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Autore: Ale_R    03/02/2012    0 recensioni
Una storia dell'unità d'Italia vista diversamente da quella storica; un diario di uno dei 1000 che in poche pagine vi porterà all'interno di questa storia...
Genere: Guerra, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’Unità d’Italia
Vista da chi l’ha vissuta.
 
 
L’Italia, chi lo avrebbe mai detto?
Mi ricordo quando in passato ero confuso da quello Stato di cui non capivo la forma o i confini; per me tutto era Italia.
Lo era la casa vicino a casa mia e le montagne, il mare. Non esistevano i Paesi stranieri, è come parlare di Marte, luoghi lontanissimi.
Crescendo poi le cose sono cambiate: fin dalle elementari ho imparato i fiumi, i laghi e le montagne, le città, le province e la capitale: Roma.
Sono sempre stato affascinato da questa città ricca di storia dove, credo, sia ancora possibile respirare l’aria della storia e del successo; perché per me Roma è fonte di successo; vedo Roma come l’hanno vista prima di me grandi autori come Pirandello e d’Annunzio.
Ed è certo che l’Italia per formarsi ne ha dovuta fare di strada e mi sembra ancora strano sentire in giro delle voci che parlano e gridano parole vuote insinuando che la Nazione che tanto affascina Stati lontani non è unita; io penso solo ad una parola: ubbidisco.
Quando Garibaldi disse questa parola, credo che avesse la voce tremante, ma nel frattempo orgogliosa perché era stata quella stessa voce a dare gli ordini in quei mesi del 1860, ordini che avevano portato la liberazione del nemico a Sud e l’unificazione di quello stivale.
Ma l’obiettivo dell’uomo era un altro: voleva Roma, la città dei papi e degli imperatori, per far tornare l’Italia lo splendore di un tempo.
E quindi a volte mi chiedo:
- E se Garibaldi non avesse dato i territori del Meridione al re? Se lui, ostinato, avesse deciso di continuare la spedizione fino alla santa città?-.
No, non conosco la risposta, ma posso immaginare i fatti di quell’epoca immedesimandomi in una camicia rossa, in un ligure contemporaneo dei fatti, il cui nome si è smarrito nel tempo: Andrea Deddi.
 
