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Autore: My Pride    01/02/2012    7 recensioni
Che arrogante figlio di puttana. Era quello il termine esatto per definire quel vampiro, e nessuno sarebbe riuscito a farmi cambiare idea su quella mia convinzione. La sua mente era come un covo di astrusi segreti, un luogo oscuro in cui nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di avventurarsi.
«Tornare qui dopo quanto è successo... ne hai avuto di coraggio, lupo»
«E’ proprio la caratteristica che ti è mancata quel giorno, succhiasangue»
[ Nathan Doe Point Of View ]
[ Spin off della storia «Under a bloody sky» ]
[ Seconda classificata e vincitrice del Premio Correttezza al contest «Anche i vampiri hanno sentimenti... o no?» indetto da BlackIceCrystal ]
Genere: Generale, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'St. Louis ~ Bloody Nights'
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Worst choice
[ Seconda classificata e vincitrice del Premio Correttezza al contest
«Anche i vampiri hanno sentimenti... o no?» indetto da BlackIceCrystal ]


Titolo:
Worst choice [ Bloody moon ]
Autore: My Pride
Categoria: Originali › Sovrannaturale › Vampiri
Tipologia: One-shot [ 3784 parole [info]fiumidiparole ]

Personaggi principali: Nathan Doe, Giselle Storr, Miguel Rodríguez
Genere: Generale, Vagamente Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale
Rating: Giallo / Arancione
Prompt scelti: 6. Rabbia, 23. Orgoglio, 26. Arroganza
Avvertimenti: Accenni Slash, Missing Moment, Linguaggio a tratti un po’ colorito, Vagamente Non per stomaci delicati
Nota: Questa storia è uno spin off della storia Under a bloody sky e fa indirettamente parte della serie St. Louis ~ Bloody Nights, collocandosi subito dopo la one-shot Nightmare in red. Essa verrà inoltre raccontata da un altro dei protagonisti principali della long fiction, ovvero Nathan Doe.


DISCLAIMER:
All rights reserved © I personaggi presenti in questa storia sono tutti maggiorenni e mi appartengono, dal primo all'ultimo. Sono comunque frutto di pura immaginazione. Ogni riferimento a cose e persone realmente esistite e/o esistenti è puramente casuale.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 License.



WORST CHOICE [ BLOODY MOON ]

    Aspettare ogni singolo giorno, per più di settecento anni, che giungesse l’ora del crepuscolo per poter uscire allo scoperto doveva essere un vero e proprio strazio.
    In quanto licantropo io non avevo di quei problemi, ma quasi mi domandavo come avesse fatto Lewis a resistere per tutto quel tempo senza impazzire. Io stavo diventando matto ed erano passate soltanto poche ore da quando il sole aveva cominciato a calare oltre l’orizzonte, ed ero certo che se avessi continuato ad andare avanti e indietro in quel dannatissimo giardino avrei scavato un bel buco nel terreno, rovinando così anche il prato.
    Ad attendere in mia compagnia, c’era anche Giselle che, seduta sulle scale del portico a gambe unite, sbadigliava di tanto in tanto mentre mi osservava con distratta svogliatezza, sorreggendosi il viso sul palmo di una mano. Aveva un’aria alquanto annoiata, e fu con quello stato d’animo nella voce che mi richiamò, interrompendo bruscamente la mia camminata. «Ce la fai a star fermo per soli cinque minuti, Nathan?» mi domandò, sbuffando pesantemente. «Sei snervante».
    Le scoccai appena una rapida occhiata, aggrottando le sopracciglia. «Nessuno ti ha chiesto di startene qui fuori con me, mi sembra», rimbrottai, già nervoso di mio senza che ci si mettesse anche lei. Quella stessa mattina, prima di coricarsi nella bara che tenevo stipata in cantina, Lewis mi aveva raccomandato di non andarmene in giro fino a quando non si fosse svegliata, ma non era mai stata la mia caratteristica migliore quella di attendere. Avevo dunque passato una buona fetta della giornata a raccogliere informazioni e a parlare con chiunque avesse avuto o intrattenesse ancora rapporti con quel tipo, Dante, non cavandoci un ragno dal buco. Sembrava quasi che tutti, nessuno escluso, temessero quel vampiro, e in fin dei conti un po’ li comprendevo. Avevo avuto la sfortuna di conoscerlo e di incontrarlo per ben due volte, e avevo ben visto cos’era capace di fare; nemmeno  Miguel e Lewis erano riusciti a contrastarlo.
