Libri > Il Circo della Notte
Ricorda la storia  |      
Autore: miseichan    01/02/2012    4 recensioni
- Posso svelarti un trucco, però – bisbigliò – Per non avere più paura -
- Io non ho paura –
- Okay – ridacchiò lui – Se mai dovesse accadere, però, puoi fare come me –
- E sarebbe? –
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
chewing gum

 

 

Chewing gum

 

 

Non mi chiamo Miranda.

Non avrebbe mai smesso di ripeterlo, mai. Non era Miranda, lei. Non lo sarebbe mai stata.

Lei era Celia. Celia. Celia… era così difficile da capire? Così difficile da accettare?

Corse fuori dalla stanza, le braccia avvinghiate al petto. Non aveva una meta, semplicemente voleva andarsene: allontanarsi il più possibile da lui, da quella situazione che non riusciva più a tollerare.

Lo sguardo basso, il piccolo cuore che batteva seguendo un ritmo forsennato: era un suono forte, che sembrava rimbombare ovunque, potente. Forse lo sentivano tutti, per quanto distanti fossero.

E poi inciampò, rovinando sul pavimento. E il cuore sembrò perdere un battito.

Non vedeva, Celia. Era certa di avere gli occhi aperti, spalancati probabilmente, eppure non riusciva a vedere.

Carponi, scrutava avidamente ciò che la circondava, o almeno tentava di farlo.

Lentamente si mise a sedere, stringendo le gambe al petto e avvolgendole con le braccia. Vi poggiò sopra il mento, cercando di rallentare il respiro… sperando di riuscire a calmarsi. Aveva come l’impressione di star poco a poco scomparendo, dissolvendosi nel buio, e la cosa non le piaceva affatto.

Serrò gli occhi, nascondendo il viso. Non era una bambina paurosa, Celia. Eppure non le era mai successo di doversi confrontare con un’oscurità così intensa, così opprimente, così devastante. Non era buio, quello.

Era qualcosa di peggio.

Celia si tormentava il labbro, imponendosi di non cedere al terrore. Frenava le lacrime, ignorando il bruciore al ginocchio: presto sarebbe passato, si ripeteva. Presto sarebbe tornato tutto a posto.

Come diceva la mamma, proprio così.

Prese a dondolarsi, piano, cedendo inevitabilmente al ricordo. Lasciandosi cullare da quella voce che così tanto le mancava, dolce, avvolgente. E si sentì chiamare Celia, con un tono talmente affettuoso che era certa nessun altro sarebbe riuscito ad imitare, mai.

- Ma sei tutta scema? -

Sussultò, spalancando istintivamente gli occhi. E, come prima, non vide alcunché.

La voce, però, l’aveva sentita. Acuta, squillante… maschile.

- Perché fai così? – chiese ancora la voce, sinceramente curiosa.

Celia non rispose, stringendo maggiormente il labbro con i denti: aveva sentito del divertimento in quella voce. Chiunque fosse la stava prendendo in giro, ne era sicura, e lei odiava essere presa in giro.

Chiuse gli occhi, forzandosi a non aprirli più. Non doveva. Non poteva.

- Io sono Marco, comunque – fece la voce, lievemente più gentile.

E Celia sentì un piccolo spostamento d’aria proprio di fronte a sé: anche senza aprire gli occhi capì che lui le si era seduto davanti. Ciò che non riusciva a spiegarsi era solo il perché.

- Perché ti agitavi a quel modo? –

- Non mi agitavo – le sfuggì, la voce tremante.

- Ti stavi dondolando – ribatté Marco – E piagnucolavi –

Celia si sentì avvampare di collera, incredula e ferita:

- Io non piagnucolo! – sillabò, scandendo lentamente. Dura.

- Come vuoi tu – si strinse nelle spalle lui – A me sembrava che avessi paura –

- E di cosa dovrei aver paura? –

- Del buio, no? – fece Marco, il tono traboccante ovvietà.

- Se tu non hai paura io non ho paura – rispose Celia, una logica intaccabile.

