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Autore: darkronin    29/01/2012    9 recensioni
Sequel di "Il labirinto visto dal castello". Quindi è la mia prima -vera- fic su Labyrinth.
Sono passati esattamente dieci anni dall'avventura nell'Underground.
La vita di Sarah ha subito particolari cambiamenti ma ancora non le sono chiare molte delle cose occorse in passato, specialmente l'atteggiamento di Jareth.
Il decimo anniversario scivolerà via come una giornata tra tante o dobbiamo prepararci a una nuova avventura? Verranno chiariti i punti controversi e le incomprensioni?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Tela di diamante'
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'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di A.C. H. Smith, Jim Henson, Lukas film, Columbia e Tristar Picture; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.
Per i personaggi originali, ogni riferimento a persone esistenti e/o a fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale.

Preciso, inoltre, che parto dai presupposti, dagli interrogativi e dalle allusioni, seminati in Il labirinto visto dal castello in cui, comunque, ho dato la mia personale interpretazione degli eventi, per quanto vincolata dal Missing Moments.

Buona lettura!







1- Il contorno sfumato tra sogno e realtà



Era ormai autunno. Le foglie morenti imporporavano sanguigne le strade.
Di nuovo. Era ormai il decimo anno che la scena sembrava ripetersi uguale. Ogni anno identica a se stessa. E ancora si aspettava che qualcosa cambiasse. O si aspettava di svegliarsi da un incubo. Di quelli in cui non succede nulla, quelli monotoni che ripropongono la vita così com'è, in chiave, se possibile, ancora più piatta. Simili, per certi versi, a quelli in cui i piedi affondano nell'asfalto, lasciando che il treno di turno sfumi sotto gli occhi o che la minaccia che sembra inseguire tra le ombre si faccia sempre più vicina, senza mai realmente raggiungere lo scopo.
Scese dall'autobus frastornata. Non aveva chiuso occhio quella notte. L'aspettavano solo una manciata di minuti e allora si sarebbe sfogata. Camminava sul marciapiede facendo più che mai attenzione a dove poggiava la suola di gomma, desiderosa di non fare una delle sue scivolate sulle foglie ancora umide per il recente acquazzone. Adorava quella stagione così romantica e nostalgica. Amava anche la pioggia e l'odore di bruciato che lasciava sull'asfalto, stare al chiuso con una tazza fumante sotto il naso a leggere qualche libro ma anche passeggiare per strada, nonostante i lunghi capelli neri le diventassero simili a un nido di serpi e i vestiti le si appiccicassero al corpo. Ma il momento che preferiva era quando la natura scatenava tutta la sua potenza distruttiva nei temporali. Allora spegneva tutte le luci di casa e si sedeva sulla finestra della sua camera, in contemplazione delle luci aranciate della città sotto i fulmini violacei.
Girando l'angolo pensò che, tutto sommato, l'amore per quella stagione la rispecchiava perfettamente: un lato romantico e antico, uno oscuro e moderno. E anche la sua vita aveva seguito quella dualità. In realtà, precisò a se stessa, continuava a seguirla ancora adesso.
Arrivò alla porta dell'edificio e la oltrepassò veloce: in portineria, come sempre, non c'era nessuno da salutare. Salì rapida due rampe di scale fino a trovarsi davanti una porta a doppio battente di legno laccato. La aprì piano, scivolò dentro e la riaccostò senza far rumore.
Le voci che provenivano da dietro il muro, le confermarono che c'erano già tutti. Salì cauta ancora una delle due manciate di gradini che si diramavano dalla porta, aggirando il muro, e sbucò in uno dei due corridoi di accesso superiore all'aula. Una ventina di file di sedili era alternata ad altrettanti banchi. Qua e là qualcuno era radunato in piccoli gruppetti silenziosi. Il gran chiacchiericcio proveniva tutto da un nutrito gruppo che aveva colonizzato le prime file. Individuò il suo obiettivo e, senza farsi notare, gli arrivò alle spalle.
