Disclaimer: I fatti narrati
sono completamente di mia invenzione, i personaggi presenti in questa storia
sono realmente esistenti ed appartengono a loro stessi, ed io non intendo dare
rappresentazione veritiera ne del loro carattere ne della loro sessualità o
offenderli in alcun modo. E per finire non guadagno nulla da tutto questo, boohya! \o/
Timeline: Autunno 2000.
Conteggio parole: 3.153
Note: Scritta per il P0rnFest#5 @ fanfic_italia con il prompt: RPF TAKING BACK SUNDAY, Adam Lazzara/John
Nolan, Live up to your first impression. Well, my best side was your worst invention
(One-Eighty By Summer - Taking Back Sunday) e per il
COW-T#2 @ maridichallenge con il prompt: pioggia.
L’ambientazione temporale di questa è l’autunno 2000.
E’ possibile (leggere: mi
ci sto impegnando ma non assicuro nulla) che io decida di scrivere una serie su
‘le allegre avventure di Jesse, John e Adam’ perché ho
così tanto headcanon da condividere *W*
E dopo queste basta con
baby!John, baby!Jesse, baby!Laz
e con tutto questo drama. D’ora in poi solo fanfic dove sono tutti zucchero e miele :|
Alla fine ho messo uno
specchietto con un po’ di TBS!facts, in modo da
spiegare un po’ :°D
Titolo della storia
da …Slowdance on the Inside dei
Taking Back Sunday .
I’m lying just to
keep you here.
Ci
sono giorni in cui Adam ha l’impressione che siano
passati anni da quando si è trasferito a Long Island. Ormai conosce quei posti come se ci fosse
cresciuto, riesce a riconoscere l’odore della pioggia e il rumore del vento.
Aveva smesso di chiedere indicazioni un mese dopo essersi trasferito e, due
mesi dopo, era il piccolo appartamento umido che divideva con John a venirgli
in mente quando pensava a casa sua.
Adam appunta sul quaderno una frase che
gli è appena venuta in mente, per poi cancellarla un secondo dopo con una riga.
E’
ormai sera, il cielo fuori è grigio scuro e la pioggia cade ad un ritmo
incessante; rimbalza sul vetro della finestra e sui cofani delle auto. Un
leggero vento soffia fuori dalla finestra, facendo sbattere le tapparelle
contro il muro.
Lui
ha una chitarra accanto e una matita tra i denti. Sfiora le corde con le dita
mentre si passa si passa l’altra mano sui capelli e cerca di scrivere sul suo
quaderno le parole che ha sulla punta della lingua da ormai tutta la sera.
Prende un sorso della birra che aveva appoggiato al tavolino e si stiracchia,
lanciando un’occhiata al foglio scarabocchiato e ricominciando da capo.
Dopo
qualche minuto sente la porta di casa aprirsi e poi sbattere, e appoggia la
schiena contro i cuscini del divano, lanciando un’occhiata in quella direzione.
Prima
che John faccia scattare nuovamente la serratura, un po’ d’aria fredda entra in
casa, e Adam si accorge di stare tremando
leggermente.
John
apre leggermente la bocca appena lo vede, colto di sorpresa, e Adam appoggia la chitarra sul tappeto. Dopo meno di un
istante le sue labbra si piegano velocemente in un sorriso, lascia il giaccone
bagnato su una sedia e lo raggiunge, lasciandosi cadere sul divano.
-Ehi-
lo saluta con un sorriso e Adam si spinge in avanti,
lasciandogli un leggero bacio sulle labbra. –Come mai già a casa? Pensavo lavorassi…-
Adam alza le spalle e lo bacia di nuovo,
intreccia le dita nei suoi capelli corti e lo spinge sui cuscini e non riesce
ad immaginare un modo migliore per passare la serata di questo. Baci lenti e
languidi sul divano mentre schiacciano a caso i tasti della chitarra e cercano
di scrivere qualcosa che non faccia completamente schifo. –Non c’era molto da
fare, mi hanno dato la serata libera.- smette di parlare un istante e gli lascia
un piccolo bacio sul collo. -Sai, pensavo potessi aiutarmi, c’è questa rima che
non mi viene…-
John
ride mentre Adam gli soffia quelle parole sulle
labbra. –Oh, certo, una rima…-
–A
meno che tu non abbia altri programmi…- dice quelle
parole ironicamente mentre gli alza appena la maglietta ma quando incontra il
suo sguardo vorrebbe ricacciarsele direttamente in gola.
