RATING: Giallo.
GENERE: Commedia,
Romantico (?).
PAIRING:
Sherlock/John.
AVVERTIMENTI:
Fluff (giusto un
pizzico), Slash, What if?, un accenno di Lime.
DISCLAIMER:
I personaggi non
mi
appartengono, né i diritti della serie (ahimè)
che vanno tutti alla BBC. Non
guadagno niente dalla mia attività di fangirlamento
compulsivo.
DEDICA:
A Moffat e
Gatiss, perché sono degli slashers in incognito e ci hanno
regalato un telefilm
meravigliosamente brillante e ambiguo; a Martin Freeman, che
è un John Watson
perfetto; a Benedict Cumberbatch, perché è un
attore straordinario -nonché figo
da paura.
NOTE: Ehm,
buonsalve a tutti! *si guarda attorno*
E’ con
timore reverenziale che mi accingo ad approdare nel meraviglioso
fandom di Sherlock…
Lo ammetto, sono nervosa. Molto nervosa. Di solito scrivo storie
deliranti e corbellerie
varie nella sezione Merlin e nelle
Originali, ma in preda all’entusiasmo derivante
dall’aver scoperto -con più di
un anno di ritardo- perché questo
telefilm riscuotesse così tanto successo e disperata
all’idea di dover
aspettare almeno altri dodici mesi perché trasmettano la
terza serie, ho deciso
di versare il mio modesto tributo di sangue (ehm) al fandom, sperando
di non
abbassare troppo la qualità media delle storie pubblicate
finora.
Buona lettura
(mi auguro)!
Erano ormai
due settimane che andava avanti.
Quasi ogni
mattina, al risveglio, un forte senso di nausea lo colpiva,
costringendolo ad
abbandonare il tepore del piumino per scapicollarsi in bagno,
abbracciare la
tazza del water e rimettere anche l’anima; il tutto nel giro
di quattro secondi
e nove decimi. Aveva subito pensato ad una forma di gastroenterite e di
conseguenza aveva fissato un appuntamento con uno specialista, ma il
medico, limitatosi
ad alleggerirgli il portafoglio di una discreta somma, non aveva
trovato nulla
di sospetto nel suo intestino.
Poi erano
cominciati gli svenimenti. In ambulatorio, al supermarket sotto casa
(con le
cui casse automatiche aveva ancora un conto in sospeso). Addirittura
per
strada, soccorso da alcuni passanti caritatevoli -mioddio
che vergogna!- e una volta mentre si trovava in casa da
solo e si accingeva a mettere sul fuoco il bollitore per il
tè. Quando aveva
ripreso i sensi si era ritrovato a distanza molto ravvicinata con una
preoccupatissima Mrs Hudson che gli sventolava sotto il naso un flacone
di sali.
A quel punto
si era misurato la pressione, ma era assolutamente nella norma. Sarah,
con cui
erano rimasti amici, aveva ipotizzato una mancanza di ferro nel sangue,
però lui
l’aveva subito rassicurata: non era anemico né
denutrito, anzi. Negli ultimi
tempi aveva messo su qualche chilo. I suoi addominali, che non erano
mai stati
particolarmente scolpiti nemmeno durante il servizio militare, erano
considerevolmente più rilassati del
solito. Aveva perennemente fame, ma non ci aveva prestato troppa
attenzione. Probabilmente
il suo organismo faticava ad abituarsi allo stile di vita frenetico,
per non
dire delirante, che aveva adottato da quando era andato a vivere al 221B di Baker Street.
Finché
una
sera, mentre erano piacevolmente impegnati, Sherlock non aveva espresso
la sua
opinione al riguardo. “Sottoponiti ad un’analisi
del sangue completa, John, e
smettila di farci stare in pensiero per te”.
L’aveva
detto con estrema nonchalance, tra un preliminare e l’altro,
con la testa
infilata tra le sue cosce e la lingua intenta a tormentargli in modo
assolutamente indecente il sesso. John aveva alzato la testa dal
cuscino, un
po’ ansimante, guardandolo malissimo; solo Sherlock poteva
uscirsene con
un’osservazione simile in un momento tanto intimo. Tuttavia,
qualcosa
nell’espressione dell’altro -nei suoi occhi di
ghiaccio fuso, nelle labbra
appena increspate, nella sottile ruga d’espressione che gli
solcava la fronte-
l’aveva spiazzato: mirabile visu,
l’imperturbabile Sherlock Holmes era preoccupato. Per lui.
“Uhm,
ok. Se
la cosa ti può tranquillizzare, lo
farò” aveva borbottato, arrossendo
lievemente.
Quando
l’altro aveva abbassato lo sguardo, pronto a riprendere da
dove si era
interrotto, il dottore glielo aveva impedito. “Lascia
perdere, vieni qui e
baciami”.