È il primo Novembre 1860, l’incontro a Teano tra il generale e il re non è avvenuto, lui non ha voluto. Quando dico lui parlo dell’uomo che ha organizzato tutto questo, che ha incitato i contadini alla rivolta contro i Borboni. È un grand’uomo come se ne vedono pochi in questo tempo, ma tanto è forte quanto ostinato.
Vuole puntare ai papi, sicuro che nessuno lo fermerà: povero illuso!
Io la ricordo la potenza francese nel’58 arrivare in Piemonte, a Torino, e poi ripartire verso il Lombardo per aiutare la nostra causa: volevamo prendere quei territori! Quel giorno ero corso insieme alla mia famiglia nella capitale per vedere le truppe francesi prepararsi a fare guerra agli austriaci.
Come posso dimenticare gli sguardi fieri di quegli uomini guidati dal nipote dell’Imperatore (Napoleone III, nipote di Napoleone Nda), quegli sguardi che si spegneranno nella pianura Padana, quegli sguardi che se adesso tornassero in Italia non risparmierebbero neppur un singolo uomo. E se puntiamo a Roma, io lo so, ne sono certo, Napoleone III non aspetterà un minuto per attaccarci, devasterà il Piemonte come il Mezzogiorno; devasterà come ha fatto suo nonno sessant’anni prima.
Garibaldi è un illuso a credere che potrà arrivare sano alla città, lo fermeranno e con lui anche noi che lo seguiamo.
Francesco II della famiglia dei Borbone è fuggito, ma so bene che al confine con il sacro stato ci aspetterà un esercito che neppure il nostro generale ha mai visto, né qui, né in America.
Eppure non sento la paura nel nostro esercito improvvisato, sappiamo tutti che non giungeremo alla meta, però continuiamo ad avere la speranza di un miracolo, di una vittoria inaspettata.
Alla fine nessuno avrebbe né creduto né scommesso una Lira nell’impresa che Garibaldi si accingeva a compiere nel Maggio di questo stesso anno.
E se Cavour lo facesse questo miracolo? Se il nostro caro ministro lassù nella capitale riuscisse davvero a fermare i francesi già assettati di sangue? Sì, il nostro sangue.
Sì! Potrebbe succedere che tutto ciò accada e che dopo chissà quanto si possa fare l’Italia!
Ho fiducia nei ministri del regno, nei nostri ministri.
E forse sì, per Natale sarò di nuovo a casa, a Lavagna, nella mia bella Liguria, a riabbracciare mia moglie e i miei compaesani che quando seppero che partivo col generale mi diedero già per spacciato; invece no, tornerò urlando:
- Sono qui! Sono vivo! Sono vivo! L’Italia è fatta!-
E mi vedranno come un eroe che torna dalla guerra vittorioso e anche ricco.
E certo, ricco! Garibaldi ci ha promesso terre,  soldi e, per chi vuole, anche un ottimo posto nell’esercito sabaudo.
Sara, mia moglie, ed io, potremo finalmente avere altri figli da mantenere senza preoccuparci di cosa gli daremo da mangiare; non ci sarà più la fame in questa Italia!
Sarebbe bellissimo vivere in un nuovo Stato, tutti insieme e tutti riuniti come oramai da secoli non era più.
Ma se invece tutto ciò non accadesse? Se Cavour non riuscisse a fermare le truppe francesi? Ecco: allora sì che sarebbe un vero problema, probabilmente senza uscita.
Le vedo già le truppe imperiali, le vedo di nuovo, davanti a noi a farci guerra forti e possenti, non lasciando nemmeno un superstite; tutti noi morti flagellati per la loro vendetta: una vendetta insensata.
Come se fosse colpa degli italiani se molti loro compagni sono morti in Lombardia pochi mesi fa. No, non è colpa mia come non è colpa del milanese o del veneziano se ancora oggi, nottata di questo giorno che muore del 1860, l’Italia non è unita e libera dall’invasore.
Dicono che il re stia tentando di fermare il generale in tutti i modi possibili. Forse anche lui ha paura dei francesi? Lo credo plausibile: tutti hanno paura dei francesi!
Ma Garibaldi no, lui è ostinato e vuole puntare a Roma.
La mia paura più grande è che l’imperatore francese decida di far intervenire Vittorio Emanuele II al posto suo in questa guerra; creare una guerra italiana dove i fratelli lottano tra di loro; forse alcuni di loro non lo faranno, io per primo non lo farò; non potrei mai guardare il sangue di un mio fratello sporcare le mie vesti, quel sangue lo terrei sul cuore come un peccato incancellabile. Se rimanessi vivo dopo tutto questo passerei la vita a rimpiangere quella vita che ho spezzato.
Alla fine non combattiamo tutti per una stessa bandiera? Per quel tricolore che infiamma i nostri cuori e i nostri spiriti?
Preferirei decisamente che Garibaldi si arrendesse all’idea che Roma non potrà mai essere nostra, che rimarrà sempre un territori di contesa; non nego che anch’io amo l’idea di vederla come città italiana, capitale del nostro regno come vuole lo stesso nostro generale e probabilmente anche il nostro re lassù nel Piemonte; come non nego che sogno e lo sognano tutti i miei compagni di questa avventura un’Italia padrona dell’Europa e del mondo intero; ma so bene che ciò non accadrà mai.
L’Italia è piccola e frammentata, debole politicamente e schiava delle brame straniere, ora però qualcosa sta cambiando, l’Italia cerca l’Italia, vuole essere unica e forte.
Se adesso io sono qui e combatto è perché la mia famiglia ha bisogno di questo; ammiro e invidio tutte le altre potenze Europee unite e forti, dove la vita è migliore della nostra; se adesso io combatto è per i miei figli, loro dovranno vivere in uno Stato migliore, in un regno migliore, dove non esisterà più il sardo, il ligure il toscano e il napoletano;ma ci sarà  solo l’italiano che poi potrà essere calabrese o lombardo o della sua regione.
Mio padre prima di me si era illuso di un’Italia unita e forte, io adesso la voglio fare questa Italia unità e forte.
Io non sono più il pescatore ligure che pescava per poi vendere al mercato la propria merce, oggi sono il soldato che ha un solo, grande obiettivo: l’unità di Italia; e io la voglio fare quest’ Italia.
Però ora basta sognare, basta pensare a tutto questo. La vita va vissuta e la guerra combattuta, io da parte mia vado a dormire, domani si riparte e arriveremo, forse, al confine papale; chissà cosa ci aspetta.
*
 
