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Autore: ManuBach96    01/02/2012    2 recensioni
Anno 58 a.C., Gallia. Accursio è solo un ragazzo eduo quando il suo villaggio viene ripetutamente attaccato dal malvagio Ariovisto, condottiero suebo a capo dei Germani, proclamatosi re della Gallia e nemico di Roma, con la quale gli Edui sono da tempo alleati. Il ragazzo si ritrova così a dover affrontare con suo padre e uno sparuto gruppo di altri intrepidi guerrieri un futuro a cui non era stato preparato, un futuro che lo vedrà al fianco delle legioni di Caio Giulio Cesare ma che lo porterà un giorno a dover compiere una terribile scelta.
A tutti voi la possibilità di scoprire queste intense vicende.
Recensite numerosi!
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Primo capitolo di un racconto che si prospetta molto avvincente. Siete pronti a tornare indietro nel tempo? Bene, allora si comincia! E quando tornerete nel ventunesimo secolo, ricordatevi di farmi sapere che cosa ne pensate con una recensione! Grazie e buona lettura a tutti quanti.


Prima Puntata. Una innocenza punita

Non erano un popolo bellicoso. Si dedicavano principalmente alla coltura, meno alla cacciagione e ben poco alla guerra. I loro figli crescevano sani e ben nutriti, mentre i boschi fornivano la legna necessaria per trascorrere l'inverno in un dolce tepore domestico. In quel villaggio gli Edui vivevano felici con le proprie famiglie. Correva l'anno 58 a.C. e, a parte qualche scaramuccia con gli Arverni e i Sequani, quello era stato un periodo abbastanza tranquillo. Un periodo ideale affinché il piccolo Accursio crescesse, si divertisse e apprendesse i mestieri. Si prostrava dunque davanti agli Edui una lunga epoca di pace e prosperità. O almeno, così erano convinti in molti.

Quella mattina Accursio era stato mandato dal padre Segeste a cogliere erbe per le medicine. All'interno della tribù egli era forse l'uomo più importante, siccome era il medico del villaggio ed era l'unico a conoscere un po' di latino. Secondo lui ciò era fondamentale: gli Edui erano da tempo alleati con Roma, e i Romani erano grandi politici e conquistatori che in quegli anni erano prosperi in tutto. Il latino poteva tornare molto utile in qualsiasi momento. Spendeva talmente tanto tempo nelle sue primarie occupazioni che molte volte doveva chiedere una mano di aiuto da parte di sua moglie e di suo figlio, il quale adesso stava ultimando la raccolta e presto si sarebbe accinto a tornare a casa. Il ragazzino, poco più che dodicenne, era cresciuto ben lungi dalle preoccupazioni e dalle tensioni che molti altri popoli avevano in quel periodo; amava le passeggiate, il sole e la musica, sebbene in tutto il villaggio non esistesse altro che qualche tamburo di legno e un carnyx, strumento a fiato esistente sin dal III secolo a.C., nel quale il soffio percorreva all'interno un lungo tubo metallico obliquo per poi uscirne da un'apertura superiore, con la figura di una testa di cavallo, che curvava fino a essere parallela al suolo. Il suono che ne fuoriusciva era gradevole ma monotono, dunque alla lunga stancava. Ma a ciò non badava il giovane Accursio, che, nei pochi momenti liberi del padre, si era fatto dare qualche rapida lezione e in breve tempo aveva imparato a suonarlo, tanto che qualche volta si recava in giro per il villaggio a dilettare qualche famiglia con la sua bravura. I giorni passavano e la tribù continuava a vivere con questa serenità di cui, per una volta, voleva approfittare, poiché sapeva bene che, come tutte le cose, anche questa se ne sarebbe prima o dopo andata. Ogni cosa si presenta e poi fugge via: la felicità, la prosperità, la vita stessa. Questi erano alcuni insegnamenti che il padre dava ad Accursio. Egli li ascoltava e li accettava quasi senza pensarvi, poiché era convinto del fatto che le parole dei genitori fossero la verità più pura, e la verità stessa una cosa rara. Faceva tesoro di ogni esperienza.

