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Autore: mamie    26/01/2012    2 recensioni
"E’ proprio nera, come polvere di vulcani spenti o sabbia di mari inesplorati. Come un fondo marino dove nuotano lentamente, del tutto simili a meduse fluttuanti, dei trapezisti vestiti di bianco che cominciano lentamente a salire, a salire aggrappati a quei loro esili fili. E poi, proprio come meduse, cominciano a fare evoluzioni su, verso la cupola scura del telone, in quel mare di fioca luce."
Una bambina magica e un trapezista che vuole volare via.
Ha partecipato al concorso "Il circo della notte".
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dentro ora, sei dentro, un po’ spinto e un po’ strattonato dagli altri verso le panche dure che stanno tutt’attorno alla pista nera.
È proprio nera, come polvere di vulcani spenti o sabbia di mari inesplorati.  Come un fondo marino dove nuotano lentamente, del tutto simili a meduse fluttuanti, dei trapezisti vestiti di bianco che cominciano lentamente a salire, a salire aggrappati a quei loro esili fili.  E poi, proprio come meduse, cominciano a fare evoluzioni su, verso la cupola scura del telone, in quel mare di fioca luce.
Sola, in mezzo alla pista nera, è rimasta una piccola figura. È rossa lei. Di un rosso che non ti aspetti, non in mezzo a tutto quel nero e bianco. È rossa e piccola e sembra non fare nulla, se non agganciare con gli occhi le meduse che su, in alto, continuano a nuotare.
Succede tutto in un attimo. Uno dei trapezisti manca la presa e cade. Cade come una meteora dal cielo nero del tendone. Non un grido, un suono, nulla. Solo quell’attimo sospeso, quella stella cadente che presto, fra meno di un respiro, si schianterà al suolo.
Invece no. La caduta rallenta. Come portato da una brezza dolce, il trapezista sembra una foglia che si adagia sulla sabbia nera. Resta immobile solo il tempo di un sospiro di sollievo, poi si rialza e guarda la piccola figura rossa che è rimasta ferma, al centro della pista, come se non fosse successo nulla.
La folla butta fuori il fiato, rumoreggia, applaude. Il trapezista fa un gesto di ringraziamento, afferra di nuovo uno dei fili pendenti, risale, ricomincia a volteggiare. Il resto della notte si perde fra le risate e i sussurri, fino alla prima luce.
Quando esci, cammini piano, come pauroso di svegliarti da un sogno. Sbirci, curioso dietro il tendone. Non è quello il trapezista che era caduto? Ti ricordi bene i suoi capelli biondi sparati e quell’aria diafana, ma adesso che è giorno vedi i suoi occhi. Occhi così grandi e chiari e tristi come un cielo d’inverno. E davanti a lui quella piccola figura, ancora col costume rosso, adesso che la vedi è una bambina. I suoi occhi, invece, brillano come piccole lanterne.
– Devi stare più attento, Ivan. Sono riuscita a fermarti solo perché guardavo proprio te.
Accanto a loro un uomo ancora col frac nero, stessi riccioli impertinenti della bambina, stesso sorriso.
– Ha fatto un grande effetto – dice piano – forse potremmo farlo ancora.
Gli occhi degli altri due si spalancano. E se la prossima volta lo lascio/mi lascia cadere? Dicono i loro occhi diversi, ma ugualmente impauriti.
– Hai davvero un grande potere, Celia – continua l’uomo, sicuro di sé, sorriso bianco, papillon bianco. – Pensa che effetto ha fatto questa sera una cosa del genere. Dovremmo rifarlo. Davvero.
 
E lo rifanno. Sera dopo sera. Il trapezista che cade, la bambina che lo aggancia con gli occhi e lo lascia scivolare a terra come una foglia d’autunno. Applausi. Applausi. E tu torni sera dopo sera per vedere quel numero, per vedere quella stella cadente trasformarsi in una foglia, e notte dopo notte torni a nuotare affascinato dalle meduse bianche, dalla scia delle comete. Finché una sera – ah, la tua curiosità che non ha limiti, che ti fa ficcare il naso e aguzzare le orecchie dietro i tendoni a strisce, dietro i banchetti del pop corn, fra le fessure delle gabbie delle zebre – una sera senti ancora parole sussurrate. Una voce con l’eco di un pianto, una voce con l’eco di una disperazione.
– Non fermarmi questa sera – sussurra quella voce.
– Perché? – chiede la vocina piangente, con l’accento ostinato dei bambini che non capiscono.
E tu vedi, sei proprio nascosto lì vicino, nell’ombra, vedi il trapezista biondo che sorride.
– Perché stasera voglio volare via – dice – Ma è un segreto, Celia. Non dirlo a papà, va bene?
E lei risponde – Va bene – con quella voce che non è più di pianto, ma è la voce dei bambini quando ti fanno un grande favore.
 
Resti lì, paralizzato, senza riuscire a tornare al tuo posto, senza riuscire a dire niente, a fermare niente. Perché forse, ti dici, stai sognando. Non è quello “Il Circo dei Sogni?”.  No, no, è solo un sogno. Non c’è niente di vero al Circo, è tutta finzione, tutte maschere e sorrisi smaglianti. Resti lì finché non senti il pubblico restare col fiato sospeso e poi quell’attimo di silenzio prima delle urla, delle grida, della gente che si accalca, di quella che vuole vedere, di quella che vuole andare via. Allora ti trascini, le scarpe che pesano come piombo, fino al centro della pista nera scostando la selva di teste. Improvvisamente anche tu vuoi vedere, vuoi sapere dove finiscono i sogni quando se ne va la notte. Li scosti uno alla volta finché non riesci a ritrovare quegli occhi di cielo d’inverno che si spengono poco a poco come lumini sotto la pioggia. E poi vedi quelli della bambina, quelle due biglie lucenti nella penombra, la mano stretta in quella dell’uomo in frac.
– È volato via? – chiede.
– Sì, è volato via – risponde lui.
 
La sera dopo sulla spianata non c’è più nulla, solo un po’ d’erba schiacciata. Il Circo dei Sogni non è mai esistito, non sono mai esistiti un uomo in frac, una bambina magica e un trapezista che voleva volare via.
 
 
 
 
 
  
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