Disclaimers: i personaggi non sono miei
ma del mitico Takehiko Inoue, eccetto qualche piccola eccezione come Katia Natti.
Note: la vicenda si svolge
durante il primo anno di liceo. Buona lettura!!!
AMORE NELL’ARIA
1° CAPITOLO
Una ragazza vagava per il cortile dell’istituto Shohoku.
Attirava involontariamente l’attenzione su di sé. Un po’
perché era l’unica che non indossava l’uniforme della scuola, un po’ perché dai
tratti somatici si capiva che non era giapponese.
Stava cercando di memorizzare l’ambiente perché dal giorno
successivo quella sarebbe stata la sua scuola. Mentre
camminava notò che c’era una folla davanti alla palestra del club di basket.
Incuriosita si avvicinò e notò che all’interno si stava
svolgendo una partita d’allenamento della squadra maschile. Stette ad osservare
per un po’.
Cavoli, quanto le mancava quello
sport. Decise
che non ci avrebbe rinunciato. In fondo era stato parte della sua vita fin da quando aveva 10 anni. Una parte fondamentale della sua
vita.
La folla intorno all’entrata era composta in pratica da
sole ragazze che sembravano quasi indemoniate mentre
facevano il tifo. Ma si accorse anche di quei quattro
ragazzi che erano un po’ meno esagitati e decise di provare a chiedere a loro
ciò che voleva sapere.
“Scusate…”
Nessuno dei quattro si mosse.
“Scusa…” riprovò toccando la spalla di uno di loro.
Il moretto si girò e la guardò, poi sorrise e chiese: “Sì?”
“Scusa, sai dove posso trovare la squadra di basket
femminile?”
“Veramente in questo istituto non
c’è la squadra femminile.”
“Davvero? Che sfortuna!”
“Volevi giocare?”
“Sì. Avevo intenzione di non smettere con il basket, ma a quanto pare…” disse più a se stessa che al ragazzo. Poi notando che all’interno della palestra c’era anche una ragazza chiese
chi fosse.
“E’ la manager della squadra. Si chiama Ayako.” Le rispose una ragazza con i lunghi capelli castani che
aveva seguito la conversazione.
“La manager hai detto… Tu la conosci?” le chiese.
“Sì. Perché?”
“Ti dispiace presentarmela?” poi pensando che in fondo lei
non si era ancora presentata aggiunse: “A proposito io mi chiamo Katia Natti. Piacere.”
“Io sono Haruko Akagi. Piacere mio. E loro sono Mito, Okusu,
Noma e Takamiya.” I ragazzi
fecero un cenno quando Haruko
pronunciò i loro nomi.
Intanto i ragazzi del club di basket stavano facendo una
pausa tra il primo e il secondo tempo e Haruko
notandolo disse a Katia: “Se vuoi te la presento
adesso.”
Katia le fece cenno di sì. Haruko
allora chiamò Ayako e gliela presentò. Dopodiché
Katia le chiese ciò che le stava frullando in testa: “Mi piacerebbe diventare
una manager del club di basket.”
“Dovrei parlarne anche con l’allenatore. Puoi aspettare un
attimo?”
“Certo.”
Ayako si allontanò e andò a parlare
con un uomo piuttosto enorme con i capelli e i baffi bianchi, Haruko le spiegò che quello era l’allenatore Anzai.
Poco dopo Ayako e l’allenatore si
avvicinarono a Katia.
“Oh oh oh. E così vuoi fare la manager della squadra?”
“Sì, signore.”
“Posso chiederti come mai?”
“Mi sono appena trasferita qui. In effetti, comincio domani
la scuola, ma ho appena saputo che non c’è una squadra di basket femminile. Non
volevo abbandonare totalmente questo sport così ho pensato che sarei potuta
diventare una manager del club maschile.”
“Ayako tu cosa ne pensi?”
“Be, due braccia in più non
potrebbero che essere gradite.”
“Oh oh oh. In questo caso benvenuta tra noi…”
“Katia, Katia Natti.”
“Benvenuta Katia Natti.” Disse
l’allenatore. Poi disse ad Ayako di presentarla alla
squadra.
“Vieni.” La invitò ad entrare. Poi attirò l’attenzione
della squadra. Quando fu certa che tutti la stessero
ascoltando disse: “Ragazzi, questa ragazza da domani sarà anche lei una manager
della squadra. Forza presentati.” La incoraggiò.