Attraverso i boschi stava ultimando la raccolta di erbe per i decotti di suo padre, che gli aveva mostrato le differenze tra le varie piante. Cercava con cura, e quando trovava una bacca di quelle che il padre gli aveva mostrato al villaggio la infilava in una piccola cesta, quando invece si accorgeva di averne presa una che non conosceva non esitava a ripiantarla alla meno peggio. Non la rigettava a caso, perché rispettava la natura. Si chinò, ma dando una rapida occhiata alla posizione del sole notò che era quasi esattamente sopra di lui; da ciò evinse subito che era mezzogiorno, e che quindi sarebbe dovuto tornare a casa. Smise di cercare, si rialzò, si spolverò la veste e, dopo aver preso in mano la cesta, si avviò verso il suo villaggio, dal quale vedeva in lontananza ergersi un'alta colonna di fumo. Doveva essere certamente il fuoco con il quale veniva cucinata la carne, pensò il ragazzo, d'altronde in quelle ore tornavano di solito gli uomini che erano andati a caccia. Non dette troppo peso al fatto che un fuoco normale non avrebbe dovuto produrre una colonna così scura e così alta; probabilmente si trattava di qualcos'altro, per esempio un sacrificio immolato agli dèi. Del resto bisognava pur propiziare il raccolto dell'anno successivo, e non vi era modo migliore di questo. Comunque sia, Accursio affrettò il passo. Non voleva di certo fare impensierire la sua tribù, sempre indaffarata in varie faccende. Tuttavia più si avvicinava al villaggio più sentiva silenzio, e ciò al contrario gli sembrò molto strano; vi era sempre un allegro vociare che si sentiva anche da più lontano, ma quel giorno non si riusciva a sentire niente. Volle subito capirne il perché. In quel punto il sentiero creava una grossa duna, per questo motivo era impossibile vedere al di là, dunque Accurso si avvicinò e in poco tempo si portò sulla sommità. Alzò lo sguardo e le sue palpebre si spalancarono, le sopracciglia cedettero ai lati esterni e le labbra si discostarono l'una dall'altra, lasciando quasi intravedere la porzione inferiore dei denti da latte. Si guardò intorno, spaventato, e questa volta realizzò. Il fumo scuro che si vedeva in lontananza: pensò per un istante a esso. E capì. Si mise a correre, e lasciò cadere la cesta, il cui contenuto si riversò tra le pietruzze del terreno; la stessa cesta ruzzolò per la discesa del dosso. Accursio si muoveva il più velocemente possibile, con il cuore che batteva forte in gola, e giunse alla palizzata del suo villaggio, dove non trovò più la sua amata distesa di erba verde. Trovò il fabbro con una spada stretta nella mano destra. Il ragazzo gli si avvicinò, ma l'uomo non sembrava reagire. Era disteso per terra, coperto di sangue, morto. Accursio mosse la testa rapidamente in tutte le direzioni; il carpentiere, l'artigiano, un contadino... tutti morti. Timidamente fece qualche passo avanti, osservando quella strage, quando improvvisamente inciampò e cadde, urtando con il gomito sinistro sul terreno. Si guardò indietro. Inorridì. La testa mozzata di un vecchio lo fissava con i suoi occhi vitrei, pallidi, sbarrati, e la bocca era spalancata in una smorfia agghiacciante. Accursio levò un urlo straziato e si risollevò in piedi e corse ancora, tentando di volgere lo sguardo in una porzione di spazio ove non vi fossero cadaveri e sangue, ma tutto ciò gli fu impossibile. Finché i suoi occhi non caddero di sfuggita su una figura femminile con dei capelli neri. Si arrestò, e li guardò intensamente. Subito gli sovvenne con crudele amarezza che li conosceva bene. Pregò affinché non fosse ciò che sembrava e ciò che in verità era, ma non poteva sbagliarsi. Furono la prima cosa che vide nei dodici anni della sua esistenza. Il cuore gli esplose, gli occhi divennero lucidi e bagnati, le lacrime sgorgarono come mai prima d'ora. Subito il cielo si rannuvolò. Subito il tenero fanciullo fece un breve ma intenso respiro. Subito si mise a correre verso quei capelli neri. Subito gridò e pianse.
- No! Madre!
 

  
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