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Autore: _Slash_    24/01/2012    6 recensioni
"Il mio mondo stava crollando, le mie convinzioni sparendo e io avevo solo bisogno di qualcuno a cui aggrapparmi, di qualcuno che mi salvasse, avevo bisogno di un'ancora di salvezza.
Ecco, Lui era la mia ancora di salvezza, trovata per caso nel caos della città"
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiusi la porta di casa ormai in lacrime lasciandomi alle spalle le urla e i tonfi provenienti che si sentivano al suo interno.

L’avevano fatto di nuovo, avevano litigato di nuovo ed entrambi continuavano a imperterriti a mantenere la propria posizione probabilmente per orgoglio, fottuti genitori!

Quella che non ce l’aveva fatta questa volta ero io non ne potevo più dei loro stupidi litigi, delle loro stupide urla, delle loro stupide porte sbattute, 

non ne potevo più di loro che sembravano non accorgersi di quanto io stessi male per questo, troppo impegnati ad auto commiserarsi.

L’aria fredda di Dicembre mi sferzò il viso e mi avvolsi nel mio giubbotto mentre continuavo a camminare per le strade di Londra.

Le calde lacrime sgorgavano dai miei occhi e rappresentavano proprio tutto il dolore, tutta la tensione e la rabbia accumulati negli ultimi tempi.

Generalmente in questi casi, andavo dalle mie migliori amiche: Lucy, Lizzie e Mafy, loro mi comprendevano e mi aiutavano proprio come si fa tra sorelle, 

ma purtroppo avevano tutte degli impegni con la propria famiglia.

Famiglia, già! Beate loro che ne hanno una, la mia non si poteva definire tale, semmai tutt’al più era un gruppo di persone che condividono la stessa casa, 

se proprio la si vuole definire in qualche modo.

Persa nei miei pensieri non mi accorsi di essere andata a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.

«Scusa» mormorai con un filo di voce.

Non alzai nemmeno il capo, un po’ per l’imbarazzo un po’ perché non volevo far vedere il mio viso sapendo in che condizioni sarebbe stato: 

profonde occhiaie, trucco colato, capelli arruffati, un perfetto panda insomma.

Feci per continuare a camminare ma lo sconosciuto mi bloccò e fui costretta ad alzare il capo. E li fu la fine: era stupendo, alto, viso d’angelo incorniciato

da una massa informe di capelli ricci e al posto degli occhi due smeraldi splendenti; riuscii a notare tutto ciò nonostante la tristezza e l’angoscia che mi opprimevano il cuore e pensai:

Wow! Questa è l’incarnazione del modo di dire “ Angelo sceso in Terra”.

«Come mai stai rovinando il tuo bel viso piangendo?»

Per essere uno sconosciuto si era già preso fin troppa confidenza, ma non mi importava, era per merito della sua bellezza se in quel momento 

stavo riuscendo a non pensare a nulla che non fosse lui.

«Perché la mia vita fa schifo» riuscii a rispondere con tono neutro.

«Wo, wo, calma con le parole, cosa potrebbe mai esserti successo?..Mh..vediamo…morto il pesce rosso?» tentò di farmi ridere lui, non ci riuscii, 

ma spuntò comunque un sorriso sul mio volto.

«No, non ho mai avuto animali in realtà, certo, se non contiamo mi fratello!».

Quel ragazzo era riuscito a farmi tornare il buon umore in men’ che non si dica, saranno stati i suoi occhi. 

Parlo di uno sconosciuto come fosse stato il mio ragazzo…le lacrime mi hanno dato alla testa!

«Oh, vedo che ti è tornato il buon umore! Comunque piacere, io sono Harry».

Harry, carino come nome, insolito.

«Gabriella»  dissi solo stringendogli la mano.

«Oh, dal tuo nome deduco che non sei Inglese originale! E io che speravo potessi farmi da guida! Sai sono nuovo di qui e le cartine non servono a molto dal momento che non ci capisco una mazza» fine il ragazzo!  

Però adesso guardandolo bene vidi che aveva la macchina fotografica appesa al collo e la cartina in una mano.

