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Autore: Fiorels    03/02/2012    59 recensioni
“Bè, se cambi idea, questo è il mio numero” ammiccò con un occhiolino a cui risposi semplicemente con un'alzata di sopracciglia.
“Dubito... ma… grazie..” borbottai mentre, goffamente, uscivo dalla stanza senza nemmeno salutarlo come si deve.
Ma in fondo che importanza aveva?
Tanto non avrei rivisto quel ragazzo mai più né tanto meno mi sarebbe servito il suo numero, era quello che pensavo scendendo le scale, inconsapevole di quanto fossi lontana dalla verità.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Oooookay, salve gente :) Sono una frana con le introduzioni quidi abbiate pazienza.
Visto che 'Broken Road' è ormai alla fine vi propongo questa nuova, piccola storia con davvero poche pretese. Stavolta mi sono buttata su qualcosa di più "leggero" (tra virgolette) cercando di sfruttare generi di situazioni che mi piacciono. Okay, lo so che non state capendo niente e in effetti non c'è bisogno che capiate al primo capitolo XD
L'inizio della storia è ancora un pò lento anche perchè l'ho iniziata mesi fa e nel frattempo il mio stile è cambiato. E' strano ma rileggendo mi sono resa conto di come avrei scritto determinate cose in modo diverso se l'avessi iniziata ora, ma quel che è fatto è fatto e comunque ho davvero pochissimi capitoli pronti di questa storia quindi non è un dramma se i primi faranno più schifo del seguito XD lol
Coooooomunque, proprio per questo motivo inizio a dire già da subito che non avrò un giorno fisso per postarla visto che sono davvero incasinata con l'università, ma volevo comunque lasciarvi qualcosa prima di terminare ufficialmente l'altra, giusto per farvi sapere che non morirò XD Ahahaha
Intanto mi impegno a cercare di portarmi avanti il più possibile :)
Okay, basta. Magari vi lascio al capitolo per ora e ci sentiamo in fondo per qualche altra nota.
Buona lettura! *-*






Capitolo 1
 

Adrenaline

 

“Mi raccomando, fatti sentire. Non sparire..”
Alzai gli occhi al cielo. “Sì, papà” lo tranquillizzai come facevo sempre e la sua smorfia fece intendere che non credeva al mio tentativo di tenerlo buono.
“E vieni a trovarmi quando vuoi, il biglietto te lo pago io. Magari a Natale...”
“Dai papà, poi vediamo. Mancano cinque mesi a Natale!”
“Lo so, è che… ancora non mi sono abituato a non averti a casa, anche se sono passati cinque anni. Vorrei vederti girare per casa e prepararmi qualcosa di commestibile.”
Risi prendendo le sue mani tra le mie, un gesto che non spesso mi concedevo dati i nostri caratteri restii a sdolcinate dimostrazioni d'affetto, ma in quel caso potevo anche decidere di sciogliermi un po' per fargli capire quanto fosse importante per me che lui fosse felice.
Quando un mese fa gli avevo proposto di passare il mese d'Agosto insieme la sua emozione aveva attraversato persino la cornetta che da cinque anni separava Forks da Los Angeles. E ora, ora gli stavo dicendo che mi era stato offerto uno stage, anche retribuito (sebbene di poco), per i mesi di Agosto e Settembre così da prepararmi al praticantato che avrei dovuto iniziare ad Ottobre.
Onestamente, finito il college e neo-laureata, avrei davvero preferito passare un mese di relax senza fare altro che leggere, passeggiare o anche solo dormire. Completo e totale relax era una prospettiva decisamente migliore all'essere intrappolata nell'assolata e afosa Los Angeles per tutta l'estate; ma era pur sempre un'occasione, qualcosa che avrebbe arricchito il mio curriculum e che di certo non poteva recar danno.
Sì, restare era la decisione giusta.
“Verrò a Natale, papà. Promesso! Magari anche prima...” sorrisi scrollando le spalle. Lui ricambiò mostrando un timido sorriso sotto i baffi per poi attirarmi a sé e stringermi in un nostro tipico abbraccio. Sentito ma non da film melodrammatico.
“In bocca al lupo, Bells. Sono… sono orgoglioso di te… e so che te l'ho già detto ma... Ti voglio bene.”