Un paio di ragazzi la notarono quando era ormai troppo tardi: puntarono su di lei lo sguardo e il loro interlocutore, che le dava le spalle, capì che qualcosa dietro di sé non andava per il verso giusto. Non diede il tempo a nessuno di parlare, o girarsi, che mollò un sonoro ceffone giusto sulla nuca scoperta del ragazzo che, immediatamente, cacciò un urlo bestiale.
“Ma che ti prende? Razza di deficiente!” Imprecò voltandosi, sapendo già di chi si trattava.
Lei lo zittì con un'occhiata glaciale, spolverò con la mano polvere invisibile e sedette nel posto che lui aveva liberato alzandosi di scatto.
“Non ti troverai mai nessuno se continui così!” continuò quello imperterrito
“Non devo piacere a te, Matt" sibilò lei di rimando
“Sarah...cosa ti ha fatto, oggi?” chiese una delle due ragazze, la bionda coi capelli dritti come spaghetti, divertita.
“Già, che ti ho fatto?” protestò il ragazzo, tenendosi saldamente il coppino. I capelli ricci e neri non coprivano minimamente il rossore che si era esteso rapidamente su tutto il collo
Sarah alzò lo sguardo, annoiata, e poggiò, con calma affettata, un disco in copertina quadrata “Grazie, stronzo!” sibilò
“Che è?” chiese la seconda ragazza, i capelli castani e ricci “Il quarto tipo?” lesse la grafia, nera e disordinata del ragazzo, sillabando perplessa. Fissò prima uno, poi l'altra “Cos'è?” chiese ancora
“Un film, Jess! Vedi? È un DVD!” replicò Matt sarcastico
“Vuoi prenderle anche da me?” chiese lei folgorandolo “Di che parla?”
“Ah, Il quarto tipo...piaciuto?” chiese un altro ragazzo dai capelli castani spettinati intervenendo nel discorso “Non è dei migliori, concordo, però devi ammettere che...” ma tacque vedendo lo sguardo della ragazza. “Non hai dormito, Sarah?” domandò preoccupato
“E come potevo, secondo te?” replicò quella, seccata.
“Fa così paura?” domandò la bionda Gloria
“No” rispose la mora, asciutta
“Ma...” la incalzò la bionda. Matt si mise a sghignazzare e lei capì che lui aveva fatto qualcosa di sbagliato di proposito. Quindi lo menò anche lei sulla nuca, scatenando le proteste del moro
“Ma...” continuò Sarah accennando un sorriso tirato che avrebbe voluto nascondere una velata ironia “C'è il barbagianni...”
“Bene..” disse la bionda “Tu vai matta per gufi, civette e simili...” Si zittì cogliendo l'occhiata omicida dell'altra
“Il barbagianni è visto come un grigio” ghignò l'esperto cinefilo, sottolineando l'ultima parola
“Un che?” chiese la ragazza dai capelli rossicci
“Un alieno, Jess!” sibilò Sarah “Che rapisce la gente, appostandosi prima fuori dalla loro finestra! E io...anche se li consideravo inquietanti, a me piacevano i barbagianni, fino a dieci anni fa...”
La seconda parte del discorso le morì in gola e sembrò che nessuno l'avesse udita. Forse aveva parlato troppo piano.
“Matt sei uno stronzo al cubo!” dissero all'unisono le altre due ragazze alzando la testa per cercare l'interessato, per un attimo dimentiche di Sarah.
“Tanto gli alieni non esistono...solo Sam ci crede...” la consolò Jess, scostando uno dei ricci rossastri dagli occhi e battendole una pacca sulle spalle. L'interessato aprì il giubbotto esponendo alla vista una maglia nera su cui era impressa l'immagine di un paesaggio verde-azzurro e su cui svettava un disco argento e la scritta bianca I want to believe.
Sarah sbuffò e in quel momento il professore fece il suo ingresso in aula.
Solo le lezioni, che da quel momento in poi riuscirono ad assorbirne l'attenzione in modo continuativo, la distrassero dal pensiero. Si separò dal gruppo di ragazzi con cui aveva avuto il diverbio dopo la prima lezione, l'unica della giornata che seguivano tutti assieme: loro tornavano alle lezioni pratiche, lei continuava con le teoriche del corso di letteratura. A quanto ne sapeva, era la sola che seguiva l'interfacoltà di arti visive e letteratura. Poco le importava se la scelta potesse sembrare particolare: per lei erano la stessa cosa, due facce della stessa medaglia.