-Ecco,
io… Jesse mi ha invitato
fuori per prendere una birra…- risponde John, e non
ha la minima idea del perché si senta in bisogno di giustificarsi e ancor meno
di scusarsi. Jesse è il suo migliore amico e Adam non sarebbe dovuto essere a casa quella sera. Ma
comunque cerca la sua mano per intrecciare le dita con le sue.
-Oh,-
Adam sospira mentre sente il suo cuore diventare un
po’ più pesante nel petto. Cerca di fare del suo meglio per sorridere comunque.
–Non importa.-
Sapeva
chi era Jesse dal primo giorno in cui si era
trasferito a Long Island ma aveva sempre sfruttato ogni occasione che gli
capitava per evitare di avere a che fare con lui. Purtroppo, quasi subito si
era reso conto che quella fosse un’impresa più difficile del previsto, visto
che sembrava vivesse in simbiosi con tutti i suoi amici, soprattutto con John.
La
prima volta in cui l’aveva visto di persona era stata la prima volta in cui
aveva provato con i ragazzi. Adam sapeva stare
prendendo il suo posto nella band ed aveva la sensazione che non avrebbero
fatto amicizia, ma Jesse non gli aveva rivolto la
parola. Si era appoggiato al muro con le braccia conserte e non aveva tolto lo
sguardo da lui nemmeno per un secondo mentre Adam cercava
di concentrarsi sulla musica facendo finta di non accorgersi degli sguardi che
John gli lanciava.
Non
glielo aveva mai detto chiaramente ma Adam aveva intuito
subito che se voleva averlo nella sua vita, Jesse era
un effetto collaterale. In poco tempo però aveva capito che quello che Jesse vedeva in lui non era altro che una seccatura che
sarebbe sparita con il tempo.
E’
soprattutto il suo atteggiamento a farlo incazzare, come ad esempio il fatto che nonostante lo
frequentasse da ormai un anno, non avevano ancora litigato. Adam
sapeva che era nell’aria, ma sembrava che la presenza di John impedisse alle
scintille di centrare la miccia e fare accadere l’inevitabile.
Quando
erano tutti e tre nella stessa stanza, Jesse
osservava lui e John con la coda dell’occhio ed un mezzo sorriso sulle labbra,
come se stesse aspettando il momento giusto per avvicinarsi e mandare a puttane
tutto tra di loro. Paradossalmente, Adam non vedeva
l’ora che si decidesse, che facesse cadere la maschera e rivelasse le sue vere
intenzioni. Perché Jesse riusciva a far sembrare come
se fosse tutto nella sua testa e Adam non era un
pazzo, ne tanto meno uno stupido, ed era stanco di essere considerato tale. Jesse poteva darla a bere a tutti ma non a lui, e sapere di
essere a conoscenza di cosa ci fosse sotto lo faceva sorridere; se avesse
voluto, anche Adam avrebbe trovato il modo di
colpirlo.
-Puoi
venire anche tu. Lui non morde, sai.- mormora John
scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte.
Adam fa un mezzo sorriso, allontanando lo
sguardo da quello di John. –Non mi va di rischiare.-
Prima
che i baci tra di loro avessero smesso di sapere di whiskey, in una delle tante
serate passate nel seminterrato di Eddie quando tutti gli altri si erano ormai
addormentati e loro due erano rimasti gli unici svegli, John si era offerto di
accompagnarlo fuori a fumare una sigaretta. Adam
quella sera aveva finito tutto il pacchetto.
Si
erano seduti su uno dei gradini del giardino e non avevano smesso un attimo di
parlare. Adam aveva raccontato di quando viveva
ancora in North Carolina e di tutte le notti passate in macchina per
raggiungere il luogo di un concerto di cui era venuto a conoscenza solo nel
pomeriggio, e John aveva parlato di Jesse, dei
litigi, del rancore e di quello che era accaduto tra di loro. Aveva raccontato
ogni cosa sulla la loro amicizia e tutta
la verità.
Adam aveva ascoltato in silenzio e,
quando John ebbe finito, gli aveva dato un leggero bacio sulle labbra ed poi
era tornato dentro con un sorriso. John aveva detto tutto quello che c’era da
dire su Jesse, e forse adesso avrebbero potuto
cominciare a parlare di loro.
In
realtà entrambi i discorsi erano rimasti aperti e, ormai sempre più spesso, Adam ha la sensazione che tutta la verità non sia altro che un’ottima scusa da tirare fuori
al momento opportuno.
