-Autore : Laleith
-Titolo : Oksyumoron.
-Pacchetto/ o Prompt : IV- Russia
-Rating : Arancione
-Avvertimenti : Lime
-Introduzione: Un palazzo riapre le sue porte ad un mondo in cui i vivi
si
fingono morti e i morti vivi.
Dal testo:
Quelli, quegli occhi, erano
la vita che per tanto tempo era rimasta celata al grande Palazzo.
Quella donna sembrava
incarnare perfettamente l’ossimoro che era
la Russia. Era ghiaccio bollente.
« Tu non dovresti
essere qui. »
-Note dell’Autore: N.d.A.
Oksyumoron.
Erano anni che quei corridoi
non vedevano la vita.
Marmo e oro ovunque. La
lucentezza di quei materiali era quasi
fastidiosa, mentre il vociare civettuolo di donne facoltose riempiva
l’aria di
parole vuote.
Come gli occhi di quei
servi, improvvisati camerieri.
Il Palazzo
d’Inverno era sempre stato una sfida per gli zar.
San Pietroburgo non era mai
stata una delle città adatte alla
famiglia imperiale. Malviventi e lupi non erano vicini adatti allo
sfarzo
reale. Affatto. I vetri rotti e le serve ferite ne erano stati la prova.
Era stato semplice decidere
di abbandonare la città al suo
destino, rendendo vani i pochi tentativi della Famiglia di stabilirsi
in quel
freddo luogo ghiacciato.
Gli anni erano passati: i
servi, abbandonati a loro stessi,
erano impazziti. Non una casa, non un pasto caldo. Le finestre
sbarrate, le
porte bloccate. Solo quelle mura verdi e bianche, impenetrabili. Non
era
restato che morire.
Ma poi, a prendersi beffe
delle vite di chi aveva perso tutto,
erano ricomparsi.
Come se quella
città non sperasse in altro che nel loro ritorno.
Avevano aperto le porte, le finestre, reclutato anime senza speranza e
aspirazioni. E ora eccoli lì, a ostentare sfarzo e lusso, in
quel mondo
schifosamente bianco, dall’aspetto puro, ma che poggiava le
fondamenta sul sangue.
Sangue gelato nell’attesa che una di quelle finestre
crollasse, che una porta
si aprisse.
Nelle vesti pulite della
servitù, Alexander osservava con
distacco i volti di chi lo sorpassava senza notarlo, come se si fosse
trattato
di una statua di terza classe, non abbastanza bella da meritare
attenzione, né
per suscitare sdegno negli animi dal senso estetico più fine.
Eppure non era difficile
distinguerlo. Gli occhi neri del
ragazzo facevano a gara con il luccichio delle decorazioni dorate. Quelli, quegli occhi, erano la vita che
per tanto tempo era rimasta celata al grande Palazzo.
Lo sguardo di Alexander si
abbassò, di fronte all’ennesimo volto
indifferente, rincorrendo gli intricati disegni del pavimento. Stava
per
perdersi in quei motivi, quando una grande gonna bianca
entrò nella sua
visuale, coprendo la sua distrazione. Risalì la stoffa
pregiata, perdendosi per
un attimo nel corpetto troppo stretto della giovane donna che lo
indossava. La
pelle di questa sembrava un tutt’uno con quel candore che
nascondeva e lasciava
immaginare. Le labbra, di un rosso sorprendente, erano appena
arricciate in un
sorriso scettico, come le sopracciglia arcuate lasciavano intuire,
sebbene una
chioma rossa sembrasse nasconderle. Quella donna sembrava incarnare
perfettamente l’ossimoro che era la Russia. Era ghiaccio bollente.
« Tu non dovresti
essere qui. »
Il velluto della sua voce lo
riscosse, mentre si rendeva conto
che il brusio delle donne era scomparso per un breve, intenso, attimo.
« Temo di non aver
compreso. », rispose dopo qualche attimo di
smarrimento.
« Tu non dovresti
essere qui. », ripeté come se fosse stata la
cosa più ovvia del mondo.
« E dove dovrei
essere, mia Signora? »
« In mezzo ai
vivi. »
Il ragazzo
allargò leggermente gli occhi, mentre la ragazza sistemava
il tessuto sulle sue gambe.
« Non rispondere
che lo sei già, perché si vede che non lo
pensi. », aggiunse prima che Alexander potesse anche solo
pensare di continuare
quella conversazione.
« Mia Signora,
vorrei poterle riferire quello che davvero penso,
ma non sono autorizzato a farlo. Pensare non mi è concesso.
»
«
Peccato. Neanche a me. Donna.», aggiunse con una scrollata
di spalle. Alexander la osservò affascinato.
Era come se ogni gesto della ragazza fosse un incantesimo
che escludeva
il mondo: la testa diventava leggera, la stanza indefinita, le voci
inconsistenti.
Alexander
chiuse gli occhi, un solo attimo e, quando li
riaprì, lei era già pronta a varcare la porta che
lui affiancava.
«
Lucinda. », si presentò porgendo la mano guantata
fino al
gomito.
Non
seppe secondo quale strana reazione lo fece, ma avvolse
il palmo di lei in una stretta delicata, portandolo poi alle labbra e
presentandosi.