Rispetto a quando era bambina, il suo amore per il teatro non era diminuito ma aveva cambiato aspetto. Ora non le interessava più così tanto portare in scena un pezzo teatrale. Certo, le piaceva diventare qualcun altro. Ma odiava quel senso di costrizione dato dal ruolo, sempre identico a se stesso. A quindici anni aveva capito come la direzione o la scrittura fossero più nelle sue corde: non sarebbe stata mai più la marionetta di nessuno.... E il giorno seguente sarebbero stati dieci anni esatti.
Sbuffò e si diresse nella nuova aula che trovò insolitamente vuota a quell'ora del primo pomeriggio. Sulla cattedra c'erano, però, la giacca e il portatile del professore.
Si sedette in attesa ripensando agli eventi passati: aveva odiato essere una pedina nel gioco di quel folle e splendido uomo. Ma, a modo suo, era sicura di averne riscritto le regole.
Che si fosse trattato di illusione o realtà, ancora non lo capiva bene, quella notte era stata il punto di svolta della sua vita. Era raro, e lei lo sapeva bene, che il corso degli eventi cambiasse direzione da un giorno all'altro. Eppure da quella notte aveva improvvisamente sviluppato una sensibilità e una pazienza che non credeva di avere prima. Lentamente le aveva fatte maturare, cercando di tenere vivo quel bel sogno angosciante. L'aveva subito scritto nel suo diario. Era l'unica cosa che vi aveva scritto. Aveva occupato tutto il libretto solo col racconto di quella notte. O di quelle che le erano sembrate una decina di ore. Prima o poi, si ripeteva, vinta la timidezza, avrebbe provato a rivederlo per cercare di proporlo a qualche casa editrice: era un momento in cui il fantasy godeva di nuovo slancio. Ora, tra i suoi effetti personali, tra i suoi tesori, teneva i due libretti: il quadernino nero con gli appunti e il piccolo libricino rosso della storia che l'aveva condotta a quell'incubo, entrambi consumati dalle continue consultazioni.
Ci pensò per l'ennesima volta. Era stato davvero un sogno? Una metafora della sua crescita? Lui era davvero non reale? I conti continuavano a non tornarle: c'erano troppe incongruenze. E avrebbe dovuto essere realmente pazza per immaginarsi una trama tanto complicata. A quindici anni.
Sospirò buttando le braccia oltre il banco e poggiandovi la testa.
“Che sospirone!” ridacchiò una voce calda e pacata alle sue spalle
“Non mi prenda in giro, prof!” rispose lei senza alzare lo sguardo.
Lui le andò vicino e si sedette sulla fila di banchi davanti a dove si era stesa lei. L'odore della cioccolata del distributore automatico le arrivò quasi immediatamente, suadente, caldo e gentile. Come l'uomo che era lì con lei. Autunno e cioccolata, pensò, andavano tremendamente d'accordo. Ma lei non era più così sensibile al fascino bruno di quella bevanda. Una delle tante evoluzioni nella sua vita.
“Io non ti prendo in giro!” rispose l'altro divertito “Problemi di cuore?”
Lei lo folgorò “Prof! Le sembrò il tipo?”
Lui la guardò perplesso un attimo “Perché no?”
“Lasciamo perdere...” disse ributtandosi giù
“Senti...” cominciò lui “Qui è passato più del classico quarto d'ora accademico... Che ne dici se saltassimo lezione e ce ne andassimo a pranzo?” propose l'uomo. Gli sorridevano gli occhi, notò Sarah
“Questa proposta non dovrebbe arrivare da lei...” lo rimbeccò la ragazza, prendendo la tracolla della borsa, pronta a levare le tende.
“Ti cucino una cosa veloce, vuoi?” continuò lui andando alla cattedra a prendere le sue cose
“Non le faranno storie se pranza con una studentessa?” chiese lei guardinga
Lui ridacchiò “Oh, tranquilla, spettegolano già sul nostro conto...e poi tu non sei mica una studentessa come le altre...tranquilla, non c'è nulla di male” la rassicurò aprendole la porta.