Marco inclinò il capo, squadrando la bambina sovrappensiero. Sospirando, infine, aggiunse:

- Io non ho paura -

- Io nemmeno – mentì Celia, riprendendo a dondolarsi impercettibilmente.

Ci fu qualche attimo di silenzio in cui uno strano rumore rimbombò fra i due, non ben identificato. Ritmico.

- Come fai a vedere? – chiese d’improvviso la bambina, pregando di non essere rimasta sola.

- Non lo so – rispose dopo poco Marco – Ci vedo –

- Vorrei riuscire a farlo anche io – sussurrò lei, accorata – Me lo puoi imparare? –

- Insegnare – la corresse Marco.

- Come? –

- Si dice insegnare – mormorò lui – Me lo puoi insegnare? – le fece il verso.

- Lo farai? –

- No –

Marco si alzò, spolverandosi i calzoni. Guardò la bambina e diede finalmente voce alla domanda che lo stava tormentando da quando l’aveva vista:

- Come ti chiami? -

- Celia – rispose lei dopo una lunga pausa, la voce carica di risentimento.

Marco annuì, facendo per andarsene. Fu all’ultimo istante che ruotò su se stesso, inginocchiandosi davanti a lei con un movimento fluido:

- Posso svelarti un trucco, però – bisbigliò – Per non avere più paura -

- Io non ho paura –

- Okay – ridacchiò lui – Se mai dovesse accadere, però, puoi fare come me –

- E sarebbe? –

- Masticare un chewing gum – rispose Marco, portando due dita alle labbra e afferrando la gomma che fino a poco prima stava masticando. Ecco spiegato il rumore.

Strinse la gomma fra le dita e le avvicinò a Celia:

- Vuoi provare? -

La bambina arretrò di scatto, intuendo le azioni di lui; il volto contratto in una smorfia, scosse più volte il capo:

- Che schifo! – esclamò – Non ci penso proprio! -

- Come preferisci – sorrise lui, rimettendola in bocca e alzandosi in piedi.

Mosse qualche passo, cominciando ad allontanarsi.

Senza girarsi sollevò una mano a mo’ di saluto e sussurrò, come una promessa:

- Sarà per la prossima volta -

 

 

Celia corse fuori dalla stanza, le braccia avvinghiate al petto.

Non aveva una meta, semplicemente voleva andarsene: allontanarsi il più possibile da lui, da quella situazione che non riusciva più a tollerare. Ora la chiamavano tutti Miranda. Ora lei era Miranda.

Come aveva potuto lasciarlo accadere?

Come aveva potuto far sì che il Circo le rubasse tutto, persino se stessa?

Si coprì il volto con le mani, cercando inutilmente di frenare le lacrime che bollenti intraprendevano la loro rapida discesa. Smise di correre, lasciandosi scivolare per terra.

Piegò le gambe contro il petto e le avvolse con le braccia, vi poggiò sopra il mento e cercò con tutta le forze di rallentare il respiro. Voleva calmarsi. Doveva.

Sentì una goccia di sangue bagnarle la lingua e si accorse di star mordendo troppo il labbro.

Allentò la presa, chiudendo gli occhi. Lasciò che la cascata di ricci le cadesse davanti, nascondendo il viso.

Non voleva più vedere, sentire, provare alcunché.

E poi sentì quella voce. La voce che aveva imparato a riconoscere.

Sussultò, pateticamente, come era successo tanti anni prima. Sentì lo spostamento d’aria dinanzi a sé ma non sollevò lo sguardo, decisa ad ignorarlo. Non aveva la forza di combattere anche con lui, non in quel momento.

- Va via, Marco, te ne prego – sussurrò, reprimendo un singhiozzo.

- No –

E il singhiozzo le sfuggì, impossibile da trattenere:

- Perché fai così? – scattò, sollevando il viso e fissando l’espressione impertinente del ragazzo – Che cosa ti ho fatto, eh? Perché non mi lasci in pace? –

Si coprì la bocca con una mano, deviando lo sguardo:

- Perché non capisci che sono al limite? – mormorò – Non riesco a sopportare altro, okay? -

- Non ti sto chiedendo di sopportare alcunché –

Celia sorrise, un sorriso amaro. Si voltò lentamente, pronta a fronteggiare la solita, immancabile, espressione di lui: espressione che non trovò. Inarcò un sopracciglio, inclinando leggermente il capo:

- E’ un sorriso, il tuo? – chiese, il tono bassissimo, quasi inudibile.