Fece un profondo respiro per calmarsi. In effetti, non le
piaceva troppo presentarsi di fronte a così tante persone che la guardavano
curiose. Poi iniziò: “Mi chiamo Katia Natti. Mi sono
appena trasferita qui in Giappone dall’Italia e non conosco ancora quasi
nessuno, spero di poter diventare vostra amica, visto che abbiamo la stessa
passione, cioè il basket.”
Un ragazzo alto e massiccio disse:
“Io sono il capitano, Akagi. Ti do il benvenuto nella
nostra squadra. Il piccoletto con il pettorale n. 15 si chiama Miyagi…”
“Ehi! Piccoletto a chi?”
“A te. Sei il più nano tra noi!”
“Ah ah ah. Micchy
ha ragione.”
“Rosso-scimmia tu fatti i fatti
tuoi.”
“Rosso-scimmia a chi nano?”
“Do’aho.”
“Baka kitsune!
Nessuno ti ha interpellato!”
“Smettetela branco di deficienti!” Urlò il capitano
appioppando ad ognuno un bel pugno in testa.
“Ma fanno sempre così?” chiese la
nuova arrivata ad Ayako
“No, non ti preoccupare…”
“Fiu… Meno male…” Katia tirò un sospiro di sollievo.
“Alle volte fanno anche peggio!” aggiunse Ayako
“Ah.” Fu l’unico commento di Katia.
“Dunque – riprese il capitano – stavo
dicendo, lui è Miyagi Ryota
2° anno; Micchy è Mitsui Hisashi 3° anno; il
rosso-scimmia è Sakuragi Hanamichi 1° anno e la kitsune
è Rukawa Kaede.”
Mentre il capitano le presentava la
squadra Katia cercò di memorizzare i loro nomi.
In seguito il capitano fece riprendere la partita. Mentre loro giocavano Ayako le
aveva spiegato quali sarebbero stati i suoi compiti, e chiacchierando fecero
amicizia. Katia assistette all’intero allenamento.
Dopodiché quando questo finì, salutò tutti e tornò a casa
sua. La sua casa era un bilocale più servizi. La prima stanza era costituita da
un piccolo soggiorno con angolo cottura. Era arredata con un piccolo mobile con
sopra la televisione sulla parete sinistra rispetto all’entrata, un divanetto
sulla parete di fronte all’entrata di fianco alla porta che conduceva
nell’altra stanza e un piccolo tavolo al centro con 1 sedia ad ognuno dei 4
lati, delle credenze sopra il lavandino e un piccolo frigorifero.
Nell’altra stanza c’era un letto occidentale, una
scrivania, un armadio per i vestiti e la porta che conduceva al bagno. In
entrambe le stanze c’erano ancora dei pacchi da sballare dopo il trasloco.
Andò verso il bagno e incrociò la sua gatta che stava
uscendo dopo aver fatto i suoi bisogni (non è che
sappia fare i bisogni nel wc, è che la lettiera è in
bagno).
Anche qui c’era lo stretto necessario
oltre ai servizi, ovvero un semplice mobiletto per gli asciugamani e la
lettiera per la gatta.
Si fece una rapida doccia, poi tornò in camera e si mise
sopra la biancheria una maglietta a mezze maniche. Era giugno e faceva
abbastanza caldo. Si accovacciò vicino alla pigna di pacchi del salotto e
prendendone uno a caso lo aprì. Conteneva alcuni soprammobili. Glieli aveva
dati sua madre dicendole che sarebbero serviti a farla
sentire un po’ più a casa. Ne posizionò un paio ai
lati del televisore in salotto. Si trattava di una coppia di cavalli in vetro
soffiato che avevano comperato durante una gita di
famiglia a Venezia. Il cestino della frutta di ceramica lo mise sopra il
frigorifero in cucina. Altri piccoli soprammobili li mise
sulla sua scrivania e infine un portaoggetti a forma di cigno lo mise come
centrotavola sul tavolo in salotto.
La sua gatta intanto si era accovacciata sul letto. ‘Piccola anche tu sei frastornata dai cambiamenti.’ La
raggiunse e mentre la accarezzava si addormentò.
Il sole filtrava dalla finestra, senza tende che l’ostacolasse. “Mi sono dimenticata di abbassare la
tapparella. Accidenti.”
