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Autore: SummerRestlessness    02/02/2012    1 recensioni
Cinque brevi storie di abbandoni e in un certo senso sul potere delle parole, dette e non dette, ispirate dalla canzone Stay degli Hurts.
E un accenno di What If? vagamente (più che vagamente) Dramionesca nel finale.
“’Cause all my life I felt this way, but I could never find the words to say STAY”.
Le lettere iniziali di ogni capitolo, in ordine, formano una specie di sottotitolo della storia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Non sa nemmeno quanto tempo è passato dalla battaglia di Hogwarts, dall’ultima volta che si sono visti, quando se lo trova davanti. Un po’ perché ha voluto dimenticarsi di tutto quello che è successo quel giorno, anche se alla fine il Bene ha trionfato. Un po’ perché avrebbe voluto dimenticarsi anche di lui, della sua espressione mortificata, di quel taglio obliquo che gli segnava una guancia, di quella sua maglietta blu lacera e sporca nascosta in parte dal mantello. Dei suoi occhi vuoti.

Ma soprattutto della solidarietà e dell’empatia che aveva provato nei suoi confronti. Avrebbe voluto dimenticarsi del fatto che in quel momento aveva sentito proprio lui più vicino di tutti: più vicino di Harry, che aveva lo sguardo perso di un bambino che ha combinato un guaio troppo grande per essere perdonato dai suoi genitori, anche se alla fine tutto si è risolto; più vicino di Ron, che stava vivendo un dolore troppo grande per essere espresso o condiviso da un’altra persona; più vicino di chiunque aveva combattuto quella battaglia e ora si ritrovava a festeggiare la vittoria. Semplicemente più vicino.

E tutta quella vicinanza le aveva fatto paura, una paura immensa.

Perché per un attimo, solo per un attimo, per la precisione quando lui l’aveva baciata, o lei aveva baciato lui, adesso non importava, aveva pensato di aver sbagliato tutto. I pilastri delle sue convinzioni avevano tremato, così come le sue mani appoggiate con i palmi sul petto di lui. Tutto quello che pensava di conoscere, tutte le nozioni che la facevano sentire così preparata, così al sicuro anche quando al sicuro non era affatto, erano crollate insieme al suo buon senso quando lui l’aveva stretta a sé. Più vicino.

Aveva avuto bisogno di respirare forte, per ritornare in sé. Per smettere di tremare e di avere paura. Per asciugare quella lacrima che le scendeva su una guancia e che non ricordava di aver versato.

Non era stata in grado di guardarlo negli occhi, quando dopo pochi secondi si era voltata e se n’era andata. Da allora non l’aveva più visto. Neanche lui l’aveva cercata. Perché avrebbe dovuto, dopotutto?

Ma ora lui è lì, in piedi davanti a lei, con la stessa maglia blu sgualcita e scolorita che indossava quel giorno che le aveva fatto tanta tenerezza, chissà perché. Che le aveva fatto venire voglia di abbracciarlo e di promettergli che sarebbe andato tutto bene. Quella maglia che adesso le sta facendo ritornare in mente come si era sentita, cosa aveva provato in quel momento… e dopo. Solo ora capisce che dopo non c’è stato più niente, che non ha più provato niente, per tutto quel tempo. Quei pochi secondi, quel giorno, erano stati come un buco nero che risucchia tutto ciò che ha intorno, passato, presente e futuro.

Lui fa un passo verso di lei, la osserva attentamente, si muove piano come se avesse paura di spaventarla, o che lei possa scappare. Ancora. Quando arriva abbastanza vicino, anche se non è abbastanza, accenna un sorriso mesto, dice “Ehi.”

E poi succede qualcosa. Lui si sporge un po’ e fa come per abbracciarla. Lei si sposta subito di riflesso.