«Ehy, ho origini Italiane è vero, ma vivo qui a Londra da quando avevo tre anni, perciò la conosco come le mie tasche».

L’idea di poter trascorrere un intero pomeriggio con lui mi metteva di buon umore e questa cosa mi spaventava, insomma lo conoscevo da poco più di dieci minuti! 

Sarà stata la voglia di divertirmi una volta tanto.

«Davvero saresti disposta? Grazie davvero, mi hai salvato dal fare una brutta fine!»

Scoppiai inevitabilmente a ridere, quel ragazzo era buffo!

«Di niente. Allora cosa vorresti vedere prima?»

«Beh, mentirei se dicessi di non avere fame perciò, mi porti da Starbucks?»

«Ma sono le tre del pomeriggio!» dissi sconvolta, ero sconvolta!

«E allora?» rispose con nonchalance

«Allora, le persone normali a quest’ora hanno da poco finito di mangiare. E poi con tutte le cose belle che ci sono, proprio da Starbucks vuoi andare? 

Sei strano ragazzo lasciatelo dire!»

«Ma che vuoi! I monumenti non se ne vanno di lì, la mia fame invece mi sta lacerando!».

L’ultima frase la disse frignando manco fosse un bambino di cinque anni, se non più piccolo.

«Andiamo và, è qui vicino dieci minuti e siamo lì»

Cominciammo a camminare e lui subito mi chiese:

«Allora Gabriella, quanti anni hai?»

«Ah-Ah Harry mossa sbagliata! Non si chiede l’età a una signora.» risposi ironicamente.

«Mh, questo mi fa presupporre che tu sia più vecchia di quanto sembri» disse accarezzandosi il mento liscio come il culetto di un bambino.

«Non è vero ho solamente diciassette anni!» lo fulminai con lo sguardo.

Mi sorrise sornione e solo dopo mi resi conto della mia gaffe.

«Mi hai manipolata!» esclamai imbronciandomi.

«No. Si chiama psicologia inversa, mai sentito parlarne?» mi sorrise soddisfatto.

Gli feci il verso e il suo sorriso mutò in una risata, una lunga, fragorosa, meravigliosa risata.

Proprio in quel momento arrivammo da Starbucks e quando anche lui se ne rese conto smise di ridere e corse dentro senza nemmeno aspettarmi.

Bene! Della serie: Viva la Galanteria.

Entrai e lo vidi già seduto al tavolo che stava ordinando, lo raggiunsi e proprio in quel momento la cameriera si allontanò con l’ordinazione.

«Oh, e la galanteria dov’è? A farsi fottere?» dissi leggermente inacidita dal fatto che non mi avesse aspettato, insomma!

«Già proprio come la tua finezza. E poi cosa vuoi, tu ti senti normale?» non capii il senso di quella domanda ma risposi comunque

«Sì, direi di sì»

«E allora! Sei stata tu prima a dire che le persone normali di solito a quest’ora hanno da poco finito di mangiare, non hai bisogno di nutrirti!» affermò lui convinto.

Scossi la testa contrariata ma inevitabilmente mi venne da sorridere per il suo ragionamento contorto.

«Lasciamo perdere và! Piuttosto, prima hai accennato al fatto che si nuovo di qui, da dove vieni?»

«Vengo dal Cherchshire, da Holmes Chapel precisamente» rispose lui pensandoci bene però non mi era nuovo quel nome, vediamo….I nonni! Ma certo abitavano lì!

«Ah sì! Lo conosco, abitano lì i miei nonni e ogni tanto li vado a trovare, perciò..»

«Congratulazioni!» disse ironico

«Ma che fai mi prendi in giro?» dissi scocciata.

«No,no, per carità!» alzò le mani per provare la sua innocenza.

«Meglio, allora, dimmi tu, quanti anni hai?»

«Anche io diciassette» disse.

In quel momento arrivò la cameriera con l’ordinazione e gli sbatté praticamente le tette in faccia, non prima ovviamente di avergli rivolto un sorrisino malizioso. 

Non so la reazione di lui, girai il volto schifata, ormai la dignità era un optional!