    A richiamare la mia attenzione fu un nuovo sbuffo da parte di Giselle. Si era alzata in piedi sulle scale e osservava distrattamente oltre l’orizzonte, persa con lo sguardo  in un punto indefinito ma perfettamente vigile. «Continuare ad andare avanti e indietro non risolverà le cose, cugino», mi tenne presente, abbassando lo sguardo su di me prima di arcuare un sopracciglio. «Quindi porta le chiappe dentro e aspetta con me il risveglio di Lewis. Mezz’ora in più di attesa non ti ucciderà di certo», soggiunse sarcastica, dandomi la schiena per entrare per prima.
    La osservai scomparire oltre la soglia, però non la seguii. Sapevo che in fin dei conti aveva ragione, ma ne andava del mio maledettissimo orgoglio. L’ultima volta mi ero lasciato mettere i piedi in testa da quel vampiro da strapazzo, non riuscendo a concludere nessuna trattativa con lui a causa della lotta furiosa che avevamo ingaggiato. E Lewis quello scherzetto non l’aveva perdonato a nessuno dei due. Forse era anche per rimediare che avevo intenzione di incontrarlo da solo, chi poteva dirlo.
    Un forte aroma di caffè mi giunse alle narici come uno schiaffo in pieno viso, ridestandomi ancora una volta dalla moltitudine dei miei pensieri. Fu proprio quella la causa del mio rientro, giacché avevo davvero bisogno di qualcosa di forte che mi desse la carica e mi tenesse sveglio. In verità avrei preferito sfogarmi in ben altri modi - ormai da parecchio tempo una corsa sotto la luna mi sembrava la soluzione migliore per scaricare i nervi, vista la notte di plenilunio appena trascorsa -, ma sapevo che come cosa non era fattibile. Mi sarei dunque dovuto accontentare di una dannata tazza di caffè corretta con del liquore, non c’era altro da fare.
    Mi diressi verso la cucina con uno sbuffo e gettai un’occhiata a Giselle, intenta a mescolare con un cucchiaino lo zucchero che aveva riversato nella tazza di caffè. Ricambiò il mio sguardo con occhi torvi, accennando appena con il capo la macchinetta abbandonata accanto al lavandino. «Prendine un po’ e va’ a sederti, dobbiamo parlare», mi disse, ma decisi di lasciarla momentaneamente perdere per dirigermi invece verso il mobiletto posto contro il muro di destra.
    Aprii uno sportello e mi chinai a mezzo busto, però aggrottai subito la fronte nel rendermi conto che mancava qualcosa. «Che diavolo di fine ha fatto la mia bottiglia di brandy?» sbottai, alzando lo sguardo su mia cugina. Stava sorseggiando tranquilla il proprio caffè, con in viso un’espressione assolutamente disinteressata.
    «Non so proprio di cosa tu stia parlando», rimbeccò, facendo finta di non aver capito. Razza di piccola strega. «Vedi piuttosto di sederti, Nathan, io e te abbiamo una lunga chiacchierata da fare».
    «Smettila di comportarti come se fossi mia madre, Giselle», sbuffai, richiudendo il mobiletto con un colpo secco e ignorando al contempo il tremolio che sconquassò il vetro. Al diavolo anche quello, dannazione. «Tanto so già che cosa vuoi dirmi, e la risposta è sempre la stessa».
    Giselle trasse un lungo sospiro e si ravvivò qualche ciocca di capelli dietro alle orecchie, posando la tazzina prima di alzare lo sguardo su di me e fissarmi con attenzione. I suoi occhi verdi non presentavano più quella sfumatura dorata che li caratterizzava con l’avvicinarsi della luna piena, simbolo che la sua bestia si era ormai assopita. Magari avesse fatto lo stesso anche la mia e se ne fosse andata a nanna, accidenti a lei. «Se sai già cosa voglio dirti, allora spiegami perché sei così idiota da non seguire il mio consiglio».