Sapevo quanto fosse difficile per lui esternare i sentimenti in questo modo perciò non potei fare altro che stringerlo forte un'ultima volta.
“Anche io papà” ricambiai per poi lasciarlo andare. Gli aprii la portiera della macchina o sapevo che non sarebbe mai andato via.
“Chiama!” ordinò ancora mentre saliva in auto.
“Siiiii...” mi lamentai con cadenza noiosa e gli sorrisi.
Un ultimo saluto con la mano e infine partì.
Osservai la macchina finché non girò l'angolo sparendo dalla mia visuale, e potei finalmente prendere un enorme sospiro.
Di sollievo, di paura, di malinconia. Non lo sapevo.
Sembrava passato solo un giorno dal diploma al liceo di Forks, dove mi ero trasferita sette anni prima quando mamma si era risposata, e ora avevo tra le mani la laurea.
Bè, non l'avevo tra le mani letteralmente, ma era così. Ero laureata, precisamente da trentaquattro ore, e non potevo sentirmi più orgogliosa di me stessa.
Presi a camminare lentamente mentre la brezza di fine Luglio rinfrescava debolmente il mio viso. Mi guardai intorno cercando di imprimere ogni piccolo dettaglio di quel posto; mi sarebbe dispiaciuto lasciare l'UCLA, l'Università della California, l'Università di Los Angeles; mi sarebbe davvero mancata.
Mi sarebbe mancato l'albero alla cui ombra mi rannicchiavo a leggere nelle giornate di sole, mi sarebbe mancato uscire la mattina a fare jogging tra i vialetti in mezzo al verde, mi sarebbero mancate la partite di basket e forse anche le cheer-leader; bè, forse mi sarebbe mancato più il prendere in giro le cheer-leader. 
Nel bene o nel male, mi sarebbe mancato tutto di quel posto dove avevo trascorso gli ultimi cinque anni della mia vita nella speranza di costruire il futuro che volevo e che, in effetti, non era tanto chiaro nemmeno a me.
Non avevo un obiettivo preciso nella vita e quando la mia insicurezza mi mandava in depressione c'era Rose a consolarmi dicendo che l'avrei trovato strada facendo e che  il mio percorso mi avrebbe condotta esattamente a quello che volevo diventare. Era facile per lei dirlo. Voleva essere un medico e lo aveva sempre saputo, fin da quando, a cinque anni, faceva diagnosi con le bambole affibbiando loro e inventando ogni genere di malattia possibile; in un modo o nell'altro però riusciva sempre a guarirle e quando, qualche anno fa, la sua unica nonna era morta in seguito a un ictus capì quello che voleva essere: un neurologo.
Lei voleva essere un medico. Lei voleva essere un neurologo. Lei voleva essere qualcuno di preciso.
Io sapevo solo che amavo l'arte in ogni sua forma e volevo seguirla.
Architettura, disegno, musica, teatro, anche video-editing; tuttavia ero più ferrata sulla pittura e sulla fotografia.
Non a caso non uscivo mai di casa senza la mia macchina fotografica, sebbene fosse una comune Canon da 8 Megapixel, e agognavo il momento in cui avrei risparmiato abbastanza soldi da poterne comprare una professionale come quelle che usavamo ai corsi…
Ma per ora non era ancora il momento e chinandomi su un fiore dovetti accontentarmi di intrappolarlo nella sua semplicità.
Continuai a perdermi nei miei pensieri fotografando ogni angolo che avesse significato qualcosa per me e quando vidi il chiosco del caffè - non vivevo se non ne prendevo almeno tre al giorno - non potei fare a meno di fermarmi.
“Macchiato, con schiuma e tanto zucchero!” Steve mi anticipò appena mi vide fermarmi davanti il carrello.
“Mi conosci bene” risi.
“Oh, dopo cinque anni la tua dipendenza dal caffè diventa nota.”
Annuii sorridendo mentre lui preparava il caffè.
“Mi fai anche un cappuccino?”
“Agli ordini!”
Steve era un uomo sulla quarantina che, da quanto ne sapevo, aveva sempre lavorato all'università. Ogni tanto ci eravamo trovati a parlare e mi aveva raccontato della sua famiglia, delle sue due bambine di tre e cinque anni e di come non potesse vivere senza di loro.
