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Autore: ____Faxas    30/01/2012    5 recensioni
Erano state tante le volte in cui aveva passato delle notti in bianco per osservare il suo compagno dormire, stretto tra le sue braccia; e tutte quelle volte non era riuscito a fare a meno di pensare quanto potesse sembrare sereno il volto di un uomo durante il sonno, ricordando le fattezze di un viso da bambino. In quelle notti insonni, non faceva altro che delineare con gli occhi ogni particolare di Malik, cercando di imprimersi perfettamente nella mente l’immagine di lui con quell’espressione così serena.
[Altair/Malik] [OOC]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Malik Al-Sayf
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autrice: Allora... E' la mia primissima one-shot in questo fandom e, da quello che ho visto, ne ho molta paura... *si nasconde sotto la scrivania* Per favore, non fatemi del male! E' però d'obbligo una premessa. Se non vi piace il genere Slash, vi consiglierei di non continuare a leggere. E poi, per favore, risparmiatemi dei commenti come "Ma Assassin's Creed non è mica un romanzo rosa!" "La storia di Assassin's Creed parla di Assassini, quindi dovrebbe essere incentrata più su questo che quello...", perché sono inutili. Io lo so che Assassin's Creed non è certo quel tipo di storia in cui i personaggi si lasciano andare a tanto romanticismo, ma, cavolo, le fanfiction sono fatte per scrivere l'impossibile. Quindi... Viva la fantasia!!
Per chi, invece, vuole continuare la propria lettura, non posso che augurarvi una buona lettura. <3
P.S.: vorrei, inoltre, ringraziare infinitamente la mia amatissima Beta, Lil Romantic Girl, per il suo lavoro impeccabile, soprattutto per questa one-shot. <3



Di lacrime e notti insonni


Ricordava perfettamente il giorno in cui perdette la sua dignità come Assassino.
La vergogna, il dolore, la rabbia, la frustrazione; ma soprattutto una cosa che non avrebbe ammesso neanche sotto la più violenta delle torture: il senso di colpa.
Era la fiamma ardente nel suo petto, il fuoco che non sarebbe mai riuscito a spegnere.
Era il cappio che gli strattonava il collo, che gli toglieva il respiro.
Era l’unica lama che, pur avendolo trapassato da parte a parte, non lo uccideva, lasciandolo sanguinare.
Sapeva che, se non fosse stato così arrogante, presuntuoso e avventato, niente di tutto quello sarebbe mai accaduto.
Non ci sarebbero stati il sangue, le grida.
Gli sguardi degli altri Assassini non avrebbero iniziato a ripetergli “traditore”.
Non sarebbe diventato l’artefice della morte di Kadar … e del dolore di Malik.
E se, per tutta la sua vita, i sentimenti degli altri erano stati per lui null’altro che polvere negli occhi, l’angoscia di Malik alimentava il suo senso di colpa.
Facendolo sanguinare di più che in seguito alla peggiore delle sue ferite.

All’alba del giorno seguente sarebbe partito alla volta di Damasco, per uccidere la sua prima preda; ma sentiva il bisogno di vedere Malik, anche da lontano o per un solo secondo.
Aveva chiesto a una delle governanti che si occupavano di Malik come stava.
-Di certo starebbe meglio se Kadar fosse vivo. - gli rispose la donna, con gli occhi vacui, lo sguardo inespressivo, ma con un tono di voce che sembrava volerlo bruciare.
Abbassò il capo, sconsolato, tentando di coprire le guance arse per la vergogna.

