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Autore: Izumi V    25/01/2012    14 recensioni
Una mano la scosse delicatamente, destandola.
-Shinichi!- gridò svegliandosi, senza rendersene conto. Sonoko la fissava in un misto di malinconia e dolcezza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fic non è nata dal nulla, è importante.
Spero che lo diventi un po’ anche per voi.
Per questa volta mi sento di dirvi solo questo, Grazie a chi avrà la bontà di leggere!

 
 
 

Nel silenzio di quella stanza ti ho ritrovato

 
 
 
Con uno sbadiglio aprì gli occhi, ritrovandosi immediatamente la vista occupata dalla luce piena del mattino che filtrava coi suoi raggi sottili attraverso le persiane chiuse.
Si passò una mano tra i lunghi capelli disordinati e sorrise dolcemente.
Guardò il ragazzo al suo fianco, che ancora dormiva. Aveva la bocca leggermente aperta e un ciuffo ribelle che gli cadeva sul viso.
Quando dormiva era ancora più bello, se possibile.
Si mosse tra le lenzuola, per stringersi al suo corpo caldo, e chiuse nuovamente gli occhi. Sempre senza smettere di sorridere. Il fatto è che era troppo felice.
Ad un tratto percepì il tocco delicato della sua mano sulla schiena, sollevò gli occhi per osservarlo. Lui ricambiò lo sguardo con intensità.
-Buon giorno dormigliona!- mormorò divertito.
-Buon giorno, mio cavaliere- rispose lei, a tono.-Cosa vuoi per colazione?-
Lui la guardò un attimo, poi divenne triste. Quando parlò di nuovo, aveva la voce rotta:-Vorrei solo aprire gli occhi-
 
Trattenendo il respiro, Ran si svegliò davvero.
Di nuovo quel sogno. O meglio, per l’ennesima volta la ragazza riviveva nel sonno quell’attimo di felicità perduta, che immancabilmente si concludeva con una fine che in realtà non aveva avuto.
Ora era solo un incubo.
Puntandosi con le braccia al lettino sul quale aveva appoggiato ‘solo un secondo’ la testa, la notte prima, a fatica mantenne l’equilibrio sullo sgabellino e si stiracchiò. Aveva un gran mal di schiena, ma come avrebbe voluto che quello fosse stato il suo unico male.
Bip
2 secondi…
Bip
Altri 2 secondi…
Bip
Il macchinario ripeteva all’infinito quella litania che sapeva di morte e stasi.
Ran era stufa di sentirla, ma sapeva allo stesso tempo che il debole ‘Bip’ costituiva la sua unica speranza di poter riabbracciare un giorno il ragazzo che amava.
Si accorse dei raggi del sole che filtravano le lievi tendine bianche, era giorno.
Un altro giorno. Non credeva nemmeno di essere pronta, a un altro giorno.
Ricadde sfinita, fisicamente e psicologicamente, con le braccia e la testa sul lettino. Sfiorando appena quello che sapeva essere il suo braccio, con la flebo eternamente attaccata.
A quel doloroso contatto, percepì il calore emanato. E non poté fare altro che abbandonarsi al pianto.
 
-Ran…non vai a scuola oggi?-
La voce di Kogoro le giungeva fredda e distante, attraverso il cellulare. Ma poteva immaginarsi tutto l’affetto del padre in quelle poche parole tristi.
-Ti prego papà, non insistere- riuscì solo a dire. Le costò parecchia fatica.
-Come vuoi…però dico a Sonoko di venirti a trovare, così magari…- non sapeva bene neanche lui come finire la frase: dopotutto, cosa era davvero giusto dire?
-Va bene. Ciao papà, torno per cena-
-Certo. A stasera piccola mia-
Ran non era capace di dire se suo padre fosse così addolorato solamente per lei o anche per…lui. Preferì credere che fosse per entrambi.
 
-Teito Bank… vi prego…fate in fretta…è ferito…vi prego…-
-Signorina, si calmi. Ci dica cosa è successo-
-NO NON STO CALMA!-
E le lacrime di panico e di disperazione cominciano a sgorgare.
-HANNO SPARATO AD UN RAGAZZO, DOVETE FARE PRESTO…-
La paura si impossessa della tua mente, e ogni dettaglio si perde.
-…VI PREGO…-
Conta solo il suo sguardo vacuo che cerca il tuo, le sue mani che si aggrappano alle tue spalle e le sue labbra che sussurrano ‘Tranquilla, andrà tutto bene-
 