A volte, nell'ascoltarlo, generava quasi un piccolo desiderio di avere un figlio ma abbandonavo presto lo strano pensiero.
Non solo perché riportava a galla il ricordo del pezzo di merda che mi aveva tradita quindi non ci sarebbe stata materia prima per procreare, ma anche perché era troppo presto e la mia vita era un vero casino.
Avevo sempre sognato di poter creare una famiglia dopo la laurea, sistemarmi, trovare un lavoro che mi appagasse, avere un compagno che mi amasse; immagino che i sogni siano spesso difficili da realizzare. Anzi, i più semplici sono proprio i più difficili perché lasciano l’amaro in bocca e la delusione di aver fallito. I sogni impossibili, invece, sono i migliori, quelli meno dolorosi e più consapevoli. Tutto ciò che creano è una dolce malinconia sapendo che si avvererebbero solo grazie a un miracolo.
Ma quando un sogno semplice non si avvera perdi anche la speranza di vederlo realizzarsi.
Se non si avverano i sogni semplici come possono avverarsi quelli che sembrano impossibili?
Mi resi conto di stare decisamente divagando nei miei pensieri visto che avere una famiglia con Jacob non poteva certo dirsi il sogno della mia vita.. Ma la paura di arrivare a trenta anni senza una vita personale cominciava a farsi sentire; soprattutto dopo una relazione durata sette anni.
Avevo conosciuto Jacob la primavera in cui mi ero trasferita a Forks. Diventare amici era stato facile e ancora più semplice era stato diventare qualcosa di più.
Credevo… ero convinta che ci appartenessimo e che l'esperienza universitaria insieme non avrebbe fatto altro che rafforzare il nostro rapporto.
Questo fino a un mese fa quando aveva detto di non amarmi più e di aver bisogno di tempo per riflettere; una settimana dopo l'avevo trovato a letto con un'altra, a consolarsi per bene, e non facevo altro che torturami giorno e notte chiedendomi in cosa avessi sbagliato e per quanto tempo era riuscito a prendermi in giro così.
Rose diceva che non era colpa mia, che lui era un figlio di puttana - e aveva ragione - ma faceva male. Faceva male comunque.
“Sarà strano non vederti più qui.”
Steve interruppe, grazie a Dio, i miei pensieri passandomi il cappuccino e il caffè e aiutando la mia malinconia a raggiungere il top.
Altro che caffè, avrei avuto bisogno di un bel concentrato di cioccolato e nutella di questo passo.
“Magari verrò ogni tanto per un caffè. I tuoi sono imbattibili!” ed era la verità. O forse era solo la verità che avevo imparato a conoscere vivendo in quel posto abbastanza a lungo da farne la mia vita.
“Ci conto allora” sorrise ancora e uccise il mio tentativo di pagarlo.
“Offro io” mi fece un occhiolino e tutto quello che riuscii a dire fu un debole ma sincero grazie.
Con l'umore ancora a metà tra a terra e al settimo cielo mi incamminai verso il dormitorio mentre, distrattamente, posavo i soldi nella borsa.
E quello fu, probabilmente, il gesto che cambiò la mia vita per sempre.
Girai l'angolo e in quel millesimo di secondo in cui chinai il viso sentii qualcosa venirmi addosso, o meglio, sentii di andare addosso a qualcosa.
Il caffè mi si rovesciò sulla maglietta facendomi scottare e gridare dal dolore.
“Cazzo!” imprecai a denti stretti lasciando cadere i caffè e allontanando la maglietta dal mio petto prima di restare ustionata davvero.
Alzai il viso e vidi quello della montagna che mi era venuto addosso.
Ok, non era una montagna in effetti ma…
“Potevi fare più attenzione!” gli gridai contro d'istinto.
La sua bocca si aprì in una o di stupore e mi fissò incredulo.
“Io? Non stavi nemmeno guardando dove andavi! Mi sei venuta addosso! E ringrazia che sia stata tu a sporcarti e non io o mi avresti pagato il conto della lavanderia!”
Stavolta fui io a fissarlo incredula. “Spero che tu stia scherzando!”