-Oh,
andiamo…- John gli bacia un angolo delle labbra, Adam sente i suoi occhiali graffiargli appena la guancia e
vorrebbe mandarlo all’inferno, perché questa è l’unica serata libera che avrà
in settimane e l’aveva presa per stare con lui. E, comunque, preferirebbe
passare tutta la notte al ristorante e tornare a casa con la puzza di fritto
attaccata ai vestiti che trascorrerla in compagnia di Jesse
Lacey. Probabilmente però l’unica cosa che Adam ha in comune con Jesse è il
fatto di non riuscire a dire di no a John.
Cerca
le sigarette nella tasca dei suoi jeans e ne accende una, prima di annuire con
un sospiro.
John
gli lascia un bacio umido sulle labbra e in quel momento Adam
pensa che, fanculo Jesse e fanculo ogni altra cosa, John è lì con lui ora
ed è l’unica cosa che conta. Per un attimo non sembra che tutto gli stia per
crollare sotto i piedi, non ha l’impressione di essere il manifesto dei cuori
infranti, non si sente una seconda scelta.
-Andiamo-
mormora John rimettendosi la sciarpa e recuperando il giaccone dalla sedia. Adam annuisce e il
momento è ormai passato.
Il
pub è a pochi isolati dal loro appartamento e questa è una di quelle sere in
cui il freddo ti entra nelle ossa e ti fa irrigidire le spalle. John intreccia
le dita con le sue e comincia a correre mentre lui ride e l’ombrello si rompe
sotto la forza del vento. Ed è così facile,
evitare le pozzanghere rischiando di cadere, stare con Adam,
pesare solo a quello che sta succedendo adesso, che nel momento stesso in cui
la mente di John è attraversata da questo pensiero, esso finisce.
La
verità è che Adam e Jesse,
per essere due persone che non si sopportano, hanno un’infinità di cose in
comune. Sono tutto quello che lui non riesce ad essere, nonostante ci provi.
John
ha sempre visto i suoi errori in faccia sorridergli da lontano prima che si
avvicinassero a lui lentamente e, nonostante questo, non è mai stato capace di
evitarli.
Adam si ferma in mezzo al marciapiede,
sotto un piccolo balcone che ripara appena entrambi dal temporale. Le gocce di
pioggia cadono lungo la sua fronte e il suo cappotto è ormai fradicio. John gli
lancia un’occhiata interrogativa e lui gli si butta addosso, bagnando completamente
anche i suoi vestiti. Le sue labbra sono fredde e screpolate per via della
pioggia ed il vento, e il sapore delle sigarette è ancora sulla sua lingua.
-Che
stai facendo?- gli mormora John, rimettendosi a posto gli occhiali sul viso, e Adam lo bacia ancora e poi di nuovo, stringendogli i polsi
tra le dita e prendendogli il labbro tra i denti.
-Adam,- prova di nuovo John, mettendogli
una mano sul petto e spingendolo indietro. –Siamo già in ritardo.-
-Non
mi importa- gli risponde, e John riesce a sentire il rumore del suo respiro
contro le sue orecchie.
-E
quindi il tuo piano sarebbe passare la serata qui sotto la pioggia?-
Adam alza le spalle e guarda John, ed
entrambi hanno la sensazione di vivere in una specie di limbo. Quella scena l’avevano
vissuta così tante volte da averne perso il conto e, ogni volta, Adam si trovava a odiare Jesse un
po’ di più. –Il mio piano è di passare la serata con te.-
John
scuote la testa, fa un passo indietro e il suo sguardo fugge lontano. –Non
voglio fare questo discorso con te ora.- sissirra
chiudendo la cerniera del proprio giaccone e stringendosi nelle spalle.
Adam lo guarda per un istante, alza la
voce e, ancora una volta, John rivede nel suo sguardo gli occhi azzurri di Jesse e si chiede come faccia a cacciarsi sempre in queste
situazioni.
–No,
John, tu non vuoi fare questo discorso e basta.- dice mentre sente la rabbia
scorrergli insieme al sangue, veloce nelle vene. –Anzi, no, scommetto che in
realtà non vedi l’ora. Così puoi dimostrare quanto tu sia maturo. Quanto entrambi
siate meglio di me-
Adam si morde la lingua ma non può
rimangiarsi quelle parole. E così rimane fermo, mentre sente gli occhi
pizzicargli leggermente, perché alla fine parte tutto da qui. Dall’orribile
sensazione che ha quando li vede insieme, quando si accorge che il suo sguardo
non è il primo che John cerca nell’istante in cui entra in una stanza.