    Feci per aprire bocca e ribattere, ma mi fermai ancor prima che le parole potessero uscire dalle mie labbra. Perché non volevo seguire il suo consiglio? Bella domanda, avrei detto. Il problema era che non lo sapevo neanch’io il dannato motivo. Mi ritrovai dunque a grattarmi dietro il collo con lieve disagio, borbottando qualcosa fra me e me prima di replicare, «L’alfa sono io e so io cos’è meglio fare, non ti devo nessuna spiegazione».
    «Tu sei un cretino, ecco cosa sei», rimbeccò lei. «Questa storia dell’alfa ti ha dato alla testa».
    Nel sentirla, aggrottai le sopracciglia, fissandola attentamente in viso. «Non parlarmi così, donna».
    «Altrimenti cosa fai, caro il mio alfa?» mi domandò sarcastica, e la vidi distintamente assumere un’espressione più che scettica. «Tu vuoi soltanto far vedere che vali qualcosa, Nathan, ma questa storia ti farà finire con qualche pallottola d’argento in corpo, ne sono sicura», soggiunse in tono grave, come se d’un tratto avesse voluto ricordarmi che la situazione in cui ci eravamo cacciati era tutt’altro che semplice. «Non devi dimostrare niente a nessuno, razza di stupido».
    Non dovevo dimostrare niente a nessuno? Dannazione, era il mio orgoglio quello che ci era andato di mezzo, se non l’aveva capito. Forse per lei poteva sembrare un motivo tutt’altro che intelligente, ma nel nostro mondo, nel mondo sovrannaturale in cui lei non aveva la benché minima intenzione di entrare a far parte per quanto fosse una licantropa, voleva significare molto. E io non volevo apparire come un vigliacco. «Se cercassi di spiegartelo non capiresti», mi limitai a dire, e senza attendere repliche le diedi le spalle, afferrando le chiavi della mia Impala prima di uscire fuori casa e fiondarmici dentro.
    Sentii i passi di Giselle nell’ingresso, poi la sua figura si stagliò sulla soglia della porta. «Dove hai intenzione di andare?» mi domandò in tono adirato, sebbene in cuor suo sapesse perfettamente che intenzioni avevo.
    Misi dunque in moto, gettandole appena un’occhiata. «Se non dovessi tornare prima dell’alba, tu e Lewis non azzardatevi a venirmi a cercare lì», le intimai, fissandola attraverso il finestrino aperto con estrema attenzione. «E’ un ordine del tuo alfa, Giselle, ed è valido anche se ci lascio le penne».
    Con i pugni chiusi e rossa in viso per la rabbia, sbottò, «Non contarci, coglione».
    E tanti cari saluti al mio essere alfa in famiglia.

 
 
    Le otto e mezza di sera.

    Erano solo le maledettissime otto di sera e il sole ancora non si decideva a scomparire del tutto per lasciar spazio alla notte. Avevo lasciato casa mia esattamente un’ora addietro, stanco di stare a sentire tutte le prediche a cui mia cugina aveva ben pensato a dar fiato. Sapevo che cosa facevo, non avevo bisogno che fosse lei a ricordarmi che avrei potuto cacciarmi nei guai. In famiglia l’alfa ero io, dunque avrebbe dovuto lasciarmi agire come meglio credevo senza mettermi i bastoni fra le ruote. Ero a conoscenza del fatto che reagisse così solo perché mi voleva bene, però da un po’ di tempo a quella parte avevo deciso il da farsi e niente avrebbe potuto farmi cambiare idea. Ormai ero in ballo e dovevo ballare, non c’erano scuse che avrebbero retto. Ed era proprio per quel motivo che mi trovavo fuori al Night Club di quel vampiro da strapazzo, osservando le persone che attendevano in fila già da tre buoni quarti d’ora. C’era chi controllava di  tanto in tanto l’orologio e sbuffava, chi saltellava su un piede e su un altro per sgranchirsi le gambe ormai addormentate, e chi parlava semplicemente al telefono con aria annoiata, scoccando qualche occhiata più avanti per vedere se la fila era avanzata.
    Mi ritrovai a sbuffare e ad abbassare lo sguardo per fissare le mie scarpe, giocherellando con le chiavi che avevo nelle tasche del pantalone. Quasi mi domandavo chi me l’avesse fatto fare di andare in quel fottuto posto, ma qualcosa, dentro di me, aveva preteso che lo facessi. Non avevo la benché minima idea di cosa fosse, però ero sicuro che incontrando Miguel sarei potuto arrivare a capo di quella dannata situazione.
