: L’angelo mitsui).

Ehi ma ti sembra il caso di fare pubblicità occulta? Nd lettori.

Ma no cosa dite? ^///^ Nd autrice

- _ - Nd lettori.

E va bene lo ammetto! Ma giusto un pochino ^ ____ ^’ Nd autrice

 

Comunque per commenti e critiche (se avete un po’ di spazio anche per i complimenti non mi offendo ^____^) lasciate messaggi al fermo posta oppure mandatemi e-mail a kaeru@tele2.it .

 

Un ringraziamento speciale alla mia amica Sley che deve sempre subirsi il mio isterismo di quando non riesco ad andare avanti nelle storie e che mi da buoni consigli per la stesura. ‘AZIE! ‘AZIE!

Grazie anche alla mia sorellona che mi ha dato involontariamente l’idea base di questa storia. Anche se immagino che alcuni di voi si chiedono perché quel giorno non fosse andata a farsi un giro invece di darmi idee. Misteri della vita. ^____^

Un ringraziamento anche a tutti quelli che leggeranno questa storia. Se vi sembra assurda tenete conto che l’ho scritta interamente di notte quando tutto tace e la pazzia dilaga. ^____^

 

Oyasumi nasai! (Buonanotte!)

 

 

   
 
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