Aspettò che il sole calasse, osservando il paesaggio da una finestra vicino all’alloggio di Malik, dal quale entravano e uscivano regolarmente le governanti per curarlo, ignorando completamente la sua presenza lì vicino alla stanza. Quando tutte le luci furono spente, e il silenzio calato su tutta la fortezza, Altair si avvicinò alla porta e, con delicatezza, la aprì senza fare alcun rumore.
Dovette chiudere per un attimo gli occhi, per ricacciare indietro le lacrime, anche se questo gli costava un nodo alla gola. Quello che vedeva davanti a sé sembrava peggiore del suo incubo più orrendo. La stanza che stava guardando non era più illuminata da quella serenità che ispiravano i due fratelli che l’avevano condivisa; la tristezza che vi aleggiava sembrava risucchiare la luce delle candele e della luna, facendolo sembrare più buio di quanto non fosse.
Tutto questo veniva accentuato soprattutto dalla mancanza di Kadar.
Si poteva dire che Kadar e Malik fossero le due facce di una stessa medaglia, e proprio per essere l’uno il contrario dell’altro, ma anche così simili, spesso litigavano animatamente e sembravano come se non volessero più avere rapporti l’uno con l’altro. Ma l’amore fraterno che c’era tra i due assassini era talmente forte che dopo pochissimo tempo sembravano aver dimenticato ogni angustia, e tutto ritornava come prima.
Altair ricordava che, quando i due fratelli litigavano seriamente, Malik usciva di corsa dall’alloggio per andare da lui. Riusciva a sentire i suoi passi pesanti e veloci sul pavimento pietroso dei corridoi, e senza nemmeno bussare alla porta, Malik schizzava dentro e lo abbracciava convulsamente. Erano rare le volte in cui Malik si slanciava così esageratamente, ma succedeva solo in presenza di Altair e di nessun altro. Malik riponeva in Altair una fiducia talmente grande che sarebbe difficile da spiegare con poche parole, se non dicendo che fosse il riflesso del suo amore verso l’assassino. Anche Altair amava Malik. Forse prima di quel giorno pensava a quel sentimento con superficialità. Ma in quel momento, osservando Malik dormire nel letto dove era solito dormire Kadar, con le coperte alzate fino al collo, capì che era stato uno stupido.
Tornò a maledirsi per la sua arroganza forse per la centesima volta in quella giornata, ma non ci pensò. Non pensò a nulla, se non al fatto che da quel momento in poi il suo rapporto con Malik non sarebbe stato mai più lo stesso come un tempo.
Si avvicinò al letto, e continuò a guardare l’assassino più da vicino, sedendosi su uno sgabello che usavano le governanti.
Erano state tante le volte in cui aveva passato delle notti in bianco per osservare il suo compagno dormire, stretto tra le sue braccia; e tutte quelle volte non era riuscito a fare a meno di pensare quanto potesse sembrare sereno il volto di un uomo durante il sonno, ricordando le fattezze di un viso da bambino. In quelle notti insonni, non faceva altro che delineare con gli occhi ogni particolare di Malik, cercando di imprimersi perfettamente nella mente l’immagine di lui con quell’espressione così serena.
Durante quella notte, Altair avrebbe voluto rivedere quella serenità su quel volto addormentato; ma l’espressione che delineava il viso di Malik dava l’impressione di aver vissuto i dolori dell’inferno, con ancora le sopracciglia aggrottate e le guance bagnate dalle lacrime.
L’assassino non riuscì a rimanere impassibile davanti alle conseguenze delle sue azioni, e si lasciò andare a un pianto silenzioso, coprendosi il volto con le mani, sfogando finalmente tutta la sua frustrazione e il senso di colpa.
Avrebbe voluto strapparsi la pelle con le sue stesse mani; avrebbe voluto andarsene da quella stanza che sembrava opprimerlo sempre di più, ma una forza sconosciuta lo costringeva lì, su quello sgabello, a osservare ciò che la sua arroganza aveva provocato.

Le ore passavano lente, la luce della luna piena che filtrava dalla finestra illuminando il letto vuoto accanto a dove riposava Malik.
Altair era ancora lì, seduto, a osservare il suo compagno riposare, mentre l’oscurità si attenuava piano piano per sfumare nei colori freddi dell’alba.
Se ne sarebbe dovuto andare, o si sarebbe incappato nelle governanti per svegliare Malik. Aveva vegliato sull’assassino per tutta la notte, senza mai accenni di stanchezza, con le guance ancora un po’ umide per le lacrime.
Durante quelle ore, nell’oscurità, Altair aveva pensato ininterrottamente su ciò che avrebbe dovuto fare, ma l’unica cosa su cui si era davvero convinto, in tutto il groviglio di pensieri che aveva affollato la sua mente, era che doveva farsi una ragione del fatto che non avrebbe più potuto avere il perdono di Malik.
Gli sembrava ovvio questo pensiero. Gli aveva tolto l’unica vera cosa a lui cara, e non l’avrebbe avuta più indietro.
Capì che, appena avrebbe solcato la soglia di quella stanza, ci sarebbe stata la possibilità di non rivedere mai più Malik.
Era pronto a dividersi completamente dal suo compagno?
Non lo sapeva davvero, ma sperava di avere la forza di sopravvivere senza di lui, senza la sua voce ogni giorno che gli soffiava all’orecchio e le sue labbra che gli baciavano il collo.
Era l’alba, quando Altair si alzò dallo sgabello, continuando a guardare Malik.
Non aveva più lacrime da versare, ma un vuoto grande come una voragine che gli opprimeva il petto.
Si avvicinò all’assassino steso sul letto e, con la delicatezza di una piuma, gli sfiorò una guancia con le punte delle dita, asciugando la pelle dal sudore.
Altair era sicuro, ormai, che era pronto per dividersi da lui; perché la distanza era strettamente necessaria.
Si avvicinò al volto di Malik, avvertendo il suo respiro leggero sulla pelle, e gli diede un leggero bacio sulla fronte. Rimase a osservarlo a un soffio dal suo naso e poi, vinto dal desiderio, lo baciò, avvolgendogli piano le labbra in un bacio che sapeva d’addio e di tristezza.
Si allontanò di un paio di passi dal letto, avvertendo il legno ruvido della porta alle sue spalle.
Osservò un’ultima volta il volto dell’uomo che aveva amato per tanti anni, colpito dalla flebile luce del sole che filtrava dalla finestra, prima di sparire fuori dalla stanza silenziosamente come una folata di vento invernale.
  
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