    Assorto com’ero nei miei più disparati pensieri, non mi accorsi che qualcuno mi si era avvicinato fino a che non mi poggiò una mano su una spalla, facendomi sussultare; volsi bruscamente lo sguardo nella direzione di quel nuovo venuto, riconoscendo Dominique - o forse era Paul, il suo gemello? -, una delle guardie del corpo di Miguel. Non riuscivo a concepire il fatto che due lupi mannari lavorassero per un vampiro - quel vampiro, nello specifico -, ma, ehi, io ero l’ultimo che poteva permettersi di proferire anche una sola parola. Non ero forse amico di uno di quei maledetti succhiasangue? «Il senõr Miguel ti stava aspettando», mi disse, accigliandomi. Come diavolo aveva fatto a capire che ero lì?
    Deglutii e lo osservai attentamente in viso, decidendo semplicemente di annuire. Le domande le avrei fatte in seguito, forse. Cominciai dunque a seguire quel licantropo quando mi fece lui stesso un cenno, guidandomi verso una porta secondaria sul retro del locale. Attraversammo uno stretto corridoio dalle luci rosse e intermittenti, svoltando sulla destra per ritrovarci così nel bel mezzo del Night Club; la musica era assordante e il prepotente odore di tabacco mi impregnava le narici, ma era quello del liquore a farmi vorticare la testa per la gran quantità presente.
    «Da questa parte», mi richiamò in tono duro, e distolsi lo sguardo dalla clientela per continuare a seguirlo, arrivando finalmente dinanzi all’ufficio di Miguel. Dominique, Paul o chiunque egli fosse, bussò brevemente tre volte prima di aprire, senza aver atteso nessuna una risposta dall’interno; con un nuovo cenno del capo mi invitò ad entrare, attendendo che oltrepassassi la soglia prima di richiudere la porta alle mie spalle.
    Sebbene avessi già visto in precedenza quell’ufficio, non potei fare a meno di guardarmi intorno, soffermandomi specialmente sulla moquette, che a quanto sembrava era stata cambiata. L’ultima volta era impregnata del sangue di Miguel, ed ero stato io stesso a ferirlo. Un gesto idiota, a detta di Lewis e Giselle, ma non ero proprio riuscito a frenarmi. Nel farlo avevo provato una sorta di gioia selvaggia, e al solo pensarci mi sembrava ancora di sentire il penetrante sentore di ruggine di quel liquido vermiglio che mi aveva sporcato le mani e le labbra.
    «Tornare qui dopo quanto è successo», mi accolse freddamente una voce, e solo in quel mentre ricordai il motivo per cui ero andato fin lì. Alzando dunque lo sguardo mi ritrovai faccia a faccia con Miguel che, seduto sulla poltrona dietro alla scrivania, mi osservava con quei suoi occhi vuoti e ciechi. Per quanto sapessi che non avrebbe potuto vedermi, sembrava quasi sondare la mia anima con essi, tanto che avvertii un brivido corrermi lungo la schiena. «Ne hai avuto di coraggio, lupo».
    A quel dire aggrottai le sopracciglia, alzando persino un po’ il mento con superiorità prima di fissarlo insistentemente senza che lui facesse una piega. Che arrogante figlio di puttana. Era quello il termine esatto per definire quel vampiro, e nessuno sarebbe riuscito a farmi cambiare idea su quella mia convinzione. Da quando l’avevo conosciuto non aveva fatto niente per farmi credere il contrario, né tanto meno si era mai sforzato di comportarsi in modo del tutto diverso da come era solito fare. La cosa peggiore era che sembrava esserne piuttosto compiaciuto, o almeno a me aveva sempre dato quell’impressione. Era infatti alquanto difficile capire con esattezza se l’essere etichettato con quell’aggettivo gli desse fastidio o lo riempisse di spropositato orgoglio, giacché secondo Lewis nessuno, per più di settecento anni, era mai riuscito a capire cosa passasse per la testa di quel tipo. E se proprio dovevo essere sincero con me stesso, beh, potevo benissimo capirli. La sua mente era come un covo di astrusi segreti, un luogo oscuro in cui nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di avventurarsi. Allora io che cazzo ci facevo lì con lui?