Un
lampo di soddisfazione attraversò gli occhi castani della
dama, mentre con un gesto di estrema pudicizia ritraeva la mano e
varcava la
porta della sala da ballo.
Gli
invitati si trovavano già al suo interno, pronti al
discorso di benvenuto della Zarina Anna. Un augurio per la nuova
capitale della
Russia, improvvisamente pronta per risollevarsi.
Alexander
lasciò la sua postazione all’ingresso per
mischiarsi alla folla di camerieri che dovevano servire e riverire i
ricchi
ospiti.
Dovette
mordersi le labbra più volte, a sangue, per evitare
di pensare.
Fu
proprio mentre tentava di mantenere una maschera
imperturbabile di fronte all’ennesima fonte di fastidio, che
intravide una
chioma rossa lasciare furtivamente la sala. Quella strana sensazione di
leggerezza lo avvolse nuovamente e, senza accorgersene, si
ritrovò a seguire
quella gonna bianca che giocava dietro le porte.
Dopo
l’ennesima corsa per scorgerla di nuovo, si bloccò
al
centro di una sala illuminata solo da un camino di marmo acceso. Le
fiamme
creavano ombre dall’aspetto inquietante sulle pareti
ricoperte di libri. Non se
ne curò, raggiungendo Lucinda alle spalle.
«
Mi annoiavo. »
La
semplicità con cui pronunciò quelle parole
risvegliò
Alexander da quel sogno a occhi aperti.
Provò
l’impulso di allontanarsi di un passo, notando la
troppa vicinanza, ma non lo fece.
La
ragazza continuò a dargli le spalle, osservando con
interesse le fiamme. Affascinata da esse, non sembrava accorgersi di
aver
affascinato lui.
Il
profumo di miele gli entrò nel naso e compiere un passo
verso quella pelle fu quasi d’obbligo. Immerse il viso in
quei capelli ramati,
avvolgendole un braccio attorno alla vita. La sentì ridere,
mentre con la mano
andava a cingergli il collo.
«
Ti è permesso pensare, adesso? »
«
Se avessi pensato, non avrei mai osato metterle le mani
addosso, mia Signora. »
«
Lucinda, Alexander. Chiamami Lucinda. »
Alexander
iniziava a credere che quel nome fosse magico.
Mentre sfiorava, provocatrice delicata, i suoi capelli, aveva sentito
la sua
anima tremare a quel nome. Eccitata. Spaventata. Forse entrambe.
«
Perché non dovrei essere qui, Lucinda? », chiese
stringendosela
contro. Poteva essere una donna tanto fredda e calda al tempo stesso? Come ghiaccio bollente.
«
Perché sei vivo. »
«
Anche gli altri lo sono. »
«
No… Tu sei vivo. »
«
… Ed è un bene? »
Artigliò
il corpetto con mani da predatore, lottando con se
stesso per non mancarle di rispetto. Inspirò profondamente
il miele dei suoi
capelli, mentre il corpo glacialmente
bollente di lei sembrava l’unica cosa viva oltre a
lui.
«
Non lo è, Lucinda. Sono sempre stato vivo tra i morti,
finché non ho dovuto fingere di essere come loro. Ma sai
quanto sia difficile
sembrare esanime quando avverti ogni muscolo lottare per vivere?
»
La
fece improvvisamente voltare verso di sé, affondando
entrambe le mani nei suoi capelli e avvicinandola sempre di
più. Lucinda
fissava lussuriosa le sue labbra. Le stesse che mostravano i segni
sanguinanti
dei suoi denti.
«
Troppa vita. »
Con
i suoi di denti, la ragazza sfilò il guanto, lasciandolo
ricadere sul tappeto.
«
Tu sai quanto è dura fingersi vivi…»
Carezzò
col pollice i solchi ancora sanguinanti sulle sue
labbra, sporcando il proprio dito.
«…
quando si è morti?»
Con
un gesto fulmineo portò le gocce di sangue alla lingua e
le gustò.
Sotto
lo sguardo assottigliato di Alexander, Lucinda chiuse
gli occhi. Quando li riaprì, occhi affamati lo fissavano.
Con
una forza inaspettata, lo fece volare fin sopra il divano
dietro di lui. Con una velocità sorprendente, lo
sovrastò sedendosi su di lui.
Non
urlava Alexander. Non chiedeva pietà.
Le
artigliò, invece, le gambe fredde, rafforzando la presa
quando lei leccò i canini scintillanti.
La
guardò fisso. Un invito a rendersi viva mentre inclinava
la testa, lasciando che il colletto della camicia non celasse la sua
vena più
pulsante.
«
Peccato che tu abbia questo fantastico odore
di vita…»
Il
naso freddo della ragazza carezzò tutta la pelle che
partiva dall’orecchio e arrivava alla clavicola, facendolo
rabbrividire
calorosamente. Come se fosse stata ghiaccio
bollente.
«…
sarebbe stato bello trasformarti in un morto che
si finge vivo.»
Alexander non le rispose.
Tutta la sua vita stava già
raggiungendo la lingua bramosa di lei, come a provare che la vita,
prima o poi,
viene strappata via da un essere senza anima.