Guardò l’ora. Erano le 6. Decise di alzarsi. Sapeva che se
si fosse riaddormentata non avrebbe avuto più voglia di alzarsi. Dopo mezz’ora
stava salutando la gatta e uscì di casa.
Erano le 7 meno dieci quando
arrivò a scuola. Calcolò di avere ancora del tempo, gli
allenamenti della squadra iniziavano alle 7 e mezza. Si diresse comunque verso la palestra. Pensava che fosse chiusa, ma
avvicinandosi avvertì distintamente il rumore di un pallone che rimbalzava.
La porta era socchiusa. La aprì un po’ di più e vide che
uno dei ragazzi che le erano stati presentati il giorno prima si stava
allenando da solo. Entrò.
Lui sembrò notare subito un’altra presenza perché si girò.
“Buongiorno.” Disse Katia.
“ ‘giorno.”
“Sei un tipo mattiniero, vedo.”
Silenzio.
‘Davvero un grande chiacchierone questo…
Ehi ma come cavolo si chiama?’
“Scusa com’è il tuo nome? Non mi viene in mente.”
Lui la osservò a lungo senza rispondere tanto che lei pensò
che non lo avrebbe fatto o che si fosse offeso per la dimenticanza. Poi quando
lei stava per rifargli la domanda lui rispose: “Mi
chiamo Rukawa Kaede.” E
senza aggiungere altro ricominciò ad allenarsi.
Katia lo osservava attentamente. ‘E’
un ottimo giocatore non c’è che dire. Mi fa venire una voglia
di giocare… Io glielo chiedo, al massimo mi dice di no.’
“Senti ti va di fare un po’ di uno
contro uno?”
La osservò ancora.
“Sai giocare a basket?” Era una semplice domanda. Non c’era
derisione nel suo tono.
“Dalle mie parti dicevano che non me la cavavo male.”
“Arriviamo a venti, palla a te.”
Iniziarono e Rukawa dovette ammettere che era proprio brava ed era alta per una ragazza. Rukawa
calcolò che doveva essere circa 170 cm. Nonostante fosse impacciata dalla gonna nei movimenti, nel
giro di pochi minuti il punteggio era di 6 pari. Aveva fatto delle finte molto
ben riuscite e l’aveva fregato 3 volte. Lui che odiava farsi fregare. Nel frattempo arrivarono gli
altri giocatori che non appena li videro non si sognarono nemmeno di
interromperli. Era difficile trovare qualcuno che tenesse
testa a Rukawa. Eppure quella ragazzina lo stava
facendo. La situazione non si sbloccava, come 1 faceva canestro subito l’altro
glielo restituiva.
Erano ormai 18 a 16 per Rukawa quando
con una finta lui si riuscì a smarcare. Caricò il lancio ma
Katia lo bloccò facendo la stessa mossa dello schiacciamosche
del capitano Akagi. Entrò quindi in possesso di
palla, e fece canestro: 18 pari. Rukawa ora in possesso di palla dopo una finta
stava per fare un tiro dei poveri come lo chiamava Sakuragi, ovvero un tiro in
corsa. Ma mentre stava per infilare la palla nel canestro Katia con
un’elevazione incredibile riuscì a saltare talmente in
alto da sfiorare la palla quel tanto che bastava a non farla entrare nel
canestro. Rukawa toccò terra per primo subito seguito da Katia che però mise un piede male e perse l’equilibrio. Sarebbe
caduta a terra se due braccia forti non l’avessero afferrata per la vita. Solo che così si ritrovò abbracciata a Rukawa. Il contatto
durò una frazione di secondo, ma bastò perché il suo cuore saltasse un battito.
Rukawa andò a prendere la palla e gliela porse. “Sta a te.”
Purtroppo Rukawa riuscì a rubarle la palla e a segnare il
canestro che decretò la sua vittoria e la fine dello scontro.
“Complimenti! E grazie per la bella partita.” Disse Katia.
“Grazie a te.”
Gli altri esplosero in complimenti e i due si spaventarono.
Non si erano accorti dell’arrivo degli altri.
Gli allenamenti mattutini finirono. Mentre
gli altri si cambiavano Ayako chiese a Katia in che
classe fosse.
“1ª L”
“Sai già dov’è?”