Sa
che dovrebbe odiarlo per quello; la verità è che è consapevole anche che non ci
arriverà mai nemmeno vicino.
John
respira dal naso e cerca comunque di mantenere la voce bassa per non attirare
l’attenzione. Ormai non si accorge nemmeno più delle gocce di pioggia che gli
cadano sul viso.
E’
stanco di quella discussione, del fatto che ci sono momenti in cui sembra che
entrambi non facciano altro che girare intorno allo stesso punto, si sta
stancando di ripetergli che ha scelto di stare con lui e non con Jesse. E, in questi istanti, ne ha abbastanza anche di Adam.
-Io
non ce la faccio più.- mormora socchiudendo le palpebre mentre sente la rabbia
scivolare via. Sa che ne lui ne Adam potranno mai
vincere; non in quella discussione e non quando lui vede tutto ciò che lo
circonda come una dichiarazione di guerra nei suoi confronti, non quando è
convinto di avere sempre qualcosa da provare a dei critici che in realtà non
esistono.
Adam non ha idea di cosa rispondere.
Vorrebbe
chiedere a John cosa si aspettasse quando entrambi avevano deciso di provarci sul serio. Erano sempre stati quello,
baci che tolgono il respiro, scenate e rabbia, e John non ha alcun diritto di
esserne sorpreso. Non ora che Adam era affondato così
tanto dentro di loro da avere paura
di non riuscire ad uscirne, non quando solo il pensiero di perderlo gli fa
venire la nausea.
Indifeso, dipendente
e solo;
solo John ha il potere di farlo sentire così.
Si
tira indietro i capelli con la mano e ricomincia a camminare verso il pub. Con
la coda dell’occhio vede John accelerare il passo per stargli dietro, ma lui
non accenna a rallentare ed entra dentro lasciando che la porta sbatta alle sue
spalle.
John
rilassa le spalle appena varca la soglia del locale.
Il
bar è piccolo ed illuminato da una pallida luce di un colore freddo in
contrasto con i tavoli di legno scuro. Dentro ci sono meno di dieci persone,
c’è una partita in televisione e quasi nessuno comunque lo nota entrare.
Jesse e Vin sono seduti ad un piccolo tavolino
in un angolo in fondo alla stanza, davanti a loro ci sono due boccali di birra
ormai vuoti e nel piatto dei salatini ormai non sono rimaste che briciole.
Vin
gli sorride appena lo nota e prende le ultime noccioline rimaste. –Che è
successo?- domanda con un’aria interrogativa, chiedendosi se gli ombrelli
avessero smesso di andare di moda.
John
lascia cadere il giaccone in una delle sedie accanto a loro ma rimane in piedi.
-Non è il momento.- taglia corto e sospira. –Dov’è
andato?-
-In
bagno… Ma che diavolo avete tutti e due?-
John
scuote la testa ma riesce comunque a notare il mezzo sorriso solcare le labbra
di Jesse. In pochi, minuti quella che poteva essere
una serata rilassante da passare con le persone che contavano di più, si era
trasformata in un vero disastro; e la cosa peggiore era che John non aveva idea
di come fosse successo, ne di come fare ad impedire che continuasse a
peggiorare. Cosa che, a quanti pare, stava accadendo. -Jess,
davvero, non adesso.-
Jesse alza le mani e prende un altro sorso
dalla propria birra. –Io non ho detto nulla.-
Apre
la porta del bagno con il gomito e Adam è in piedi
appoggiato ad uno dei lavandini, con l’acqua aperta che scorre davanti a lui.
-Lasciami
in pace.- gli dice tra i denti lanciando un occhiata
al suo riflesso nello specchio.
John
fa qualche passo in avanti, lasciando piccole macchie bagnate sul pavimento di
ceramica, e vorrebbe davvero sputargli in faccia quanto, per una volta,
desiderasse che le cose fossero facili, nonostante anche lui sappia che non lo
saranno mai. Perché loro da qualche
tempo sono o troppo o troppo poco; le cose non vanno mai abbastanza male da
fargli decidere di andarsene e abbandonare tutto, ma nemmeno abbastanza bene da
sembrare giuste.
Appena
si trova così vicino a lui da sentire il rumore del suo respiro, anche Adam si volta. Lo spinge contro il muro e John si graffia
le nocche delle mani contro l’intonaco vivo che si sta scrostando dalla parete;
ancora una volta sta seguendo il suo istinto e, ancora una volta, ha la
sensazione che non andrà bene. In un attimo la sue labbra sono di nuovo contro
quelle di John. Lui trema leggermente, intreccia le mani nei suoi capelli,
tirandolo ancora di più a se e serrando le palpebre.