“Riguardo a cosa, scusa?”
“Pretendo delle scuse!”
“Scuse per cosa? Non è colpa mia se non guardi dove cammini. Impara a tenere alta la testa bambolina…”
Bambolina? Mi aveva appena chiamata bambolina?
“E tu impara a farti i cazzi tuoi!” ringhiai puntando i piedi.
“Me li stavo facendo, infatti, prima che mi piombassi addosso” mi fece un veloce occhiolino prima di girarmi attorno e prendere la direzione opposta alla mia.
“Idiota!” fu l'insulto più forte che riuscii a gridarli dietro mentre lo vedevo allontanarsi sempre più.
Non si scomodò nemmeno a rispondere; alzò una mano per snobbarmi e, ancheggiando come un modello di serie b, continuò a camminare.
Restai per qualche secondo a pensare come risolvere il pasticcio sulla mia maglietta ma, quando capii che se non tornavo in camera avrei risolto ben poco, mi incamminai di nuovo, senza mancare qualche eventuale imprecazione e maledizione qua e là.
“Ah Bella! Dammi una mano con questi!”
Non feci nemmeno in tempo ad entrare che dovetti accorrere in aiuto a Rose che stava sprofondando dietro una pila di quei mattoni comunemente chiamati libri.
“Rose, ma devi portarli tutti?”
“Scherzi? Sono i libri. I miei libri! Quelli su cui ho buttato il sangue per cinque anni! Certo che me li porto! Sono sempre utili e sono costati una fortuna e… che cavolo hai fatto alla tua maglietta?”
“Oh...” sbuffai sistemando i libri in una scatola sul letto. “Avevo preso un caffè, e un cappuccino per te, ma un idiota mi è venuto addosso.”
“Un idiota carino?”
“Rose!”
“Bella! E' ora di iniziare a mostrare interesse per l'altro sesso.”
“E considerando com'è andata l'ultima volta è decisamente la scelta migliore!” ironizzai.
Uno: ultima e unica volta. Non puoi generalizzare il genere maschile basandoti sull'unico ragazzo con cui sei stata e che si è rivelato essere poi un pezzo di merda, anzi un verme che striscia in un pezzo di merda in putrefazione...”
“Rose, che schifo...”
Due: non sto parlando di storia seria. Sai, c'è una cosa chiamata divertimento, mi sorprenderei se tu la conoscessi. Baci, lingue, petting...”
“ROSE!”
Tre: ho solo chiesto se era carino non se te lo saresti fatto lì sul pavimento.”
Assunsi l'espressione più sdegnata che potessi avere.
“Hai finito?”
“Allora, era carino?”
Inutile, cercare di combattere verbalmente con lei era una battaglia persa in partenza probabilmente perché delle due lei era sempre stata la più loquace e io la più pratica, purché non si trattasse di ragazzi almeno…
Sospirai cercando di fare mente locale e darle una risposta. Al momento non mi ero minimamente soffermata sull'aspetto fisico ma ripensandoci e riportando a mente il suo viso e il suo corpo, nell'insieme...
“Sì, era carino...” sentenziai infine scrollando le spalle mentre lei batteva le mani eccitata; io, personalmente, ne ignoravo il motivo.
“E comunque da quando sei diventata così schietta e scurrile?” Domanda retorica. Rose era sempre stata così ma ultimamente me lo faceva notare un po' troppo.
“Da quando sembra essere l'unico modo per avere una tua reazione! Ti prego, non dirmi che stai ancora male per il verme del pezzo di merda?”
Non potei fare a meno di sorridere per qualche secondo ma tutto svanì al ricordo di Jacob a letto con un'altra; appena una settimana dopo che...
Sospirai e mi buttai a peso morto sul letto, fissando il soffitto.
“E' ancora troppo presto, Rose...”
“Stronzate!” disse la mia amica abbandonando quello che stava facendo e venendo a sedersi sul letto accanto a me. “Per lui non è stato troppo presto, non si è fatto nemmeno un terzo dei problemi che ti stai facendo tu. Mi dispiace dirti queste cose Bella, ma devi renderti conto che non ne vale la pena. Che la tua vita è altro e che puoi riprenderla in mano quando vuoi, anche solo per divertirti!”