“Veramente no. Anzi, se potessi
aiutarmi…”
“La mia classe è dalla parte opposta. Però…”
Ayako vide Rukawa che stava uscendo e lo chiamò.
“Rukawa tu sei nella prima L vero?”
Lui fece cenno di sì con la testa.
“Perfetto, allora accompagna Katia in classe. Anche lei è
in prima L.”
“Andiamo.” E senza aspettare
risposta si avviò. Katia salutò Ayako e lo raggiunse.
Mentre andavano in classe Katia gli
chiese che materie avessero quel giorno.
“Boh.”
Lei lo guardò interdetta. “Non sai le lezioni che hai?”
“Di solito mi addormento ancora prima che arrivino al mio
nome durante l’appello. Dopo non ho idea di cosa ci sia.”
“Stai scherzando? No perché può essere che non capisca
l’umorismo di queste parti.”
“Non sto scherzando. Questa è la nostra classe.”
Come entrarono le ragazze smisero di
fare ciò che stavano facendo e con i loro gridolini
isterici diedero il buongiorno a Rukawa. Lui nemmeno rispose. Si sedette al suo
banco mise la cartella a terra e poggiò la testa sul banco.
“A quanto pare non scherzavi.”
Rukawa alzò leggermente la testa e disse: “L’avevo detto
che non scherzavo.”
In quel momento arrivò l’insegnate
e tutti si sedettero al loro posto. Tutti tranne Katia.
L’insegnante la notò e le chiese se fosse la nuova
studentessa. Appurato che era lei le disse di avvicinarsi alla cattedra e di
presentarsi davanti ai compagni.
“Mi chiamo Katia Natti. Mi sono
appena trasferita qui in Giappone dall’Italia e non conosco ancora quasi
nessuno, spero di poter diventare vostra amica.”
“Qui in classe conosci già qualcuno?” le chiese
l’insegnante.
“Sì, conosco Rukawa Kaede.”
In sottofondo si sentirono bisbigli soprattutto femminili e
Katia notò parecchi sguardi assassini.
“Vi conoscevate già?”
“Ci siamo conosciuti quando sono
andata ad iscrivermi come manager del club di basket.”
“Capisco. Vediamo dove puoi metterti.” Si guardò intorno, l’unico banco vuoto era di fianco a Rukawa.
“Be, siediti vicino a
Rukawa.”
Katia si sedette e mentre stava prendendo un quaderno e
l’astuccio sentì Rukawa che, continuando a tenere la testa tra le braccia,
diceva: “Non hai molta fantasia per i discorsi.”
“Il fatto è che li ho sempre odiati.” Rispose sorridendo.
“Aprite il libro di storia a pag. 45.”
Stava dicendo intanto il professore.
“Proprio storia uffa!” sbuffò
Katia sottovoce.
“Non ti piace?” Le chiese Rukawa, sempre stando nella
stessa posizione.
“No, è che non ho il libro. Mi arriva tra
tre giorni.”
Senza dire una parola Rukawa alzò la testa, avvicinò il suo
banco a quello di Katia e tirato fuori il suo libro di storia lo posizionò tra di loro per poi rimettere la testa sulle
braccia.
“Che fate voi due là dietro?” Lo
spostamento di Rukawa non era passato inosservato a nessuno.
“Scusi, è che non mi è ancora arrivato il libro e Rukawa si
è offerto di farmi seguire la lezione sul suo.”
“Cerca di non distrarti però.”
“Sì, signore.”
Il professore riprese a spiegare, era un argomento che
aveva già affrontato nella sua scuola in Italia e quindi si rilassò.
Contrariamente a quanto aveva detto a Rukawa, storia non le era mai piaciuta. Cercando
di capire se Rukawa era ancora sveglio provò a parlargli.
“Mica avevi detto di non sapere
cosa ci fosse oggi?”
“Infatti, ma mi porto dietro sempre tutti i libri.”
Katia sorrise, era sveglio. “Ah. A quanto pare il
professore ormai ha perso la speranza che tu segua le lezioni.”
“Da cosa lo deduci?”
“Dal fatto che ha detto «cerca
di non distrarti» e non cercate di
non distrarvi. Ha parlato al singolare.”
“Ammetto di non essere mai stato particolarmente attento
alle sue lezioni. O a quelle di chiunque altro.”
“Sei mai riuscito a stare sveglio
per una lezione intera?”
“No, ma se continui a chiacchierare
questa sarà la prima.”