    Deglutii senza volerlo, dandomi mentalmente dell’idiota prima di fare qualche passo verso di lui con aria di sfida. «E’ proprio la caratteristica che ti è mancata quel giorno, succhiasangue», replicai schietto, vedendolo serrare le labbra in una linea sottile. Un basso ringhio soffocato si levò dalla sua gola, chiaro simbolo che le mie parole l’avevano irritato. Beh, problemi suoi. Non ero andato lì per darla vinta a quel vampiro da strapazzo, stavolta.
    Miguel poggiò le mani sul bordo della scrivania e si alzò in piedi, aggirando quell’unico ostacolo che ci divideva; con il solo ausilio del suo udito si diresse verso di me, fermandosi esattamente a pochi passi. Nonostante gli occhi azzurri fossero opachi e inespressivi, da quella distanza ebbi quasi l’impressione che in essi ardesse la fiamma dell’ira. Con quell’espressione in viso e quel sentimento negli occhi appariva così superbo! «Dimmi cosa ti ha spinto a venire fin qui senza la tua preziosa accompagnatrice, lupo», rimbeccò, decidendo volutamente di ignorare le mie parole.
    Certo che parlasse di Lewis, mi ritrovai a sbuffare. «Non ho bisogno di qualcuno che mi copra le spalle per affrontare un succhiasangue del tuo calibro, vampiro», sbottai, e nello stesso istante in cui finii di parlare, lui allungò fulmineo una mano verso di me e mi afferrò per il collo, impedendomi di respirare con regolarità.
    «Stai scherzando con il fuoco, lupo», soffiò pacatamente, per quanto il suo viso apparisse arcigno e nervoso. «Apprezzo il tuo coraggio, per quanto esso sia stupido, ma anche la mia pazienza ha un limite», soggiunse, aumentando la stretta intorno al mio collo. Portai immediatamente le mie mani sulla sua nel tentativo di fargli allentare la presa, provando al tempo stesso di riprendere fiato; mi sentivo la gola in fiamme, come se lui stesso la stesse ustionando, e la cosa non mi piaceva per niente. Possibile che fossi davvero così debole? «Se non vuoi finire tu stesso in una bara, presto o tardi, ti converrebbe non fare più simili idiozie. Ti pentiresti nello scoprire quanta rabbia si porta dietro un vampiro una volta abbandonato il suo status umano».
    Aprii la bocca e trassi un lungo sospiro, o almeno per quanto concessomi, abbassando poi lo sguardo per osservarlo in viso. Rabbia? Da quel che ne sapevo, i vampiri non erano in grado di provare alcun tipo di sentimento. Forse Lewis era l’eccezione alla regola, non ne avevo la benché minima idea e probabilmente non volevo saperlo nemmeno con esattezza, ma se era realmente così... che diavolo significava l’espressione quasi addolorata che sembrava essersi dipinta sul viso di Miguel? Oh, dannazione. Che andassero al diavolo tutte le credenze sugli specchi, sui sentimenti e sulla mancanza dell’anima, accidenti. «Vaffan...culo, succhiasangue», sussurrai poi a mezza voce, sentendolo stringere maggiormente le dita. Affondò le unghie nella mia carne con furore, e non potei trattenermi dal farmi sfuggire un lugubre lamento; cercai di allontanarlo ancora una volta, graffiandolo a sangue sui dorsi delle mani, ma lui sembrò non fare assolutamente una piega, come se non lo stessi minimamente scalfendo.
    Fu lui stesso a lasciarmi qualche attimo dopo, scaraventandomi a terra; rotolai sulla moquette e restai riverso di schiena, tossendo e massaggiandomi il collo indolenzito. Con lo sguardo provai al tempo stesso a non perderlo di vista, trovandolo ancora immobile allo stesso posto. «Non ho voglia di giocare con te, lupo, quindi vedi di andartene», mi disse poi in tono di superiorità, ed ero certo che, se non fosse stato cieco, anche i suoi occhi avrebbero assunto quella stessa sfumatura. La sua arroganza sembrava trasparire ad ogni respiro che compiva, e a determinarlo non era soltanto la postura che aveva assunto; sembrava che egli stesso emanasse una sorta di boria sconfinata, dovuta in special modo all’altezzosità con cui continuava a guardarmi dall’alto in basso. Per quanto non ci vedesse, mi sentivo trapassato dai suoi occhi, come se sotto il suo sguardo fossi nudo ed inerme, un povero derelitto che aveva osato sfidare la sua grandezza.