Sono quell’unica stupida parola e quel gesto insensato che la risvegliano dall’apatia in cui sembra essere caduta. Non c’è niente di cui avere paura, è solo Malfoy. Il ragazzino che non ha avuto il coraggio di uccidere Silente, che non aveva il coraggio di affrontare nessuno senza avere due guardie del corpo in miniatura al suo fianco. Il ragazzino che lei stessa una volta aveva persino schiaffeggiato, perché si era accorta di quanto fosse tutta una messinscena quella sua aria da duro e lo stare sempre dalla parte sbagliata. Paura, pura e semplice paura.

Ha la voce un po’ più roca di quando era ragazzino, ma i lineamenti sono gli stessi e fisicamente è solo un po’ più alto e un po’ meno magro. I capelli sono gli stessi, anche se adesso sono più corti e pettinati quasi a spazzola e non gli cadono più sugli occhi…

… gli occhi. Gli occhi invece sono diversi. E non è solo che è cresciuto. Una volta erano duri come la pietra, o forse era solo il colore che suggeriva la similitudine. Ora sono quasi… sereni. Calmi. Pacati.

Gli fa un mezzo sorriso, ma non risponde. Non gli concede troppo, non vorrebbe ricascare nell’errore di poco prima. Lui sembra stupito dal suo silenzio, ma continua senza perdere il sorriso: “Ti trovo bene”.

Non scherza. Non ha aggiunto “Granger” o “mezzosangue” alla frase. Non ha quel suo solito sorrisetto ironico dipinto sulla faccia. E mentre pronuncia quelle poche parole lei si chiede perché abbia dovuto dire così. Perché con quel tono. Perché abbia dovuto rimettere quella maglia, perché abbia dovuto essere sulla sua strada quel giorno, perché si ostini a farle provare quella paura…

“Hai intenzione di dire qualcosa o… ti devo offrire un caffè per spillarti due parole?”

È tutto così strano, pensa lei. Lui così serio, che le parla come se fossero amici, come se non si vedessero dal giorno prima. Poi ci pensa meglio. Pensa a quel saluto e al suo tono confidenziale e innaturale, quasi come se fosse preparato, pensa al suo sorriso misurato, al tono controllato, alle sue mani tenute nelle tasche fino a poco prima… le sue mani...

Gliele guarda e capisce di avere ragione: tremano. E allora si ricorda.

Ogni volta che ha fatto quella strada per tornare a casa dal suo lavoro da un anno a quella parte lui c’era. Poteva essere un passante nascosto dietro ad un paio di occhiali scuri, o il ragazzo seduto sulla panchina con un giornale in mano e un berretto a coprirgli i capelli biondi. O un paio di occhi grigi che la seguivano dalla vetrina del bar all’angolo. O quella macchina con i vetri scuri che ha rallentato per non passare in una pozzanghera e bagnarla. E lei lo sapeva. Lo ha sempre saputo, ma non se n’era mai accorta davvero: almeno non con quella parte di lei che aveva costantemente paura di rivederlo, cioè quella che controllava tutti i suoi pensieri e le sue emozioni e le censurava, non facendole provare più niente.

Ma c’è sempre un modo per ricominciare. Hogwarts è stata ricostruita, dopo la battaglia finale, ma non hanno più usato la pietra per erigerla. Ora la scuola è quasi completamente fatta di vetro, per merito di un incantesimo che la nuova preside Minerva McGranitt ha voluto usare per ricordare a tutti che anche ciò che sembra più solido e maestoso può essere distrutto in un attimo. E che ciò che resta deve essere luminoso, trasparente e leggero, perché si possa andare avanti.

E ora che non sa più cosa pensare, dire o fare perché ha nella mente troppi pensieri e parole intrappolati, troppi gesti arretrati e troppi… sentimenti di cui non sa più cosa farsi. E allora fa la cosa più naturale, l’unica che in quel momento le riesce: gli sorride. Poi gli va più vicino e con tutta la voce che le è rimasta, che è poco più di un sussurro gli dice: “Un caffè va bene”.

Poi si volta e sempre sorridendo fa per allontanarsi, ora che si sente più luminosa e più leggera, pronta a ricominciare, ma sente che dietro di sé lui è rimasto immobile. Allora rifà i pochi passi che li separano, gli prende la mano e lo tira a sé, più vicino.

   
 
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