“Scusa, non volevo scocciarti. Buonanotte.” Non lo avrebbe
mai ammesso, ma c’era rimasta un po’ male.
“Non era un modo per dirti di stare zitta. Era un modo per
dire che forse chiacchierare sarebbe più divertente di
sentire parlare il prof.”
Katia sorrise ancora di più e arrossì lievemente.
Senza farsi notare continuarono a chiacchierare.
La loro chiacchierata, comunque,
non sfuggì alle fan di Rukawa.
Le lezioni continuarono tranquille fino alla pausa pranzo. Quando la campanella suonò Rukawa alzò la testa dal banco e
si alzò.
“Quanta fretta.”
“Non voglio correre rischi.”
“Che rischi? A proposito, mi sai
dire dov’è la mensa?”
La osservò qualche secondo poi le disse: “Vieni ti ci
accompagno.”
Lei si alzò e lo seguì. In corridoio gli
chiese a che rischi si riferisse.
“Ogni volta che arriva la pausa pranzo, se mi intrattengo in classe, qualcuna di quelle ragazze viene a
rompere e quindi cerco di non darne loro il tempo.”
“Capito, ma non lo stai facendo anche ora?”
“Cosa?”
“Intrattenerti con un ragazza!”
“E’ diverso.” Nel frattempo erano arrivati in mensa. “Vuoi
mangiare qui e fare un pasto completo, o ti va un panino da mangiare in
terrazza?”
Ci pensò un po’ e poi sorridendogli rispose: “Un panino in
terrazza.”
Si misero d’accordo sul tipo di panino e mentre Rukawa
andava a prendere da mangiare per entrambi, Katia andò a salutare Ayako che aveva visto seduta lì vicino.
“Ehi, come è andata la mattinata?”
“Direi bene.”
“Vuoi sederti qui?”
“No, grazie. Sono venuta a farti un saluto. Vado a mangiare
in terrazza.”
“Hai bisogno di un po’ di tranquillità dopo lo stress da
novità?”
“Qualcosa del genere.”
Nel frattempo era arrivato Rukawa che le porse
il panino. Lei lo ringraziò mentre lui salutava Ayako. Poi si rivolse a Katia e chiese: “Andiamo?” e lei
gli fece cenno di sì con la testa.
“Dove dovete andare?”
“In terrazza.”
“Buon divertimento.” Disse maliziosamente Ayako.
Katia le fece una smorfia e seguì Rukawa.
Avevano appena finito di mangiare quando
Katia chiese a Rukawa cosa avesse voluto dire prima.
“Quando?”
“Quando hai detto che intrattenerti con me era diverso dal
farlo con le altre ragazze.”
“E’ diverso perché ti interessi
del basket.”
“E loro no?”
“A loro interessa solo il fatto che sono conosciuto e ho un
bell’aspetto.”
“Se tu sei conosciuto non lo so ma
sul tuo bell’aspetto non c’è dubbio.”
Lui la guardò un attimo poi distolse lo sguardo, sembrava
quasi imbarazzato (non ditemi il ghiacciolo che si imbarazza!!!
NdSakuragi).
“O.K. niente commenti sull’aspetto fisico.” Disse quasi
ridendo Katia. Poi per cambiare discorso gli chiese
quando avesse imparato a giocare a basket e non smisero di parlare finché non
fu ora di tornare in classe.
Durante l’allenamento pomeridiano Ayako
chiese a Katia come andassero le cose con Rukawa.
“E’ un ragazzo molto simpatico.”
“Il ghiacciolo?”
“Che intendi?”
“Non puoi saperlo essendo appena arrivata, ma alcuni lo chiamano
così in quanto non mostra mai le sue emozioni, non
cambia mai espressione qualunque cosa succeda, non dice mai più di cinque o sei
parole consecutivamente e sembra sempre distaccato.”
“Davvero?”
“Sì. A proposito, anche se in effetti
non c’entra nulla, ti sei già sistemata dopo il trasloco?”
“Veramente ho ancora per casa un casino di pacchi. E altri ancora sono in cantina. Se
vado avanti così finirò di sballare tutto l’anno prossimo. Dovrebbero spuntarmi
altre 4 braccia per ridurre i tempi.” Disse
scherzando.
Gli allenamenti finirono tranquillamente e ognuno tornò a
casa propria.