Una volta all'aperto, Sarah trotterellò al suo fianco senza porre altre questioni.
Lo trovava, però, somigliante. Somigliante a quell'essere di cui custodiva la descrizione nella sua agendina. Non tanto nell'aspetto fisico. Neanche nel carattere. Non sapeva dire, esattamente, dove li vedesse simili. In effetti non c'era nulla di simile.
L'appartamento del professore era a cinque minuti a piedi dal campus universitario, in una tranquilla zona residenziale, composta da villettine a schiera.
Aprì la porta e lasciò che Sarah chiudesse, come se fosse abituata a quegli spazi. Lei lo seguì e si accomodò sul divanetto presente nel piccolo cucinino. “Sicuro che non vuole una mano?” Lui scosse la testa in risposta, preparando rapidamente due padelle sui fuochi. Dopo qualche magheggio, si srotolò le maniche e tornò a dedicarle tutta la sua attenzione.
“Allora...vuoi parlarmene?” chiese servendole da bere
“Mi prenderebbe per pazza” si difese lei “E chiamerebbe i suoi amici con una bella camicia bianca all'ultima moda...”
Lui rise di cuore. “Giuro che, a meno che non sia qualcosa di patologico, da ricovero immediato, accoglierò quanto mi dirai come la confidenza di un'amica...” disse sedendosi a tavola e poggiando la guancia sulle nocche della mano chiusa a pugno, pronto all'ascolto.
Lei lo guardò scettica per un paio di secondi interminabili. “E sia...ma non dica che non l'avevo avvisata!” rispose.
Così, cominciò a raccontargli gli eventi occorsi esattamente dieci anni prima.
Gli spiegò della sua situazione familiare: la madre che se n'era andata, il padre senza nerbo che si era subito risposato, il fratellastro che monopolizzava le attenzioni di tutti, la matrigna che la bistrattava come se fosse lei la quarta incomoda.
Gli raccontò della sua disperazione, quella notte, quando invocò il re dei Goblin affinché rapisse il fratellino, per scimmiottare quanto aveva letto in diversi racconti. A sottolineare la sua ossessione per quel genere di racconti, gli mostrò il libretto rosso con il titolo impresso a caratteri dorati.
Gli narrò di come lui (non lo nominò mai) fosse apparso nella camera, come avesse provato a dissuaderla, come lei avesse voluto affrontare il gioco per riavere il fratello. Come avesse fatto la conoscenza di strani personaggi e come, in modi diversi e subdoli, lui, sempre lui, avesse cercato di farla capitolare. E di come lui, poi, avesse continuato a popolare i suoi sogni.
Lui l'ascoltò con vivido interesse, senza mai interromperla.
“So benissimo che può sembrare il delirio di una pazza, che dovrebbe essere la spiegazione del mio inconscio del mio rifiuto di crescere e simili...” disse lei, concludendo “Ma non ce la faccio a crederlo davvero possibile... Insomma...se dovevo inventarmi un mondo parallelo avrei preso meglio spunto dalle mie stesse passioni, no? Invece non ho citato tante cose per me fondamentali, mi sono incasinata la vita da sola, ho fatto in modo di morire quasi di fame. E, cosa ancora più da malati di mente, ho affrontato così tante traversie che dovrei soffrire di disturbo bipolare per poter pensarne una dietro l'altra. Voglio dire...si è mai vista, che ne so, Dorothy o Alice, a cui capita qualcosa senza che prima le venga spiegato? Io ancora non so perché mi sono sognata certe cose...e in un sogno, normalmente lo si sa...” stava gesticolando disperata, mentre il professore le serviva ormai il piatto caldo sotto il naso. “Cioè...come storia non è sto gran che...sono i buchi che ci sono che mi lasciano perplessa...E' come se qualcun altro avesse attinto agli oggetti della mia camera per rimescolarli e farmi sentire a mio agio...” la voce si spense, sconsolata. Fece oscillare la testa cercando di negare il tutto. E prese le posate.
