n.d.D. La storia è leggermente spoiler, nel
senso che alcune situazioni e alcuni avvenimenti fanno riferimento agli ultimi
capitoli del manga.
Il titolo della storia invece
viene dalla canzone dei Train, che a me piace e il cui ritornello mi ha fatto
pensare a questa coppia.
To Be Loved
Non ricordavano bene come
erano andate le cose,in fondo: si erano allontanati dal gruppo, lasciando
Ultear e Melody con gli altri maghi di Fairy Tail.
E fin qui erano d’accordo.
Avevano trovato un posticino
isolato sulla spiaggia per parlare un po’, lontano da tutti e tutto. Avevano
discusso, litigato anche, perché lui era un debole e lo sapevano tutti e due.
Gerrard sentiva ancora
vagamente il sapore del metallo sulla sua guancia, dove Erza lo aveva colpito,
in un maldestro tentativo di aprire i suoi occhi, ma da li in poi, tutto era
quasi avvolto nella nebbia: ricordavano solo il tramonto ed un bacio, e
d’improvviso tutto era giusto.
Sette anni persi nel vuoto
per lei, ovvero una fetta degli anni più belli della propria vita rimandati da
vivere in un mondo più vecchio; sette anni di dolore incessante per lui,
punizioni e rimorsi lenti e inesorabili come la famosa goccia d’acqua, che con
il tempo scavava la roccia.
Sette anni che per un solo,
indescrivibile attimo, ora acquistavano un senso tutto nuovo, con la sensazione
che finalmente le rotelle di quel pazzo mondo fossero tornate al loro posto.
Nessuna delle sue armature
volanti poteva farla salire più in alto; nessuna magia poteva cancellare per un
istante il peso delle sue colpe.
Finalmente era successo
quello che doveva succedere, su una spiaggia al tramonto, come succede solo
nelle migliori storie.
Ma un istante è incredibilmente
lungo e breve.
Improvvisamente, come l’onda
che si ritrae per colpirti con più violenza di prima, il mago sentì il rimorso
farsi di nuovo strada con prepotenza.
Confuso, Gerrard allontanò da
se la giovane maga: quello che stava succedendo non doveva succedere,
assolutamente! Lui… lui non era adatto a stare con una come lei.
Aveva fatto troppi sbagli
nella sua breve vita: aveva ingannato, ucciso, torturato. La aveva quasi
condotta alla morte per realizzare quello che ora riconosceva come un delirio.
Aveva bisogno di espiare la
sua pena.
Le labbra si aprirono quasi
da sole, mentre sembravano muoversi di propria iniziativa alla ricerca di
parole che non ne volevano sapere di arrivare alla bocca…
“Non ci provare”.
La voce di Erza lo aveva
anticipato di un soffio: secca e perentoria, severa quasi quanto la morsa delle
sue mani che gli stavano stringendo le braccia.
“Stai per dire qualcosa che
non voglio sentire e che non è vero. Non ci provare.” completò generosamente la
rossa, rispondendo alla sua muta domanda.
“Sei sempre stato un pessimo
bugiardo…” mormorò, mentre si riavvicinava e posava il capo sulla sua spalla.
Dire che il giovane mago era
scioccato è poco: stava praticamente annaspando, non aveva emesso suono che lei
aveva già smontato tutte le sue pretese!
Comunque era giusto così:
doveva essere sincero, con lei. Sarebbe stato meglio per tutti.
“Erza…”
“No!”
“Erza!”
Stavolta era lui che doveva
essere più duro di quanto gli facesse piacere, ma quando lei si girò con gli
occhi leggermente umidi, trovò la cosa parecchio difficile.
“Erza, guardami: io sono un
criminale, un assassino e un evaso! Che futuro potrei darti?”
Si calmò.
“Punirsi è la regola per chi
fa parte di Crime Sorciere. Non posso innamorarmi di una persona che cammina
nella luce. Mi dispiace… non possiamo stare insieme.”
“Hai ragione”.
“!”
Ok, quella donna era stata
sicuramente mandata sulla terra per spiazzarlo di continuo: sapeva che aveva
una volontà di ferro ma anche che era una persona molto razionale, quindi
doveva concordare con lui.
Tanta franchezza però faceva
sempre male.
“Hai ragione, non possiamo
rimanere qua: metti che ci vedesse Lucy, o Wendy? Che esempio potrei dare?
Sarebbe imbarazzante”. Aggiunse pratica scrollandosi la gonna dalla sabbia
rimasta appiccicata, mentre lui si malediceva per avere cantato vittoria troppo
presto.
“Quindi! C’è un ristorante
molto carino che dà sul mare: tu mi inviti a cena là per stasera.”
“Ma… me lo stai chiedendo…”
“Non te lo sto chiedendo”
rispose perentoria incrociando le braccia, sottintendendo che quello era
praticamente un ordine bello e buono.
“Ah.”
Che altro c’era da dire? Che
compiangeva i maghi della gilda alla quale apparteneva?