Mi massaggiai le tempie desiderando per un secondo di aver chiesto una camera singola; ma il pensiero mi lasciò presto perché senza Rose non sarei riuscita a superare quei cinque anni senza impazzire. Eravamo state assegnate alla stessa camera dal primo giorno e all'inizio era stato drammatico. Sembrava che la convivenza non fosse scritta nei nostri oroscopi. Poi, non ricordo nemmeno come, a furia di incomprensioni abbiamo legato così tanto da diventare l'una la forza dell'altra.
“Magari nei prossimi giorni...” restai sul vago sperando che si accontentasse ma l’adattamento non era esattamente una delle sue qualità più sviluppate.
“Perché non stasera?”
“Rose, come fai ad essere sempre così ottimista? Ti sei resa conto che tra due giorni dobbiamo lasciare questo posto e ancora non abbiamo trovato un appartamento?”
“Purtroppo sì, ma mi rendo anche conto che non lo troveremo alle sette di domenica sera. Stare chiusa qui non ti aiuterà a risolvere i problemi, Bella. E poi tuo padre ci ha lasciato il numero di quel suo amico...”
“Non lo so.. dovrei iniziare a mettere via la roba…”
Uuuuuh lo farai domani! Su! Domani è un altro giorno! Metterai le tue cose nello scatolone, andremo a vedere l'appartamento e potrai deprimerti quanto vuoi ma stasera… stasera c'è la festa di fine corsi e noi dobbiamo andarci!”
Oh no… oh, ti prego, no...
“Non se ne parla, Rose!” quasi urlai mettendomi di nuovo in piedi.
“Perché no?”
“Sai che non sono cose che fanno per me...”
“E' solo una festa, Bella.”
“No.”
“Ti prego!”
“No-ooo.”
“Ti preeeeego...”
“Ho detto di no, e sarà sempre no!”
 
Evidentemente il mio no si scriveva esse-i perché due ore dopo ero lì, a quella dannata festa, trascinata da Rose con la scusa che avrebbe dovuto incontrare Emmett, il ragazzo della confraternita che l'aveva invitata esortandola a portare chiunque volesse.
Perché le avevo detto di sì? Se l'avessi saputo avrei avuto un ottimo motivo per restare a casa visto che lei sarebbe stata ugualmente in compagnia.
Sola soletta?” sussultai quando sentii quella voce già così familiare e irritante alle mie spalle.
Mi voltai per fulminarlo negli occhi ma non potevo aspettarmi che fissarlo così intensamente potesse scombussolare me. Avevo dovuto perdere quel particolare durante il nostro piccolo scontro ore prima ma aveva gli occhi più belli che avessi mai visto. Di un colore indefinito tra il verde e l’azzurro chiaro con qualche sprazzo di grigio.
“Ehi, attenta che stai sbavando un po’…”
“Ehi, attento che il tuo ego si sta gonfiando un po’ troppo. Potrebbe ucciderti e impossessarsi del tuo corpo!”
“Acida già di prima mattina, eh?”
 “Sono le nove di sera” gli feci notare perdendomi evidentemente il suo scherzo.
“Era un modo di dire, il punto non cambia” ridacchiò.
“Senti, perché non mi lasci in pace?”
“Come vuoi” alzò le mani in segno di resa. “Ti avevo solo vista qui tutta sola e pensavo ti facesse piacere fare due chiacchiere con qualcuno e sembrare meno patetica di quanto appari…” sorrise come se mi avesse appena fatto un complimento e, scendendo il gradino, si allontanò da me.
“Ah, bella gonna!” disse girandosi un secondo prima di perdersi tra la folla.Mi guardai dai piedi per ricordarmi cosa Rosalie mi aveva costretto a indossare e quando rammentai della gonna alta troppi centimetri sopra il ginocchio mi fu chiaro il suo commento.
“Chi era quello?” Rose era magicamente apparsa alle mie spalle con un bicchiere di vodka al melone che finì presto nelle mie di mani.
“Ma è puro?” chiesi sgranando gli occhi.
“Ti farà bene. Mi dici chi era il tizio?” chiese di nuovo continuando a scrutare il ragazzo tra la folla.
“L'idiota di oggi, quello del caffè.”