Il professore la guardò assorto per qualche minuto. Non aveva ancora toccato il pranzo. D'improvviso si alzò da tavola “Scusa un attimo...” disse scomparendo alla sua vista
“Ecco, lo sapevo...mi ha preso per matta...ma che potevo aspettarmi da uno psicologo? Lo sapevo che sarebbe finita così...” pensò sconsolata la ragazza. Non ebbe nemmeno il tempo di riflettere a fondo che l'uomo ricomparve. Reggeva in mano una piccola scatola di legno.
La poggiò accanto a sé, tamburellandoci sopra con i polpastrelli.
“Sarah...?” domandò dopo un po', incerto “Tu sai perché io insegno quello che insegno?”
Che razza di domanda era? Sarah era spaesata. “Per sgamare subito i pazzi furiosi come me?” domandò lei di rimando
Lui stirò le labbra e trattenne un sorriso. Alzò gli occhi, che aveva tenuto fissi sul piatto fino a quel momento. Da dietro gli occhiali da vista rettangolari sembrò studiarla ancora. Quindi riformulò la domanda “Cosa insegno?”
Sarah levò un sopracciglio “E lo chiede a me?”
“E io che volevo chiederti di farmi da assistente...” rimbrottò lui. “...Insegno il folklore visto attraverso la lente della psicologia per un motivo ben preciso.”
Solo allora le porse la scatola e si mise anche lui, finalmente, a mangiare. “Apri...” le disse
Lei, messo da parte il piatto ormai vuoto, aprì con cura e cautela il piccolo scrigno rettangolare e piatto: non sapeva cosa aspettarsi.
Dentro c'erano una moltitudine di schizzi. A colori e in bianco e nero, per lo più in formato cartolina, prevalentemente paesaggi. Ma, qui e lì, ci erano anche ritratti e nature morte: licheni occhiuti, yeti rossi, portali con l'effige di un robot. E poi c'era lui. Identico a come lo ricordava.
“E' lui, vero?” chiese il padrone di casa.
Sarah annuì appena. Sentiva le lacrime bruciarle agli angoli degli occhi. “E'....” stava per cascarci un'altra volta. Si morse la lingua prima di pronunciarne il nome.
Il professore notò il suo sforzo. “Sì...è lui...” confermò prendendo la scatola e svuotandola sul pianale.
“Professore...ma...”
“Ascolta...dato che abbiamo questo segreto da condividere...” la interruppe con fare complice “Che ne diresti di chiamarmi per nome e darmi del tu?”
“Ma....” fu presa così alla sprovvista che dimenticò di essere in procinto di piangere “Non posso...”
“Sì, che puoi...se vuoi non in università...ma non ci sarebbe nulla di male...hai visto Max e Katy...” disse riferendosi a un altro docente e alla sua assistente
Sarah ci pensò su “Ci proverò...” concesse allungando le mani alla monticciola di fogli
“No” tagliò secco lui, allontanando il gruzzolo di carte dalla sua portata “Fallo! E continueremo col nostro discorso...”
Sarah era in evidente difficoltà. Balbettò qualcosa di incomprensibile e quando vide come il professore la osservava divertito sbottò “Siete proprio uguali!”
“Uguali? Chi?” domandò lui confuso
“Tu, Immanuel Grimm, e lui!” Disse, sempre cercando accuratamente di evitare di pronunciarne il nome. Prese un disegno e glielo mostrò. Gli occhi rapaci del re di Goblin ora fissavano il professore con astio e superiorità dal supporto bidimensionale della cartolina.





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Eccomi di nuovo qui: finalmente col mio sequel. ù_ù
(ho finito il grosso della preparazione degli esami)
Comincio col dirvi, se già non l'aveste notato, che, senza una scaletta da rispettare come nel caso di Il labirinto visto dal castello, in cui già mi dilungavo abbastanza, tendo a perdermi un po' nelle descrizioni e a raccontare gli eventi il più dettagliatamente possibile. I colpi di scena ci saranno...ma più in là...
Diciamo che il mio intento è quello di farvi ambientare al nuovo mondo di Sarah, ri-scoprirla e immedesimarvi.
Spero mi seguirete anche in questa avventura. :)
PS: non temete...non c'è nessun rivale di Jareth in vista...per il momento.... XD
   
 
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