Il giorno dopo Katia si svegliò presto nonostante fosse
domenica e non vi fosse scuola. Doveva però finire di sistemare casa.
Erano le 10 quando suonarono alla
porta. Katia andò ad aprire e si trovò davanti Ayako,
Haruko, che aveva scoperto essere la sorella del
capitano e con cui aveva fatto amicizia, e alcuni ragazzi della squadra,
precisamente Akagi, Kogure,
Mitsui, Sakuragi, Miyagi e Rukawa.
“E voi che ci fate qui?” chiese sorpresa.
“Ieri hai detto che ti serviva aiuto e quindi eccoci qui.”
“Non ricordo di aver detto proprio così.”
“Ti disturbiamo? Abbiamo fatto male a venire?” chiese Haruko preoccupata di disturbare.
Katia li guardò e poi sorrise. “No, anzi mi fa piacere.
Entrate e non badate al disordine.”
I ragazzi entrarono. La gatta di Katia notando l’arrivo
degli ospiti si avvicinò al divano e rimase lì ad osservarli. La prima a
notarla fu Haruko. “Ehi che bel gatto!”
“E’ una femmina, si chiama
Briciola.” Dicendo questo la prese in braccio per mostrarla meglio agli amici.
Le ragazze si avvicinarono e cercarono di accarezzarla, ma
Katia le avvertì dicendo che graffiava chi non conosceva. Troppo tardi Haruko aveva avvicinato la mano e
Briciola aveva allungato la zampa. Fortunatamente la prese di striscio. La
lasciò scendere a terra e la vide andare in camera.
Dopo questa presentazione Katia fece gli onori di casa
offrendo da bere e poi si misero a lavorare.
Iniziarono a sballare i pacchi della sala. In poco tempo tutti i pacchi erano stati svuotati e il
contenuto messo a posto. Passarono così a sistemare quelli in camera.
Sakuragi aprì un pacco e rimase sorpreso. Contenevano
almeno una decina di trofei.
“Li hai vinti tutti tu?”
Katia che intanto stava ridendo per una battuta di Miyagi si sporse per vedere a cosa
si riferisse e la sua risata si bloccò. Sul suo volto si dipinse un’espressione
un po’ triste.
“In un'altra vita.” Rispose a Sakuragi.
Poi gli disse di sistemarli dentro l’antina
del mobiletto sotto la televisione.
“Non vuoi tenerli in mostra?”
“No.” Fu la sua risposta lapidaria. Poi accortasi del clima
teso che si era creato tornò a sorridere e a scherzare, così anche gli altri si
ripresero. Si era intanto fatto mezzogiorno e tutti avevano abbastanza fame.
Katia pensò di non avere abbastanza cibo per tutti così
decise di andare a comperare qualcosa da mangiare al market lì vicino.
Rukawa si offrì di accompagnarla.
Mentre erano in strada Rukawa le
chiese: “Come mai il tuo umore è cambiato quando hai visto i trofei?”
Katia tornò ancora triste. In realtà la tristezza non se ne era andata mai, aveva solo cercato di nasconderla.
“Sono successe tante cose da allora che mi sembra sia
passata una vita.”
Rukawa la incoraggiò a continuare.
“Fino all’anno scorso praticavo
tre sport, il basket che è sempre stata la mia passione, la pallavolo e la
ginnastica artistica. Gli ultimi due più a livello amatoriale che agonistico.
Nella mia scuola ero piuttosto famosa e la cosa non mi dispiaceva. Ero ammirata
e invidiata da molte perone. Il che
faceva piacere al mio orgoglio. Ero molto superficiale allora. Fu il
periodo migliore della mia vita, ma allo stesso tempo il peggiore. Le tre
squadre, basket, pallavolo e ginnastica, mi contendevano ma
a me interessava solo divertirmi perciò quando mi chiedevano di aiutarli in una
gara io accettavo sempre con entusiasmo. Questa situazione andò avanti alcuni
mesi. Poi iniziai a non reggere più il ritmo. Inoltre si mise in mezzo una
banda di teppisti. Io ero molto amica del capo di una banda loro avversaria.