    Tossii ancora una volta e scossi energicamente il capo sulla moquette, quasi volessi schiarirmi i pensieri. Dannazione, perché diavolo mi ritrovavo a pensare a quelle cose? Mi rimisi in piedi con una certa fatica, passandomi una mano sulla fronte stranamente sudata. «Non sono venuto per giocare, succhiasangue», ci tenni a precisare, e restai interdetto e scioccato nel vedere l’improvviso cambiamento della sua espressione: dapprima fredda e impassibile come quella di una statua di marmo, essa si distese per dar vita ad una quasi accondiscendente, quasi fosse alquanto divertito dalla situazione che si era venuta irrimediabilmente a creare.
    Una sua risata risuonò sinistramente nelle mie orecchie, e raggelai nel rendermi conto che si trovava dietro di me. Quando diavolo c’era arrivato? «La mia chica non te l’ha mai detto che ho un debole per i licantropi, lupo?» mi domandò sottovoce, con tono suadente e delicato. Se non avessi avuto la certezza che stesse tentando di incantarmi con i suoi poteri vampireschi, probabilmente ci sarei cascato. E me ne sarei anche rimasto immobile se quel succhiasangue non avesse avuto l’ardire di far scivolare una sua mano lungo la mia schiena, arrivando a sfiorare con i polpastrelli delle dita le mie natiche.
    Esterrefatto e disgustato, gli rifilai una gomitata nello stomaco e lo allontanai da me, ristabilendo poi io stesso le distanze per trovarmi il più possibile fuori portata. «Non osare più toccarmi con quelle sudicie mani, vampiro», sibilai, digrignando i denti e arricciando il naso, cominciando al tempo stesso a ringhiare per fargli capire che le mie intenzioni erano tutt’altro che amichevoli.
    Lo vidi sollevare appena un angolo della bocca in un sorriso, socchiudendo parzialmente le palpebre prima di trarre un lungo sospiro fintamente sconsolato. «Basterebbe lasciarsi andare una singola volta, lupo», mormorò con voce accattivante. «Le gioie del sangue e della carne non ti sembreranno più gli stessi».
    «Non. Osare. Toccarmi. Mai più», sillabai adirato, ignorando le parole che mi aveva appena rivolto. Non volevo sottostare ai suoi perversi giochetti, giacché la cosa, oltre a farmi rivoltare lo stomaco, provocava in me una bizzarra sensazione che non avevo la benché minima intenzione di chiarire o tentare anche solo di comprendere. Però lui, se possibile, allargò maggiormente il sorriso. Senza prestar minimamente ascolto alle minacce che gli avevo rivolto contro, compì qualche altro passo nella mia direzione, allungando una mano per afferrarmi il mento; le sue dita fredde sembravano fatte d’acciaio, e mi serrarono la mascella in una morsa, così da impedirmi di distogliere lo sguardo. Ero riuscito a cogliere il suo movimento, però non avevo fatto niente per arrestarlo... che diamine mi stava succedendo?
    «Sei come una rosa che deve ancora sbocciare, lupo», sussurrò. «Vuoi mostrarti indipendente ma non ci riesci, frenando al tempo stesso il tuo vero io». Inspirò a fondo con la bocca, chinandosi alla mia stessa altezza. «E pensare che sarebbe così semplice farla finita qui e adesso, lasciandoti andare ai sentimenti che scorrono nell’animo di entrambi».
    Prima ancora che potessi ribattere, imprecare o fare comunque qualsiasi cosa, sentii le labbra di quel vampiro posarsi sulle mie, e sgranai gli occhi non appena il mio cervello comprese ciò che stava succedendo. Gli artigliai le spalle con entrambe le mani e provai a scansarlo immediatamente da me, sentendolo infilarmi con la forza la lingua in bocca; con un ringhio sommesso lo colpii al petto e, sebbene si fosse allontanato da me barcollando, vidi distintamente sulle sue labbra l’ombra di un sorriso.