-Ran…Ran!-
Una mano la scosse delicatamente, destandola.
-Shinichi!- gridò svegliandosi, senza rendersene conto. Sonoko la fissava in un misto di malinconia e dolcezza. Avrebbe tanto voluto accollarsi almeno una piccola parte del suo dolore. Ma lei non amava Shinichi. E Shinichi non amava lei.
Semplicemente, Sonoko non era Ran.
-Ehi, ti ho portato i compiti di oggi-
-Oh, sì, grazie- balbettò di rimando la bruna, passandosi un paio di volte le mani sul viso. Era rimasta parecchio indietro nelle ultime settimane: certo, grazie alla sua buona testa e alla volontà dell’amica, era riuscita a non rovinarsi la media. Eppure non era più se stessa: senza di lui, non aveva più senso continuare a fare qualunque cosa.
-Ran, non vuoi che ti dia un po’ il cambio? Resto qui io, solo un pochino…- tentò di suggerirle Sonoko, sperando che acconsentisse. Illusa.
Ran le era totalmente grata, per ogni suo piccolo gesto. Ma ogni centimetro del suo corpo e della sua mente le ordinavano di non uscire da quella stanza, almeno fino al momento in cui aveva promesso a suo padre che sarebbe tornata a casa.
Per una notte almeno, Kogoro voleva che dormisse nel suo letto.
-Grazie, Sonoko. Ma io da qui non mi alzo. Voglio esserci se dovesse…-
Un groppo alla gola soffoca la frase lasciata in sospeso.
-Ran…-
Gli occhi desolati di Ran, settimane prima così luminosi, la imploravano con una richiesta muta. Così come Kogoro poche ore prima, anche Sonoko si sforzò di capire la sua scelta.
-D’accordo, allora…resto comunque qui, un po’ con te, ok?- affermò con dolcezza, prendendo a sua volta una sedia e rivolgendole un sorriso. Che almeno per un attimo, ebbe l’effetto di scaldarle il cuore. Ran riuscì a sorriderle di rimando, seppur in un modo tirato, triste.
-Grazie-
 
Due sere dopo era nuovamente lì. Ormai conosceva quel corridoio come le sue tasche, sapeva a memoria i numeri delle camere e i pazienti che ospitavano. Ne conosceva anche qualcuno, erano simpatici. Se glielo lasciavano fare, dava anche una mano alle infermiere. Ma non con lui. Con lui non era in grado di fare nulla.
Bip…
Bip…
La ragazza si prese la testa tra le mani, pregando con tutta se stessa che qualcosa cambiasse. Era notte fonda, ma non aveva affatto sonno. Anzi, aveva paura di addormentarsi.
Quando ad un tratto…
Per una frazione di secondo, era sicura.
Un dito si era mosso.
L’indice si era piegato, per poi tornare a posto.
-Infermiera! Infermiera!- Poté solo gridare, senza contegno. Il cuore le batteva a mille, non riusciva nemmeno a respirare, a ragionare. Come in trance, vide la ragazza correre verso di lei, entrare nella stanza e controllare il monitor e i valori segnati sullo schermo.
Poi si girò verso di lei, con un mezzo sorriso.
Ran ricambiava con impazienza. Allora? Si stava svegliando? Non si era accorta che, inconsciamente, stava sorridendo.
-Forse sei un po’ stanca, tesoro. Non vuoi tornare a casa a riposarti?-
In quel momento, la giovane karateka sentì l’irrefrenabile bisogno di tirarle un calcio. Sentì la rabbia e l’odio montare in lei, sebbene non fosse colpa di quella povera infermiera, ma solo della sua stupida ingenuità. O forse era semplicemente colpa della speranza.
Freddamente, le disse: -No, grazie- e tornò a sedersi. Fissando un punto indefinito avanti a sé.
Solo quando sentì i passi della donna allontanarsi, permise a una lacrima di cadere giù.
 
Con tutto quello che avevano passato. Con tutti i mesi, gli anni di distanza che li avevano separati.
Era bastato un delinquente qualunque per strapparglielo via di nuovo.
Forse è una punizione, cercava di spiegarsi lei, disperata. Forse Dio mi ha punito perché sono stata troppo egoista, perché ci ho messo troppo a perdonarlo…
Come faceva lui con un caso, anche lei ora cercava la soluzione alla sua domanda. Cercava e cercava, ma era sempre al punto di partenza.
Se solo fosse stato lì, le avrebbe risolto anche quel dubbio, ne era certa.
Perché Shinichi sa tutto, Shinichi è infallibile.
È lecito avere paura.
Perché Ran di paura ne aveva tanta, pregava e pregava per avere più coraggio. Chiedendo perdono per il suo egoismo, sperando in una concessione che forse non meritava.
 