“Perché?”
“Perché
mi
va”.
“Ma il
tuo
amico qui sotto sembra gradire molto le mie
attenzioni…” aveva mormorato l’altro
con quel suo sorrisetto compiaciuto e allusivo.
“Sherlock.
Sta’ zitto e baciami”.
Ebbene,
aveva seguito il consiglio del suo uomo convivente
amante
coinqulino. Si era sottoposto ad un check-up approfondito: colesterolo,
diabete, conta dei globuli bianchi, anemia (meglio non rischiare),
emoglobina e
chi più ne ha, più ne metta. Qualche giorno dopo
l’avevano chiamato
dall’ospedale perché passasse a ritirare le
analisi.
Le cinque
del pomeriggio, l’ora del tè per antonomasia.
Sherlock, comodamente
acciambellato sulla poltrona, sorbisce la bevanda reggendo la tazza con
una
mano, mentre le dita dell’altra pizzicano distrattamente le
corde
dell’onnipresente violino. John, seduto sul divano e con la
busta -aperta-
contenente il referto medico posata accanto a sé, si
schiarisce la voce.
“Sherlock,
devo parlarti”.
“Era
ora che
ti decidessi a farlo, John. Sono almeno dieci minuti che mi fissi come se volessi
perforarmi con lo
sguardo” è l’immediata replica.
“Sì,
beh”
mormora lui.
“Hai
saputo
l’esito degli esami. Prima che tu me lo chieda,
l’ho dedotto da-”
“Non
mi interessa
saperlo” lo interrompe.
“Davvero?”
e
gli punta addosso quegli incredibili occhi da extraterrestre.
“Davvero”.
“Bene”.
“Bene”.
“…E
quindi?”
“E
quindi
cosa?”
“Cosa
devi
dirmi? Hai le spalle e la mascella contratte, sei teso: è
evidente che si
tratta di qualcosa di grave”. Posa il violino a terra e si
sporge verso di lui
con il busto in avanti, i gomiti che sostano sulle ginocchia e la testa
inclinata, in ascolto.
“Oh,
già.
Beh, è- E’ assolutamente pazzesco, si tratta
certamente di un errore”.
“John.
Gli
esiti. Cosa dicono?” incalza l’altro.
“Aspetto
un
bambino, Sherlock” confessa tutto d’un fiato,
avvampando, indeciso se mettersi
a piangere o scoppiare a ridere istericamente.
“Ma
certo. Perché
non ci ho pensato prima?” esclama il detective, balzando in
piedi in men che
non si dica. “Le voglie, l’aumento di peso, le
nausee, i mancamenti; Mrs Hudson
mi ha avvertito, nonostante tu le avessi chiesto di non
farlo… Tutto era
riconducibile ad una possibile gravidanza” medita a voce
alta, i neuroni che
lavorano come furie.
“Sherlock,
ma di che parli? E’ impossibile che io sia incinto, guardami!
Sono un uomo, non
sono biologicamente attrezzato per concepire, né tantomeno
mettere al mondo un
bambino” sbotta John, sull’orlo di una crisi di
nervi.
“Una
volta
eliminato l’impossibile, ciò che rimane -per
quanto improbabile- deve essere la
verità. Le analisi non mentono. Stiamo per diventare
genitori”.
John non sa
perché, ma il tono di voce pacato e ragionevole del suo
sociopatico ad alta
funzionalità preferito è un balsamo per il
proprio stato d’animo in tumulto. Si
calma.
“Quante
settimane?” chiede il compagno.
“Quindici”.
“Quasi
quattro mesi, quindi. Presto scopriremo il sesso del bambino”
osserva Sherlock
con quella che sembra genuina felicità. Si inginocchia di
fronte al dottore, le
loro teste sono alla stessa altezza.
“Sembri
felice” commenta l’altro dolcemente, ancora
incredulo.
“Lo
sono
eccome, John. Non potevi darmi notizia migliore! Tu cosa preferiresti,
che
fosse un maschio o una femmina?” e i suoi occhi brillano di
una luce mai vista
prima, mentre gli afferra le mani e le stringe forte.
“Non
saprei. Non fa differenza, credo” John si
lascia scappare un sorriso, rinunciando una volta per tutte a svelare
l’enigma
che è Sherlock Holmes, il suo coinquilino
amico collega amore.
Ok, sono
pronta a qualsiasi cosa: critiche spietate, linciaggio, lancio di
frutta e
verdura marcia. Non
abbiate pietà, mi
raccomando! E fatemi sapere se i Mitici Due sono troppo OOC. Spero di
farmi
presto viva con qualcosa di più decente.
Alla
prossima!