    «Che cazzo pensavi di fare?!» esclamai fuori di me, afferrandolo per il colletto della bella camicia pregiata che indossava. «Che cazzo pensavi di fare, dannato succhiasangue?!»
    Miguel si umettò le labbra con la lingua, poggiando una mano sul mio polso prima di ghermirlo con una presa ferrea; con uno scatto felino mi fece mollare i suoi vestiti, piegandomi il braccio dietro alla schiena e strappandomi al tempo stesso un lamento rabbioso. «Niente che tu non volessi che io non facessi, lupo», mormorò, lasciandomi andare con la stessa velocità con cui mi aveva afferrato prima di portarsi esattamente dinanzi a me, quasi volesse guardarmi in viso.
    Io, però, mi passai un braccio sulla bocca e sputai a terra, indietreggiando verso la soglia. «Va’ all’inferno, vampiro», gli soffiai contro in tono sconvolto, sapendo in cuor mio quanto quella mia maledizione fosse perfettamente inutile. «Va’ all’inferno e restaci».
    Le mie gambe si mossero ancor prima che il mio cervello potesse mandare dei segnali ai nervi, e in men che non si dica uscii da quell’ufficio, riattraversando il corridoio parzialmente illuminato seguito dalla sinistra risata di Miguel, che sembrava rimbombarmi insistentemente nelle orecchie; con il cuore a mille e la testa che scoppiava, fui finalmente fuori all’aria aperta, respirando il fragrante odore della notte che si disperdeva nei dintorni e mi solleticava le guance accaldate. Che cosa diavolo mi era successo? Quel maledetto vampiro mi aveva rimescolato l’animo, e quel che era peggio era che mai e poi mai mi sarei comportato in quel modo, in altre situazioni.
    Mi toccai le labbra un’ultima volta, gettando un’occhiata veloce all’insegna di quel Night Club nella parte bassa di St. Louis che, di lì a poche ore, sarebbe stato chiuso e avrebbe riposato durante il giorno insieme al suo proprietario. Con quella mia improvvisata non avevo risolto nulla, ma ero almeno giunto ad una stramba conclusione: in una sola nottata, Miguel era riuscito laddove molte donne avevano fallito, e la cosa mi faceva tremendamente incazzare. L’unico problema era che non ero poi così sicuro che mi dispiacesse davvero come volevo far credere a me stesso.
    Forse solo il tempo sarebbe riuscito a chiarire quel mio dubbio. Beh, almeno lo speravo. Per il momento sapevo soltanto che andare lì era stata una pessima scelta.




_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia è stata scritta per il contest “Anche i vampiri hanno sentimenti... o no?” indetto da BlackIceCrystal e si è classificata Seconda vincendo il Premio Correttezza.
Sono gasata per l’aver finito questa storia, anche se non è niente di che. Come già accennato nello specchietto introduttivo, essa è lo spin off della long fiction Under a bloody sky, facente parte della serie St. Louis ~ Bloody Nights, ed erano secoli che avevo in mente un risvolto Slash tra Miguel e Nathan *Ridacchia* Nel racconto a capitoli avevo accennato qualcosa, certo, ma non mi ci ero mai soffermata; il contest mi ha dato l’opportunità di farlo, e devo dire che non mi sarei mai aspettata che venisse fuori una cosa del genere.
Ho così potuto spiegare un lato di Nathan che non sono mai riuscita a mostrare, e la cosa mi ha resa molto felice. Lui è il tipico maschio dominante, o almeno crede di esserlo; cerca difatti di imporre il proprio volere sulla cugina non riuscendoci affatto, e non vuole fare i conti con il lato nascosto che è in lui.
In realtà è insicuro e nutre un certo interesse per i vampiri, in special modo gli esemplari maschi, ma non vuole ammetterlo a se stesso e ciò lo porta dunque ad odiare profondamente anche Miguel, che ha simili tendenze e non ha paura di mostrarle, così come non teme affatto di mostrare i propri sentimenti per quanto egli stesso non sia realmente sicuro di provarne in quanto vampiro. Lui comunque, al contrario di Nathan, ha la strana tendenza di baciare qualsiasi essere vivente *Ride*
Spero che la storia sia piaciuta.  ♥



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