Per cercare di colpire lui presero di mira me. Dapprima con semplici messaggi
lasciati sul mio banco o in mezzo alla mia roba. Non
ci badai. Non era la prima volta che qualcuno mi mostrava il suo disprezzo o mi
minacciava. Poi le cose cambiarono. Iniziarono a farmi appostamenti sotto casa,
all’uscita da scuola. Qualche volta me li trovavo davanti anche quando uscivo
da un negozio. Iniziai a spaventarmi sul serio. Così allentai poco a poco la
mia partecipazione alle gare. Ma a loro non bastava.
Una sera un mio amico mi stava accompagnando a casa dopo che, con i compagni di
classe, eravamo andati a mangiare una pizza. Me li trovai davanti. Il mio amico
sapeva di tutta la storia e cercò di convincerli a lasciarmi in pace. Lo picchiarono.
Mentre due di loro mi tenevano immobile. Lo ridussero
una poltiglia di sangue. Quando ormai non rimaneva più niente da picchiare mi hanno dato un pugno in pieno stomaco e sono
svenuta. Quando mi sono ripresa ero sdraiata in un letto di ospedale.
Il pugno in pieno stomaco era l’unico dei tanti ricevuti che avevo sentito.” Rimase in silenzio a testa bassa.
Rukawa però voleva sapere un'altra cosa. “Ti hanno…” non
riusciva a pronunciarlo.
“Violentata? No, non hanno fatto in tempo. A quanto pare qualcuno aveva notato cosa stava succedendo e
aveva chiamato la polizia. Scapparono prima di poter fare altro. Mentre ero in ospedale dissi ai miei che non volevo più
tornare a scuola. Loro capirono. In realtà il mio problema era che non avrei più voluto uscire nemmeno di casa per la paura che
finissero ciò che avevano iniziato. Quando mi dimisero
i miei mi dissero di aver parlato con la scuola e avevo due possibilità: potevo
semplicemente ritirarmi o potevo trasferirmi in Giappone per una sorta di
gemellaggio tra scuole. Decisi per il Giappone. Sognavo da sempre di venire qui. I miei avevano capito che non volevo rinunciare alla
scuola.”
Si voltò a guardarlo e gli vide sul viso un’espressione
dura. Notò anche come stringesse i pugni. Senza
pensarci gli prese una mano tra le sue. Lui guardò prima la mano e poi la fissò
negli occhi.
“Non posso cambiare il passato. Ma
sono grata per il fatto di avere la possibilità di avere una vita nuova. Non
dire a nessuno di questa storia, per favore.”
“Non lo farò. ”
Gli sorrise per ringraziarlo. Aveva un
sorriso talmente dolce… ‘Nessuno deve oscurare il suo
sorriso. Mi impegnerò al massimo perché non succeda.
Voglio che lei sia sempre allegra e che mi sorrida sempre così’
pensò Rukawa.
Erano arrivati al market intanto e lei gli lasciò la mano. Lui sentì come una sensazione di perdita.
“Era ora. Stavamo morendo di fame.” Li accolse Mitsui quando tornarono.
Pranzarono ridendo e scherzando poi dopo aver riordinato le
stoviglie ripresero a sballare i pacchi. Era quasi ora di cena
quando i ragazzi si accorsero di aver sistemato tutto. Un po’ alla volta
ognuno tornò a casa propria. L’ultimo rimasto fu Rukawa. Si stavano salutando quando lei gli disse sorridendo: “Grazie per oggi.
E non mi riferisco solo ai pacchi.”
“Di niente. Ci vediamo domani a scuola.” Poi si abbassò a
salutare Briciola che era lì vicino a loro e la accarezzò. Lei lo lasciò fare.
Poi, mentre lui si rialzava, trotterellò fino in camera e saltò sul letto.
“A domani.” Gli rispose lei prima di chiudere la porta.
Andò in camera e si sdraiò vicino a
Briciola e le disse: “E tu da quand’è che ti fai accarezzare dagli estranei?”
Poi dopo un attimo di pausa riprese. “Piace anche a te vero?”
La gatta come in risposta disse: “Meow.”
Katia rise. In quella giornata aveva capito di essersi
presa una cotta per Rukawa. Poco importava se si conoscevano
da un paio di giorni.
‘Sarà dura, ma ce la farò. Lo
conquisterò.’
Poco lontano Rukawa stava facendo pensieri molto simili.
‘Ne ha passate di brutte. Ma d’ora in poi la proteggerò. Non mi ero mai sentito
attratto così da nessuno. Devo conquistarla.’
FINE 1° CAPITOLO