Camminando qua, in mezzo agli altri soldati noto che non sono l’unico che ha capito l’inutilità dell’impresa che stiamo per compiere: c’è del malcontento tra le truppe ma il generale finge di non vederla.
Abbiamo paura e la paura sta già giocando dei brutti scherzi.
Alcuni di noi, stamattina, si sono dati alla fuga, “traditori” li ha chiamati lui, io li compatisco e li capisco, vogliono tornare a casa per stare con la propria famiglia in quelle che potrebbero essere le ultime ore o gli ultimi giorni dell’Italia prima che torneremo ad essere vassalli dei francesi. Bene o male io ci devo passare dal Centro per tornare a casa e quindi non mi va di fare il codardo e scappare: quando ho seguito Garibaldi sapevo bene dove andavo e cosa sarebbe successo. Non ha mai promesso che sarebbe stata un’impresa facile, ma parte di questa si è conclusa. Adesso siamo l’ultimo atto.
A causa della fuga e di altri avvenimenti interni, oggi non ci muoveremo e probabilmente nemmeno domani: Roma può aspettare.
Ho paura di una guerra civile, di una guerra che possa coinvolgere tutti noi portandoci nella tomba; ho paura di non poter mai più rivedere lo sguardo e il sorriso di Sara, di non poterla toccare ed essere fiero di lei, perché Dio è stato sinceramente generoso con me, mi ha donato una donna fantastica che amo con tutto me stesso; se adesso morissi qui, in questa terra che è pur sempre Italia, ma comunque lontana da casa mia beh, chiedo solo di poter tornare al Nord per essere sepolto nella terra dei miei padri.
Però anche se morissi qui forse non sarebbe male. Alla fine ho combattuto per questa terra così straniera e selvaggia, ma che adesso è l’Italia solare e quotidiana; ho combattuto per questa terra e probabilmente morire qui sarebbe comunque positivo; perché questa terra è anche mia, anch’io ho combattuto per averla e quindi sarebbe degna di avere la mia salma tra le sue braccia: ho portato qui l’Italia civile e bella cacciando i barbari spagnoli.
Ma forse io sogno troppo, vedo già un’Italia riunita mentre ciò ancora non è avvenuto e chissà se mai avverrà! E pensare che la nostra impresa si sarebbe dovuta concludere giorni fa, nel momento in cui il generale e il re si fossero incontrati, ma ciò non è accaduto e quindi ecco che continuo a combattere, io che alla fine sono semplicemente un pescatore ligure. Quanti corpi ho dovuto calpestare per essere ancora qui, vivo e pronto a una nuova battaglia; corpi di cittadini italiani come me che semplicemente vivevano a proprio agio sotto il dominio dei Borboni; li posso incolpare per questo? Posso dire che sono dei traditori perché non hanno sposato la causa italiana? No, non posso.
Loro come me hanno combattuto per una causa che credevano giusta, difendere la propria patria. Perché alla fine siamo noi gli invasori; sì, effettivamente è così.
È da un po’ che ci penso e anche i sogni non mi aiutano: continuo a vedere corpi di soldati cadere morti ai miei piedi, sofferenti, ma felici perché hanno combattuto fino alla fine per una libertà; la loro. Ma non sto combattendo anch’io per la loro libertà? Per creare uno stato democratico e basato sull’uguaglianza e la fratellanza, valori base della rivoluzione francese? E allora mi chiedo, se io combatto per loro perché loro invece di essermi grati mi attaccano e cercano la mia sconfitta? La nostra sconfitta!
Ovviamente non tutti: molti contadini sono nostri alleati  ma non tutto il regno meridionale sembra felice del nostro arrivo.
E quindi alla fine loro muoiono come vorrebbe morire un qualunque soldato e padre di famiglia: difendendo il proprio stato e la propria prole.
Ogni volta che mi lascio andare a questi pensieri soffro e vorrei tornare a casa mia lasciando Garibaldi, e lui solo, a combattere per questa diavoleria che lui chiama “il sogno romano”. Ma non lo faccio, e non lo farò. Non posso tradire i miei amici all’interno di questo nostro bizzarro esercito perché pochi di noi sono abili nel maneggiare un’arma mentre noi altri, me compreso, cerchiamo di fare ciò che possiamo: io sono abituato a usare un rastrello.
Vedo molta più unità in questo esercito che nel nostro futuro regno, dove già in passato vi sono stati combattimenti e varie lotte; e sono certo che adesso che anche il Sud si è unito al nostro Nord la situazione potrà solo peggiorare, ma come ho già detto ho fiducia in Cavour.
Ho sentito dire che il nostro caro ministro sta organizzando un piano per fermarci, ma in qualunque caso la mia decisione l’ho presa, spero solo di portarla avanti fino alla fine: nel caso di uno scontro con un esercito, o sabaudo o francese, io non combatterò, io come altri qui. Ho preso questa decisione perché l’Italia deve essere fatta di concordia e non di litigi, per non dire guerre, su qualsiasi motivo.
Come possiamo oggi sognare uno stato democratico formato da amicizia, unione e intesa se facciamo la guerra tra noi?
Che poi, la guerra, non è necessaria, non lo è mai stata ma sembra che l’uomo si diverta a farla senza capire quante vittime vengono mietute ad ogni combattimento. Io ho visto, e ne ho sofferto, amici a cui mi ero legato sparire in mezzo alla polvere.
La guerra è devastante per tutti, anche per noi soldati: ho assistito in questi mesi a scene raccapriccianti compiute da uomini onesti e buoni, scene che non scorderò mai nella mia vita che oramai non so quanto durerà.
L’Italia, chi lo avrebbe mai detto?
Quand’ero piccolo mio padre mi prendeva in braccio e mi raccontava che l’Italia un giorno sarebbe stata uno Stato unito e forte dove tutti i cittadini avrebbero combattuto per difenderla dagli invasori che avrebbero provato a turbare questa tranquillità.
Non più francesi né austriaci avrebbero avuto il coraggio di affrontare una simile potenza.
E all’interno? Beh, l’Italia era destinata alla perfezione riprendendo i valori che la rivoluzione ci ha portato: l’eguaglianza di tutti gli uomini senza disparità di diritto, la fratellanza di tutti i cittadini, che avrebbero dato del proprio per aiutare chi aveva bisogno, ma soprattutto la libertà di non avere più paura di chi ci circonda, di ciò che si pensa, di ciò che si vuole.
Ecco, io voglio un’Italia così perché è per questo che oggi sto combattendo.
 