“Cazzo! Avevi detto che era carino ma non che aveva quel corpo... Oh mio Dio!!!” esclamò quando lui si voltò e fu possibile per lei vederlo in viso.
“Ma quello è Edward Cullen!”
“Chi?”
“Lo sai Bella, Edward Cullen! Ne hai sentito sicuramente parlare! Madonna!”
In effetti ora che Rosalie nominava il suo nome dovevo ammettere che aveva un qualcosa di familiare; sicuramente l'avevo sentito in giro ma non da interessarmene né tanto meno ero accanita dipendente da Facebook da essere in grado di associare un viso a un nome o da andare a farmi i fatti degli altri.
“Non ci posso credere!!! Non ci posso credere!!! Awwwww”
“Rosalie, vuoi calmarti?!”
Si sarebbe sentita male.
“Non capisci, Bella! Mio Dio... lui è così... così...”
“Sbruffone? Sì, lo so! È insopportabile!”
Rosalie si immobilizzò e... ah, se gli sguardi potessero uccidere.
“E' uno dei ragazzi più sexy dell'università, Bella! Un casino di ragazze gli vanno dietro e lui stava parlando con te! Con te! Cioè, ti rendi conto?! Con te!!!
“Grazie della stima, mi commuove.”
“Non intendevo questo” scosse il capo. “Cazzo, Bella! Ti devi buttare! Dicono che a letto sia un dio!”
“E chi lo dice.. ? Ah. No no no. Non lo voglio sapere” mi bloccai prima che immagini oscene occupassero la mia mente.
“Senti! Non me ne fotte un cazzo delle tue teorie sul sesso senza amore... Ora ti scoli questo, vai e ti butti, capito?”
“Rose!”
“VAAAAI!”
Prima che potessi aggrapparmi a lei mi aveva dato una piccola spinta e mi ero trovata tra una moltitudine di persone che si muoveva al ritmo di musica sballottandomi qua e là.
Fu allora che li vidi.
Jacob e Jessica. Avvinghiati l'uno all'altra in un piccolo angolo della sala.
Mi ci vollero dieci minuti per staccare gli occhi da quella scena e dieci secondi per scolarmi due bicchieri di vodka uno dietro l’altro e prenderne un terzo, insieme a tutta la bottiglia.
Mi ritrovai in giardino, ubriaca fradicia, a denigrare la mia perfettissima vita, il mio perfettissimo amore, quel verme del pezzo di merda che ora se la spassava con una quella puttana a dieci metri da me.
La gente mi fissava e rideva, mi fissava e distoglieva lo sguardo ma nessuno pensava minimamente a darmi una mano.
Non ne avevo bisogno infatti. Tutto ciò che desideravo era un letto ma, sebbene non fossi del tutto lucida, sapevo che non potevo andare via senza avvertire Rose o le avrei fatto venire un infarto.
Mi aggrappai alla staccionata che segnava i confini della casa della confraternita e mi tirai su. Barcollando, ma non troppo, arrivai all'entrata sforzandomi di tenere gli occhi aperti ma era difficile con i giochi di luce nella stanza.
Chiamai Rose rendendomi conto, dopo dieci minuti, che non mi avrebbe sentito nemmeno con un megafono.
Mi trovai di nuovo tra la folla di ragazzi che ballavano sulla musica house ma stavolta tutto era amplificato e la testa sembrava ballare per me.
“Scusa…” biascicai quando inciampai nei piedi di qualcuno, qualcuno che si rivelò essere Jacob tra le braccia di Jessica.
“Bella...” mi sembrò di leggere il labiale.
“Oh, perfetto...” parlai a me stessa mentre mi sentivo improvvisamente più viva e attiva, come se quell'imprevisto avesse risvegliato la mia rabbia e quest'ultima stesse assorbendo l'alcool.
Era solo un'impressione ovviamente perché appena mi mossi tutto cominciò a girare di nuovo ma ciò che avvertivo dentro era solo una gran voglia di vendetta e nient'altro.
“TI VA DI BALLAREEEEEE?!” urlai al primo ragazzo che mi capitò sotto mano e che si adattò subito al mio corpo.
Solo quando lo riconobbi sentii la testa girarmi ancora di più…
Non poteva essere vero, ancora lui.