Comunque, dopo tutto quello
che le aveva fatto passare, sentiva di doverle almeno questo.
Mentre la ragazza si
allontanava a passo di marcia, però, Gerrard non potè fare a meno di chiedersi
se quello sarebbe stato un comunissimo appuntamento.
Tanto per non alimentare
voci, decise di tornare dopo di lei: era sicuro che almeno il gatto di Natsu li
avesse visti andare via insieme, ma confidava che nessun altro se ne fosse
accorto o che pensassero che erano andati a fare un giro ciascuno per conto
suo.
Non sapeva nemmeno perché ma
il fatto che immaginassero che erano rimasti da soli gli causava un leggero
imbarazzo.
Nella piccola radura vicino
alla capanna trovò il giovane Dragonslayer seduto contro un albero che
digrignava forte i denti: non urlava più, segno che il peggio doveva essere
passato; le sue due compagne di gilda invece osservavano con attenzione Gray che
si contorceva, vagamente impensierite.
Durante i sette anni che
avevano passato insieme, aveva imparato a conoscere entrambe e a considerarle
amiche: sapeva che Ultear provava un certo affetto per lo studente di sua
madre, anche se non si era mai spinta ad ammettere qualcosa che andasse oltre a
questo.
Melody invece sembrava più
che altro sollevata.
“Già fatto?”
Senza perdere un istante la
concentrazione, Ultear gli rivolse una smorfia curiosa, un po’ materna e un po’
maliziosa: era evidente che dietro a quelle due parole c’era tutta una serie di
sottintesi che lui preferì ignorare integralmente.
“Mi pare che manchi qualcuno…
dove sono le maghe?”
Ultear fece spallucce.
“Prima è passata la tua…
amica, e… diciamo che me le ha requisite. Ha detto che le servivano
urgentemente e di rimandare a domani il loro risveglio”.
“Te le ha requisite? E
perché?”
“Non ne ho idea” ammise.
“Meglio così… se Lluvia
vedesse Gray in questo stato…” rabbrividì la piccola Melody, mentre Gray si
esibiva in un rantolo particolarmente drammatico.
Avendo provato sulla sua
pelle la forza dei sentimenti che la ex-Phantom provava per il suo compagno di
gilda, non ci teneva proprio ad un altro scontro, anche perché la maga
dell’acqua aveva rivelato un lato particolarmente inquietante quella volta…
Il ragazzo annuì
distrattamente, guadagnandosi due occhiate perplesse da parte delle compagne:
da che lo conoscevano, avevano sempre saputo che Gerrard era un tipo piuttosto
impassibile e posato, poco incline a mostrare al mondo qualcosa di più di una
maschera di neutra accondiscendenza.
Per loro, il fatto che il
ragazzo cincischiasse così, come in preda a pensieri preoccupanti, era
decisamente un cattivo segno.
Fortunatamente anche il
trattamento su Gray era finito, quindi avrebbero potuto metterlo a riposare
nella capannina e tornare in albergo.
“Si può sapere che hai? Da
quando sei tornato hai la testa tra le nuvole” sbottò preoccupata la maga del
tempo “Ti ha sconvolto così tanto passare una mezz’ora con Erza?”
“In un certo senso…”
“Tsk. Ti facevo più uomo. Eri
più virile una…” si bloccò, mezza imbarazzata. Non le faceva piacere ricordarsi
del periodo in cui erano infiltrati nel Consiglio magico.
“Non è come pensi” ribattè
piccato, mentre la testolina della terza maga andava dall’uno all’altro, un po’
come una pallina da ping pong.
“Però… ho bisogno del tuo…
del vostro” si corresse “aiuto”.
Che Gerrard chiedesse
esplicitamente aiuto era una cosa ancora più insolita: la faccenda si faceva
decisamente stuzzicante, sorrise tra se la maga del tempo.
Per Titania, la sera arrivò
anche troppo in fretta.
Avrebbe voluto prolungare
l’attesa, almeno tanto quanto era impaziente di vedere se il suo compagno per
la serata si sarebbe presentato o meno.
Era un po’ incerta al
riguardo: lui non era Natsu o Gray o un altro qualsiasi della sua gilda. Loro
sapevano quanto poteva essere pericolosa, ma Gerrard poteva essersene
dimenticato.
Poco male.
A richiamare l’arma adeguata
ci metteva un attimo.
Il ristorante che aveva
scelto era vicino al loro albergo, un posto piccolo rispetto agli altri che
costellavano la città turistica; tuttavia, la sua semplicità aveva un certo
fascino. Un posticino discreto e accogliente, con una ampia terrazza che dava
sul mare e tante fiaccole disposte intorno: ad Erza aveva fatto immediatamente
simpatia.
Salendo la scalinata di
legno, però, non potè fare a meno di domandarsi nervosamente se il vestito
scelto era adatto, se l’acconciatura era a posto, se magari non si era truccata
troppo.
Domande inutili.
Arrivata sulla ampia
terrazza, si accorse di essere completamente sola.