Adam non gli lascia nemmeno il tempo di
respirare, gli stringe la stoffa della maglietta tra le dita e spera che ogni
parola che John voglia pronunciare venga inghiottita dalla sua bocca.
Un
respiro gli si spezza in gola quando John apre gli occhi e comincia a muovere
il bacino contro i suoi jeans bagnati.
Adam pensa che magari stanno sbagliando
davvero a continuare, che semplicemente non sono adatti a funzionare e che,
forse è proprio quello che a John piace di lui; vederlo in ginocchio davanti a
lui.
Ma
quando John cerca le sue labbra, in quel momento ogni genere di pensiero
sparisce dal suo cervello.
Non
può essere sbagliato se riesce a farti venire i brividi sulla pelle e farti
battere il cuore così forte nel petto.
Porta
la mano all’indietro e apre la porta di uno dei cubicoli alla cieca, spingendo
John dentro e chiudendo nuovamente la serratura. Dentro la luce è tenue e sul
muro ci sono decine e decine di scritte in pennarello; Adam
smette di guardarle quando John gli lascia qualche piccolo bacio agli angoli
delle labbra, sfiorandogli appena il collo con la punta delle dita.
Le
parole che John vorrebbe dire ad Adam si sono bloccate
nella sua gola insieme al suo respiro. E’ da un po’ che ha la sensazione che
ogni passo fatto per avvicinarsi è un passo di cui poi entrambi si sarebbero
pentiti e, ormai, avevano camminato così tanto da non ricordare nemmeno da dove
erano partiti.
E’
sempre stato così, continuava a rimandare per cercare di trovare parole
migliori da dire ma queste non arrivavano mai.
Abbassa
lo sguardo, aprendo la zip dei suoi jeans e scostando l’estatico dei boxer quel
tanto che bastava per infilarci dentro la mano. Adam
si morde un labbro e appoggia la fronte contro la sua spalla e John decide di
aspettare ancora perché forse con Adam ne vale la
pena. Prima o poi le parole giuste verranno da sole e, forse, saranno proprio
quelle che entrambi avrebbero voluto sentire.
Adam si morde le labbra, chiude gli occhi
e si domanda come una sega in un cesso di un bar di periferia possa essere
abbastanza per rimettere a posto le cose. Ma quello era John; abbastanza non
era mai davvero abbastanza e, allo
stesso tempo, abbastanza era tutto quello che sapeva di poter avere.
Lo
bacia di nuovo, stringendo la stoffa della sua camicia tra le sue dita e
dimenticandosi per qualche istante che le cose erano lontane anni luce da come
avrebbe desiderato che fossero.
Prima
di fare scattare la serratura, John sorride contro le sue labbra e gli fa un
piccolo sorriso. –Ti aspetto fuori.- mormora sulla sua bocca mentre cerca un
fazzoletto nelle proprie tasche un fazzoletto pulito e glielo porge.
Adam annuisce ma, prima che lui la apra,
lo tira di nuovo verso di se, baciandolo ancora. La sua bocca sa di sigarette,
paura e sulla sua lingua, John riesce a riconoscere la risposta alla domanda
che gli aveva attraversato la mente solo pochi istanti prima.
Lo
bacia ancora e poi un’altra volta, allontanandosi solo quando entrambi sono
senza fiato, e l’ultimo bacio che gli lascia sulle labbra ha tutto il sapore di
una di quelle promesse che John non è mai stato bravo a mantenere.
Note 2.0: Le cose vere in
questo capitolo sono che Adam è nato in Alabama e ha
vissuto in North Carolina da quando era piccolo fino ai diciotto/diciannove
anni, quando si è trasferito a New York per entrare a tempo pieno nei Taking Back Sunday e ha
cominciato a frequentare John, Eddie, Mark e Jesse. #gentebellatuttainsieme
Una
volta arrivato però, non aveva idea di dove andare a vivere, quindi John gli ha
proposto di dividere l’affitto del suo appartamento (che da quanto ho capito, è
poi diventato casa di tutti XD). In pratica, di giorno lavorava in quello che
mi pare fosse un ristorante per pagare l’affitto, mentre di sera/notte il
gruppo provava. Anche la storia di Adam che quando
gli girava pigliava la macchina e andava a vedere concerti in giro per gli States è vera. Tra l’altro, il numero 152, che è un po’ il
simbolo della band, è il numero della strada in cui lui e i suoi amici si
trovavano per poi andare all’avventura.