Per un secondo fui tentata di allontanarmi ma lui era lì, il ragazzo più sexy dell'intera università stava ballando con me, aveva le mani sui miei fianchi e quando si spostarono sulle mie natiche per stringerle e avvicinare i nostri corpi capii che dopotutto mi trovava anche in qualche modo attraente e poi, Jacob era a due passi e aveva sicuramente visto la scena quindi, perché non approfittarne?
Senza pudore iniziai a strusciarmi sul suo corpo come una cagna in calore, senza nemmeno chiedermi cosa stessi facendo perché è questa la prerogativa degli ubriachi, no?
Ci muovevamo insieme al ritmo di musica mentre le mie mani carezzavano il suo collo, il suo viso, il suo petto. Le sue vagavano sul mio corpo, avide, e quando raggiunsero la schiena sotto la maglietta sentii una specie di scossa che mi spinse a fare quello che feci.
Mi alzai sulle punte e stringendo le braccia attorno al suo collo mi avvinghiai a lui e lo baciai, senza chiedere il permesso e senza aspettarmi che non usasse la lingua.
Non avevo mai sentito nulla del genere, mai sentita così viva come in quel momento di assoluta sconsideratezza ma anche di adrenalina. Era una cosa stupida, forse, eppure mi sentivo carica e soddisfatta mentre le nostre lingue e i nostri corpi si muovevano insieme.
Lanciai un'occhiata a Jacob e lui non se la lasciò sfuggire.
“E' il tuo ragazzo?” urlò Edward al mio orecchio.
“ERA!”
“E stai facendo questo solo per farlo ingelosire?”
Mi strusciai su di lui con quanta più sensualità possibile.
“E' un problema?”
“Affatto!” disse praticamente già nella mia bocca e senza che me ne potessi davvero accorgere mi stava trascinando da qualche parte.
Tenevo gli occhi chiusi visto che lui mi teneva vicina per farmi strada.
“Le scale!” mi avvertì ma era troppo tardi ed ero già inciampata.
Lo sentii, forse, ridere e abbassarsi per recuperarmi.
Tra un gradino e l'altro continuava a toccarmi, baciarmi e io mi sentivo beatamente vuota. In paradiso.
Mi sbatté contro il muro intrappolando il mio corpo e spingendoci il suo contro, facendomi eccitare. L’alcool aveva sempre avuto questo effetto su di me e lo sapevo bene, come sapevo che non sarei riuscita a reprimerlo nemmeno volendo.
Le sue labbra riempirono il mio collo succhiando avidamente nello stesso istante in cui il muro crollò dietro di me per lasciare il posto a qualcosa di decisamente più morbido; un letto, sicuramente.
A quel punto avrei potuto fermarmi ma ormai ero troppo avida di adrenalina e anche troppo eccitata per farlo…
Divertimento.
Dio del sesso.
Come avrei potuto andare via arrivati a quel punto?
Tra l'altro non ne avrei avuto nemmeno la forza quindi tanto valeva arrendersi fin da subito... o forse..
Ogni mio dubbio e preoccupazione sparì quando le sue mani si insinuarono sotto la mia maglietta e iniziarono a giocare con i miei seni, privi di reggiseno.
Ansimai già spudoratamente e non potei fare a meno di alzarmi per liberarmi di quell'indumento e liberare anche lui.
Lo vidi alzarsi e sfilarsi i pantaloni mentre io mi stendevo meglio sul letto; torno ad aderire al mio corpo perfino meglio di prima, continuando la sua opera con le labbra e con la lingua.
Mi sentivo morire e non potevo immaginare che, nelle mie condizioni, potessi sentire altro… E invece quando alzò la gonna mi bagnai all'istante al solo pensiero della sua mano sulla mia intimità.
Come se leggesse i miei pensieri portò le dita sul mio punto più sensibile amplificando e unendo tutto il mio piacere.
Gemevo e ansimavo senza sosta, muovendo il mio bacino contro la sua mano quando spostò le mutandine e con due dita mi penetrò facendomi arrivare all'orgasmo.
D'un tratto però abbandonò il tutto, lasciandomi desiderosa di altro, e tutta la mia attenzione fu improvvisamente concentrata sulla dura erezione che premeva contro la mia pancia.