Quando se ne andò esclamai «Wow Hazza hai fatto colpo!»

«Come mi hai chiamato?» chiese lui confuso.

«Hazza» risposi con ovvietà mentre lui pensava a ingurgitare il panino che aveva ordinato.

«Ah, e da dove ti è uscito mo’ ‘sto nome?» disse ancora più confuso e sputacchiando cibo a destra e a manca.

«Fai schifo! Bleah! Poi non lo so! Quante domande mammamia!»

«Ok, ok, non mi mangiare però!» sembrava impaurito, ma del resto sapevo che stava scherzando.

«Vabbè dai per questa volta ti perdono» dissi con tono di superiorità.

«La ringrazio» si limitò a dire lui.

Gli sorrisi dolcemente e lo stesso fece lui, mi persi nei suoi occhi, in quelle due pozzanghere verdi, i nostri occhi incatenati erano come delle coppie di smeraldi che si incontrano, 

già ho gli occhi verdi.

Rimanemmo a fissarci fin quando lui non distolse lo sguardo in evidente imbarazzo.

Lo si capiva dal rossore che albergava sulle sue guancie, quelle sue guancie paffutelle sulle quali ogni volta che sorrideva comparivano delle tenerissime fossette.

C’era da ammetterlo: era davvero un bel ragazzo.

Ma non uno di quelli tutti muscoli che sembravano fatti di plastica, bello di una rara bellezza che emana luce propria.

Ci alzammo, andammo alla cassa e dopo che lui ebbe pagato uscimmo in un religioso silenzio, aleggiava ancora tra noi l’elettricità creata dai  nostri sguardi incatenati di poco prima.

Il vento mi colpì in pieno viso, facendomi risvegliare dal mio stato catatonico e scompigliando i miei lunghi boccoli castani.

«Allora cosa vogliamo fare adesso?» ruppe il silenzio lui entusiasta.

Diedi una rapida occhiata all’orologio al mio polso e mi accorsi che erano già le cinque.

«Veramente io dovrei tornare a casa».

Non volevo tornare a casa, dove molto probabilmente sarei nuovamente scoppiata in lacrime, non volevo allontanarmi da lui che era riuscito a farmi sorridere di nuovo, 

mi rattristai e lui lo notò chiedendomi:

«Ehy, qualcosa non và?»

«Tutto non và Harry, ma non mi sento ancora pronta per raccontarti cosa sta succedendo,scusa. Potresti comunque accompagnarmi a casa?Mi farebbe sentire meno…sola, ecco.»

Era vero, non mi sentivo ancora pronta per aprirmi con lui, dopotutto, tralasciando il fatto che con lui stessi maledettamente bene, era pur sempre uno sconosciuto.

«Certo, andiamo» inaspettatamente mi prese la mano e quel contatto mi provocò una scarica di brividi lungo lo spina dorsale.

Camminammo ridendo e scherzando, senza mai far staccare le nostre mani, quel ragazzo era come una medicina, la mia medicina.

Quando arrivammo davanti casa non sapevo come salutarlo ma poi mi decisi, mi alzai sulle punte, in quei casi essere un “puffo” di statura e portare perennemente le Converse era scomodo, 

e gli diedi un dolce e delicato bacio sulla guancia, profumava di mele, che profumo magnifico!

Aprii la porta di casa ma lui mi bloccò per un braccio e mi disse:

«Dammi almeno il tuo numero di cellulare».

«Tu dammi una penna» ribattei io.

Mi porse il suo I-Phone, segnai il mio numero e glielo restituii. Questa volta fu lui a baciare me sulla guancia e se ne andò lasciandomi lì imbambolata e con il battito del cuore accelerato.

Rientrai in casa sorridente, per la prima volta dopo tanto tempo, toccando il punto che poco prima era stato sfiorato dalle sue labbra-

Ma tutta la mia felicità fu distrutta come i castelli di sabbia dall’alta marea quando mi accorsi che mia madre era in soggiorno a piangere, o meglio singhiozzare, 

con la testa affondata nel bracciolo del divano.

  
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