- Dovrebbe, sì –

- Tu non sorridi –

- Non puoi negare l’evidenza –

Lei allargò le braccia, come per includere lo spazio circostante:

- Hai presente dove siamo, vero? – chiese retorica – Qui tutto si può negare. Niente è evidente -

- Io mi sento evidente – ponderò lentamente Marco, masticando apertamente.

- Va via, per favore –

- Non voglio litigare – mormorò lui.

- Va via –

- No –

Lei chiuse gli occhi, rimpiangendo quel buio totale che aveva conosciuto solo una volta.

Quell’oscurità assoluta e avvolgente che non aveva più avuto modo di sentire.

- Guardami -

Lo ignorò, dondolandosi impercettibilmente.

- Celia, guardami -

Smise di muoversi, sorpresa dal suono del suo stesso nome. Celia.

Quanto tempo era che non lo sentiva pronunciare?

- Celia -

E… e c’era dell’affetto in quella voce, avrebbe potuto giurarlo. Come diavolo era possibile?

Continuò a non aprire gli occhi, per quanto difficile fosse. Lo sentì avvicinarsi, piano, con cautela.

Quando avvertì le sue labbra sulle proprie non si mosse, lasciandolo fare. Scossa da come sembrassero perfette le une per le altre, quasi fossero state create per essere unite. Sempre. Lo assaggiò, in silenzio.

Sorrise, su quelle labbra che non lo facevano mai. Su quelle labbra che lo avevano fatto per lei, poco prima.

Lo sentì allontanarsi appena, il necessario per mormorare qualche parola:

- Di cosa hai paura, Celia? -

- Io non ho paura – rispose lei dopo un attimo, poggiata a lui.

- Celia… - la pregò, mordicchiandole giocosamente il labbro inferiore.

- Di tutto – biascicò la ragazza, il battito impazzito – Vorrei andare via, scappare lontano –

Marco sospirò, baciandola dolcemente:

- Non si può, lo sai – sussurrò – Non si lascia il Circo, Celia -

- Lo so – fremé lei – Infatti ho usato il condizionale –

- Non sei sola, Celia –

- Lo sono stata fino ad ora – ribatté – E nessuno mi assicura che non lo sarò ancora –

- Non lo sei mai stata – soffiò Marco – Non era evidente? –

Celia ondeggiò all’indietro, spinta dalla forza del bacio di lui. Impetuoso.

E come era iniziato, finì. Di colpo. Inaspettatamente.

Uno spostamento d’aria e poi il vuoto.

Fu con timore che Celia schiuse gli occhi, prefigurandosi ciò che avrebbe visto e che in effetti vide: niente.

Il nulla. Il buio.

Si leccò le labbra, inumidendole appena.

Lì dove avrebbe dovuto essere Marco… rabbrividì, maledicendo se stessa e quel dannato Circo.

Il Circo della Notte. Il Circo dei Sogni.

Il Circo dove nulla è reale. Il Circo dove tutto lo è.

Sospirò, la punta fredda della paura che tornava a solleticarle lo stomaco.

E fu senza accorgersene che lo fece: masticò. Masticò una gomma. Una gomma che prima non aveva.

Posso svelarti un trucco, però.

Per non avere più paura.

Masticare un chewing gum.

Continuò a masticare, la punta fredda della paura che si allontanava.

Masticò la gomma non sua e si guardò attorno con occhi diversi.

Gli occhi di chi, per qualche inspiegabile ragione, vede in modo differente le cose.

E l’oscurità del Circo le sembrò quasi rassicurante.

Sorrise, pensando che, in fondo, quell’alone fiabesco non era così male.

La notte, i sogni, i misteri e il buio.

Sia mai che sarebbe arrivata a chiamarli casa.

 

Certo, sempre masticando un chewing gum.

 

§

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Circo della Notte / Vai alla pagina dell'autore: miseichan