“Ce… ce l'hai un.. un preservativo..?” riuscii a dire e ringraziai quel mezzo neurone ancora funzionante.
“Sì, sì, tranquilla!” si allungò al comodino afferrando qualcosa che sfilò subito.
Un secondo dopo lo sentii in me, grande, forte, possente.
“Ah!” urlai quando affondò in profondità tra gemiti e strani grugniti di piacere.
Spingeva sempre più forte, alzando le mie gambe e dandosi appoggio afferrando le mie natiche.
“Ah… ah.. si... cazzo..”
Furono le ultime parole che ascoltai prima di rilassare i muscoli e sentirlo crollare su di me.
 
 
Aprii gli occhi quando un raggio di sole mi prese in pieno viso facendomi girare la testa e salire il vomito.
Riuscii a trattenere a stento lo stimolo e mi misi a sedere sul letto, osservando la scena attorno a me.
Edward - era quello il suo nome, vero?
Bè, lui era steso sul letto accanto a me e dormiva nudo, ovviamente.
Sebbene fossi stata ubriaca le sensazioni di quella notte erano così chiare ed amplificate che non avrei potuto negarle o non ricordarle almeno in parte.
Era stato davvero… divino - considerando il mio unico termine di paragone - ma ora dovevo solo andarmene da lì prima che si svegliasse.
Mi mossi leggermente recuperando i miei vestiti da terra.
Evitai di andare in bagno per non far scricchiolare la porta e mi vestii velocemente, così come mi ero svegliata.
Stavo per sgattaiolare via quando inciampai nel piede del letto cadendo a terra.
Tipico di me.
“Cazzo!” mi lamentai sperando di non averlo svegliato ma quando mi alzai lui era al centro del letto, nudo e con il suo pene in bella vista, che mi guardava.
“Vai già via?”
“Sì, spiacente.”
“Pensavo che potevi restare... divertirci ancora un po'.”
“Senti, Edward...” azzardai. “Senza offesa per te o per le ragazze che di solito ti porti a letto, ma io non sono così. Ero ubriaca, è capitato, è stato bello. Fine della storia, okay?”
Rispose con una smorfia discordante e scrollò le spalle.
“Quindi, fine fine?”
“Fine.”
“Peccato... pensavo che ti fosse piaciuto...”
“No! Cioè sì, mi è piaciuto. Davvero. Ma sinceramente, tu non sai nemmeno il mio nome e credimi, non ce l'ho con te per questo. Non condivido il tuo stile di vita ma non voglio criticare, per me va benissimo così, davvero. Nessuna implicazione.”
Sembrò rilassarsi, chissà perché. Si alzò, sempre nudo, andò alla scrivania e scrisse qualcosa su un foglietto.
Si avvicinò a me, ancora nudo, e me lo porse.
“Bè, se cambi idea, questo è il mio numero.” ammiccò con un occhiolino a cui risposi semplicemente con un'alzata di sopracciglia.
“Dubito... ma… grazie..” borbottai mentre, goffamente, uscivo dalla stanza senza nemmeno salutarlo come si deve.
Ma in fondo che importanza aveva?
Tanto non avrei rivisto quel ragazzo mai più né tanto meno mi sarebbe servito il suo numero, era quello che pensavo scendendo le scale, inconsapevole di quanto fossi lontana dalla verità.





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Bè, ve lo avevo detto che non era nulla di che quindi eravate avvertiti XD
Sono abbastanza sicura di raccontare quasi tutta la storia dal punto di vista di Bella e voglio tentare questa via perchè trovo affascinante, in un certo senso, che si conoscano i veri sentimenti di un solo personaggio e si lasci all'oscuro l'altro. Quindi se mai ci saranno Pov Edward lo scriverò prima del capitolo :)
Mmm, che altro dire...? Penso nient'altro in effetti .___. Oddio, ho un vuoto di memoria e sicuramente dopo aver postato mi torneranno in mente le atre 124.000 cose che volevo dire ma vabbè, male che vada le dirò al prossimo capitolo XD
Okay, allora mi ritiro e, boh, spero vi abbia incuriosito anche solo un pochino *-*
*incrocialedita*

Alla prossima!
Fio x 

   
 
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