-Ran, una rapina-
-Ho visto, Shinichi, ma non andare. Chiamiamo la polizia, ci penseranno loro!-
-Se non facciamo qualcosa in fretta, quelli se ne vanno con i soldi!-
-Ma…noi…-
-Per favore, Ran, tu chiama la polizia. Ci penso io a tenerli a bada per un po’-
-Perché? Perché devi sempre fare l’eroe?!-
-Perché se io sono qui adesso c’è un motivo. E questa è la cosa giusta da fare-
 
-Shinichi, tu non puoi morire! Non puoi, hai capito?!- dopo settimane di pianti e silenzi e sensi di colpa, stava finalmente esplodendo.
Da sola, in quella stanza di ospedale. In un momento casuale della giornata: era metà pomeriggio e il sole stava già tramontando.
Era sola, su uno scomodo sgabello, al fianco di quel letto ospite di un corpo inerme.
Sembrava dormisse, nulla più.
Come quel mattino che si erano svegliati l’uno di fianco all’altra.
Come quella notte che si erano amati per la prima volta.
Ran lo guardò, e ricominciò a sfogarsi: -Mi hai mentito per mesi, per anni! E poi sei tornato, pregandomi di perdonarti. Io l’ho fatto! Ci ho messo un po’, è vero, ma l’ho fatto! Ci siamo promessi amore eterno, capisci?! Ma no, non è finita! Perché tu ti sei fatto sparare addosso da un delinquente qualsiasi, a causa delle tue maledette manie di eroismo! Dovevi proprio impedire quella rapina? Non potevi tirar dritto?! Accidenti a te, stupido Shinichi, se ti azzardi a lasciarmi sola, giuro che ti vengo a riprendere, dovunque tu vada! Non ti lascio scappare ancora…-
Si sentiva un’idiota. Stava parlando a uno che nemmeno la sentiva.
Si lasciò andare a un sospiro, chiudendo gli occhi e poggiando il viso tra le mani chiuse a coppa, che presto si fecero umide e salate.
Bip…

 
Bip…
Bi-Bip…
Bip
 
Bi-Bip’!?
Ran sollevò la testa, osservando pietrificata il monitor.

Credeva che non sarebbe sopravvissuta. Cominciò ad annaspare come in cerca di aria.
Chiamò l’infermiera. La chiamò forte.
E si allontanò di corsa al suo arrivo, come scottata dal metallo del lettino.
Si spiaccicò contro al muro, terrorizzata, osservando ogni sua mossa, assistendo immobile all’entrata del medico, che presto cominciò a darsi da fare spostando tubi e cavetti.
Fino a che non fu staccato anche il respiratore e gli occhi di Shinichi Kudo non si riaprirono di scatto sulla stanza, saettando in ogni direzione, confusi e stanchi.
-Bentornato ragazzo!- mormorò il medico, sollevato e sinceramente felice.
-Io…- cominciò lui. Ma fu interrotto da un tonfo sordo. Ran era svenuta.
 
L’ho solo…sognato?
Sì, probabilmente era un sogno…
Ma certo, ora apro gli occhi e Shinichi sta ancora dormendo.
 
-Buongiorno, dormigliona!- ridacchiò il ragazzo.
Uno schiaffo lo centrò in pieno volto.
-Brutto…IDIOTA!- urlò Ran, tremante. Poi, come lui da copione si attendeva, lei scoppiò in lacrime e lo abbracciò fino a strangolarlo.
-Ehi ehi…quante storie…stavo solo riposando gli occhi!-
Un’altra delle sue stupide battute. Ma l’aveva sussurrata al suo orecchio, solo per lei, mentre ricambiava l’abbraccio accarezzandole i capelli. Era per lei, era dolce in realtà.
Ran tirò su col naso.
-Sì certo…riposavi gli occhi…- ripeté, staccandosi e soffiandosi il naso.
Era tutta rossa in viso, per l’emozione. Gli occhi ancora lucidi brillavano. Un sorriso timido, il suo sorriso, fece capolino tra le labbra rosee.
Shinichi la trovava semplicemente bellissima.
-Promettimi…promettimi che non lo farai più-. Era seria.
–Sai che non posso farlo- replicò con un sorrisetto. –Ma posso giurarti che starò più attento e sarò più preparato, la prossima volta!- e mise una mano sul petto, proprio dove il proiettile aveva sfiorato il suo organo vitale più importante.
E Ran rise, rise di cuore. Perché se lui le avesse risposto ‘Va bene, prometto’ non sarebbe stato Shinichi.
E il loro amore non sarebbe stato così grande.




  
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