*
 
Oggi è il compleanno di mio figlio Vittorio, che compie un anno.
Lo scorso 4 Novembre è nato e gli ho posto questo nome perché desideravo un figlio di pari valore del mio re; quel re giusto e forte che ci porterà via da qui.
Ci sono buone notizie: il re e Cavour sono riusciti a far ragionare il generale che ha parlato con i suoi soldati.
Ha capito. Ha capito che non vogliamo continuare questa battaglia e ha deciso di fermarsi qui, a poco meno di trenta chilometri dal confine papale.
Entro fine mese torneremo a Torino e da qui poi ci smisteremo: ognuno tornerà alla propria dimora.
Il mio sogno si è realizzato: Sara, sto tornando da te.
 
*
Quanti festeggiamenti qui nella capitale.
Garibaldi ha ceduto le terre al re qualche mese fa e oggi, 17 Marzo, si fa festa per l’unità,  l’Unita d’Italia!
L’Italia, chi l’avrebbe mai detto?
Mio padre sarebbe fiero di me quanto lo è il re di ciascuno di noi anche se la gioia più grande viene da Sara che è in dolce attesa. Sorrido quando ci penso, ma è così: tra qualche mese nascerà il primo Deddi italiano e non solo sabaudo.
Sono felice nel sapere che ho dato un contribuito allo Stato; adesso tocca allo Stato dare un contributo a me e alla mia famiglia.
 
*
 
È questa la storia di Andrea, soldato e pescatore che ha combattuto per il nostro Paese, ma che poi ha fallito miseramente; e sì, perché alla fine tutte le promesse a lui fatte non sono state mantenute e nulla è cambiato.
E quanti come lui ieri e oggi? Quanti hanno combattuto per un sogno che sogno è rimasto e che probabilmente sogno lo è ancora adesso.
   
 
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